Monday 19 May 2014 19:11:37

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Si ai matrimoni fuori dalla sede comunale: il Consiglio di Stato indica i presupposti

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti del parere del Consiglio di Stato Sez. I

E' giunta alla cronaca di questi giorni la notizia della delibera trasmessa all'Assemblea capitolina, con la quale si vorrebbe far approvare un regolamento comunale che consenta di sposarsi oltre che nella sala Rossa del Campidoglio, anche al Colosseo, in spiaggia ad Ostia, allo stadio Olimpico od ancora nella Torretta di Ponte Milvio, consentendo in tal modo a Roma Citale di fare cassa. In considerazione dei numerosi quesiti inviati dai Comuni che, in questa fase di crisi cercano qualsiasi soluzione pur di far entrare liquidità nelle casse comunali, si reputa opportuno evidenziare come tale via sia assolutamente percorribile purché vengono rispettati alcune condizioni importanti. L’art. 106 c.c. (Della celebrazione del matrimonio) stabilisce che “Il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale davanti all’ufficiale dello stato civile al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione”. L’art. 3 d. P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Uffici separati) prevede che “1. I comuni possono disporre, anche per singole funzioni, l’istituzione di uno o più separati uffici dello stato civile. 2. Gli uffici separati dello stato civile vengono istituiti o soppressi con deliberazione della giunta comunale. Il relativo atto e’ trasmesso al prefetto”. Il Ministero dell’interno chiede al Consiglio di Stato se, in base a tale quadro normativo, tenuto conto della prassi positiva seguita dagli uffici dello stato civile, sia legittima la celebrazione di matrimoni al di fuori dell’edificio comunale e, in particolare, in luoghi di rilevanza storica, culturale, ambientale, ovvero turistica. Militerebbero in favore della soluzione favorevole i valori costituzionali sottesi all’istituto matrimoniale (artt. 29 e 30 Cost.) ed alle autonomie locali (artt. 5, 114 Cost.), in relazione all’evoluzione del costume e della società, che ha attenuato la sacralità della celebrazione, avvicinandola alla “mondanità”. In senso contrario, invece, la lettera della disposizione civilistica, improntata ad una concezione formale del rito matrimoniale. Sulla base di tali presupposti normativi il Consiglio di Stato nel parere attenzionato ha evidenziato come nella sensibilità collettiva, non solo in Italia ma nell’intero mondo occidentale, la celebrazione del matrimonio sia oramai avvertita come una vicenda non necessariamente intima o sacrale, ma anche mondana, e tale da sottrarsi – quanto meno con riguardo al luogo – al rigido cerimoniale previsto dalla tradizione. D’altra parte, l’esternalizzazione del rito matrimoniale in siti a valenza storico-artistica o paesaggistica rappresenta un’opzione coerente con i valori protetti dalla Carta costituzionale. Si aggiunga, che la moderna concezione del matrimonio, come istituto volto alla realizzazione della persona umana, oltre che come fatto fondante la primigenia cellula sociale, suggerisce di dare spazio alla scelta dei coniugi in ordine al luogo più appropriato per celebrare l’atto costitutivo della loro unione. Sotto questo profilo l’art. 106 c.c. appare doversi interpretare in maniera sistematica. Viene in soccorso il citato art. 3 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, applicabile anche alla funzione di celebrazione del matrimonio, in assenza di qualsiasi indice – letterale o sistematico – di segno contrario. Il problema che si pone attiene, dunque, all’estensione della facoltà prevista da tale disposizione, contenuta in un regolamento di delegificazione, nell’interpretazione della fonte primaria. La soluzione accolta dalla prassi, riportata nella pubblicazione “Massimario dello Stato civile”, curata dalla Direzione Centrale per i Servizi Demografici costituita presso il Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero, è nel senso di ammettere la celebrazione del matrimonio in luoghi esterni, che rientrino nella disponibilità giuridica del Comune (a titolo di proprietà, diritto reale o personale di godimento), purché stabilmente destinati alle celebrazioni. Sarebbe quindi impedita la celebrazione in quei siti che, per la loro attrattiva estetica, storica o ambientale abbiano una destinazione turistica, siano aperti al pubblico e caratterizzati da affollamento, a meno che il Comune ne abbia l’esclusiva disponibilità e li riservi alle celebrazioni, così però, di fatto, sottraendoli all’utenza. Ad avviso della Sezione tale soluzione rappresenta il livello minimo di permissione alle celebrazioni extramurarie, senza che al riguardo occorra forzare il testo delle disposizioni richiamate, essendo sufficiente un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica. “Casa comunale” può essere considerata, infatti, qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica del Comune vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali e, segnatamente, alla celebrazione di matrimoni da parte dell’ufficiale di stato civile. Ciò su cui occorre riflettere sono i requisiti di esclusività e continuità della destinazione, che, se intesi in termini assoluti, sarebbero preclusivi di celebrazioni in luoghi aperti all’utenza. A tal riguardo il Consiglio di Stato ritiene che sia possibile tanto una destinazione frazionata nel tempo (determinati giorni della settimana, determinati giorni del mese), quanto una destinazione frazionata nello spazio (determinate aree del luogo), purché precisamente delimitati e aventi carattere duraturo, o, comunque, non occasionale. Ciò perché a rilevare – oltre, ovviamente, alla definizione preventiva della destinazione – è la stabilità della connessione tra l’uso del sito e le funzioni amministrative proprie della casa comunale, che non viene meno allorquando determinati periodi di tempo o determinate porzioni del sito siano adibiti ad altri usi. In tal modo viene garantita la possibilità di impiegare un sito a valenza culturale o estetica per le celebrazioni matrimoniali, senza sottrarlo al godimento della collettività. Per scaricare il parere del Consiglio di Stato cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione

OGGETTO:

Ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali.

