Thursday 03 November 2016 20:27:59
Normativa Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali
segnalazione del contributo del Cons. Patroni Griffi pubblicato su Giustizia Amministrativa il 3.11.2016
"Tecniche di decisione e prevedibilità nella sentenza amministrativa" 1. Una premessa: il diritto come dominio del futuro “Il diritto ha la pretesa di dominare l’im-prevedibile”, il futuro, l’avvenire –ci ammonisce Natalino Irti. Regolare un caso ex post è facile; ma determina l’assoluta incertezza della decisione e, di conseguenza, l’incertezza della condotta ex ante. Probabilmente l’affermazione è influenzata dalla confessata propensione del Giurista per Emanuele Severino, secondo cui il divenire, che non può essere negato (al contrario di quel che pensava Parmenide) e che è alla fonte del dolore, va necessariamente dominato. E’ una pretesa che viene comunemente ricondotta all’idea illuminista, al positivismo giuridico, al parlamentarismo istituzionale: è questo il ruolo assegnato alla legge. Ma, come vedremo, esiste anche nei sistemi in cui più marcata l’influenza del diritto giurisprudenziale: penso all’editto del praetor romano o alla regola dello stare decisis. La teoria positivista è costretta a ricorrere a una “finzione”: non esistono lacune nell’ordinamento perché ogni fatto deve essere sussumibile nella fattispecie posta dalla legge. Il metodo sillogistico, adottato nell’ermeneusi, consiste nell’individuare a quale pre-visione normativa, a quale fattispecie astratta, è riconducibile un caso concreto; perché non può essere che così: un caso che si verifichi nella realtà concreta deve trovare la sua disciplina in una previsione esistente; e l’operazione per ricondurre il caso alla fattispecie è un’operazione logica condotta con metodo sillogistico-deduttivo. A quest’operazione, e solo a questo, è chiamato l’interprete e, soprattutto, il giudice. In realtà, già in questa concezione –che si è esposta in modo schematico ed estremizzato- le cose non stanno del tutto così: quando dico che il fatto non è previsto dalla legge come reato o che difetta una situazione soggettiva tutelabile dico, in astratto, o più probabilmente in relazione a un dato soggetto, che quella vicenda non assume rilevanza giuridica. Il che richiede all’interprete di ipotizzare vicende estranee al sistema giuridico positivo, al quale lui, per definizione, non è interessato.Per l’interprete positivo, infatti, è un’operazione, e una conclusione, tutta interna al sistema giuridico; egli non entra in contatto con la realtà esterna, perché per definizione questa non ha rilevanza per il diritto. Non vi è quindi nessuna operazione volta consapevolmente a ricondurre una realtà non regolata a un paradigma normativo, perché l’unica operazione ammessa è la ricognizione non la individuazione, all’esterno del sistema, di nuove situazioni tutelabili dal sistema medesimo. Alla Scuola positivista si contrappone –come è noto- la Scuola storicistica, di cui convinto e autorevole interprete è in Italia Paolo Grossi. L’approccio storicistico critica il “riduzionismo giuridico” dei positivisti, accusati di ridimensionare il ruolo dell’interprete e del giudice sull’assunto che “il giudice non deve mescolarsi coi fatti”, di esclusiva competenza del legislatore. Nel Novecento, secolo “lungo” che vive ancora, si ha un recupero della storicità e della “elasticità” del diritto, inteso –secondo l’accezione di Santi Romano (1908)- come ordinamento del corpo sociale che di questo deve seguire i mutamenti: nel che consiste la fattualità del diritto. Il dibattito non è estraneo, sin dalle sue origini, alla stessa Scuola tedesca, nella nota contrapposizione tra la sistematica di Savigny (che comunque supera la frattura tra teoria e prassi propugnata da Windscheid) e l’adesione alla scuola storica riscontrata da alcuni autori nell’ultimo Jhering, lo Jhering, per intenderci, oppositore della Begriffsjurisprudenz. 