Friday 21 February 2014 21:36:20
Giurisprudenza Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali
segnalazione del Prof. Raffaele Bifulco della sentenza della Corte Costituzionale n. 11/2014
Si segnala la sentenza della Corte costituzionale n. 11/2014, relativa a L.r.Toscana 69/2012 in materia di semplificazione. La sentenza si sofferma, tra l'altro, sul rapporto esistente tra disposizione legislativa e atti di normazione secondaria di carattere tecnico, come le 'Linee guida'. La Corte giunge alla conclusione che essi facciano corpo unico con la disposizione legislativa. La violazione di tali atti secondari si traduce in violazione della norma interposta e quindi in illegittimità costituzionale ove la norma legislativa di riferimento costituisca principio fondamentale. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".
SENTENZA N. 11
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 17, 35 e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 5-8 febbraio 2013, depositato in cancelleria il 12 febbraio 2013 ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l’avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso spedito per la notifica il 5 febbraio 2013 e ricevuto l’8 febbraio 2013, iscritto al n. 19 del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 17, 35 e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012).
Il ricorrente censura, innanzitutto, l’art. 1 della citata legge il quale modifica l’art. 2 della legge della Regione Toscana 3 gennaio 1995, n. 3 (Norme sull’attività di tassidermia e imbalsamazione).
Censura inoltre gli artt. 2 e 3 della legge impugnata i quali abrogano gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 3 del 1995 che, ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), disciplinavano l’acceso all’attività di tassidermia subordinandolo ad apposita autorizzazione regionale attraverso una specifica abilitazione rilasciata dalla Regione, a seguito di superamento di un esame, nonché di una dichiarazione di inizio attività.
Le disposizioni impugnate non solo prevedono la Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in luogo della preesistente Denuncia di inizio attività (DIA), ma altresì abrogano le disposizioni relative all’abilitazione tramite esame, prevedendo, in sostituzione, l’obbligo di frequenza di un corso di formazione professionale obbligatorio i cui contenuti devono essere definiti dalla Regione entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge regionale.
In tal modo gli artt. 1, 2 e 3 violerebbero l’art. 117, terzo comma, della Costituzione atteso che secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale nella materia concorrente delle professioni la potestà legislativa regionale deve rispettare il principio per cui la individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, alla normativa dello Stato, mentre rientra nella competenza regionale la disciplina degli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (come precisato nelle sentenze n. 300 del 2010, n. 57 del 2007, nn. 424 e 153 del 2006).
2.– Il ricorrente impugna, altresì, l’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 41 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina della ricerca, della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e termali), e prevede che l’avvio di un’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia assoggettato a SCIA, attestante il possesso dei requisiti previsti dall’art 42 e dal regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari). Il comma 4, inoltre, stabilisce che l’azienda USL «può effettuare entro trenta giorni dal ricevimento della SCIA di cui al comma 1, un sopralluogo di verifica presso la sede dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente».
Tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 6 e 22 del decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali), che subordina l’utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente ad autorizzazione regionale rilasciata «previo accertamento che gli impianti destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà esistenti alla sorgente corrispondenti alla sua qualificazione». Inoltre gli artt. 7 e 23 del citato decreto stabiliscono che gli accertamenti devono essere effettuati dagli organi regionali per il rilascio dell’autorizzazione.
Ebbene, la previsione della SCIA, la quale costituisce una forma di controllo successivo, in luogo dell’autorizzazione, che costituisce una forma di controllo preventivo, esporrebbe i cittadini al pericolo di danni per la salute, tenuto anche conto della circostanza che la normativa regionale prevede che i sopralluoghi della ASL siano meramente facoltativi.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 244 del 2012, nel dichiarare non fondate le censure prospettate proprio dalla Regione Toscana in relazione agli artt. 6, 7, comma 1, 22 e 23 del d.lgs. n. 176 del 2011, ha affermato che l’autorizzazione, essendo prevista dalla normativa comunitaria, non può essere derogata dalla Regione, e che il legislatore comunitario, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto prevalente l’esigenza di tutela della salute dei consumatori rispetto a quella di semplificazione della attività amministrativa.
Inoltre la Corte ha affermato che il d.lgs. n. 176 del 2011 contiene una disciplina di principio della materia non modificabile dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione dell’atto comunitario.
