Thursday 17 September 2015 17:12:20
Giurisprudenza Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 11.9.2015 n. 4251
Le informative prefettizie in materia di lotta antimafia possono essere fondate su fatti e vicende aventi valore sintomatico ed indiziario e mirano alla prevenzione di infiltrazioni mafiose e criminali nel tessuto economico imprenditoriale. È questo il principio sancito dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 11 settembre 2015 n. 4251 nella quale si chiarisce come "L'informativa antimafia deve, quindi, fondarsi su di un quadro fattuale di elementi, che, pur non dovendo assurgere necessariamente a livello di prova (anche indiretta), siano tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l'"id quod plerumque accidit", l'esistenza di elementi, che, secondo il prudente apprezzamento del Prefetto, sconsigliano l'instaurazione di un rapporto con la p.a. (Consiglio Stato sez. VI, 29 febbraio 2008, n. 756). Il giudizio del Prefetto è quindi connotato da un margine di apprezzamento riservato, che il giudice amministrativo può sindacare solo nei casi limite in cui il giudizio relativo al pericolo di infiltrazione si basi su mere congetture o sospetti; e tali non possono certo considerarsi i fatti che hanno portato a vere e proprie imputazioni penali, aventi nel caso di specie indubbio carattere sintomatico ed indiziario del pericolo stesso in senso oggettivo, al di là dell'individuazione, tuttora di là da venire, di precise responsabilità penali (C.d.S., sez. IV, 13 ottobre 2003, n. 6187; 25 luglio 2001, n. 4065; sez. VI, 29 ottobre 2004, n. 4065; C.d.S. IV, 02 ottobre 2006, n. 5753). Quanto, poi, alla pretesa irrilevanza del vincolo di parentela intercorrente tra il soggetto gravato da tali imputazioni e due dei tre socii ( moglie e figlio, quest’ultimo anche nominato amministratore unico contestualmente alla acquisizione delle quote ) della società di cui si tratta, se deve qui ribadirsi che questi, in sé considerati, non possono essere ritenuti idonei a supportare autonomamente una informativa prefettizia antimafia negativa ( ma assumono rilievo qualora emerga un intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell'oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l'infiltrazione mafiosa nell'impresa considerata: C.G.A. Reg. Sicilia Sez. giurisdizionale, n. 227 del 29 febbraio 2012 ), rivela qui portata dirimente il fatto che il soggetto “a rischio” si è “defilato” dalla compagine sociale ( quale socio e procuratore speciale ), con una cessione di quote in favore di soggetti inseriti nello stesso ristretto contesto familiare, a ridosso della emanazione dell’interdittiva del gennaio 2013 ( e precisamente circa un mese prima, pendente il procedimento di accertamento antimafia attivato su richiesta di Rete Ferroviaria Italiana ) e per di più con un negozio di donazione; elementi, questi, che, unitamente alla giovane età ( 22 anni ) del figlio convivente assurto al ruolo di socio e per circa undici mesi anche di amministratore, convergono tutti nel delineare la finalità elusiva dei controlli previsti dalla legislazione antimafia della fuoruscita dalla società di detto soggetto, correttamente pertanto in tal senso sottolineata dall’impugnata ultima nota informativa".
