Sunday 19 January 2014 12:34:41

Giurisprudenza  Sanità e Sicurezza Sociale

Sanità: il principio di equiordinazione tra strutture pubbliche e private non opera con riferimento alle fonti di finanziamento complessivo delle strutture del settore sanitario

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III

In merito al principio di equiordinazione tra strutture pubbliche e private, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha ribadito nella sentenza in esame siffatto principio “opera non con riferimento alle fonti di finanziamento complessivo delle strutture del settore sanitario ma solo in relazione ai criteri e modalità di remunerazione a tariffa delle prestazioni rese sulla base di appositi accordi contrattuali; per cui non coinvolge il finanziamento delle aziende pubbliche costituenti presidi ospedalieri a diretta gestione dell’ASL di appartenenza (cfr. Cons. St., sez. V, 12 settembre 209 n. 3789, nonché Corte cost., n. 111/2005, ivi cit.)." Per approfondire cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale * del 2007, proposto da:

Centro Ricerche Biochimiche del dott. Pietro Tedesco, Laboratorio Analisi "Biomedica", Laboratorio Analisi dott. Fernando De Marco, rappresentati e difesi dall'avv. Antonio Nichil, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza n. 24;

 

contro

 

Ex Azienda U.S.L. Le/2 di Maglie, ora A.S.L. di Lecce, rappresentata e difesa dall'avv. Luciano Ancora, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza n. 24;

Regione Puglia;

 

nei confronti di

Laboratorio Analisi Cliniche San Giorgio; Studio Radiologico dottori G. e P. Quarta Colosso; Studio Dentistico dott. Roberto Resci; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 00968/2006, resa tra le parti, concernente approvazione del tetto di spesa anno 2004

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’A.S.L. Lecce;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2013 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per le parti gli avvocati Marchese su delega di Nichil e Ancora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Il Centro Ricerche Biochimiche del dott. Pietro Tedesco, il Laboratorio di analisi dott. Fernando De Marco ed il Laboratorio di analisi Biomedia, strutture provvisoriamente accreditate operanti nell’ambito della A.USL LE 2 di Maglie (ora ASL di Lecce), impugnavano davanti al TAR per la Puglia la deliberazione 16 novembre 2004 n. 746 del Direttore generale della stessa A.USL LE 2, di rideterminazione dei tetti massimi di spesa per l’anno 2004 con incremento massimo dell’8% rispetto al tetto massimo del 2003 ripartito secondo i fissati criteri, i contratti integrativi sottoscritti nel mese di dicembre 2004 in esecuzione di tale provvedimento e la deliberazione 3 settembre 2004 n. 1366 della Giunta regionale pugliese, di approvazione del DIEF, ove interpretata nel senso voluto dall’A.USL; poi con motivi aggiunti impugnavano anche le note aziendali in data 1° marzo 2005, di comunicazione del tetto di spesa a valere in via provvisoria per l’anno 2005, pari a quello del 2004 incrementato del 3,8%.

Con sentenza 23 marzo 2006 n. 968, non risultante notificata, il TAR per la Puglia, sede di Bari, sezione seconda, ha respinto il ricorso e dichiarato irricevibili di motivi aggiunti.

Premesso che la sentenza, adottata in udienza in cui c’erano molte cause analoghe, è di tipo “generale” e non considera la fattispecie concreta, a sostegno dell’appello hanno esposto doglianze riassunte qui di seguito:

(a) - Nella parte finale della pronuncia si assume che, a causa del mancato accordo con i rappresentanti delle strutture private sul riparto dell’incremento dell’8%, il Direttore generale avrebbe attribuito alle stesse l’incremento massimo, mentre in ricorso si lamentava proprio che non lo era stato, avendo l’A.USL ripartito tale quota migliorativa tra le varie branche, utilizzando i criteri esposti nelle premesse (tra cui quello di attribuire il 40% dell’incremento in proporzione diretta ai fatturati storici ed il 60% in proporzione inversa) a loro volta oggetto di contestazione poiché difformi da quanto stabilito, previ accordi da cui si era dissociata la sola ANISAP, dalla Regione con la d.G.R. n. 1366/2004 prevedente tout court l’incremento dell’8%, salva la facoltà di tener conto dei criteri indicati dalla Giunta stessa nel caso di non adesione delle strutture ai predetti accordi. In altri termini, il Direttore generale, senza convocare le strutture, ha agito come se gli accordi regionali non vi fossero o non fossero stati accettati da alcuna struttura; in tal modo ha altresì stravolto il sistema di competenze di cui all’art. 8 quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, all’art. 30 della l.r. n. 4 del 12003 ed all’art. 17 l.r. n. 14 del 2004.