Conseguentemente, la disposizione impugnata viola l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasta con il d.lgs. n. 176 del 2011 che detta una disciplina di principio in materia di tutela della salute, nonché l’art. 117, primo comma, Cost. dal momento che, disattendendo le previsioni della normativa comunitaria, la quale subordina ad autorizzazione l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale, si pone in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
3.– È censurato, altresì, l’art. 35 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 16 della legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia), prevedendo, al comma 1, che: «Gli interventi di cui ai commi 3 e 4 sono soggetti a SCIA, ai fini degli adempimenti in materia edilizia e di energia, nel rispetto delle disposizioni di cui al titolo VI della L.R. n. 1/2005, delle disposizioni di cui ai commi 2, 5 e 6, del presente articolo, nonché nel rispetto degli articoli 3, 3-bis, 3-ter, 8, 10, 18, 20, 21, 26, 39 e 42, della presente legge».
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. con riguardo alla materia di governo del territorio e protezione civile nella parte in cui prevede il rispetto dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005. Quest’ultimo articolo, infatti, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge della Regione Toscana 18 giugno 2012, n. 29 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012), ha escluso talune opere dal rilascio delle autorizzazioni per l’inizio dei lavori nelle zone sismiche. Il ricorrente ricorda che proprio in relazione a tali disposizioni il Consiglio dei ministri, nella seduta del 3 agosto 2012, aveva deliberato l’impugnativa della suddetta legge regionale.
La previsione censurata contrasterebbe con l’art. 19, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il quale stabilisce che le disposizioni in materia di SCIA non si applicano ai casi previsti dalla normativa per le costruzioni in zona sismica.
Inoltre, la violazione dei principi fondamentali della normativa statale che impongono specifici obblighi agli enti regionali sarebbe dimostrata dalla abrogazione, ad opera dell’art. 32 della legge reg. n. 69 del 2012, dell’art. 12, comma 5, legge reg. n. 39 del 2005 il quale prevedeva la possibilità per la Regione di intervenire nel procedimento e nella conferenza di servizi per il rilascio dell’autorizzazione unica, al fine di assicurare il coordinamento interregionale e infraregionale.
Sarebbe altresì dimostrata dalla abrogazione, ad opera dell’art. 47, comma 5, della legge censurata, dell’art. 39, comma 2, lettera k), legge reg. n. 39 del 2005 il quale prevedeva che il regolamento regionale di attuazione della suddetta legge disciplinasse le modalità e le forme di redazione e di presentazione degli elaborati progettuali e della documentazione (di cui all’art. 10, commi 5 e 6) da presentare ai competenti uffici regionali ai fini della prevenzione del rischio sismico.
4.– È impugnato, inoltre, l’art. 37, il quale sostituisce l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005. Tale disposizione, ai commi 2, lettere a), b) e f), 3, lettera a), 5, lettere a), b) e c), e 11, individua gli interventi concernenti l’installazione di impianti a fonti rinnovabili che producono energia elettrica e termica per i quali non è necessario il titolo abilitativo.
La norma impugnata, disciplinando il regime abilitativo dei suddetti interventi in modo difforme rispetto a quanto previsto dalla normativa statale ed in particolare dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), e dal decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabil), contrasterebbe con il principio fondamentale della materia dei regimi di abilitazione alla costruzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
In particolare, il ricorrente evidenzia i seguenti profili di incostituzionalità:
a) mentre l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011 consente la comunicazione di inizio lavori secondo il regime di cui al d.P.R.6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ovvero del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE), ove ricorrano specifiche condizioni, l’art. 17, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 – come modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 – pur prevedendo per gli stessi interventi la comunicazione, non specifica quale delle due tipologie si debba applicare, né recepisce le condizioni previste dalla normativa statale per l’applicazione del regime semplificato;
b) mentre l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 consente alle Regioni di prevedere il regime della comunicazione per gli impianti a fonte rinnovabile qualunque essa sia, vale a dire tanto se producono energia elettrica o termica, purché si tratti di impianti con potenza non superiore a 50 KW, l’art. 17, comma 2, lettera f), della legge reg. n. 39 del 2005 prevede il regime della comunicazione per gli impianti alimentati da biomassa fino a 0,5 MW termici, e quindi con potenza superiore a 50 KW;