N. 04251/2015REG.PROV.COLL.
N. 00434/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 434 del 2015, proposto da:
- -OMISSIS-
in persona del legale rappresentante p.t.;
- -OMISSIS-,
rappresentati e difesi dagli avv.ti Anselmo Torchia ed Angelo Clarizia ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Roma, viale SS. Pietro e Paolo, 21,
contro
- la Prefettura di Reggio Calabria – Ufficio Territoriale del Governo,
in persona del Prefetto p.t.;
- il Ministero dell’Interno,
in persona del Ministro p.t.,
costituitisi in giudizio, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli ufficii della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00751/2014, resa tra le parti, concernente risoluzione contratti a seguito di interdittiva antimafia.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l'art. 52, commi 1 e 2, del D. Lgs. 30.06.2003, n. 196;
Data per letta, alla pubblica udienza del 16 luglio 2015, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa udienza, l’avv. Anselmo Torchia ed Angelo Clarizia per gli appellanti e l’avv. Chiarina Aiello dello Stato per gli appellati;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, integrato da successivi tre atti di motivi aggiunti, gli odierni appellanti ( rispettivamente società di produzione e/o lavorazione di materiale ferroso per conto terzi nonché di trasporto di merci su strada per conto terzi ed ex socio e procuratore speciale della società stessa ) chiedevano l’annullamento:
- quanto al ricorso originario ( n. 39 del 2013 )
- a) della Nota Prot. n. 1522 del 9.01.2013 informativa prefettizia antimafia negativa della Prefettura di Reggio Calabria, conosciuta a seguito della nota n. RFI – DPR- APL|A0011|P|2013|0000020 comunicata da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. con racc. a/r del 17.01.2013 e della nota n. RFI – DPR- APL|A0011|P|2013|0000019, comunicata da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a con racc. a/e del 17.01.2013 nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ancorché lesivo per i ricorrenti;
- b) della Nota n. RFI – DPR- APL|A0011|P|2013|0000020 comunicata da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. con racc. a/r del 17.01.2013;
- c) della Nota n. RFI – DPR- APL|a0011|P|2013|0000019, comunicata da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. con racc. a/r del 17.01.2013;
- quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato il 6.3.2013,
- d) della Nota n. RFI - DPR- APL / a0011/P/2013/0000020 comunicata da Rete Ferroviaria ltaliana s.p.a. con racc. a/r del 17.01.2013;
- e) della Nota n. RFI - DPR- APL / a0011/P/2013/0000019 , comunicata da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a con racc. a/r del 17.1.2013;
- f) della comunicazione da parte della RFI a firma dell'Ing, -OMISSIS- del 22/2/2013 RFI DPR- APL/A00011/P/2013/0000260, anticipata a mezzo fax il giorno 22/02/2013, con la quale si rappresenta che la RFI, allo stato, è impossibilitata a ripristinare i rapporti contrattuali con l'-OMISSIS- S.r.l.;
- quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato il 16.5.2013,
-g) della comunicazione della Prefettura di Reggio Calabria depositata nel fascicolo del TAR in data 03.05.2013 protocollo 2013001856 e comunicata dalla Prefettura all'Avvocatura in data 22.4.2013-15043 A/CT 189/2013 nonchè della sottesa nota della Questura di Reggio Calabria del 13.04.2013, depositata dall'Avvocatura nel fascicolo del TAR in data 3.5.2013 /protocollo 2013001856 e comunicata dalla Prefettura all'Avvocatura in data 22.4.2013 -15043 A/CT 189/ 2013 ;
di ogni atto presupposto, consequenziale o comunque connesso, ivi compreso l'eventuale provvedimento di aggiudicazione effettuato in favore di altri operatori economici;.
quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 17 aprile 2013 ( originariamente stralciato dal giudizio principale con attribuzione del n. R.G. 291 del 2013 ):
- h) della Nota n. RFI – DPR- DTP- PA GOT|A0011|P|2013|0001089, comunicata da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a - Dipartimento Territoriale di Produzione con racc. a/r del 5.04.2013, di ogni atto presupposto, consequenziale o comunque connesso, ivi compreso l’eventuale provvedimento di aggiudicazione effettuato in favore di altri operatori economici.
Chiedevano altresì l’accertamento del diritto al risarcimento del danno subito, come specificato in atti, con relativa condanna degli enti intimati al pagamento del dovuto a favore dei ricorrenti medesimi.
Il T.A.R., con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso, con riguardo sia alle domande di annullamento formulate dai ricorrenti che alla domanda di risarcimento danni avanzata.