Quand’anche la delibera regionale avesse previsto in via principale (e non residuale) la possibilità dei direttori generali di discostarsi dagli accordi regionali e di procedere ad un riequilibrio tra settori o tra strutture dello stesso settore, i criteri seguiti dall’A.USL contrasterebbero con quelli regionali, nonché con l’intero sistema normativo, essendo manifestamente illogici e poco rispondenti alle situazioni di fatto prese in considerazione. La Regione non ha infatti previsto l’attribuzione del 40% dell’incremento in proporzione diretta ed il 60% in senso inverso. Ad esempio, nel quarto e quinto capoverso di pag. 3 della delibera dell’Azienda si manifesta la necessità di agevolare la libera scelta mediante la correzione della precedente prassi di incremento in misura uguale per tutte le strutture (determinante, ad avviso dell’A.USL, situazioni di sostanziale squilibrio dell’offerta) e di garantire la libera scelta mediante il riequilibrio dell’offerta anche in ambito distrettuale tenendo conto della presenza di strutture pubbliche ed equiparate nel territorio; ma tali valutazioni, oltre ad esorbitare dagli ambiti fissati con la delibera regionale, sono illogiche, contraddittorie, inopportune e contrastano con i principi del sistema di piena parità e libera concorrenza tra strutture pubbliche e private accreditate al fine di consentire il miglioramento dell’offerta qualitativa e quantitativa. Privilegiano infatti le strutture con fatturato minore a scapito di quelle con fatturato maggiore grazie alle proprie capacità organizzative, personale e mezzi impiegati; ciò evidentemente allo scopo di livellare il volume delle prestazioni erogabili da ciascuna. Non sussiste poi l’addotta situazione di squilibrio nel distretto, che nel periodo estivo vede triplicare la popolazione, con conseguente impossibilità delle strutture pubbliche di far fronte alla domanda.

(b) - Il TAR non si è pronunziato sulle censure secondo cui rientra nella competenza della Giunta regionale definire la disciplina contrattuale con le strutture, lasciando alle aziende un residuo margine solo nel caso non siano intervenuti i provvedimenti economico finanziari di indirizzo per l’anno 2004 e non si sia proceduto al riparto del fondo regionale. I compiti delle aziende sono invece quelli di accreditare i soggetti, stipulare i contratti sulla base degli indirizzi regionali, remunerare i volumi di prestazioni eccedenti nella misura del 30% delle tariffe intere e comunque non oltre il 50%, surrogare la determinazione regionale fino al momento in cui essa intervenga. Tanto è previsto anche nella d.G.R.1366/2004. Nella specie, invece, il Direttore generale, pur in presenza del documento regionale di indirizzo e degli accordi regionali, ha rideterminato esso stesso i tetti di spesa per l’anno 2004, mentre in tal modo avrebbe dovuto operare solo nei riguardi degli operatori non partecipanti agli accordi o dissenzienti.

(c) - L’A.USL non indica quali disposizioni regionali l’abbiano indotta alle scelte in questione. Sembra dai contratti che tali scelte sarebbero provvisorie e modificabili a seguito di ulteriori direttive regionali; ma quand’anche ciò fosse, resterebbero illegittime perché assunte sul presupposto del tardivo provvedimento regionale. Nell’ipotesi che la determinazione di assegnare alle ricorrenti per l’anno 2004 un incremento dell’8% rispetto al 2003 sia ricondotta al disposto dell’art. 30 della l.r. n. 4 del 2003, tale norma, già sospetta di incostituzionalità come da pronuncia n. 8968/03 del TAR di Lecce, risulta affetta da ulteriori profili di incostituzionalità: la meccanicistica riproduzione dei limiti di spesa dell’anno precedente costituisce una “via di fuga” giuridicamente ingiustificabile ed apodittica, dovendosi invece applicare la complessa procedura fissata dagli artt. 8 e ss. del d.lgs. n. 229 del 1999. Ma il TAR non ha esaminato tali censure, erroneamente ritenendo che l’incremento massimo dell’8% fosse stato attribuito a tutte le strutture.