c) in base al combinato disposto dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 e del paragrafo 12.5, lettera a), dell’allegato al d.m.10 settembre 2010, il regime della comunicazione si applica ai singoli generatori eolici purché collocati su edifici esistenti e aventi una potenza nominale massima di 50 KW. L’art. 17, comma 3, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005, invece, non prevede tale ultimo limite ed estende la comunicazione anche agli impianti non collocati su edifici;
d) l’art. 17, comma 5, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005 contrasta con l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto, nell’assoggettare al regime della comunicazione anche gli impianti di produzione di energia elettrica e termica alimentati da fonti rinnovabili, non fissa il limite di potenza fino a 50 KW stabilito dalla normativa statale;
e) l’art. 17, comma 5, lettera b), della legge reg. n. 39 del 2005 assoggetta a comunicazione di inizio lavori gli impianti che producono energia elettrica aventi una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto (i quali sono quelli con capacità di generazione fino a 200 KW e in taluni casi superiore) in contrasto con quanto statuito dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale prevede per l’applicazione del regime della comunicazione il limite di potenza fino a 50 KW;
f) il comma 5, lettera c), della disposizione regionale in parola contrasta con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto assoggetta a comunicazione gli impianti solari senza richiamare le condizioni previste dalla legge statale, nonché in quanto non specifica a quale comunicazione faccia riferimento (se quella di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero a quella del d.lgs. n. 115 del 2008). Inoltre contrasta con l’art. 7, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011 perché consente la collocazione di detti impianti anche oltre i casi previsti dalla normativa statale (edifici e spazi liberi privati annessi).
Ulteriori censure vengono mosse avverso l’art. 17, comma 11, della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato dalla legge reg. n. 69 del 2012. Tale disposizione, stabilendo che non è necessario il titolo abilitativo per le modifiche e manutenzioni degli impianti di cui agli artt. 11, 13, 15, 16, comma 3, e 16-bis, comma 4, esistenti o in corso di realizzazione, assoggetta tutte le modifiche degli impianti, siano esse sostanziali o meno, alla mera comunicazione. In tal modo la norma impugnata viola l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale rinvia ad un apposito decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata, la individuazione degli interventi di modifica sostanziale degli impianti da fonti rinnovabili da assoggettare ad autorizzazione, e detta in via transitoria criteri per individuare le modifiche non sostanziali da assoggettare alla procedura abilitativa semplificata (PAS).
Ad avviso del ricorrente, la norma regionale, nell’assoggettare tutte le modifiche impiantistiche al regime di libera attività, contrasta con la richiamata disposizione statale che assoggetta in via transitoria a PAS (la quale, sebbene costituisca un regime semplificato, è pur sempre più stringente della mera comunicazione) le sole modifiche non sostanziali e per i soli impianti esistenti.
Quanto alle modifiche sostanziali, il legislatore statale, in attesa della adozione di apposito decreto interministeriale, ha fatto salvo il principio della identità di forma tra il provvedimento abilitativo originario e la sua variante.
Conseguentemente, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto l’individuazione del regime abilitativo delle modifiche costituisce principio fondamentale della materia «produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», atteso che detto regime non può che essere omogeneo su tutto il territorio nazionale onde evitare ingiustificate discriminazioni tra iniziative economiche ed assicurare «un equilibrio tra la competenza esclusiva statale in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia».
5.– La Regione Toscana, costituitasi in giudizio, ha sostenuto che le censure svolte dalla Stato sono inammissibili o infondate.
Ad avviso della resistente gli artt. 1, 2 e 3 della legge reg. n. 69 del 2012 sarebbero espressione della competenza attribuita alla Regione dall’art. 6 della legge n. 157 del 1992 a disciplinare, con apposito regolamento, l’attività di tassidermia e imbalsamazione.
La legge regionale impugnata da un lato avrebbe inteso ribadire la necessità della acquisizione di specifica preparazione per coloro che svolgono tale attività; dall’altro lato avrebbe voluto superare la previgente scelta legislativa della Regione che richiedeva il superamento di un esame prevedendo, in suo luogo, un sistema di qualificazione con svolgimento di un corso obbligatorio. E ciò la Regione avrebbe fatto ispirandosi ai nuovi principi statali volti ad attuare la semplificazione dei rapporti tra cittadini, imprese e istituzioni.
In tal modo le norme impugnate non darebbero vita ad una nuova figura professionale, ma, in attuazione dell’art. 6 della legge n. 157 del 1992, avrebbero introdotto «un nuovo sistema di acquisizione della conoscenza».