2. Il dilemma tra interpretazione e produzione della norma: il ruolo del giudice e la “prevedibilità” delle sue decisioni. E’ così che nasce il dilemma tra interpretazione e produzione della norma. Le due Scuole sopra riportate costituiscono ciascuna un approccio radicale al problema del metodo giuridico, dell’ermeneusi e del ruolo del giudice in relazione alla legge. Non è mia intenzione esprimere un’argomentata adesione all’uno o all’altro indirizzo. Probabilmente non ne sarei capace; ma nemmeno so se sia possibile e utile “prendere posizione”: la presa di posizione, quale che sia, ha in sé qualcosa di radicale, e di dogmatico, e, in ultima analisi, di fondamentalista. Riflettiamo solo su alcuni aspetti, in ordine sparso, della tematica. • La tradizione giuridica italiana a cavallo tra i due secoli, su impulso della Scuola giuridica napoletana (Gianturco, Antonio Scialoja, Manna, Mancini, Pisanelli), pur nel recepimento dei dettami della Scuola pandettistica, è impegnata in un’opera di adattamento che, per dirla con il programma della Rivista di diritto civile del 1909, sappia liberarsi dal metodo esegetico francese ma anche dal dogmatismo e dall’astrattezza della pandettistica tedesca, in vista di un connubio tra scienza e prassi, tra diritto teorico e pratico, che, come scrive Giovanni Cazzettacostituisce “il segno di un diritto veramente italiano”. Nella scienza amministrativistica italiana questo percorso è particolarmente vero e attuale. Essa è portata a privilegiare l’aspetto pragmatico su quello dogmatico nello studio dei fenomeni amministrativi. Non rifugge in sé la sistematica, ma si tratta di una sistematica di tipo ordinante e non dogmatico, che consente di far leva sul sapere problematico e di utilizzare la struttura topica del pensiero giuridico, indirizzata ai problemi, per arricchire la capacità di analisi della realtà, senza rinunciare all’effetto ordinante del sapere sistematico. Di una sistematica che, con Savigny, sappia coniugare teoria e prassi sul modello del diritto romano come esposto da Orestano; cioè una sistematica “aperta”, ben diversa da quella dogmatica che ha portato la scienza amministrativistica italiana, quanto meno a partire da Benvenuti e Giannini, a fuggire dal sistema, in quanto forma, piuttosto che a criticare l’astratto metodo dogmatico in quanto tale. La storia della riflessione sul procedimentoamministrativo e, soprattutto, la legislazione positiva (legge 241, soprattutto nel suo impianto originario) sono, al riguardo, esemplari. • Si è detto che, nell’impostazione positivistica, il caso, se non è sussumibile nel modello normativo, non riceve “riconoscimento” giuridico. Ma come sono, o possono essere, i modelli normativi? Direiche possono esistere modelli normativi “aperti”, in cui la determinatezza della fattispecie va riempita aliunde. Alcuni esempi nel diritto civile. La storia dell’illecito civile è esemplare di come un modello normativo aperto, quello dell’illecito aquiliano, consenta l’emersione “perenne” di nuove fattispecie ad opera esclusiva dell’interprete e del giudice (basti ricordare la diversa conclusione, in tema di tutela esterna del credito nel sistema di responsabilità aquiliana, cui pervenne la giurisprudenza nei due casi che videro protagonista la società sportiva del Torino: Superga e Meroni). Ancora, il ricorso in numerose disposizioni codicistiche a buona fede, correttezza, volontà effettiva delle parti richiede che il giudice, di volta in volta, e con la sola prevedibilità connessa ai canoni di interpretazione giurisprudenziale, giudichi di un caso concreto senza poter disporre del metodo sillogistico ma, a ben guardare, nemmeno di una fattispecie. Infine, definire con metodo sillogistico o rincorrere la fattispecie nell’abuso di posizione dominante o nella definizione di mercato rilevante è ovviamente impossibile. Del diritto amministrativo diremo tra poco. • A questo punto dobbiamo riflettere sulla “discrezionalità” del giudice. E rassegnarci a una buona dose di essa. Un autorevole giudice, Aharon Barak, la definisce come “potere di scelta tra due o più alternative, ciascuna legittima” mentre un noto studioso della Stanford Law School, John Henry Merryman, proprio con riferimento ai giudici italiani, parla al riguardo di un “potere di scelta controllata”. L’attribuzione di un elevato grado di discrezionalità al giudice, specie in settori di grande rilevanza economica, deve anzi indurre il giudice ad adattare quello