Monday 07 October 2013 12:03:44

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

La motivazione per relationem e' legittima purché all'interessato sia possibile prendere visione degli atti cui si fa rinvio

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

Il provvedimento amministrativo preceduto da atti istruttori o da pareri può ritenersi adeguatamente motivato per relationem anche con il mero richiamo ad essi, giacché tale richiamo sottintende l’intenzione dell'Autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata, ma a condizione che dal complesso degli atti del procedimento siano evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione, onde consentire al destinatario di contrastarle con gli strumenti offerti dall’ordinamento e al giudice amministrativo, ove investito della relativa controversia, di sindacarne la fondatezza» (Cons. Stato, VI, 24 febbraio 2011 , n. 1156; IV, 3 agosto 2010, n. 5150; IV, 23 novembre 2002, n. 6444). Lo stesso Consiglio di Stato ha chiarito che l'articolo 3 «nella parte in cui afferma che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, va inteso semplicemente nel senso che all'interessato deve essere possibile di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, con la conseguenza che non sussiste per l'Amministrazione l'obbligo di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato» (Cons. Stato, IV, 22 marzo 2103, n. 1632).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale **** del 2009, proposto da:

Bonavita Maria, rappresentata e difesa dall’avvocato Ferdinando Scotto, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Alessandro III;

 

contro

Università degli Studi di Bari, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gaetano Prudente e Domenico Carbonara, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Fava in Roma, Piazzale Aldo Moro, 5; 

nei confronti di

Manco Roberta; 

per la riforma

della sentenza in forma semplificata 6 marzo 2009, n. 462, del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, Bari, Sezione II.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Antonio Lamberti, per delega dell’avvocato Ferdinando Scotto, e Domenico Carbonara.

 

 

FATTO

1.– Con decreto rettorale del 10 ottobre 2005, n. 10053, l’Università degli Studi di Bari ha indetto una procedura comparativa per un posto di ricercatore presso la Facoltà di Giurisprudenza della stessa Università, settore scientifico Ius/01- diritto privato.

La dott.ssa Bonavita Maria ha partecipato alla predetta procedura.

Le prove orali si sono svolte in data 27 aprile 2007.

Successivamente sono stati posti in essere i seguenti atti rilevanti:

- con nota del 7 dicembre 2007, l’interessata ha chiesto all’Università di fornire informazioni in ordine allo stato dei lavori, diffidandola a concludere il procedimento;

- con nota del 17 gennaio 2008, l’Università ha comunicato che la commissione non aveva ancora trasmesso gli atti relativi ai propri lavori e che a seguito di quanto comunicato dal presidente della commissione stessa l’amministrazione aveva provveduto a nominare, con decreto rettorale del 21 maggio 2007, n. 5826, una commissione di indagine;

- con nota del 2 settembre 2008, n. 72364, l’Università ha trasmesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari copia degli atti dell’indagine amministrativa, nonché la relazione finale redatta dalla commissione;

- con atto del 3 marzo 2008, la predetta commissione ha convocato innanzi a sé la dott.ssa Bonavita «per essere sentita»;

- con nota del 24 luglio 2008, quest’ultima ha chiesto accesso agli atti della procedura; il rigetto della domanda veniva annullato con sentenza 12 novembre 2008, n. 2565 del Tribunale amministrazione regionale della Puglia, con cui si puntualizzava che tale ostensione avrebbe dovuto essere subordinata all’autorizzazione da parte della Procura;

- con decreto rettorale del 29 settembre 2008, n. 11963, l’Università, preso atto di quanto emerso all’esito della predetta indagine, ha annullato «la fase endoprocedimentale relativa alla prova orale» ed ha dichiarato decaduta la commissione giudicatrice per non avere concluso i lavori entro i termini stabiliti.

1.1.– La dott.ssa Bonavita, pur non avendo ancora ottenuto la documentazione richiesta, ha impugnato il predetto decreto, unitamente al decreto rettorale di nomina della commissione di inchiesta, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia. In particolare, è stata dedotta la violazione: i) degli articoli 7 e 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, non avendo l’amministrazione provveduto a comunicare all’interessata l’avvio del procedimento di autotutela; ii) dell’obbligo di motivazione, non essendo sufficiente il richiamo alle risultanze dell’indagine amministrativa, non avendo l’amministrazione reso disponibile l’atto contenente la motivazione richiamata per relationem.

Il Tribunale amministrativo, con ordinanza 14 gennaio 2009, n. 2, ha acquisito, in via istruttoria, la documentazione rilevante relativa alla procedura amministrativa in esame.