Con ricorso in appello notificato il 12 gennaio 2015 alla Prefettura di Reggio Calabria ed al Ministero dell’Interno e depositato il 20 gennaio 2015 gli originarii ricorrenti hanno contestato argomentazioni e statuizioni della sentenza di primo grado, deducendo:
Error in procedendo ed error in iudicando – Violazione e/o falsa applicazione del D. lgs. 104/2010 - Violazione e/o falsa applicazione del D. lgs. n. 159/2011 – Difetto di motivazione per contraddittorietà, illogicità, incongruità per omissione e per genericità – Travisamento – Difetto di istruttoria – Irragionevolezza ed ingiustizia manifesta;
1. Error in procedendo ed error in iudicando – Violazione e/o falsa applicazione del D. lgs. 104/2010 - Violazione e/o falsa applicazione del D. lgs. n. 159/2011 – Violazione art. 3 L. 241/1990 – Difetto di motivazione per genericità - Difetto di istruttoria – Assenza del nesso di causalità;
Violazione e falsa applicazione del D. lgs. n. 159/2011 e degli artt. 2727 e 2729 c.c. – Eccesso di potere per arbitrarietà - Difetto di istruttoria – Illogicità – Sviamento e ingiustizia manifesta.
Si sono costituiti il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria, che, con successiva memoria in data 6 febbraio 2015, hanno controdedotto in rito ( eccependo l’inammissibilità dell’appello per non esser esso stato proposto nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana, parte nel giudizio di primo grado ) e nel merito ed hanno concluso chiedendo la reiezione dello stesso con vittoria di spese.
Con successive memorie, anche di replica, gli appellanti hanno ribadito le proprie censure alla sentenza impugnata.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 16 luglio 2015.
2. – Vanno, preliminarmente:
- stralciata dagli atti del giudizio la “memoria di replica” degli appellanti in data 22 giugno 2015, che, in mancanza di “nuove memorie depositate in vista dell’udienza” da parte degli appellati, deve qualificarsi come memoria ordinaria, oggetto di deposito tardivo, essendo decorso alla data del suo deposito il termine di trenta giorni liberi prima dell’udienza, fissato dall’art. 73, comma 1, c.p.a., con conseguente sua inammissibilità ( Cons. St., III, 19 dicembre 2011, n. 6638 ), fatta eccezione per quanto riguarda la nomina di nuovo difensore in esso contenuta;
- respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalle Amministrazioni resistenti sul rilievo della mancata impugnazione delle statuizioni della sentenza relative agli atti consequenziali adottati da Rete Ferroviaria Italiana sulla base della informativa prefettizia pure oggetto della domanda di annullamento azionata in primo grado e reiterata in appello, dal momento che trattasi di causa che deve considerarsi scindibile (stante la diversa ed autonoma portata ed incidenza lesiva degli atti in primo grado impugnati: l’informativa prefettizia e la revoca od il recesso dai contratti in corso conseguentemente disposti dall’Amministrazione interessata ex art. 11, commi 2 e 3, D.P.R. n. 252/1998), sì che la mancata impugnazione della sentenza di primo grado quanto alle statuizioni relative ai predetti atti consequenziali da un lato comporta ch’esse devono intendersi passate in giudicato, dall’altro vale a qualificare Rete Ferroviaria Italiana come parte non necessaria del giudizio d’appello proposto avverso i capi di sentenza reiettivi della domanda di annullamento dell’informativa, in quanto, ai sensi dell’art. 95 c.p.a., parte che non ha “interesse a contraddire” in proposito. Né la limitazione in grado di appello della domanda di annullamento alla sola informativa vale a connotare di elementi di novità ( e dunque di inammissibilità ), come pretenderebbero gli appellati, la domanda stessa, atteso che l’illegittimità derivata fatta valere in primo grado avverso gli atti consequenziali (censura poi abbandonata in appello) non esclude certo che l’interdittiva antimafia adottata ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998 sia stata impugnata per i suoi noti effetti direttamente ed autonomamente lesivi, nella misura in cui determina una situazione generalizzata di incapacità a contrarre nei confronti di qualsiasi Pubblica Amministrazione ( depone del resto in tal senso il carattere “impeditivo di qualunque attività” attribuito espressamente dai ricorrenti medesimi all’informativa stessa in sede di istanza di adozione di misure cautelari avanzata in primo grado in uno con la proposizione del ricorso );
