Thursday 01 March 2012 14:38:00
Giurisprudenza Giustizia e Affari Interni
Consiglio di Stato
Nel presente caso, il Consiglio di Stato, ha innanzi tutto, osservato che dall’atto di ricusazione, è enucleabile una ragione “generale” della stessa, coinvolgente tutti i componenti del Consiglio di Stato (e quindi anche gli attuali componenti del Collegio giudicante), nella quale sostanzialmente si iscrivono ragioni di ricusazione solo in apparenza specifiche, relative a taluni singoli Consiglieri di Stato (in taluni casi, peraltro estranei alla attuale composizione del Collegio giudicante). Orbene, l’art. 18 Cpa prevede, in ordine alla decisione dell’istanza di ricusazione, tra l’altro che: a) “il collegio investito della controversia può disporre la prosecuzione del giudizio, se ad un sommario esame ritiene l’istanza inammissibile o manifestamente infondata” (comma 4); b) che “in ogni caso la decisione definitiva sull’istanza è adottata, entro trenta giorni dalla sua proposizione, dal collegio previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito” (comma 5). Dalle norme riportate si evince che, nella prima ipotesi (cioè quando ravvisi l’inammissibilità o la manifesta infondatezza dell’istanza), il Collegio può decidere, anche in composizione comprendente il o i magistrati ricusati, dovendosi porre il problema del rinvio ad altra udienza (“previa sostituzione del magistrato ricusato”): - sia quando non si rinvengano ragioni fondanti la declaratoria di inammissibilità o manifesta infondatezza dell’istanza (e quindi la stessa deve essere compiutamente esaminata); - sia quando il Collegio ha delibato l’inammissibilità o la manifesta infondatezza dell’istanza, essendo in questo caso prevista una “seconda decisione”, come si evince dal comma 8, secondo periodo, in base al quale “l’accoglimento dell’istanza di ricusazione rende nulli gli atti compiuti ai sensi del comma 4 con la partecipazione del giudice ricusato”, norma che sarebbe priva di senso ove non si prevedesse una decisione successiva alla immediata delibazione di cui al comma 4, in applicazione – anche in questo caso – del successivo comma 5. Né vi sono ragioni per distinguere, quanto all’applicazione dei commi 4 e 5 dell’art. 18, l’ipotesi in cui destinatario dell’istanza di ricusazione sia un determinato (o più determinati) componenti del Collegio giudicante, ovvero oggetto dell’istanza siano tutti i componenti del Collegio medesimo, di modo che, anche nel presente caso, il Collegio deve innanzi tutto delibare l’istanza e, se la ritenga inammissibile o manifestamente infondata, procedere oltre nel giudizio. Allo stesso tempo, laddove oggetto di ricusazione è lo stesso intero Collegio, l’ulteriore valutazione dell’istanza di ricusazione sarà effettuata da un Collegio avente composizione totalmente diversa. In sostanza, l’art. 18 Cpa ha inteso, sul punto, meglio precisare – in ordine al procedimento conseguente all’istanza di ricusazione – quanto in generale previsto dall’art. 53, primo comma, c.p.c., il quale si limita a prevedere, per quel che interessa nella presente sede, che “sulla ricusazione decide . . . il collegio se è ricusato uno dei componenti del Tribunale o della Corte”. La soluzione adottata dal Codice, che consente la immediata delibazione dell’istanza da parte del Collegio cui appartiene il giudice ricusato, ovvero da parte del Collegio ricusato nella sua totalità, è senza dubbio aderente al principio di effettività della tutela giurisdizionale, in quanto tesa ad evitare che con una pluralità di successive istanze di ricusazione venga paralizzata l’attività giurisdizionale, ed essa è altresì conforme a quanto espresso anche dalla Corte Costituzionale, secondo la quale esiste un potere delibatorio del giudice della causa in ordine all’istanza di ricusazione, onde evitare che atti di ricusazione pretestuosi comportino effetti di ritardo o paralisi del giudizio (Corte cost., 18 marzo 2005 n. 115 e 23 luglio 2002 n. 388).
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