(d) - Poco comprensibili sono le motivazione della declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti, col cui primo motivo si censurava per illegittimità derivata la fissazione in via provvisoria dei tetti del 2005 con riferimento ai tetti del 2004, incrementati del 3,8%. In effetti, tale statuizione era già contenuta nella d.G.r. n. 1366 del 2004, che non si intendeva contestare, bensì evidenziare l’illegittimità della “piattaforma di partenza”. Col secondo motivo aggiunto si censurava il comportamento perplesso e contraddittorio dell’ASL che, mentre per il 2004 aveva ripartito l’incremento dell’8% secondo i predetti criteri già censurati (in luogo dell’attribuzione dell’8% a tutte le strutture, erroneamente presupposto dal TAR), per il 2005 aveva attribuito l’incremento del 3,8% a tutte le strutture accreditate, trascurando i criteri di riparto regionali.

(e) - Del pari erroneamente il TAR ha ritenuto che loro avessero censurato il ritardo con cui era intervenuto il provvedimento regionale, mentre si riferivano alla violazione da parte del’A.USL di quanto stabilito dalla Regione ed il ritardo di circa due mesi rispetto al termine assegnato con cui l’Azienda ha provveduto, pervenendo alla stipula dei contratti nel dicembre 2004, ossia a fine anno, mentre essi avevano fatto affidamento sull’attuazione entro fine agosto e settembre degli accordi raggiunti, quindi sull’incremento dell’8% del proprio budget.

(f) - La sentenza ha ritenuto prive di fondamento le censure di violazione degli artt. 8 quaterquinquies esexsies del d.lgs. 229/99, degli artt. 17 della l.r. 4 agosto 2004 n. 14 e 30, co. 5, della l.r. n. 4 del 2003, ritenendo che fossero rivolte avverso la Regione mentre si riferivano all’A.USL, che ha imposto le proprie scelte alle ricorrenti, senza alcuna forma reale di concertazione e in materia di competenza della Regione. Di contro, i limiti di spesa di ciascuna struttura devono essere definiti con intese consensuali, onde l’assegnazione dei budget unilaterale ed autoritativa esula dalle competenze dell’Azienda (che è soggetto concorrente delle strutture private accreditate) per spettare solo alla Regione, unica titolare del potere di pianificazione.

(g) - Dunque l’operato dell’A.USL si pone in aperta contraddizione col sistema di legge, ancor oggi improntato all’assoluta parità fra strutture pubbliche e private accreditate, da assicurare anzitutto con la garanzia che l’attività ambulatoriale delle strutture pubbliche sia finanziata e remunerata esclusivamente sulla base del valore tariffario delle prestazioni erogate, al pari di quelle private. Diversamente, l’Amministrazione pugliese persiste nell’orientamento di ripianare i costi, senza peraltro rendere pubbliche le analisi per centri di costo. L’omissione inficia ulteriormente gli atti impugnati.

Ove tale incombente fosse stato adempiuto, risulterebbe che le prestazioni erogate dalle strutture pubbliche hanno un maggior costo rispetto a quelle acquistate dalle strutture appellanti e rispetto al valore tariffario delle stesse prestazioni.