6.– Riguardo alle censure aventi ad oggetto l’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012, la resistente sostiene che l’iter di formazione di detta legge era già in uno stadio avanzato (essendo stato il relativo progetto licenziato dalla Giunta regionale il 27 agosto 2012) allorché è intervenuta la sentenza n. 244 del 2012 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità prospettate dalla Regione Toscana aventi ad oggetto le norme del d.lgs. n. 176 del 2011 che imponevano alle Regioni il rilascio dell’autorizzazione per l’avvio dell’attività di utilizzazione delle acque naturali e di sorgente.
La resistente afferma che sarebbe in fase di predisposizione una proposta di legge di modifica della norma impugnata allo scopo di renderla conforme alle disposizioni del d.lgs. n. 176 citato.
7.– Inammissibile sarebbe la doglianza avente ad oggetto l’art. 35, atteso che essa non risponderebbe ai requisiti di chiarezza e completezza per la proposizione delle questioni di legittimità nei giudizi in via principale.
La Regione fa inoltre presente che non le sarebbe mai stato notificato un ricorso dello Stato avverso la legge reg. n. 29 del 2012 avanti alla Corte costituzionale.
Nel merito, la resistente sostiene che ove la censura si dovesse intendere nel senso che il ricorrente lamenta che la normativa regionale – attraverso il richiamo all’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005 − avrebbe esteso la previsione della SCIA anche per costruzioni in zone sismiche in contrato con l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, con conseguente violazione di un principio fondamentale in materia di governo del territorio, essa sarebbe infondata.
L’art. 10, infatti, sarebbe norma generale che riguarda tutto il procedimento da seguire per ottenere titoli abilitativi (qualunque essi siano) per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione, trasporto, trasmissione e distribuzione di energia, di impianti per la lavorazione e lo stoccaggio di oli minerali, gas naturali e liquefatti, nonché impianti di illuminazione esterna.
Inoltre esso richiama espressamente la necessità che tutti gli interventi disciplinati rispettino la normativa antisismica.
Solo con riguardo ai titoli abilitativi per la costruzione e l’esercizio delle linee elettriche aeree il comma 5 dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005 richiama una normativa speciale e ciò fa allo scopo di adeguare la disposizione legislativa a tre pronunce del Consiglio di Stato (sentenze n. 1526 e n. 1527 del 2008, n. 5278 del 2007) le quali hanno annullato i decreti del Ministro dei lavori pubblici del 21 dicembre 2000 e 9 aprile 1999 concernenti la normativa tecnica relativa alle linee aeree esterne.
Secondo quanto statuito dalle richiamate decisioni del giudice amministrativo, mentre a tutte le opere in conglomerato cementizio, normale, precompresso e a struttura metallica si applicano le norme in materia antisismica contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), alla costruzione delle linee elettriche esterne si applica la normativa speciale di cui alla legge 28 giugno 1986, n. 339 (Nuove norme per la disciplina della costruzione e dell’esercizio di linee elettriche aeree esterne), e alla relativa normativa di attuazione. Pertanto, la disposizione regionale impugnata avrebbe inteso unicamente adeguare la normativa regionale a quanto stabilito dall’art. 2 della legge n. 339 del 1986.
Conseguentemente, il richiamo all’art. 10 contenuto nella disposizione impugnata non può essere interpretato nel senso che esso escluda per talune opere la necessità del rilascio dell’autorizzazione per l’inizio dei lavori in zone sismiche.
Inoltre il legislatore regionale avrebbe inteso adeguare la normativa concernente gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili allo specifico titolo abilitativo semplificato (PAS) in armonia con quanto previsto dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e dall’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
La norma impugnata, inoltre, rinviando alla legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), che riguarda l’attività edilizia − la quale all’art. 84 stabilisce che il progettista che presenta la SCIA deve dare atto nella sua relazione del rispetto delle norme antisismiche − rende evidente che detta segnalazione non sostituisce i nulla osta e le autorizzazioni richieste a fini sismici la cui acquisizione è obbligatoria.