che la scuola realista americana definisce il judicial behaviour alla logica della realtà economica, naturalmente nell’ambito delle regole positive e delle coordinate di sistema, in modo da evitare che il rispetto di una logica meramente formale, unitamente alla lentezza con cui vengono assunte le decisioni, facciano sì che “il giudice sia espulso da quel mondo che è chiamato a regolare” (Rordorf). Ascarelli osservava che “il giudice è il ponte tra la realtà mutevole e il corpus iuris e per questo egli deve conoscere e comprendere quella realtà. Tale comprensione non si richiama a interessi che il giudice inventa, bensì a interessi che esistono” nell’ordinamento e che il giudice invenit, nel senso letterale latino del termine. 3. Il metodo di decisione del giudice amministrativo I modelli normativi “aperti” sono assolutamente prevalenti nel diritto amministrativo. Forse nella maggior parte dei casi è improprio anche parlare di modelli normativi, se per normativi si intende “posti per legge”. Questo è dovuto in primo luogo a una ragione storica. Le vicende storiche legate alla formazione della giustizia amministrativa –giurisdizione unica nel 1865 e poi ritorno a un sistema duale nel 1889 per colmare le lacune di un sistema che non riconosceva tutela alle situazioni soggettive diverse dal diritto soggettivo- hanno determinato una “inversione logica” nel sistema di tutele avverso il potere pubblico: prima è nata la tutela davanti al giudice e poi la situazione soggettiva tutelata. E’ questo il carattere saliente, sul versante storico, dell’interesse legittimo, di cui ha risentito inevitabilmente la struttura della figura. E ancora negli anni 70, Mario Nigro parla di un processo di progressiva emersione dall’indistinto giuridico, ad opera della giurisprudenza, di interessi giuridicamente tutelati e di posizioni legittimanti. In questo processo c’è poco spazio per metodo sillogistico e fattispecie. Molto spazio per quello che Grossi definirebbe un giudice non creatore, ma “inventore” –nel senso dianzi precisato- del diritto. Il secondo profilo riguarda proprio la tecnica di sindacato del giudice amministrativo. Il giudice amministrativo si è, sin dalle origini, trovato a dover coniugare principio di legalità e sindacato effettivo del potere. Il principio di legalità, soprattutto sub speciedi tipicità dei provvedimenti, richiede che l’atto corrisponda al paradigma normativo. Ma il paradigma normativo raramente è predeterminato in ogni suo aspetto; e, soprattutto, il potere amministrativo è espressione di una vicenda diacronica, non una posizione statica. Limitare il sindacato alla mera violazione della legge attraverso una verifica della sua corretta applicazione vuol dire vanificare la tutela. Questa considerazione è all’origine dell’eccesso di potere, sia sotto il profilo dello sviamento dalla causa tipica, sia soprattutto attraverso la tecnica del sindacato per figure sintomatiche. Le figure sintomatiche di eccesso di potere –travisamento di fatto, illogicità manifesta, difetto di istruttoria, discriminazione tra situazioni identiche, mancato bilanciamento di interessi, fino alle sue declinazioni più moderne della ragionevolezza, proporzionalità e correttezza- sono clausole generali, alcune delle quali corrispondenti a princìpi generali positivamente posti, che costituiscono da sempre l’ordinaria tecnica di sindacato sul potere pubblico. Questo dato –comune a tutte le Corti amministrative di derivazione dal modello francese- costituisce invero il punto di comunanza tra giudici amministrativi continentali e giudici di common law, (i quali ultimi di queste clausole fanno costante uso) e si pongono nella scia di una tradizione risalente al diritto romano classico e al diritto comune. In questo i giudici amministrativi italiani ragionano più come un giudice inglese che come un giudice civile italiano. E’ significativo per contro rilevare che il giudice amministrativo tedesco ragiona in modo parzialmente diverso; in quel sistema vi è a monte una differenza strutturale: il diritto soggettivo pubblico opera come limite esterno al potere, sicché ogni interferenza tra le due situazioni non è prevista e il giudice dovrà limitarsi a verificare se il confine tra esse, stabilito per legge, sia stato violato; nel nostro ordinamento, invece, vi è una conformazione del potere dal suo interno, ad opera della legge e del giudice, nel suo concreto dispiegarsi a fronte di situazioni soggettive del privato. In definitiva, si può dire, con le imprecisioni che le generalizzazioni comportano, che la storia del diritto soggettivo e dell’interesse legittimo siano la metafora, sul piano delle tutele, rispettivamente del metodo sillogistico e di una tecnica per clausole generali. 