Sunday 13 October 2013 11:26:27

Giurisprudenza  Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa

Non è configurabile l'azione di indebito arricchimento prevista dall'art. 2041 cod. civ. nel caso di svolgimento di fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato nel giudizio in esame non ha condiviso l’assunto sollevato dall’appellante - che agisce contro la Regione Calabria per ottenere la liquidazione dei conguagli retributivi per mansioni superiori espletate - il quale ritiene che vi sarebbe un indebito arricchimento dell’Amministrazione. In particolare il Collegio rileva che - come anche per questa tematica affermato da orientamento consolidato e pluriennale di questo Consesso - non è configurabile l'azione di indebito arricchimento prevista dall'art. 2041 cod. civ. nel caso di svolgimento di fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente, atteso che, mentre l'azione de qua postula, quale indefettibile presupposto, un'effettiva diminuzione patrimoniale sofferta in conseguenza dei fatti dedotti a sostegno della pretesa, nel caso considerato il dipendente non sopporta alcun depauperamento che lo legittimi all'esercizio dell'azione ex art. 2041, c.c. (v. anche in questo caso, per tutte, la citata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5852/2012, e le pronunce in essa richiamate).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale **** del 2009, proposto da Giuliana Calabria, rappresentata e difesa dagli avv.ti Saverio Menniti e Antonio Torchia, e con domicilio eletto presso Saverio Menniti in Roma, viale Parioli n.74; 

contro

la Regione Calabria, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Elena Mancuso, e con domicilio eletto presso Aldo Casalinuovo in Roma, via G. Nicotera n. 29, Sc.9 - Int. 2; 

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Calabria – Catanzaro, Sezione II n. 00706 del 2009, resa tra le parti, concernente accertamento del diritto a percepire differenze retributive per mansioni superiori svolte.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Calabria;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Giancarlo Luttazi;

Uditi per le parti gli avvocati Torchia e Mancuso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1.1 - L'odierna appellante, con atto di diffida e messa in mora notificato in data 5 gennaio 1999 – ha chiesto alla Regione Calabria la liquidazione dei conguagli retributivi per mansioni superiori espletate (ritenute ascrivibili all'ottavo livello funzionale con riferimento ad un posto previsto in organico ma vacante).

Essa ha poi adìto il Tar, chiedendo l’annullamento sia del silenzio dell’Amministrazione su quell’atto di diffida sia di connessi atti regionali (determinazione n. 61 del 20 luglio 1999; delibera della Giunta regionale n. 2955 del 96), nonché l’accertamento del diritto a percepire le differenze retributive in relazione alle mansioni superiori svolte a far data dal 22 dicembre 1987.

Il Tar ha respinto il ricorso, affermando (con richiamo alle pronunce della Adunanza plenaria 18 novembre 1999, n. 22 e 28 gennaio 2000, n. 10) l’irrilevanza nell’ambito del pubblico impiego delle mansioni svolte di fatto dal dipendente, salvo espressa norma speciale che quelle mansioni valorizzi.

In proposito il Tar ha escluso che in materia possa attribuirsi – come prospettato dalla ricorrente – effetto retroattivo all'art. 15 del decreto legislativo n. 387 del 1987 (che ha soppresso l'espressione "a differenze retributive o” dal sesto comma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (il quale riproduce la disciplina introdotta dall'art. 25 del decreto legislativo n. 80 del 1998).

1.2 - Il presente appello contesta la sentenza ribadendo in limine l’illegittimità dell'inerzia della Regione Calabria dinnanzi all'atto stragiudiziale di messa in mora.

Per quanto concerne lo svolgimento di mansioni superiori l’appello richiama l'art 56 del decreto legislativo n. 29 del 1993, nel testo sostituito dal citato art 25 del decreto legislativo n. 80 del 1998 nonché dalle modifiche apportate dai pure citati art. 15 del decreto legislativo n. 387 del 1998 e art. 52 del decreto legislativo n 165 del 2001; e rileva che la giurisprudenza della Corte di cassazione afferma l’applicabilità, in materia, dei principi generali di cui agli artt. 36 della Costituzione e 2126 del codice civile, escludendo che per il pubblico dipendente il diritto alle differenze retributive per mansioni superiori possa essere riconosciuto soltanto dalla data di entrata in vigore (22 novembre 1998) del citato decreto legislativo n. 387 del 1998, dovendo invece riconoscersi all’art. 15 di quel decreto legislativo portata retroattiva.

Rileva l’appello che la retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego, alla luce della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sezione V, sentenza 8 maggio 2007, n. 2130), deve trovare riconoscimento nella sussistenza di tre presupposti, tutti necessari: l) una base normativa che la preveda; 2) l'esistenza in organico di un posto vacante corrispondente alle mansioni che si vanno a svolgere; 3) un atto di incarico ad opera dell'organo competente; e che questi presupposti si adattano perfettamente alla fattispecie in esame, poiché l’appellante ha espletato le mansioni superiori sulla base di provvedimenti dirigenziali e con riferimento a posti vacanti nella pianta organica.

L’appello prospetta altresì l’indebito arricchimento della P .A. sullo svolgimento da parte del lavoratore di mansioni di fatto superiori, che andrebbero dunque adeguatamente retribuite alla luce del dettato costituzionale.

Il gravame richiama anche le norme contenute nello Statuto dei lavoratori; specie nell'art 13, che per giurisprudenza pacifica sarebbe applicabile agli enti pubblici la cui disciplina non contenga – come è il caso della Regione Calabria - disposizioni relative a specifici istituti.

1.3 - La Regione Calabria si è costituita, chiedendo il rigetto dell’appello; e ha depositato una memoria il 20 ottobre 2012.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 27 novembre 2012.

2.0 - L’appello è infondato.

2.1 – Può prescindersi dal rilievo sull'inerzia della Regione, poiché il presente giudizio – come già quello di primo grado - reca l’assorbente pronuncia sulla fondatezza della pretesa.

2.2 – Relativamente a questa pretesa sostanziale l’appello va respinto.

Le pronunce della Corte di cassazione citate dall’appellante (v., per tutte, Cass. Civ,. SS.UU., 11 dicembre 2007, n. 25837) hanno affermato l’efficacia retroattiva dell’art. 15, d.lgs. n. 387 del 1998, rilevando che nel pubblico impiego privatizzato il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal decreto legislativo n. 29 del 1993 (art. 56, comma 6, come modificato dal decreto legislativo n. 80 del 1998, art. 25), è stato soppresso dal citato art. 15 del decreto legislativo n. 387 del 1998 con efficacia retroattiva; e che conseguentemente il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 della Costituzione è applicabile anche al pubblico impiego senza limitazioni temporali.

Sul punto, però, la giurisprudenza amministrativa mantiene ferma la propria diversa e consolidata interpretazione.

Il giudice amministrativo ravvisa da tempo nella riforma contenuta nel decreto legislativo n. 387 del 1998 una valenza innovativa, precisando che nel pubblico impiego il diritto alla retribuzione corrispondente alle mansioni superiori effettivamente svolte è stato introdotto con carattere di generalità, nel rispetto dei precetti costituzionali, dal citato art. 15, d.lgs. n. 387 del 1998, a decorrere dalla sua entrata in vigore (22 novembre 1998), con norma avente, appunto, natura innovativa e non ricognitiva o retroattiva, ferma restando la necessità di una determinazione formale dell'Amministrazione e della vacanza del posto in organico.

Sicché prima di quella data del 22 novembre 1998, quando non vi fosse una specifica normativa speciale che disponesse altrimenti, lo svolgimento da parte del pubblico dipendente di mansioni superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento costituiva circostanza irrilevante, oltre che ai fini della progressione in carriera, anche ai fini economici (v., da ultimo, C.d.S., Sez. V, 19 novembre 2012, n. 5852, e le pronunce in essa richiamate).

Nel caso di specie la deducente, pur correttamente ammettendo che la retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego “deve trovare riconoscimento nella sussistenza di tre presupposti, tutti necessari: l) una base normativa che la preveda;2) l'esistenza in organico di un posto vacante corrispondente alle mansioni che si vanno a svolgere; 3) un atto di incarico ad opera dell'organo competente”, indica quella base normativa nei generali principi di cui agli artt. 36 della Costituzione e 2126 e 2103 del Codice civile, non già nella specifica previsione richiesta dall’art. 15 del decreto legislativo n. 387 del 1998, previsione assente nella fattispecie.

Né può condividersi l’assunto dell’appellante di un indebito arricchimento dell’Amministrazione, posto che - come anche per questa tematica affermato da orientamento consolidato e pluriennale di questo Consesso - non è configurabile l'azione di indebito arricchimento prevista dall'art. 2041 cod. civ. nel caso di svolgimento di fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente, atteso che, mentre l'azione de qua postula, quale indefettibile presupposto, un'effettiva diminuzione patrimoniale sofferta in conseguenza dei fatti dedotti a sostegno della pretesa, nel caso considerato il dipendente non sopporta alcun depauperamento che lo legittimi all'esercizio dell'azione ex art. 2041, c.c. (v. anche in questo caso, per tutte, la citata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5852/2012, e le pronunce in essa richiamate).

3. – L’appello va dunque respinto.

Le caratteristiche della vicenda inducono alla compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Stefano Baccarini, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Giancarlo Luttazi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/10/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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