Inconferente sarebbe poi il richiamo all’abrogazione, disposta dall’art. 32, comma 2, della legge reg. n. 69 del 2012, dell’art. 12, comma 5, della legge reg. n. 39 del 2005 che prevedeva che, al fine di assicurare il coordinamento interregionale e infraregionale, la Regione potesse intervenire nel procedimento e nella conferenza di servizi di cui al comma 2. Tale abrogazione avrebbe avuto lo scopo di semplificare il procedimento unico per il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di energia, posto che la disposizione regionale era priva di collegamento con i principi statali.
Né il ricorrente ha indicato quale norma statale di principio sarebbe stata violata dalla abrogazione dell’art. 12, comma 5.
Diversamente, nei casi in cui la normativa statale configura l’intervento della Regione come necessario, la normativa regionale è intervenuta con specifica disciplina.
8.– Riguardo alle censure relative all’art. 37, che ha sostituito l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005, il quale disciplina una serie di interventi relativi all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e termica, la Regione osserva, preliminarmente, come la norma impugnata sia stata introdotta per la necessità di adeguare la normativa regionale alle norme statali in materia di semplificazione (in particolare, al d.l. n. 70 del 2011, al decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, recante «Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, alle linee guida dettate dal d.m. 10 settembre 2010, nonché al d.lgs. n. 28 del 2011, ai decreti-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e 9 febbraio 2012, n. 5, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35) nonché alle sentenze n. 313 del 2010 e n. 248 del 2006 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di talune disposizioni della legge reg. n. 39 del 2005.
Inoltre, alcune previsioni contenute nella disposizione impugnata costituirebbero legittimo esercizio della facoltà espressamente prevista al legislatore regionale di individuare ulteriori interventi edilizi da sottoporre al regime dell’attività libera, in conformità di quanto stabilito dall’art. 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 115 del 2008, i quali riguardano anche gli interventi relativi all’utilizzo di fonti alternative mediante apparecchi omogenei agli edifici per l’autoconsumo (come si evince dalla sentenza n. 313 del 2010).
Esaminando nel dettaglio le singole censure, la difesa regionale sostiene l’infondatezza di quelle relative all’art. 17, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012, con cui lo Stato deduce la violazione dell’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011. Infatti tali ultime previsioni sarebbero state pedissequamente recepite rispettivamente dal comma 3, lettera b), e dal comma 6 dell’art. 17 della legge regionale.
Invece gli interventi previsti dall’art. 17, comma 2, lettere a) e b), riguarderebbero unicamente gli interventi minimi, per la produzione della sola energia termica destinata all’utilizzo diretto, relativi alla installazione di pannelli solari termici di sviluppo uguale o inferiore a 20 mq, ovvero ai pannelli solari per applicazioni nel settore vivaistico. Tali interventi sarebbero già sottoposti al solo regime edilizio. Argomentando diversamente, si dovrebbe ritenere che l’elencazione contenuta nell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 sia tassativa e sostitutiva della vigente disciplina per gli impianti da fonti rinnovabili già sottoposti ad attività libera e ciò in contrasto con la direttiva 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE – Testo rilevante ai fini del SEE), che persegue la finalità di incentivare il ricorso alla produzione di energia da fonti rinnovabili anche attraverso percorsi semplificati perl’installazioni di tali tipologie di impianti.
Infondate sarebbero, inoltre, le censure mosse avverso l’art. 37 nella parte in cui introduce l’art. 17, comma 2, lettera f), alla legge reg. n. 39 del 2005 per violazione dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011. Ad avviso della Regione, infatti, la disposizione statale evocata sarebbe inconferente atteso che essa avrebbe ad oggetto unicamente gli impianti di produzione di energia elettrica e non termica, di tal che il limite di 50 KW da essa prevista dovrebbe intendersi riferito unicamente ai KW elettrici, laddove invece la norma regionale fa riferimento alla sola potenza termica. Si tratterebbe peraltro di una previsione già contenuta nel testo originario della legge reg. n. 39 del 2005.
Inconferente sarebbe altresì il richiamo all’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 di cui si deduce la violazione ad opera dell’art. 17, comma 3, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005.
La disposizione statale, infatti, la quale prevede la possibilità per le Regioni di estendere il regime semplificato delle comunicazioni ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 KW, riguarderebbe unicamente l’ipotesi in cui il legislatore regionale voglia individuare tipologie di interventi da sottoporre al regime di attività libera ulteriori rispetto a quelli già previsti ai sensi dei paragrafi 11 e 12 delle linee guida.