4. Verso la convergenza dei sistemi europei e il ruolo delle Corti: tra clausole generali, princìpi e valori. L’esame della giurisprudenza europea conforta l’impressione che la convergenza tra i sistemi giuridici avviene ad opera soprattutto delle Corti: giudici nazionali e Corti sovranazionali. In un momento di crisi europea e di forte disaggregazione dei valori originariamente condivisi dell’Unione europea, in un contesto politico istituzionale paurosamente debole dovuto all’illusione di creare un’Unione sulla sola base di istanze economiche e finanziarie senza preoccuparsi di fornire al processo di unione una solida legittimazione politica e democratica, il “dialogo tra le Corti” sta progressivamente dando corpo a un sempre più solido e condiviso sistema giuridico; evenienza non tanto paradossale se si pensa che è proprio nell’assenza di un legislatore comune che trova spazio un giudice, nemmeno semplice “inventore” ma creatore di regole, di princìpi, di diritto. Questo giudice –il riferimento è in primo luogo a quelli sovranazionali- guarda negliordinamenti nazionali, seleziona princìpi più o meno comuni agli stessi, li riversa negli ordinamenti nazionali tutti, come princìpi dell’ordinamento europeo, favorendone così l’ulteriore diffusione e applicazione ad opera delle Corti nazionali. E per far ciò adopera una tecnica per clausole generali in cui il confine tra principi e clausole, concettualmente netto, tende a sfumare. La giurisprudenza europea ha da tempo abbandonato, o probabilmente non ha mai utilizzato, il metodo sillogistico. Su queste basi, si sta realizzando una convergenza dei sistemi, soprattutto nell’area “pubblicistica”, che il processo di integrazione non è riuscito e stenta sempre più a realizzare sul piano legislativo. 5. Valutazioni finali – La prevedibilità delle decisioni amministrative e la centralità delle “tutele” nel sistema. Quanto sin qui detto sta a registrare un processo che, specificamente nell’area del diritto pubblico, mi sembra ineludibile. Ma anche positivo. Positivo perché credo che, assunto come centrale nel diritto e nel processo amministrativo il problema della tutela, come garanzia dell’individuo ma anche come garanzia di legalità dei pubblici poteri e della loro autonomia da interessi organizzati “forti”, le azioni non possono che essere configurate come modelli di tutela pratica (Di Majo), la quale richiede un sindacato “aperto” e flessibile finalizzato a soddisfare la pretesa del cittadino nei confronti dei poteri pubblici. Questo modello di tutela aumenta il rischio di imprevedibilità delle decisioni. Eppure la prevedibilità delle decisioni, in generale ma di quelle giudiziarie in particolare, è un bene in sé, perché consente di indirizzare ex ante i comportamenti dei cittadini e dei poteri pubblici. Ci troviamo di fronte a un apparente paradosso. Da un lato, occorre aumentare la prevedibilità delle decisioni: gli operatori economici e i semplici cittadini vogliono certezze; e tanto più vogliono certezze proprio perché il legislatore è in grado di darne sempre meno, con una legislazione confusa e incerta, scritta male non solo per ragioni di tecnica legislativa mediocre ma anche per la precisa volontà di scaricare sul momento applicativo la responsabilità di una decisione, e di una mediazione, che non si è riusciti a raggiungere a livello legislativo. Dall’altro, una dose di imprevedibilità è connaturata alla sentenza amministrativa; direi per due ordini di ragioni: a) perché è poco “prevedibile” il potere pubblico nel suo concreto estrinsecarsi: il principio di legalità, o quel che ne resta, non è stato mai considerato idoneo a “coprire” nei