Inoltre l’ASL ha adottato una contabilità separata per valutare il costo del rapporto con le strutture private, pretendendo di destinare loro solo una minima parte delle risorse disponibili, sia pur incrementate dell’8%, esaurita la quale la loro attività dovrebbe svolgersi in modo gratuito oppure sarebbe preclusa ai cittadini. Il sistema sanitario impone invece che le risorse disponibili debbano essere complessivamente considerate ed unitariamente impiegate per l’acquisto di prestazioni in favore delle strutture sia pubbliche che private in base alla scelta effettuata dall’utenza, prevedendo per queste ultime anche sistemi di remunerazione dei volumi eccedenti le quantità preventivate (artt. 8 quinquies e quater, par. 3, comma b), d.lgs 502/92). Illegittima è dunque la determinazione dell’A.USL di limiti invalicabili. Né osta all’applicazione delle citate previsioni normative la necessità di contenere la spesa pubblica, stante la sussistenza di forme di controllo complessivo e razionalizzazione della spesa sanitaria, garantite dal rispetto della complessa procedura della disciplina di settore (superamento della fase di accreditamento provvisorio con l’accreditamento definitivo che ottimizzi l’ordinata distribuzione degli erogatori; analisi della domanda e dell’offerta di prestazioni; introduzione di un sistema di selezione di erogatori con sistemi di comparazione integrati; negoziazione di condizioni maggiormente favorevoli all’azienda per garantire miglior qualità/quantità delle prestazioni a costi economicamente vantaggiosi). L’obiettivo della norma è quello di mantenere in concorrenza strutture pubbliche e private al fine di migliorare la qualità del servizio, ma ciò non traspare dalla deliberazione del Direttore generale dell’A.USL, anzi vi è contraddetto. In essa si richiama infatti il principio della libera scelta e dell’incremento in misura uguale del tetto di spesa, nonché del riequilibrio dell’offerta in modo da eliminare situazioni di monopolio, ma l’adottata soluzione di ripartire l’8% fra tutte le branche specialistiche in base ad un criterio basato su fatturati storici non garantisce l’equilibrio del sistema, anzi lo rende più iniquo e discriminatorio; in primo luogo, orienta la scelta del cittadino non verso strutture competitive, bensì verso quelle che, in base al fatturato precedente, abbiano titolo ad erogare prestazioni in numero uguale alle altre strutture ma magari con livelli qualitativi inferiori; in secondo luogo, il criterio non tiene conto della valutazione delle soglie qualitative delle prestazioni erogate, né dei costi unitari sopportati per la somministrazione degli interventi; ancora, la concorrenzialità non è garantita dal ripianamento dei costi delle strutture pubbliche a prescindere dal valore delle prestazioni da esse erogate; infine, disincentiva le strutture private a migliorare la propria offerta.

Tutti questi aspetti non sono stati considerati attentamente dal TAR che invece, al fine di legittimare ad ogni costo l’operato dell’Azienda, si è limitato ad applicare aprioristicamente principi propri dell’Ente regionale.

L’ASL di Lecce (subentrata all’A.USL LE/2 di Maglie) si è costituita in giudizio e, eccepita l’inammissibilità parziale dell’appello, laddove circoscrive l’esame dell’impugnativa ai soli provvedimenti aziendali, i quali trovano origine nel provvedimento regionale ritenuto invece immune da censure, e non confuta la declaratoria di tardività dei motivi aggiunti, ha svolto controdeduzioni

L’appello è stato introitato in decisione all’udienza pubblica del 7 novembre 2013.

DIRITTO

1.1.- Con la deliberazione 3 settembre 2004 n. 1366, di approvazione del documento di indirizzo economico-funzionale del servizio sanitario regionale (DIEF) per l’anno 2004, la Giunta regionale della Puglia, in base alle intese raggiunte con i rappresentanti delle strutture specialistiche convenzionale (da cui si è dissociata la sola ANISAP), per quanto qui rileva ha stabilito di incrementare il tetto massimo di remunerazione delle prestazioni specialistiche private dell’8% rispetto al 2003, di rivedere le fasce di regressione tariffaria, di fissare nel 30% delle tariffe la remunerazione delle prestazioni eccedenti il tetto massimo e di fissare provvisoriamente, salvo diversi futuri accordi, nel 3,8% l’incremento per l’anno 2005. Ha altresì disposto che i direttori generali delle aziende procedano entro 20 giorni dalla notifica della deliberazione a stipulare i contratti o le integrazioni dei contratti già stipulati ex l.r. n. 4 del 2003 sulla scorta di tali accordi ovvero, “in mancanza, avvalendosi della possibilità di incrementare il tetto fino alla misura massima del 8% rispetto ai tetti di spesa 2003, con possibilità di riequilibrio fra i settori di attività e strutture di ogni settore, tenendo conto di:

- Obiettivi di salute e programmi di integrazione dei servizi ampiamente delineati nel piano sanitario regionale;

- Fabbisogno territoriale di prestazioni per settore (volumi);

- Requisiti del servizio, qualità, economicità;

- Libera scelta nei limiti compatibili con la programmazione regionale ed i vincoli finanziari;

- Rispetto del corrispettivo preventivato;

- Valutazione del rapporto nel tempo tra le prestazioni erogate dalle strutture pubbliche e quelle private tra le quali gli IRCCS, enti ecclesiastici, case di cura ecc.”.