Lo stesso giudice, con sentenza in forma semplificata 6 marzo 2009, n. 462, ha rigettato il ricorso, rilevando quanto segue: i) il provvedimento di annullamento impugnato ha costituito «per la ricorrente un’alternativa più favorevole rispetto ad un giudizio di non idoneità, atteso che il rinnovamento della prova orale risulta preordinato ad una più serena valutazione dei candidati da parte della commissione così come modificata»;ii) «la documentazione acquisita dalla Procura della Repubblica […], anche al di là di eventuali vizi formali nel procedimento seguito, giustifica pienamente nel caso di specie l’applicazione del disposto di cui all’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, in relazione al chiaro tenore e alla univocità delle dichiarazioni rese da quasi tutti i componenti della commissione». Alla luce di quanto riportato il primo giudice, ha concluso ritenendo non fondato il ricorso, in quanto «la mancata conclusione del procedimento concorsuale, l’assenza di approvazione e la conseguente natura di atto endoprocedimentale, determinerà la semplice rinnovazione della prova orale, al fine di realizzare il prevalente interesse pubblico in ordine ad una serena valutazione dei candidati, secondo il criterio meritocratico».

2.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello, per i motivi indicati nel considerato in diritto.

2.1.– Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, chiedendo, in ragione della correttezza della motivazione posta a base della decisione impugnata, il rigetto dell’appello proposto.

3.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica di discussione del 4 giugno 2013.

DIRITTO

1.– La questione posta all’esame della Sezione attiene alla legittimità del provvedimento con il quale l’Università degli Studi di Bari ha annullato, in via di autotutela, la fase del procedimento, relativo alla valutazione comparativa di un ricercatore universitario, di svolgimento delle prove orali.

2.– In via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione pregiudiziale con cui l’appellante deduce il difetto del ius postulandi in capo ai difensori dell’Università, mancando una motivata delibera di conferimento dell’incarico.

L’eccezione, a prescindere dalla effettiva incidenza della questione posta sull’esito del giudizio, non è comunque fondata.

Risulta, infatti, dagli atti del processo che i difensori dell’Università sono iscritti – ai sensi dell’art. 3, comma 4, lettera b), del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore) – nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati del Foro di Bari per la difesa della stessa Università.

3.– Sempre in via preliminare, è opportuno chiarire, ai fini dell’esatta individuazione del thema decidendum, che la commissione non ha concluso, mediante un giudizio finale, l’espletamento della prova orale. L’amministrazione ha, pertanto, annullato lo svolgimento della prova e non anche il suo esito, che è mancato. Ne consegue che è erronea la parte della motivazione della sentenza impugnata in cui si afferma che, per l’appellante, è più favorevole, rispetto al giudizio di non idoneità, la rinnovazione della procedura di concorso. Tale erroneità non comporta, comunque, per le ragioni di seguito indicate, la fondatezza dell’appello ma solo la conferma della non illegittimità degli atti impugnati per una motivazione, in parte, diversa da quella contenuta nella sentenza impugnata.

4.– Chiarito ciò, si possono esaminare i motivi di appello, con la precisazione che verranno esaminate contestualmente, per la loro stretta correlazione, le censure espressamente rivolte alla sentenza e quelle, contenute nel ricorso di primo grado, riproposte in questa sede. Per questi motivi si seguirà un ordine diverso da quello prospettato nell’atto introduttivo del presente giudizio.

5.– Con un primo motivo si assume che il decreto di annullamento d’ufficio della prova orale sarebbe illegittimo perché privo di motivazione. Né la motivazione potrebbe desumersi dal richiamo effettuato alla relazione conclusiva della commissione di indagine, in quanto la stessa, oltre ad essere corredata da motivazione apparente, non sarebbe stata posta nella disponibilità dell’interessata. Sul punto, pertanto, si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto giustificato l’annullamento d’ufficio alla luce delle predette indagini amministrative.

Il motivo non è fondato.

L’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 prevede che le ragioni della decisione possono risultare da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa. In quest’ultimo caso insieme alla comunicazione della decisione deve essere indicato e reso disponibile anche l’atto cui essa si richiama.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, con orientamento che la Sezione condivide, che «il provvedimento amministrativo preceduto da atti istruttori o da pareri può ritenersi adeguatamente motivato perrelationem anche con il mero richiamo ad essi, giacché tale richiamo sottintende l’intenzione dell'Autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata, ma a condizione che dal complesso degli atti del procedimento siano evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione, onde consentire al destinatario di contrastarle con gli strumenti offerti dall’ordinamento e al giudice amministrativo, ove investito della relativa controversia, di sindacarne la fondatezza» (Cons. Stato, VI, 24 febbraio 2011 , n. 1156; IV, 3 agosto 2010, n. 5150; IV, 23 novembre 2002, n. 6444). Lo stesso Consiglio di Stato ha chiarito che il citato articolo 3 «nella parte in cui afferma che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, va inteso semplicemente nel senso che all'interessato deve essere possibile di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, con la conseguenza che non sussiste per l'Amministrazione l'obbligo di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato» (Cons. Stato, IV, 22 marzo 2103, n. 1632).

Nella fattispecie in esame, il provvedimento impugnato è chiaro nel motivare l’annullamento mediante il richiamo, per relationem, al contenuto della relazione predisposta dalla commissione di indagine. La relazione indica in maniera adeguata le ragioni delle illegittimità riscontrate, nella parte in cui fa riferimento ad illegittimità afferenti alla condotta di uno dei commissari (prof. Grassi). In particolare, dalle dichiarazioni testimoniali acquisite dalla commissione risulta che il predetto commissario, suggerendo talune risposte alle domande rivolte all’appellante, ha condotto l’esame dell’appellante in maniera non imparziale. Ne consegue che, risultando la motivazione dal complesso degli atti del procedimento – di cui l’appellante è venuta a conoscenza a seguito della sua acquisizione, disposta con ordinanza istruttoria n. 2 del 2009 del primo giudice – l’interessata ha avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa.

6.– Con un secondo motivo, connesso al primo, si assume che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, dalla relazione della commissione non risulterebbe né un vizio di legittimità dell’atto infraprocedimentale né l’interesse pubblico idonei a giustificare l’annullamento d’ufficio parziale della procedura concorsuale. Sul punto si rileva come, da un lato, le dichiarazioni testimoniali relative alla condotta parziale di uno dei commissari ovvero la inadeguatezza delle risposte fornite dall’appellante, sarebbero generiche e meramente allusive, dall’altro, taluni soggetti sentiti hanno riferito di non essere in grado di fornire indicazioni utili e altri ancora di non avere riscontrato alcuna irregolarità.

Il motivo non è fondato.

L’appellante non ha impugnato, con motivi aggiunti, il contenuto della relazione della commissione di indagine, con la conseguenza che non potrebbero entrare nel presente giudizio contestazioni afferenti al contenuto stesso. In ogni caso, l’infondatezza della censura deriva dal fatto che la commissione di indagine:i) ha accertato, come già sottolineato, che uno dei commissari abbia violato la regola della imparzialità che deve costantemente connotare l’azione amministrativa, con conseguente sussistenza del vizio di legittimità;ii) ha ritenuto sussistente l’interesse pubblico consistente nell’interesse «ad evitare, in ossequio al principio di economicità dell’azione amministrativa, che l’atto infraprocedimentale illegittimo provochi l’illegittimità derivata del provvedimento conclusivo del procedimento principale, con le prevedibili ricadute in termini di ampliamento del contenzioso, anche sotto un eventuale profilo risarcitorio».

7.– Con un terzo motivo si deduce l’illegittimità dell’atto di annullamento d’ufficio per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Il motivo non è fondato.

In primo luogo, deve rilevarsi come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è costante nel ritenere che: «le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua, con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa, quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti» (ex multis, Cons. Stato, V, 15 luglio 2013, n. 3803). Nella fattispecie in esame, l’appellante, essendo stata sentita nel corso dell’indagine amministrativa, era a conoscenza dell’esistenza di un procedimento volto ad accertare irregolarità nell’espletamento della prova orale, con conseguente irrilevanza dell’omesso rispetto del dovere di comunicazione dell’avvio del procedimento.

In secondo luogo, anche a volere prescindere da quanto sopra esposto, l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 prevede che il provvedimento amministrativo non è «annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Nella fattispecie in esame, l’amministrazione ha dimostrato che, in ragione dei motivi posti a base dell’annullamento d’ufficio, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

8.– Alla luce di quanto sin qui esposto, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma, con motivazione parzialmente diversa, della sentenza oggetto di impugnazione.

9.– L’appellante è condannata al pagamento, in favore dell’Università intimata, delle spese processuali del presente grado di giudizio che si determinato in euro 2.000,00 (duemila), oltre accessori.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso, indicato in epigrafe, n. 3890 del 2009, e, per l’effetto, conferma, con motivazione parzialmente diversa, la sentenza impugnata;

b) condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’Università intimata, delle spese processuali del presente grado di giudizio che si determinato in euro 2.000,00 (duemila), oltre accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2013 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Giuseppe Severini, Presidente

Aldo Scola, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 0*/10/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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