dettagli ogni manifestazione di potere; b) perché, pure nello Stato di diritto, la tipizzazione dei modi di agire -in cui si concreta la costruzione della fattispecie- difficilmente può essere affidata per intero alla pre-visione normativa, anche perché non ogni azione dei pubblici poteri è pre-determinabile nei contenuti; sicché il ricorso a concetti giuridici indeterminati, e conseguentemente al sindacato sul potere per clausole generali, è inevitabile. Rassegnarsi all’arbitrio del giudice non è evidentemente possibile. Si è disposti a tollerare l’alea di un processo, ma quest’alea deve essere in qualche modo preventivabile, “calcolabile”. Come fare? Pensare a un ritorno al metodo sillogistico, che nella giurisprudenza amministrativa nemmeno è mai esistito, è fuori dalla realtà del diritto amministrativo moderno. L’area della discrezionalità, specie tecnica (si pensi esemplificativamente, a vincoli paesistici, concorsi, ordinanze contingibili e urgenti, provvedimenti delle autorità di regolazione, e così via) è in costante espansione e il processo è destinato ad aumentare. La tutela in realtà non può che essere rimessa a un giudice che sappia fare buon uso della propria discrezionalità. Il giudice per primo deve “crearsi delle fattispecie”: in questo senso il giudice può e deve essere un giudice legislatore in modo da rendere prevedibile il suo giudizio. E’ la funzione propria dell’editto pretorile nel diritto romano classico. Un rilievo centrale in questo processo credo vada attribuito all’effetto conformativo della sentenza amministrativa. L’effetto conformativo può essere interno alla sentenza e rileva ai fini della sua esecuzione. Ma esiste un effetto conformativo esterno legato a quella che Gorla definiva la “funzione extraprocessuale della sentenza”: il giudice, nel decidere un caso, pone all’amministrazione una regola (più o meno stringente) di comportamento che vale per quel caso ma che può e deve valere per futuri casi simili. E’ un processo simile alla costruzione della fattispecie, ovviamente con i limiti (ma anche i vantaggi di concretezza) che tale processo assume in via giurisprudenziale. E talvolta le “fattispecie giurisprudenziali” diventano legge: si pensi alla legge del 1990 sul procedimento o al codice del processo amministrativo, in cui fattispecie legali, cioè poste dal legislatore, sono tratte ampiamente dalla costruzione giurisprudenziale. Un altro modo per aumentare la prevedibilità delle decisioni è lo stare decisis, che però, come è noto, è estraneo al nostro ordinamento. Eppure va diffondendosi, nella giurisprudenza e nella legislazione, la consapevolezza che la stabilità della giurisprudenza sia un bene da salvaguardare. Mi ha colpito una pronuncia della Cassazione, che richiede la sussistenza di “ottime ragioni” per giustificare un mutamento di giurisprudenza nel settore processuale, che incide sull’affidamento dei cittadini in ordine alla portata delle “regole del gioco” e depotenzia la funzione nomofilattica delle Corti supreme. Ora è vero –come ammoniva Giuliano Amato al convegno di Varenna del 2015- ed è osservazione riferibile peraltro anche ai sistemi anglosassoni, che, se il giudice deve porre a fondamento della decisione il fatto, che attiene a quel caso concreto, il valore del precedente inevitabilmente si attenua. Ma è anche vero che, nel decidere il caso con riferimento al fatto, il giudice applica una regola di diritto. Quella regola, quel principio può essere suscettibile di essere applicato a casi futuri. Ed è da quel principio, che assume il valore del precedente, che i giudici devono e possono discostarsi ma “consapevolmente”. Vanno in tal senso le disposizioni volte a rafforzare la funzione nomofilattica, ciascuna all’interno del proprio plesso giurisdizionale, delle Sezioni unite della Cassazione e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato: la prevedibilità delle decisioni deve essere assicurata al vertice e le Sezioni semplici, se vogliono mutare un orientamento espresso da Sezioni unite e Plenaria, devono passare nuovamente per quella porta. Del resto anche negli ordinamenti che non conoscono formalmente il valore vincolante del precedente (Corte di giustizia