1.2.- Con la deliberazione 16 novembre 2004 n. 746 il direttore generale dell’Azienda USL LE 2, richiamata – tra l’altro - l’indicata delibera regionale, ha dato atto che il data 13 ottobre 2004 sono stati formalmente convocati i soggetti transitoriamente accreditati e che in tale incontro è stata presentata una proposta di integrazione contrattuale “articolata sulla base degli indirizzi emanati dalla Regione con le seguenti valutazioni pertinenti alle peculiarità dell’azienda”:

- priorità assoluta alle riduzioni delle liste d’attesa per mammografie e ecografie mammarie …;

- mancata necessità di incrementare significativamente gli acquisti di prestazioni di patologia clinica, essendo i laboratori ospedalieri in grado di assorbire ogni eventuale incremento di domanda, come provato dall’inesistenza di liste di attesa;

- per stesse ragioni mancata necessità di incremento delle prestazioni di cardiologia ed altre specialità;

- necessità di agevolare la libera scelta e correzione della precedente prassi (incrementi in misura uguale per tutti i fornitori), che determinava situazioni di squilibrio dell’offerta, con sostanziale monopolio delle strutture maggiori;

- riequilibrio dell’offerta anche in ambito distrettuale, in particolare di quello di Gallipoli, ove pur in presenza di strutture pubbliche e equiparate con offerta di patologia clinica uguale a quella degli altri distretti, è invece presente una offerta privata di gran lunga più elevata.

In base a ciò, come da riportate tabelle, ha ripartito l’8% globale tra tutte le branche, assegnando peraltro ai laboratori di analisi ben il 62,3% dell’intero fondo. Ha poi ripartito il corrispondente importo di branca tra le rispettive strutture; per quanto riguarda i laboratori di analisi il riparto è stato effettuato per il 40% in proporzione diretta al fatturato storico e per il 60% in proporzione inversa.

Ha dato infine atto della partecipazione alla riunione del 13 ottobre 2004 di tutti i soggetti provvisoriamente accreditati, con indicate eccezioni (tra cui non compaiono i laboratori attuali appellanti) e dell’intervenuta sigla delle tabelle da parte della maggioranza dei presenti.

2.- In via preliminare va notato come l’appello in trattazione, da un lato, si incentri sulla pretesa illegittimità della deliberazione dell’AUSL LE 2, e non anche, se non per un cenno isolato di cui si dirà in prosieguo, di quella regionale, pur impugnata in primo grado. E, dall’altro lato, si lamentino carenze motivazionali, omissioni di pronuncia od erroneità interpretative del primo giudice, ossia elementi che non impongono di per sé la riforma della sentenza appellata, poiché il carattere devolutivo dell’appello comporta il riesame integrale delle corrispondenti doglianze introdotte con il medesimo appello; riesame che ben può complessivamente condurre ad esito identico a quello di primo grado.

3.- Ciò posto, in relazione al primo motivo (in narrativa sub a) la Sezione osserva che nel modo descritto al punto 1.2) l’incremento attribuito dall’Azienda a tutte le strutture private, globalmente considerate, è stato pari alla misura massima.

Quanto all’assegnazione dei tetti alle strutture delle singole branche, la deliberazione regionale non poneva l’obbligo di applicazione tout court dell’8% ai nuovi contratti o all’integrazione di quelli già stipulati, la dizione “in mancanza” dovendosi intendere come alternativa disgiunta dal non riuscito incontro delle volontà sull’applicazione omogenea di tale percentuale, stante l’assenza di precisazioni al riguardo; in altri termini, la deliberazione ha rimesso all’azienda locale la “possibilità” di una diversa scelta della distribuzione delle risorse tra “settori di attività e strutture di ogni settore”. E da parte dell’A.USL LE 2 tale scelta, avvenuta a seguito dell’accordo raggiunto (sia pure a maggioranza) con le strutture private, si è orientata nel senso di non attribuire - diversamente da quanto affermato dal primo giudice – la misura massima indistintamente a ciascuna branca, ma di calibrarne l’impiego tenuto conto di “valutazioni pertinenti alle peculiarità dell’azienda” tra cui, segnatamente, la mancanza di necessità di incrementare “significativamente” le prestazioni private di patologia clinica, attesa l’esaustività dell’offerta pubblica a soddisfare la relativa domanda.

