Monday 30 April 2012 15:51:36
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
Consiglio di Stato
Per consolidato indirizzo giurisprudenziale la determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla a una precisa disciplina normativa, di modo che i provvedimenti applicativi di essa non richiedono di per sé alcuna puntuale motivazione allorché le scelte dell’Amministrazione si conformino a detti criteri (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2001, nr. 584). Nel caso che qui occupa, non è dubbio che il Comune odierno appellante abbia fin dal primo grado depositato documentazione illustrativa dei criteri applicati per la commisurazione degli oneri richiesti per la concessione edilizia di modo che, a prescindere da ogni approfondimento circa la conoscenza o conoscibilità di tali criteri da parte della società destinataria, l’eventuale correttezza degli stessi rileverebbe nel senso dell’irrilevanza del vizio ex art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, in considerazione della natura vincolata dell’atto. Di conseguenza, la questione centrale del presente giudizio attiene alle modalità con cui deve avvenire il calcolo degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio di un nuovo permesso di costruire dopo che quello originario è decaduto ai sensi dell’art. 15, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380 (e, prima, dell’art. 4 della legge 28 gennaio 1977, nr. 10). Più specificamente, l’ipotesi che qui interessa è quella in cui una parte del manufatto assentito col primo titolo concessorio sia stato effettivamente realizzato, e gli oneri relativi siano stati integralmente pagati, di modo che il nuovo provvedimento abilitativo ha a oggetto solo il completamento dell’opera. In un caso del genere, sembra pacifico (e sul punto le parti convengono) che non possa addivenirsi ad alcuna duplicazione, non essendo possibile accollare all’istante per due volte gli oneri relativi alle medesime opere. Al di là di ciò, alla Sezione non paiono altrettanto scontati gli ulteriori due assunti su cui si regge la prospettazione del ricorso introduttivo (condivisa dal primo giudice): e cioè che, in occasione del rilascio del secondo permesso, non sia possibile calcolare gli oneri dovuti in base alla disciplina eventualmente innovativa che sia sopravvenuta dopo il rilascio del primo titolo ad aedificandum, e che in ogni caso detti oneri debbano sempre essere limitati a quelli inerenti la parte di opere non realizzata nei termini e oggetto del secondo permesso, escluso ogni “ricalcolo” degli oneri già corrisposti. Quanto al primo profilo, il Collegio reputa del tutto ragionevole – anche in applicazione del principio tempus regit actum– che per ciascun titolo concessorio gli oneri dovuti siano calcolati applicando la normativa e i parametri vigenti al momento in cui esso è rilasciato, esclusa quindi ogni ultrattività della disciplina in vigore all’epoca del rilascio del titolo originario (poi decaduto). Per quanto concerne il secondo aspetto, una rigorosa accettazione della tesi dell’odierna appellata porterebbe, nella specie, a un sostanziale azzeramento degli oneri dovuti, dal momento che – come già accennato – la nuova concessione edilizia rilasciata nel 2003 concerne unicamente opere interne e di finitura, essendo stato già illo tempore l’immobile interamente realizzato nella sua struttura. La tesi del Comune, che invece ha operato un ricalcolo degli oneri già corrisposti per la prima concessione applicando anche ad essi la nuova disciplina (fermo restando, come è ovvio, lo scomputo delle somme già corrisposte), trova un aggancio nella pregressa giurisprudenza in materia, secondo cui un tale ricalcolo è legittimo nella sola ipotesi in cui le opere assentite col secondo permesso comportino un mutamento di destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo degli oneri dovuto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2004, nr. 2611; Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 2004, nr. 6289; id., 23 gennaio 2004, nr. 174; id., 29 gennaio 2004, nr. 295; id., 24 settembre 2001, nr. 1427). Orbene, non risulta specificamente contestato dalla parte privata l’assunto dell’Amministrazione appellante secondo cui la nuova richiesta di permesso di costruire comportava, oltre che la realizzazione di opere interne, anche un rilevante mutamento di destinazione d’uso dell’immobile rispetto al progetto originario (tale essendo, nella prospettazione del Comune, la ragione del ricalcolo degli oneri dovuti); e, anzi, la circostanza trova conferma nella stessa documentazione depositata in primo grado, dalla quale è dato evincere che effettivamente la diversa distribuzione degli spazi interni comportava anche una diversa ripartizione tra i locali a destinazione residenziale e quelli a destinazione direzionale, con conseguente variazione del carico urbanistico rispetto a quello originario. Dal che consegue l’infondatezza delle censure articolate nel ricorso introduttivo, con riguardo sia all’indebita duplicazione degli oneri percepiti sia all’assenza di ogni giustificazione a sostegno del ricalcolo delle somme già corrisposte (fermo restando che esula dalla presente sede la verifica della correttezza del calcolo in concreto compiuto dall’Amministrazione, non risultando formulata alcuna specifica censura sul punto).
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