dell’unione europea e Corte europea dei diritti dell’uomo) il mutamento di giurisprudenza è ridotto al minimo e sempre ampiamente motivato. Conclusioni La sentenza amministrativa segna un percorso in cui Scuola positiva e Scuola storicistica, metodo sillogistico e clausole generali, giudice bocca della legge e giudice inventore del diritto devono imparare a convivere. Il giudice amministrativo non può fare a meno degli strumenti della logica e del ragionamento affinati dal metodo sillogistico. Nemmeno però può fare a meno della fattualità del diritto, modellando il sindacato sul concreto dispiegarsi del potere pubblico. Ricorrere a clausole generali sul piano pratico e a valori e princìpi sul piano teorico è inevitabile. I rischi ci sono, ma nemmeno mi spaventerei tanto. Valori e princìpi, se ancorati al sistema ordinamentale complessivo e in primis alla Costituzione, consentono di orientare il giudice verso un allargamento dell’area di tutela. Il dato storico ci dice che le clausole generali, tratte da princìpi, sono servite ad accrescere la tutela nei confronti dei poteri pubblici e a traghettare –come ricordano gli inglesi- i poteri pubblici dall’area dei “privilegi della Corona” al judicial review. In realtà, è difficile valutare un sistema giudiziario e delineare un ruolo del giudice nella produzione di diritto indipendentemente dall’assetto costituzionale dei pubblici poteri in un sistema democratico. Questo si fonda – come mi sembra oramaicomunemente acquisito- più che sulla separazione sul bilanciamento dei poteri. I valori, una giurisprudenza dei valori, se mal utilizzata e decontestualizzata, crea il rischio del soggettivismo giudiziario e dell’arbitrio al servizio di uno “Stato etico”. Ma anche il metodo sillogistico e una “giurisprudenza dei concetti”, se inseriti in un contesto “illiberale”, forniranno un metodo giusto all’applicazione di scelte ingiuste e il giudice sarà la “bocca della legge” di uno Stato autoritario e antidemocratico. Forse sta in questo la neutralità del diritto (nel senso marxista del termine, come sovrastruttura) e dei giuristi (nel senso crociano); ma forse in questo sta anche l’idea del diritto come garanzia della legalità sostanziale negli Stati democratici. Credo che ciò valga ancor più nella prospettiva del processo di integrazione europea: un noto storico belga del diritto, van Caenegem, afferma che “la formazione di un diritto europeo…dipenderà da quali saranno i creatori del diritto nell’Europa del XXI secolo – i tribunali, le facoltà di giurisprudenza o le assemblee elette”. E “poiché nessuna di queste è la strada verso la salvezza” –come ci ammonisce ancora lo storico- credo sia ineludibile che giudici, giuristi e legislatori sappiano concorrere alla creazione di un diritto “omogeneo” (non amo il diritto “uniforme”) che sappia risolvere nella prevedibilità il dilemma tra certezza e fattualità. Filippo Patroni Griffi Presidente aggiunto del Consiglio di Stato Pubblicato il 3 novembre 2016
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 04 April 2025 06:53:08
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 04 April 2025 06:49:23
<...
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza - Thursday 27 March 2025 09:36:48
Con ordinanza del 26 marzo 2025 la Settima Sezione del Consiglio di Stato ha annullato l'ordinanza cautelar...
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti dell’ordinanza della Sez. VII del Consiglio di Stato del 26.03.2025 - Pres. Marco Lipari Est. Angela Rotondano, n. 1153
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Wednesday 26 February 2025 16:12:31
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Wednesday 26 February 2025 16:10:37
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Thursday 30 January 2025 09:05:09
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Thursday 30 January 2025 09:03:19
<...
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Wednesday 18 December 2024 15:46:37
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Wednesday 18 December 2024 15:45:40
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 02 December 2024 09:33:32
ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni