Monday 30 April 2012 16:16:21
Giurisprudenza Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa
Consiglio di Stato
Nel giudizio in esame il ricorrente, dipendente comunale con qualifica di collaboratore (IV livello) ha impugnato la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso diretto all’annullamento della deliberazione della Giunta comunale con la quale veniva respinta l’istanza di corresponsione di differenze retributive in relazione allo svolgimento dal 1983 di mansioni proprie della qualifica di VI livello, nonché per l’accertamento del relativo diritto. Il Consiglio di Stato ha affermato che come più volte ribadito da questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, VI, n. 2365 del 2010; 3 febbraio 2011 n. 758), in difetto di espresse previsioni normative che consentano l’utilizzo del dipendente in posizione diversa da quella formalmente rivestita ed attribuiscano a questa destinazione effetti modificativi del suo status di dipendente, vige il principio di irrilevanza delle mansioni superiori svolte in via di fatto, agli effetti sia dell’inquadramento che della retribuzione. Ostano alla attribuzione di effetti giuridici alla destinazione in via di mero fatto diversi elementi: il carattere rigido delle dotazioni di organico delle amministrazioni e i relativi flussi di spesa; l’assenza di un potere del preposto al vertice dell’ufficio di gestire in via autonoma la posizione di status dei dipendenti e il relativo trattamento economico;la garanzia della parità di trattamento di tutti i soggetti che operano nella struttura organizzativa e che possano aspirare di accedere alle mansioni di qualifica superiore in condizioni di parità, trasparenza e non discriminazione. Il quadro normativo delineatosi con l’emanazione dell’art. del d.lgs. n. 29 del 1993 è stato più volte oggetto di esame da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. La norma, infatti, ha previsto la retribuzione dello svolgimento delle mansioni superiori, rinviandone tuttavia l’attuazione alla nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza ivi stabilita, disponendo altresì che “fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore” (art. 56, comma 6). Le parole “a differenze retributive” sono state poi abrogate dall’art. 15 d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, ma “con effetto dalla sua entrata in vigore” (Cons. Stato, ad. plen., n. 22 del 1999), con la conseguenza che l’innovazione legislativa spiega effetto a partire dall’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo n. 387 e cioè dal 22 novembre 1998. E’ stato però esplicitamente affermato che il diritto al trattamento economico per l’ esercizio di mansioni superiori ha la sua disciplina in una disposizione (art. 15 d.lgs. n. 387 del 1998) avente carattere innovativo, e non meramente interpretativo della disciplina previgente, per cui il riconoscimento legislativo “non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse” (Cons. Stato, ad. plen., n. 11 del 2000 e n. 3 del 2006). L’appellante, tuttavia, invoca gli orientamenti assunti in materia dalla Corte Costituzionale, cui la questione è stata rinviata anche nel corso del giudizio di primo grado, per dedurne che l’orientamento dell’Adunanza Plenaria, sopra ricordato, dovrebbe considerarsi superato a sostituito da principi favorevoli all’accoglimento della domanda. La tesi non può essere condivisa, perché i pronunciamenti del giudice delle leggi si sono risolti nella affermazione della conformità alla costituzione di interventi del legislatore che accolgano il principio della retribuzione delle prestazioni corrispondenti ad una qualifica superiore, ma non hanno mai direttamente disposto l’annullamento di precisi precetti normativi. Il Collegio non ignora che, anche in tempi non lontani, il diritto ad una retribuzione corrispondente alle mansioni svolte in via di fatto sia stato riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, in presenza di determinati presupposti (vacanza del posto in organico, atto formale di incarico adottato dall’autorità competente, esercizio effettivo di mansioni superiori). Tale orientamento, tutt’altro che univoco, non potrebbe ormai essere ulteriormente condiviso una volta che il quadro normativo sia stato chiarito e consolidato con le ricordate sentenze dell’Adunanza Plenaria, e tenuto anche conto della vincolatività di tali pronunce ai sensi dell’art. 99, comma 3, del c.p.a. Va però soggiunto, che, anche con riferimento al pregresso indirizzo giurisprudenziale, cui si è fatto cenno, l’appello non avrebbe potuto essere accolto, dovendosi condividere l’avviso dei primi giudici circa il difetto di un atto di incarico emesso dall’autorità competente a modificare le mansioni spettanti in forza del provvedimento di inquadramento. I ripetuti riconoscimenti dell’utilità delle mansioni superiori svolte e della volontà della Amministrazione, nel senso della prosecuzione di tale prestazione, non sono idonei a costituire il diritto al relativo compenso, in quanto mere prese d’atto successive non rilevanti.
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