La disposizione regionale impugnata, invece, costituirebbe fedele riproduzione dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008 richiamato dal d.lgs. n. 28 del 2011 il quale dispone che «gli interventi di incremento dell’efficienza energetica che prevedano l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessivanon superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro, nonché di impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi, sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23» del d.P.R. n. 380 del 2001, «qualora la superficie dell’impianto non sia superiore a quella del tetto stesso».
Le censure relative all’art. 17, comma 5, lettere a), b) e c), benché formulate distintamente dal ricorrente, dovrebbero essere trattate unitariamente, atteso che solo dalla lettura complessiva delle disposizioni impugnate sarebbe possibile comprenderne la reale portata.
Il comma 5 prevede che non necessitino di titolo abilitativo due diverse tipologie di impianti di produzione energetica e cioè quelli realizzati in edifici esistenti, sempre che non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento di parametri urbanistici ed alla ulteriore condizione che:
1) vi sia produzione di energia elettrica e la relativa capacità di generazione sia compatibile con il regime di scambio sul posto (lettera b);
2) vi sia produzione di calore e questo sia destinato alla climatizzazione o alla produzione di acqua calda sanitaria dell’edificio stesso (lettera c).
Anche in questo caso la Regione non prevederebbe nuove forme di semplificazione, ma si limiterebbe a recepire la disciplina statale che identifica gli interventi soggetti al regime di attività libera.
In particolare, quanto agli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, verrebbero in considerazione il paragrafo 12 delle linee guida e l’art. 123 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché il connesso art. 6, comma 1, lettera a), e comma 2, lettera a), dello stesso decreto.
Quanto agli impianti di produzione di calore da fonti rinnovabili di cui al combinato disposto delle lettere a) e c) del comma 5 dell’art. 17, la normativa recepirebbe le disposizioni dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011.
Riguardo poi alle censure relative alla lettera b) del comma 5, la resistente sostiene che il parametro evocato sarebbe inconferente atteso che la norma regionale «non riguarda gli impianti solari termici che per loro intrinseca natura si posizionano sugli edifici, [e dunque] sul loro involucro e mai all’interno degli edifici».
Infondate sarebbero, infine, le censure relative all’art. 17, comma 11, il quale si limiterebbe a chiarire che, ove gli interventi di modifica o manutenzione degli impianti non comportino modifiche assoggettate a PAS o a SCIA, esse possono essere realizzate in regime di attività libera ai sensi degli artt. 16, 16-bis e 17 della legge reg. n. 39 del 2005.
Peraltro la disposizione censurata sarebbe stata contenuta nella stessa formulazione nel testo dell’art. 17 anteriore alle modifiche introdotte dalla legge reg. n. 69 del 2012.
In prossimità dell’udienza, la resistente ha depositato una memoria nella quale dà atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, è stata emanata la legge della Regione Toscana 9 agosto 2013, n. 47 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2013), il cui art. 59 ha modificato l’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 disponendo che l’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia assoggettato al rilascio di autorizzazione, e non più a SCIA. In considerazioni di tali modifiche, la resistente ha chiesto che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere con riguardo alle censure prospettate in relazione all’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 17, 35 e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012).
2.– Il ricorrente impugna, innanzitutto, gli artt. 1, 2 e 3 della legge richiamata i quali modificano talune previsioni contenute nella legge della Regione Toscana 3 gennaio 1995, n. 3 (Norme sull’attività di tassidermia e imbalsamazione).
In particolare l’art. 1 della legge reg. n. 69 del 2012 modifica l’art. 2 della legge reg. n. 3 del 1995, mentre gli artt. 2 e 3 abrogano rispettivamente gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 3 del 1995.
Per effetto di tali modifiche nella Regione Toscana l’esercizio dell’attività di tassidermia ed imbalsamazione è subordinato alla presentazione, in luogo della denuncia di inizio attività (DIA) originariamente prevista, di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nella quale viene attestata la frequenza ad un corso di formazione professionale obbligatoria.
Vengono, inoltre, abrogate le disposizioni della legge reg. n. 3 del 1995 che subordinavano l’esercizio di tale attività al superamento di un esame di abilitazione, prevedendosi, in sostituzione, la frequenza obbligatoria di un corso di formazione, i cui contenuti sono rimessi ad un atto del dirigente della competente struttura regionale.
Il ricorrente sostiene che tali disposizioni violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto interverrebbero nella materia concorrente delle professioni senza rispettare il principio secondo il quale la individuazione delle figure professionali con i relativi profili e titoli abilitanti è riservata alla normativa dello Stato.
2.1.– La questione non è fondata.
Questa Corte, con orientamento ormai costante, ha affermato che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale; tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale, da ciò derivando che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali» (da ultimo, sentenza n. 98 del 2013).
Una volta, però, che la legge statale abbia dato vita ad un’autonoma figura professionale «non si spiega per quale motivo le Regioni, dotate di potestà primaria in materia di formazione professionale, non possano regolare corsi di formazione relativi alle professioni […] già istituite dallo Stato, fermo restando che l’esercizio di tale attribuzione regionale non è necessariamente subordinato a siffatto requisito preliminare, ma può venire realizzato nell’interesse formativo di qualunque lavoratore, anche al di fuori di un tipico inquadramento professionale di quest’ultimo, purché con ciò non si dia vita ad una nuova professione, rilevante in quanto tale nell’ordinamento giuridico» (sentenze n. 108 del 2012 e n. 271 del 2009).
Con riguardo all’attività di tassidermia e di imbalsamazione, le uniche disposizioni dettate dalla normativa statale sono contenute nell’art. 6 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), il quale, al comma 1, stabilisce che «Le regioni sulla base di apposito regolamento disciplinano l’attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei», e al comma 4 dispone che «Le regioni provvedono ad emanare, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un regolamento atto a disciplinare l’attività di tassidermia ed imbalsamazione di cui al comma 1».
La Regione Toscana aveva già dato attuazione a tali previsioni con la legge reg. n. 3 del 1995 la quale, nella formulazione originaria, subordinava l’esercizio di questa attività alla presentazione di una DIA e al superamento di un apposito esame.
La legge impugnata ha eliminato la necessità di tale esame prevedendo, invece, la partecipazione obbligatoria ad un corso di formazione disciplinato dalla Regione stessa.
Alla luce di questo quadro normativo si può affermare che le modifiche introdotte dalla legge reg. n. 69 del 2012 non hanno istituito una nuova figura professionale, ma sono intervenute sulla disciplina regionale già vigente in materia, prevedendo una diversa modalità di accesso allo svolgimento dell’attività di imbalsamazione e tassidermia per la quale è richiesta obbligatoriamente la frequenza di un corso di formazione. Le disposizioni impugnate, pertanto, costituiscono esercizio della potestà residuale delle Regioni in tema di formazione professionale.
3.– Lo Stato ha poi impugnato l’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 41 della legge della Regione Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina della ricerca, della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e termali).
A seguito di tali modifiche, la nuova versione dell’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 stabilisce che l’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente è assoggettato a SCIA, attestante il possesso dei requisiti previsti dal regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari). Stabilisce, inoltre, che l’ASL può effettuare un sopralluogo di verifica entro 30 giorni.
Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, prevedendo in luogo dell’autorizzazione (forma di controllo preventivo), la SCIA (che implica controlli successivi), la norma impugnata contrasterebbe con la disciplina di principio in materia di tutela della salute dettata dal decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali). Gli artt. 6 e 22 del citato decreto, infatti, subordinano l’inizio di tale attività ad autorizzazione, la quale è rilasciata previo accertamento che gli impianti destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà, corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente.
Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe, altresì, l’art. 117, primo comma, Cost. in quanto, disattendendo le previsioni della normativa comunitaria, la quale subordina ad autorizzazione l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale, si porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
3.1.– Successivamente alla proposizione del ricorso, la Regione Toscana ha emanato la legge 9 agosto 2013, n. 47 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2013), la quale, all’art. 59, ha modificato l’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 disponendo che l’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia assoggettato al rilascio di autorizzazione, e non più a SCIA.
La resistente ha chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere essendo dette modifiche satisfattive delle censure mosse dallo Stato e non avendo avuto medio tempore applicazione la disposizione impugnata.
3.2.– Come noto, lo ius superveniens può determinare la cessazione della materia del contendere solo ove al contempo rivesta efficacia satisfattiva rispetto alle ragioni del ricorrente e la normativa censurata non abbia avuto medio tempore applicazione (ex plurimis, sentenze n. 73 e n. 18 del 2013, n. 300 e n. 193 del 2012).
Se nel caso in esame le modifiche introdotte dalla legge reg. n. 47 del 2013, recependo senz’altro la normativa statale appaiono soddisfare le censure mosse dal ricorrente, non vi è, tuttavia, alcuna dimostrazione del fatto che la disposizione impugnata – la quale contiene previsioni dotate di immediata efficacia – non abbia avuto applicazione. Non ricorrono pertanto, nella specie, le condizioni richieste dalla giurisprudenza di questa Corte perché possa essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
3.3.– La disposizione censurata va pertanto sottoposta allo scrutinio di costituzionalità.
Gli artt. 6 e 22 del d.lgs. n. 176 del 2011, nel disciplinare l’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali in attuazione della direttiva 18 giugno 2009, n. 2009/54/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali), stabiliscono che l’utilizzazione delle acque minerali naturali e l’immissione in commercio delle acque di sorgente siano subordinate ad una previa autorizzazione rilasciata dopo aver accertato la ricorrenza delle condizioni ivi indicate.
Questa Corte, nella sentenza n. 244 del 2010, esaminando le censure proposte proprio dalla Regione Toscana avverso tali disposizioni, laddove subordinano lo svolgimento delle attività in parola ad una previa autorizzazione rilasciata dopo l’accertamento della sussistenza delle condizioni ivi indicate, ha affermato che «Il legislatore comunitario, nell’esercizio della propria discrezionalità normativa, ha ritenuto prevalente, rispetto a quella della semplificazione amministrativa dei procedimenti, la finalità di assicurare la tutela della salute dei consumatori di acque minerali. Nell’ordinamento nazionale analoga finalità costituisce un interesse generale, costituzionalmente rilevante, in quanto speciesdel più ampio genus della salute del singolo individuo e della collettività di cui all’art. 32 Cost. e, nel caso di specie, anche pienamente conforme alla regola introdotta dal legislatore comunitario […]. La normativa nazionale di recepimento, contenuta nel d.lgs. n. 176 del 2011 e censurata dalla Regione Toscana, proprio perché in larga misura pedissequamente riproduttiva delle previsioni comunitarie – sintetiche per definizione quanto ai loro enunciati – contenute nella direttiva 2009/54/CE, detta nella specie una disciplina di principio della materia, comunque non modificabile dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione dell’atto comunitario».
Alla luce di tale pronuncia le censure prospettate, sia con riferimento al primo che al terzo comma dell’art. 117 Cost., risultano fondate.
La disposizione regionale impugnata, infatti, subordinando lo svolgimento dell’attività a semplice SCIA, anziché ad autorizzazione, viola un principio fondamentale della materia della tutela della salute, ed inoltre si pone in contrasto la normativa comunitaria.
4.– Il ricorrente ha impugnato l’art. 35 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 16 della legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia).
L’art. 16, inserito nel Capo III della legge, concernente la disciplina delle attività energetiche, individua gli interventi soggetti a SCIA.
Al comma 1 la citata disposizione stabilisce che gli interventi previsti ai commi 3 e 4 «sono soggetti a SCIA, ai fini degli adempimenti in materia edilizia e di energia, nel rispetto» tra le altre, delle disposizioni di cui all’art. 10 della stessa legge regionale.
Il Presidente del Consiglio sostiene che la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. con riguardo alla materia di governo del territorio e protezione civile nella parte in cui prevede il rispetto dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005, il quale ha escluso talune opere dal rilascio delle autorizzazioni per l’inizio dei lavori nelle zone sismiche, laddove invece l’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), stabilisce che le disposizioni in materia di SCIA non si applicano ai casi previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche.
La difesa della Regione Toscana ha eccepito l’inammissibilità della censura in quanto essa difetterebbe dei requisiti di chiarezza e completezza necessari per sollevare una questione di legittimità costituzionale.
L’eccezione è fondata.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, il ricorso in via principale deve anzitutto «identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi», indicando «le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità», e altresì «contenere una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge» (ex plurimis, sentenze n. 41 del 2013 e n. 114 del 2011, nonché ordinanza n. 123 del 2012), ponendosi l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa «in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che in quelli incidentali» (ordinanza n. 123 del 2012, che menziona anche le sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005).
Nel caso in esame, le argomentazioni svolte dal ricorrente a sostegno dell’impugnazione dell’art. 35 della legge reg. n. 69 del 2012 sono formulate in termini confusi e non raggiungono quella soglia minima di chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità delle impugnative in via princip
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