Monday 02 December 2013 08:37:17
Giurisprudenza Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
Secondo giurisprudenza pacifica, alla quale può farsi riferimento per i fini di cui all’art. 74 del codice del processo amministrativo (C. di S., VI, 27 luglio 2010, n. 4880; da ultimo C. di S., III, 15 dicembre 2011, n. 6576, che anzi dichiara l’inammissibilità della pretesa di inquadramento fondata sulle mansioni superiori svolte se svincolata dall’impugnazione dell’atto di conferimento della qualifica), nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento di fatto di mansioni superiori a quelle dovute in base all'atto di inquadramento è del tutto irrilevante ai fini sia economici che di progressione in carriera, salvo che una norma non disponga diversamente, a causa dell'inapplicabilità al pubblico impiego dell'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, dell'art. 2103 cod. civ. e dell'art. 36 Cost., l'operatività di quest'ultimo trovando un limite invalicabile nel successivo art. 97. Quanto alla pretesa alle differenze stipendiali, deve essere rilevato come sia pacifica in giurisprudenza anche l’affermazione secondo la quale “nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento di fatto da parte del dipendente di mansioni superiori a quelle dovute in base all'inquadramento è del tutto irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l'esistenza di un'espressa disposizione che disponga diversamente; né la domanda del dipendente, tesa ad ottenere la retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile, per effetto dello svolgimento delle mansioni superiori, può fondarsi sull'art. 36 cost. in quanto il principio della corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e alla quantità del lavoro prestato non trova incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo con altri principi di pari rilievo costituzionale, quali quelli di cui agli art. 97 e 98; ovvero sugli art. 2126 c.c., concernente solo l'ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato, e 2041 c.c. stante, per un verso, la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento senza causa e, per altro verso, la circostanza che l'ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e dimostrabile nel caso del pubblico dipendente che, come nel caso di specie, ha comunque percepito la retribuzione prevista per la qualifica rivestita; comunque, nel pubblico impiego, presupposto indefettibile per la stessa configurabilità dell'esercizio di mansioni superiori è anche l'esistenza di un posto vacante in pianta organica, al quale corrispondano le mansioni effettivamente svolte, oltre che un atto formale d'incarico o investitura di dette funzioni, proveniente dall'organo amministrativo a tanto legittimato, non potendo l'attribuzione delle mansioni e il relativo trattamento economico essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi” (da ultimo C. di S., V, 19 novembre 2012, n. 5852). C. di S., IV, 24 aprile 2009, n. 2626 ha poi precisato che “fino all'entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387, che con l'art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell'art. 56, d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29, la retribuibilità delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico non trovava base normativa in alcuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento e, quindi, non nell'art. 2126 c.c., che concerne solo l'ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato, né nell'applicazione diretta dell'art. 36 cost., la cui incondizionata applicazione al pubblico impiego è impedita dalle contrastanti previsioni degli artt. 97 e 98 cost. né, infine, nell'art. 2041 c.c., in ragione della sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa”. Sulla base di tale ricostruzione il Collegio condividendo l’orientamento sopra riportato ha rilevato come nel caso di specie le mansioni superiori vantate dall’appellante sarebbero state svolte in un periodo precedente l’entrata in vigore del d. lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, con la conseguenza che la pretesa risulta in contrasto con la normativa appena richiamata. L’appellante sostiene peraltro che la stessa normativa, in particolare l’art. 15 del d. lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, non è conforme agli articoli 3 e 36 della costituzione, chiedendo quindi che venga sollevato incidente di costituzionalità. La questione deve essere dichiarata manifestamente infondata, per un ordine di ragioni assimilabile a quello che ha condotto alle conclusioni sopra riportate. C. di S., VI, 22 gennaio 2001, n. 177, condivisa dal Collegio, ha affermato che l'art. 36 Cost. non costituisce fonte diretta di integrazione del rapporto di pubblico impiego, per quanto concerne la determinazione dei compensi da corrispondere al dipendente, ma un criterio di valutazione della legittimità degli atti autoritativi adottati dall'Amministrazione; pertanto, la norma de qua non può essere invocata al fine di ottenere un trattamento economico differenziato in caso di svolgimento delle funzioni di qualifica superiore. Inoltre, i requisiti costituzionali di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione devono essere valutati, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, « non già in relazione ai singoli elementi che compongono il trattamento economico, ma considerando la retribuzione nel suo complesso », sicché non può essere considerata sproporzionata o insufficiente la retribuzione prevista da una norma per il pubblico dipendente in possesso di una certa qualifica, se questi svolga mansioni il cui esercizio è consentito solo sulla base del previo superamento del concorso. La sentenza richiamata quindi ha rilevato che il solo svolgimento di mansioni superiori non è sufficiente a fondare il diritto a percepire un trattamento retributivo più favorevole in quanto tale elemento deve essere collocato nella più ampia logica del trattamento stipendiale globalmente inteso; inoltre, l’attribuzione di un trattamento economico più favorevole sulla base di una mera situazione di fatto è in contrasto con l’art. 97 della Costituzione. Tale premessa consente di affermare che rientra nella discrezionalità del legislatore individuare le concrete situazioni nelle quali lo svolgimento di mansioni superiori dà titolo a benefici di contenuto economico o giuridico. In altri termini, solo l’apprezzamento compiuto dal legislatore consente di superare il principio secondo il quale soltanto chi supera il prescritto concorso può ricevere un determinato beneficio economico, superiore a quello spettante in base alla qualifica in suo possesso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro general****** del 2011, proposto da:
lMaurizio Oddo, rappresentato e difeso dagli avvocati Lucio Anelli e Gianluca Tessier, con domicilio eletto presso l’avvocato Lucio Anelli in Roma, via della Scrofa n. 47;
contro
Comune di Venezia, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicolò Paoletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via B. Tortolini n. 34;
Capo Ripartizione della pubblica istruzione del Comune di Venezia, Capo Ripartizione del personale del Comune di Venezia, Assessore al personale del Comune di Venezia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo del Veneto, Sezione II, n. 02953/1995, resa tra le parti, concernente accertamento diritto inquadramento nella 5^ qualifica funzionale.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Venezia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2013 il Cons. Manfredo Atzeni e uditi per le parti gli avvocati L. Anelli e N. Paoletti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Veneto, rubricato al n. 2560/1995, il signor Maurizio Oddo impugnava il silenzio rifiuto sulla diffida notificata al Comune di Venezia il 2 giugno 1995 e chiedeva l’accertamento:
- del proprio diritto all’inquadramento giuridico ed al trattamento economico corrispondente alla V qualifica funzionale;
- del proprio diritto al trattamento economico della qualifica superiore, con condanna dell’Amministrazione al pagamento delle retribuzioni per l’effetto dovute e inquadramento nella qualifica funzionale superiore corrispondente alle mansioni superiori di autista esercitate nel periodo compreso tra il 27 ottobre 1989 ed il 17 maggio 1995.
Il ricorrente riferiva di essere stato dipendente dell’Istituzione di ricovero ed educazione - I.R.E. - di Venezia, comandato a prestare servizio presso il Comune di Venezia e quindi trasferito all’Ufficio comunale trasporti scolastici a partire dal 27 ottobre 1989, ove rimase fino al 7 novembre 1994, quando fu assegnato ad altro ufficio, venendo nel frattempo stabilmente assunto alle dipendenze del Comune, a far data dall’1 gennaio 1992, con il profilo professionale di operatore tecnico di ruolo ex III qualifica funzionale. Con il ricorso sopra indicato il signor Maurizio Oddo – il quale viene di norma definito, nella documentazione in atti, come aiuto-autista - assumeva di aver svolto, nel periodo in cui ha prestato servizio nell’Ufficio trasporti scolastici, le superiori mansioni di autista di scuolabus, V qualifica funzionale, e di avere per questo titolo all’inquadramento giuridico nella corrispondente qualifica ed alla corresponsione del relativo trattamento economico.
Con la sentenza in epigrafe, n. 2953 in data 15 luglio 2010, il Tribunale amministrativo del Veneto, Sezione II, respingeva il ricorso.
2. Avverso la predetta sentenza il signor Maurizio Oddo propone il ricorso in appello in epigrafe, rubricato al n. 2244/2011, contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto, deducendo prova per testi e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado previa, se del caso, rimessione alla Corte costituzionale della normativa applicabile.
Si è costituito in giudizio il Comune di Venezia chiedendo il rigetto dell’appello.
Le parti hanno scambiato memorie.
La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 5 novembre 2013.
3a. L’appellante è un dipendente del Comune di Venezia.
Nella presente controversia impugna il silenzio rifiuto sulla diffida notificata al Comune di Venezia il 2 giugno 1995 e chiede l’accertamento:
- del proprio diritto all’inquadramento giuridico ed al trattamento economico corrispondente alla V qualifica funzionale;
- del proprio diritto al trattamento economico della qualifica superiore, con condanna dell’Amministrazione al pagamento delle retribuzioni per l’effetto dovute e inquadramento nella qualifica funzionale superiore corrispondente alle mansioni superiori di autista esercitate nel periodo compreso tra il 27 ottobre 1989 ed il 17 maggio 1995.
La pretesa è infondata, sotto entrambi i profili.
Deve essere premesso come appaia ben dubbia l’ammissibilità dei mezzi di prova, sostanzialmente testimoniali, dedotti solo nel presente grado dall’appellante.
Anche a voler prescindere da tale problematica osserva il Collegio che secondo giurisprudenza pacifica, alla quale può farsi riferimento per i fini di cui all’art. 74 del codice del processo amministrativo (C. di S., VI, 27 luglio 2010, n. 4880; da ultimo C. di S., III, 15 dicembre 2011, n. 6576, che anzi dichiara l’inammissibilità della pretesa di inquadramento fondata sulle mansioni superiori svolte se svincolata dall’impugnazione dell’atto di conferimento della qualifica), nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento di fatto di mansioni superiori a quelle dovute in base all'atto di inquadramento è del tutto irrilevante ai fini sia economici che di progressione in carriera, salvo che una norma non disponga diversamente, a causa dell'inapplicabilità al pubblico impiego dell'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, dell'art. 2103 cod. civ. e dell'art. 36 Cost., l'operatività di quest'ultimo trovando un limite invalicabile nel successivo art. 97.
La domanda di inquadramento in qualifica superiore deve quindi essere respinta.
3b. Quanto alla pretesa alle differenze stipendiali, deve essere rilevato come sia pacifica in giurisprudenza anche l’affermazione secondo la quale “nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento di fatto da parte del dipendente di mansioni superiori a quelle dovute in base all'inquadramento è del tutto irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l'esistenza di un'espressa disposizione che disponga diversamente; né la domanda del dipendente, tesa ad ottenere la retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile, per effetto dello svolgimento delle mansioni superiori, può fondarsi sull'art. 36 cost. in quanto il principio della corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e alla quantità del lavoro prestato non trova incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo con altri principi di pari rilievo costituzionale, quali quelli di cui agli art. 97 e 98; ovvero sugli art. 2126 c.c., concernente solo l'ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato, e 2041 c.c. stante, per un verso, la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento senza causa e, per altro verso, la circostanza che l'ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e dimostrabile nel caso del pubblico dipendente che, come nel caso di specie, ha comunque percepito la retribuzione prevista per la qualifica rivestita; comunque, nel pubblico impiego, presupposto indefettibile per la stessa configurabilità dell'esercizio di mansioni superiori è anche l'esistenza di un posto vacante in pianta organica, al quale corrispondano le mansioni effettivamente svolte, oltre che un atto formale d'incarico o investitura di dette funzioni, proveniente dall'organo amministrativo a tanto legittimato, non potendo l'attribuzione delle mansioni e il relativo trattamento economico essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi” (da ultimo C. di S., V, 19 novembre 2012, n. 5852).
C. di S., IV, 24 aprile 2009, n. 2626 ha poi precisato che “fino all'entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387, che con l'art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell'art. 56, d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29, la retribuibilità delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico non trovava base normativa in alcuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento e, quindi, non nell'art. 2126 c.c., che concerne solo l'ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato, né nell'applicazione diretta dell'art. 36 cost., la cui incondizionata applicazione al pubblico impiego è impedita dalle contrastanti previsioni degli artt. 97 e 98 cost. né, infine, nell'art. 2041 c.c., in ragione della sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa”.
Atteso che il Collegio condivide l’orientamento sopra riportato, e che le mansioni superiori vantate dall’appellante sarebbero state svolte in un periodo precedente l’entrata in vigore del d. lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, la pretesa risulta in contrasto con la normativa appena richiamata.
L’appellante sostiene peraltro che la stessa normativa, in particolare l’art. 15 del d. lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, non è conforme agli articoli 3 e 36 della costituzione, chiedendo quindi che venga sollevato incidente di costituzionalità.
La questione deve essere dichiarata manifestamente infondata, per un ordine di ragioni assimilabile a quello che ha condotto alle conclusioni sopra riportate.
C. di S., VI, 22 gennaio 2001, n. 177, condivisa dal Collegio, ha affermato che l'art. 36 Cost. non costituisce fonte diretta di integrazione del rapporto di pubblico impiego, per quanto concerne la determinazione dei compensi da corrispondere al dipendente, ma un criterio di valutazione della legittimità degli atti autoritativi adottati dall'Amministrazione; pertanto, la norma de qua non può essere invocata al fine di ottenere un trattamento economico differenziato in caso di svolgimento delle funzioni di qualifica superiore.
Inoltre, i requisiti costituzionali di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione devono essere valutati, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, « non già in relazione ai singoli elementi che compongono il trattamento economico, ma considerando la retribuzione nel suo complesso », sicché non può essere considerata sproporzionata o insufficiente la retribuzione prevista da una norma per il pubblico dipendente in possesso di una certa qualifica, se questi svolga mansioni il cui esercizio è consentito solo sulla base del previo superamento del concorso.
La sentenza richiamata quindi ha rilevato che il solo svolgimento di mansioni superiori non è sufficiente a fondare il diritto a percepire un trattamento retributivo più favorevole in quanto tale elemento deve essere collocato nella più ampia logica del trattamento stipendiale globalmente inteso; inoltre, l’attribuzione di un trattamento economico più favorevole sulla base di una mera situazione di fatto è in contrasto con l’art. 97 della Costituzione.
Tale premessa consente di affermare che rientra nella discrezionalità del legislatore individuare le concrete situazioni nelle quali lo svolgimento di mansioni superiori dà titolo a benefici di contenuto economico o giuridico.
In altri termini, solo l’apprezzamento compiuto dal legislatore consente di superare il principio secondo il quale soltanto chi supera il prescritto concorso può ricevere un determinato beneficio economico, superiore a quello spettante in base alla qualifica in suo possesso.
La questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata.
4. L’appello deve, in conclusione, essere respinto.
Le spese, contenute nella misura liquidata in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello n. 2244/2011, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore della controparte costituita, di spese ed onorari del presente grado del giudizio, liquidandole in complessivi € 2.000,00 (duemila/00) oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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