Ne consegue, per un verso, l’assenza di contrasto della deliberazione locale rispetto alla deliberazione regionale, la quale tra le valutazioni rimesse alle aziende include espressamente, come si è visto, quelle inerenti il fabbisogno territoriale, la libera scelta ed il rapporto tra prestazioni pubbliche e private, senza però precisare le modalità del riparto; per altro verso, non v’è né assenza di contrattazione né manifesta illogicità nell’adottato criterio di riparto.

In particolare, l’assegnazione del 40% in proporzione diretta al fatturato storico e del 60% in proporzione inversa esprime il bilanciamento tra l’esigenza di contenere la spesa per l’acquisto di prestazioni private in una branca già sufficientemente servita dalle strutture pubbliche e di assentire, tuttavia, un moderato aumento del tetto individuale della struttura privata all’evidente fine di lasciar libera scelta all’utente e consentire alla medesima struttura di far fronte ad un eventuale aumento della domanda, anche nel periodo estivo ove operante in zona turistica, evitando però la formazione di monopoli di fatto. Per il resto, si tratta di attività amministrativa tipicamente discrezionale, insindacabile in sede di legittimità se non nei noti limiti il cui superamento – come detto – non è nella specie ravvisabile.

D’altra parte, come questa volta bene ricordato dal TAR, la facoltà del cittadino di libera scelta della struttura sanitaria a cui rivolgersi, dovendo essere contemperata con gli altri valori costituzionali (quali il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, la razionalizzazione del sistema sanitario, il rispetto degli assetti organizzativi complessivi e settoriali del servizio sanitario nazionale, ecc.: cfr. Corte cost., 26 maggio 2005 n. 200); in tale contesto si colloca, in linea con l’art. 8 bis del d.lgs. n. 502 del 1992 ss.mm.ii., il primo comma dell’art. 30 della l.r. Puglia 7 marzo 2003 n. 4, secondo cui la libera scelta dei cittadini è garantita “nell’ambito della programmazione regionale e dell’organizzazione dei servizi del sistema sanitario regionale, (…) e nell’ambito degli accordi e contratti di cui all’art. 8 quinquies” dello stesso d.lgs. n. 502 del 1992, laddove già l’art. 11, co. 4, della precedente l.r. 5 dicembre 2001 n. 32, nel demandare ai direttori generali delle aziende la determinazione del volume di prestazioni erogabili mediante gli accordi contratttuali “comunque non superiore al fabbisogno”, stabilisce che tanto debba avvenire “nel rispetto delle capacità erogative, anche potenziali, delle strutture pubbliche”.

Infine, per quanto esposto risulta evidente come i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche, in rapporto alla delibera regionale, posti a base della determinazione aziendale emergano dallo stesso atto, sicché è infondata anche la censura di difetto di motivazione formulata nell’ambito terzo motivo (sub c).

4.- Neppure è ravvisabile la denunciata incompetenza dell’A.USL a predisporre specifici criteri di determinazione dei singoli tetti di spesa e di stabilire, quindi, gli stessi tetti.

È ben noto, sul piano nazionale, che il sistema di programmazione nel settore sanitario è incentrato su un modello bifasico in seno al quale alla fase regionale, costituita dall'atto programmatorio che rappresenta un primo e fondamentale strumento di orientamento per le strutture sanitarie pubbliche e private, segue la fase di negoziazione su base territoriale.

Coerentemente, nella Regione Puglia i citt. art. 11, co., 4 della l. r. n. 32 del 2001 e art. 30, co. 6, della l.r. n. 4 del 2003, oltre all’art. 25, co. 2, della l.r. 22 dicembre 2000 n. 28, affidano alle aziende sanitarie locali di fissare “i volumi” e “le tipologie prestazioni” nei contratti con le singole strutture private. L’art. 17, co. 1, della successiva l.r. 4 agosto 2004 n. 14 ribadisce, inoltre, che compito della Giunta regionale è quello, oltreché di definire accordi e di fissare le risorse finanziarie annuali occorrenti per assicurare i livelli essenziali di assistenza, di emanare gli “indirizzi” per la definizione degli accordi contrattuali da parte delle aziende con i soggetti privati accreditati, anche indicando funzioni ed attività da potenziare o depotenziare secondo le linee programmatorie, non già di pervenire direttamente alla fissazione dei contenuti dei singoli contratti con detti soggetti, prima fra tutti l’assegnazione del rispettivo tetto di spesa.

Risulta perciò infondato anche il secondo motivo (sub b).

5.- Col terzo motivo (sub c) si accenna allo “estremo ritardo” dell’adozione del DIEF, da cui deriverebbe comunque l’illegittimità della deliberazione aziendale, ma non si espongono censure avverso il capo della sentenza appellata (punto 2) col quale siffatta doglianza è stata respinta, con conseguente inammissibilità del profilo in parola, comunque infondato nel merito.

Al riguardo, basta ricordare come anche recentemente sia stata esclusa l’illegittimità di per sé della deliberazione regionale che fissi i tetti di spesa in corso d’anno a seguito della necessaria definizione del procedimento collegato e pregiudiziale diretto alla definizione dell’ambito delle risorse utilizzabili (cfr. Cons. St., Ad. plen., 12 aprile 2012 nn. 3 e 4, che confermano, sul punto, Ad. plen., 2 maggio 2006 n. 8).

Analogamente è a dirsi in ordine alla questione di legittimità costituzionale del ripetuto art. 30 (co. 5: validità dei tetti di remunerazione fissati nell’anno precedente fino al nuovo DIEF) della l.r. n. 4 del 2003, dichiarata irrilevante e manifestamente infondata al punto 2.1 della sentenza appellata, senza che tale capo sia oggetto di critica. D’altro canto, a parte la non perspicuità della questione sollevata, al contrario di quanto sostenuto dai laboratori appellanti nella specie non vi è stata “meccanicistica riproduzione dei limiti di spesa assegnati nell’anno precedente”, quindi non vi è stata “via di fuga” dall’applicazione della “complessa e articolata procedura fissata in materia dagli artt. 8 e ss. del D.Lgs. n. 229/99”.

Di qui l’irrilevanza ritenuta dal TAR e, comunque, l’oggettiva, manifesta infondatezza delle censure avverso una norma allineata al predetto principio giurisprudenziale in ordine alla legittimità della fissazione retroattiva dei tetti di spesa, di cui è corollario l’ulteriore principio secondo cui non v’è violazione dell’affidamento, posto che, fino a quando non risulti adottato un provvedimento definitivo, gli operatori che erogano – per libera scelta - prestazioni per il servizio sanitario nazionale potranno aver riguardo all’entità dei tetti assegnati nell’anno precedente, semmai diminuite a seguito delle riduzioni della spesa sanitaria disposta dalle norme finanziarie dell’anno in corso (cfr. Cons. St., sez. III, 9 maggio 2013 n. 2526).

6.- Il motivo seguente (sub d) è diretto a contestare la declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti avverso gli atti dell’Azienda di fissazione in via provvisoria dei tetti massimi di spesa per l’anno 2005 nella misura di quelli stabiliti per il 2004 incrementati del 3,8%.

In realtà, il TAR ha dichiarato irricevibili tali motivi nella parte in cui si deduceva l’illegittimità derivata dei detti atti dalla deliberazione regionale n. 1366 del 2004 (conosciuta quanto meno dalla data del 22 gennaio 2005, di notifica dell’atto introduttivo), che stabiliva pure tali modalità.

Quanto al profilo secondo cui si intendeva denunciare l’illegittimità derivata degli stessi atti dall’invalidità della deliberazione aziendale n. 746 del 2004, è chiaro che una volta riconosciuta la legittimità di quest’ultima, cade anche siffatta censura.

Né è positivamente apprezzabile l’ulteriore censura di perplessità e contraddittorietà circa il criterio di uniforme applicazione del 3,8% a tutte le strutture, diverso da quelli – pur censurati - utilizzati dall’A.USL per l’attribuzione dell’incremento dell’8% del 2004. A prescindere dal rilievo che non si vede quale interesse i laboratori appellanti abbiano alla reiterazione per il 2005 dei criteri - appunto censurati - relativi al 2004, certamente a loro meno favorevoli, sta di fatto che si tratta di attribuzione provvisoria, quindi rispondente ad elementi di valutazione non coincidenti con quelli posti a base della definitiva determinazione dei tetti del 2004, oltre che suscettibile di revisione alla stregua del nuovo DIEF.