 

 

Quesito relativo all’applicazione dell’art. 106 c.c.;

 

 

LA SEZIONE

Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n. 2803 in data 06/11/2013 con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul quesito in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Francesco Bellomo;

 

 

PREMESSO:

L’art. 106 c.c. (Della celebrazione del matrimonio) stabilisce che “Il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale davanti all’ufficiale dello stato civile al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione”.

L’art. 3 d. P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Uffici separati) prevede che “1. I comuni possono disporre, anche per singole funzioni, l’istituzione di uno o più separati uffici dello stato civile. 2. Gli uffici separati dello stato civile vengono istituiti o soppressi con deliberazione della giunta comunale. Il relativo atto e’ trasmesso al prefetto”.

Il Ministero dell’interno chiede al Consiglio di Stato se, in base a tale quadro normativo, tenuto conto della prassi positiva seguita dagli uffici dello stato civile, sia legittima la celebrazione di matrimoni al di fuori dell’edificio comunale e, in particolare, in luoghi di rilevanza storica, culturale, ambientale, ovvero turistica.

Militerebbero in favore della soluzione favorevole i valori costituzionali sottesi all’istituto matrimoniale (artt. 29 e 30 Cost.) ed alle autonomie locali (artt. 5, 114 Cost.), in relazione all’evoluzione del costume e della società, che ha attenuato la sacralità della celebrazione, avvicinandola alla “mondanità”.

In senso contrario, invece, la lettera della disposizione civilistica, improntata ad una concezione formale del rito matrimoniale.

CONSIDERATO:

Il quesito proposto, ad onta dei suo nitidi riferimenti normativi, pone un problema di carattere metodologico.

È fuor di dubbio che nella sensibilità collettiva, non solo in Italia ma nell’intero mondo occidentale, la celebrazione del matrimonio sia oramai avvertita come una vicenda non necessariamente intima o sacrale, ma anche mondana, e tale da sottrarsi – quanto meno con riguardo al luogo – al rigido cerimoniale previsto dalla tradizione.

D’altra parte, l’esternalizzazione del rito matrimoniale in siti a valenza storico-artistica o paesaggistica rappresenta un’opzione coerente con i valori protetti dalla Carta costituzionale.

Si aggiunga, che la moderna concezione del matrimonio, come istituto volto alla realizzazione della persona umana, oltre che come fatto fondante la primigenia cellula sociale, suggerisce di dare spazio alla scelta dei coniugi in ordine al luogo più appropriato per celebrare l’atto costitutivo della loro unione.

Sotto questo profilo l’art. 106 c.c. appare doversi interpretare in maniera sistematica.

Viene in soccorsoil citato art. 3 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, applicabile anche alla funzione di celebrazione del matrimonio, in assenza di qualsiasi indice – letterale o sistematico – di segno contrario.

Il problema che si pone attiene, dunque, all’estensione della facoltà prevista da tale disposizione, contenuta in un regolamento di delegificazione, nell’interpretazione della fonte primaria.

La soluzione accolta dalla prassi, riportata nella pubblicazione “Massimario dello Stato civile”, curata dalla Direzione Centrale per i Servizi Demografici costituita presso il Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero, è nel senso di ammettere la celebrazione del matrimonio in luoghi esterni, che rientrino nella disponibilità giuridica del Comune (a titolo di proprietà, diritto reale o personale di godimento), purché stabilmente destinati alle celebrazioni.

Sarebbe quindi impedita la celebrazione in quei siti che, per la loro attrattiva estetica, storica o ambientale abbiano una destinazione turistica, siano aperti al pubblico e caratterizzati da affollamento, a meno che il Comune ne abbia l’esclusiva disponibilità e li riservi alle celebrazioni, così però, di fatto, sottraendoli all’utenza.

Ad avviso della Sezione tale soluzione rappresenta il livello minimo di permissione alle celebrazioni extramurarie, senza che al riguardo occorra forzare il testo delle disposizioni richiamate, essendo sufficiente un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica. “Casa comunale” può essere considerata, infatti, qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica del Comune vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali e, segnatamente, alla celebrazione di matrimoni da parte dell’ufficiale di stato civile.

Ciò su cui occorre riflettere sono i requisiti di esclusività e continuità della destinazione, che, se intesi in termini assoluti, sarebbero preclusivi di celebrazioni in luoghi aperti all’utenza.

A tal riguardo la Sezione ritiene che sia possibile tanto una destinazione frazionata nel tempo (determinati giorni della settimana, determinati giorni del mese), quanto una destinazione frazionata nello spazio (determinate aree del luogo), purché precisamente delimitati e aventi carattere duraturo, o, comunque, non occasionale.

Ciò perché a rilevare – oltre, ovviamente, alla definizione preventiva della destinazione – è la stabilità della connessione tra l’uso del sito e le funzioni amministrative proprie della casa comunale, che non viene meno allorquando determinati periodi di tempo o determinate porzioni del sito siano adibiti ad altri usi.

In tal modo viene garantita la possibilità di impiegare un sito a valenza culturale o estetica per le celebrazioni matrimoniali, senza sottrarlo al godimento della collettività.

P.Q.M.

esprime il parere di cui in motivazione.

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Giuseppe Barbagallo
     
     
     
     

IL SEGRETARIO

 

 

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