Sunday 15 December 2013 06:51:48

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Silenzio-inadempimento della Pubblica Amministrazione: l’obbligo di provvedere non si può considerare assolto per il solo fatto che siano state emesse pronunce meramente elusive o interlocutorie

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III

La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ricorda innanzi tutto che in materia di silenzio della p.a. è nozione elementare che l’obbligo di provvedere non si può considerare assolto, e il silenzio-inadempimento non si può considerare venuto meno, per il solo fatto che siano state emesse pronunce meramente elusive, ovvero soprassessorie o interlocutorie (salvo beninteso che queste ultime siano legittima manifestazione di esigenze istruttorie). Nel caso in esame, la nota del 30 ottobre 2012 della Prefettura è stata erroneamente interpretata dal T.A.R. come una risposta conclusiva di diniego, per di più motivata. Al contrario, si tratta di un caso tipico di atto meramente elusivo dell’obbligo di provvedere, o comunque di una interlocutoria non risolutiva.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale *** del 2013, proposto da:

Ezio Denti, rappresentato e difeso dagli avv. Alfredo Passaro, Antonella Giglio, con domicilio eletto presso Antonella Giglio in Roma, via Antonio Gramsci, 14;

 

contro

 

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

U.T.G. - Prefettura di Varese;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE III n. 01441/2013, resa tra le parti, concernente silenzio serbato dall'amministrazione per il rilascio dell'autorizzazione di polizia per l'esercizio dell'attività di investigazioni

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato Passaro e l’avvocato dello Stato Vessichelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Il presente contenzioso trae origine dall’istanza dell’attuale appellante (già ricorrente in primo grado) rivolta alla Prefettura di Varese per ottenere l’autorizzazione a svolgere l’attività investigativa privata “difensiva”, ossia rivolta alla ricerca di mezzi di prova da esibire nel processo penale. Questa speciale forma di attività investigativa è prevista dall’art. 327-bis del codice di procedura penale; ed a norma dell’art. 222 delle disposizioni di attuazione dello stesso codice presuppone l’apposita autorizzazione «rilasciata dal prefetto agli investigatori che abbiano maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto esercizio dell'attività».

Nel caso in esame, l’istanza non ha avuto (ancora) esito, e l’interessato, dopo vari solleciti e diffide, ha esperito davanti al T.A.R. Lombardia l’azione di cui all’art. 117, c.p.a., per l’accertamento dell’obbligo di provvedere.

2. Il T.A.R. Lombardia, con sentenza n. 1441/2013, ha respinto il ricorso, osservando che con una nota del 30 ottobre 2012 «la Prefettura ha riscontrato (seppur non tempestivamente) la richiesta di autorizzazione ... rappresentando le ragioni del mancato rilascio. Infatti l’autorizzazione per indagini penali... è stata oggetto di una nuova regolamentazione, per cui può essere rilasciata solo nell’ambito dell’autorizzazione per attività investigative [ossia l’autorizzazione “generica” ex art. 134 t.u.l.p.s] come l’amministrazione ha affermato nelle note inviate al ricorrente».

3. L’interessato ha proposto appello a questo Consiglio. L’amministrazione si è costituita per resistere.

4. Il Collegio ricorda innanzi tutto che in materia di silenzio della p.a. è nozione elementare che l’obbligo di provvedere non si può considerare assolto, e il silenzio-inadempimento non si può considerare venuto meno, per il solo fatto che siano state emesse pronunce meramente elusive, ovvero soprassessorie o interlocutorie (salvo beninteso che queste ultime siano legittima manifestazione di esigenze istruttorie).

Nel caso in esame, la nota del 30 ottobre 2012 della Prefettura di Varese è stata erroneamente interpretata dal T.A.R. come una risposta conclusiva di diniego, per di più motivata. Al contrario, si tratta di un caso tipico di atto meramente elusivo dell’obbligo di provvedere, o comunque di una interlocutoria non risolutiva.

5. Con la nota del 30 ottobre 2012 la Prefettura ha inteso soltanto precisare che la speciale autorizzazione all’attività investigativa difensiva penale (di cui all’art. 222 disp. att. c.p.p.) non si può considerare una«estensione» della licenza investigativa generica e che pertanto per essa non trova applicazione il meccanismo di autorizzazione tacita (silenzio assenso) di cui all’art. 257-ter, comma 5, del regolamento del t.u.l.p.s. .

Peraltro, nel suo ricorso al T.A.R. (notificato il 6 dicembre 2012) l’interessato non ha chiesto di giovarsi di un ipotetico silenzio-assenso. Nelle sue conclusioni infatti ha chiesto al T.A.R. di dichiarare, puramente e semplicemente, l’obbligo di provvedere e l’illegittimità del silenzio-rifiuto. E sotto questo profilo la nota del 30 ottobre 2012 appare del tutto neutra, in quanto nulla dice riguardo alle ragioni sostanziali del mancato rilascio della licenza: quali ad es. il difetto di requisiti, l’esistenza di cause ostative, e simili.

Neppure nelle difese giudiziali, del resto, l’amministrazione ha mai chiarito se vi siano e quali siano le ragioni sostanziali che impediscano il rilascio della licenza, ovvero se vi siano e quali siano le esigenze istruttorie eventualmente non soddisfatte dal richiedente.

6. In conclusione, l’appello va accolto, e in riforma della sentenza appellata si deve accogliere il ricorso, dichiarandosi l’obbligo dell’amministrazione di definire il procedimento entro il termine di trenta giorni dalla notificazione della presente sentenza. In alternativa, entro lo stesso termine potranno essere disposti gli adempimenti istruttori di cui sia dimostrata la necessità e la rilevanza. Decorso il termine, il Collegio si riserva di nominare un commissario ad acta su istanza dell’interessato.

Le spese dei due gradi del giudizio faranno carico all’amministrazione.

 

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l’appello nei sensi e con gli effetti di cui in motivazione. Condanna l’Amministrazione dell’Interno al pagamento delle spese legali dei due gradi in favore dell’appellante, liquidandole complessivamente in euro 3.000 oltre agli accessori dovuti per legge (fra i quali il rimborso del contributo unificato).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

 

 

 

 

     
     
IL PRESIDENTE, ESTENSORE    
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/12/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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