Thursday 23 June 2022 14:33:53
Giurisprudenza Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali
segnalazione del Prof. avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 23.06.2022
La regola ex art. 2, co. 9-quinquies della l. 241/1990 imponendo per i provvedimenti rilasciati in ritardo su istanza di parte l’espressa indicazione del «…termine previsto dalla legge o dai regolamenti e quello effettivamente impiegato …» per provvedere, serve non solo per far constare in modo immediato (e certificato dalla stessa P.A. procedente) lo scostamento tra termine finale e tempo effettivamente usato per rispondere alle istanze dei privati, ma anche per la conseguente repressione del silenzio-inadempimento nella sua dimensione di diritto sostanziale, nel senso, cioè, di violazione del dovere di concludere, con un provvedimento determinato (e non certo con una risposta purchessia, ma assicurando la legalità di risultato) un procedimento avviato su istanza di parte, qual declinazione del principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.);
– la repressione del silenzio si connette altresì ai rimedi sostitutivi di cui al precedente co. 9-ter, pur essi destinati ad assicurare la legalità e del procedere e del rendere il risultato chiesto e sperato dal privato, sicché, a fronte della precisa domanda di questi (specie se a termini di conclusione del procedimento abbondantemente scaduti), v’è pure il chiaro obbligo del responsabile o dell’unità organizzativa di provvedere d’ufficio, quindi senza ulteriore indugio o attesa della condanna da parte di questo Giudice, o a deliberare la fondatezza e, quindi, a statuire sulle due diffide attoree o, in quanto P.A. competente sulla vigilanza urbanistica ed edilizia, a valutarne l’eventuale erroneità in fatto e/o inconsistenza in diritto;
– ha infine ragione l’appellante a separare la questione dell’eventuale decadenza, atto dovuto, dalla CE n. 9/2004 dalle vicende sull’invocata decadenza, atto parimenti obbligato a causa dell’illecito ottenimento di benefici in base a dichiarazione mendace o non veritiera, da detti benefici conseguiti ai sensi degli artt. 71 e 75 del DPR 445/2000, giustamente predicata come effetto ben diverso ed ulteriore rispetto alla decadenza ex art. 15 del DPR 380/2001, avanzata pure in forza della sentenza dell’AGO n 173/2020;
– invero, la prima invocata decadenza è un caso precipuo d’autotutela doverosa (cfr. di recente quel che ha detto la Sezione: cfr. Cons. St., VI, 31 dicembre 2019 n. 8920), secondo cui è ben ferma in giurisprudenza, per i più vari casi d'esercizio d'una funzione amministrativa ampliativa delle facoltà giuridiche del privato e connessa ad autodichiarazioni rese da quest'ultimo, la regola secondo cui, in base all'art. 75 del DPR 445/2000, la falsità di quanto descritto nella dichiarazione sostitutiva di per sé implica la decadenza dai benefici ottenuti con il provvedimento conseguente a tal dichiarazione, senza che tal norma, per la cui applicazione si prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante (rispetto alla quale sono irrilevanti le giustificazioni addotte e, addirittura, l'accertamento di siffatta falsità degli atti in forza d'una sentenza penale definitiva di condanna), lasci alcun margine di discrezionalità alla P.A.;
– altra cosa è l’istanza di annullamento in autotutela della CE n. 9/2014, in quanto, al di là dei casi specifici e di stretta interpretazione indicati nell’art. 15, co. 2, II per. del DPR 380/2001 per cui può esser dichiarata la decadenza dal titolo edilizio, alla sola decadenza non è possibile far seguire la conformazione a legge di quanto eseguito;
– per contro, in tutti gli altri casi, foss’anche di opere difformi dal titolo e tali da invadere l’altrui proprietà, non si versa che in un caso d’illegittimità del titolo edilizio, che segue il principio, ancora da ultimo ribadito (cfr. Cons. St., VI, 9 marzo 2022 n. 1687) da ferma giurisprudenza;
– pertanto, in termini strettamente tecnico-giuridici, rientra nella discrezionalità della P.A. la scelta di ritornare su affari già definiti, ché, in una prospettiva logico-sistematica, in senso contrario militano evidenti ragioni di necessaria salvaguardia dei principi d’efficacia ed economicità dell'azione amministrativa posti dall’art. 1 della l. 241/1990, necessaria e ineludibile declinazione del supremo principio costituzionale di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), onde è obbligo del Comune intimato di valutare gli effetti del giudicato dell’AGO sull’esistenza attuale della citata CE n. 9/2014;.(…)”
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