Ne consegue che il motivo in parola va comunque respinto.

7.- Col motivo successivo (sub e) si sostiene che il TAR abbia confuso la doglianza concernente il ritardo, riferendola alla deliberazione regionale mentre era diretta avverso la stipula dei contratti oltre il termine assegnato alle aziende con la stessa deliberazione.

Ma il TAR ha invece esaminato tale doglianza, affermando che la tardiva stipula dei contratti “non incide sulla validità degli atti e sulla loro efficacia”; tale affermazione è restata anch’essa priva di critica. Non senza comunque ricordare, nel merito, quanto detto al precedente paragrafo 5) in ordine all’inconfigurabilità di affidamento.

Oltretutto, la conoscenza da parte dei laboratori attuali appellanti dei rispettivi tetti di spesa, quindi del contenuto più rilevante del contratto, deve farsi risalire alla riunione del 13 ottobre 2004 (posto che i medesimi non contestano la loro mancata inclusione tra i soggetti assenti), cioè in termini rispetto al ventesimo giorno dalla pubblicazione della deliberazione regionale (in BURP del 29 settembre 2004), sicché a maggior ragione va esclusa la lesione dell’affidamento per essere stati convocati per la stipula solo a dicembre.

8.- Le considerazioni già svolte esimono il Collegio dal confutare di nuovo doglianze di violazione di legge, omissione di effettiva contrattazione ed incompetenza dell’A.USL analoghe a quelle già esaminate, riproposte nel sesto motivo (sub f).

9.- Il pur articolato ultimo motivo, nella parte in cui non reitera anch’esso le stesse doglianze appena dette, muove in realtà dall’assunto secondo cui il sistema sanitario, in applicazione del principio di assoluta parità fra strutture pubbliche e private, debba complessivamente considerare le risorse disponibili per l’erogazione delle prestazioni, da impiegare unitariamente per l’acquisto delle prestazioni medesime in favore delle di strutture pubbliche e private in base alla scelta effettuata dall’utenza; di qui la “illegittimità dei tetti di spesa invalicabili” determinati dall’Azienda “senza la previsione di un sistema di prestazioni che l’utenza avrebbe potuto richiedere alle strutture accreditate, in esubero ai tetti di spesa prefissati”.

Al riguardo, si è già detto che la libertà di scelta non può che trovare limite nella programmazione regionale e nell’organizzazione dei servizi del sistema sanitario regionale, ossia anche nella fissazione dei tetti di spesa per singola struttura, quale elemento essenziale di programmazione a sua volta subordinato, tra l’altro, alle capacità erogative delle strutture pubbliche.

In merito al principio di equiordinazione tra strutture pubbliche e private, questo Consiglio di Stato ha già espresso l’avviso, da cui il Collegio non ha motivo di dissentire, che esso “opera non con riferimento alle fonti di finanziamento complessivo delle strutture del settore sanitario ma solo in relazione ai criteri e modalità di remunerazione a tariffa delle prestazioni rese sulla base di appositi accordi contrattuali; per cui non coinvolge il finanziamento delle aziende pubbliche costituenti presidi ospedalieri a diretta gestione dell’ASL di appartenenza” (cfr. Cons. St., sez. V, 12 settembre 209 n. 3789, nonché Corte cost., n. 111/2005, ivi cit.).

Infine, quanto alla pretesa assenza di sistema di remunerazione delle prestazioni eccedenti il tetto, gli stessi appellanti espongono che la deliberazione regionale n. 1366/2004 prevede la “riconoscibilità dei costi marginali nella misura del 30% delle tariffe e comunque entro il 50 % del valore delle prestazioni abbattute dell’ultima regressione tariffaria, per le prestazioni erogate in eccedenza al tetto invalicabile”; ed in tal senso ha disposto pedissequamente la deliberazione aziendale n. 746/2004.

10.- In conclusione, l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata, ancorché con le integrazioni e modificazioni motivazionali di cui innanzi. Tuttavia, la complessità e la risalenza della controversia consigliano la compensazione tra le parti presenti delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore

Hadrian Simonetti, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/01/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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