- dichiarata l’inammissibilità del terzo e quarto motivo di appello, con i quali vengono dedotti vizii dell’informativa in alcun modo fatti valere in primo grado, in violazione del disposto dell’art. 104, comma 1, c.p.a. In particolare, quanto al terzo motivo, con il quale si lamenta la violazione del divieto di integrazione postuma della motivazione dell’originaria informativa ad opera della nota della Prefettura di Reggio Calabria – Area I – Prot. n. 0025248 in data 19 aprile 2013 e della nota della Questura di Reggio Calabria in data 13 aprile 2013, valga notare che dette note sono state impugnate in primo grado col terzo atto di motivi aggiunti, ivi censurandosi la “Nuova nota prefettizia” nei suoi dati e nel suo contenuto asseritamente “confermativo” e “riepilogativo” ( punti 1. e 4. della parte in “diritto” di detti motivi aggiunti ) e quanto alla “evidente discordanza tra la nota della Questura e quella della Prefettura” ( punto 3. della stessa parte ). Non v’è dunque traccia alcuna di qualsivoglia doglianza di illegittimità della c.d. motivazione “in progress” dell’atto amministrativo, che non può certo rientrare nell’alveo dell’oggetto del presente giudizio di appello sol perché ad essa fa riferimento, peraltro esclusivamente “in via generale”, la sentenza di primo grado: e ciò sia perché, mancando uno specifico motivo in tal senso nel predetto atto di motivi aggiunti, detta statuizione deve considerarsi un mero “obiter dictum” del tutto ininfluente ai fini delle conclusioni reiettive tratte dal giudice di prime cure; sia perché dette “nuove note” ( della Prefettura e della Questura ) assumono i tratti caratteristici di una conferma impropria ( in tal senso correttamente colti dai ricorrenti in primo grado ), costituendo tali determinazioni un giudizio sintetico della rinnovata ponderazione degli elementi indiziarii originarii alla luce delle allegazioni in giudizio della parte ricorrente, assunto nella doverosa osservanza delle disposizioni cautelari del giudice amministrativo di prime cure, ostative ad una mera reiterazione dell’interdittiva antimafia fatta oggetto di sospensione, in mancanza di valutazione dei nuovi elementi da essa apportati in sede di ricorso originario.
Viene dunque all’attenzione del Collegio ( con il primo e secondo motivo di appello, che per ragioni d’ordine logico méritano unitaria trattazione ) la sufficienza della motivazione recata dalla citata nota prefettizia del 19 aprile 2013, con la quale, sulla base della nota della locale Questura in data 13 aprile 2013, la Prefettura “conferma il giudizio espresso con il provvedimento datato 9.1.2013, circa la possibilità che l’attività imprenditoriale della società in argomento possa essere condizionata da soggetti legati ad organizzazioni criminose, considerate le numerose vicende giudiziarie di -OMISSIS- …”; motivazione, la cui sindacabilità è rimessa in relazione alla singola fattispecie alla prudente valutazione del giudice, che deve incentrare il suo sindacato sulla ragionevolezza della valutazione del quadro fattuale di elementi a sua disposizione posta in essere dal Prefetto per dedurne l’esistenza, con funzione spiccatamente cautelare e preventiva di contrasto della criminalità organizzata, di una specifica preclusione a contrarre con la pubblica amministrazione.
Orbene, le contestazioni specificamente rivolte contro gli elementi motivazionali di tali atti si palesano prive di fondamento.
Infatti, come sottolineato nella sentenza di primo grado, “le svariate vicende di penale rilevanza in cui è risultato implicato” l’ex socio e procuratore speciale della società ( nonché coniuge di uno dei socii e padre convivente di altro socio, che risulta ricoprire anche la carica di amministratore unico della stessa alla data di adozione dei provvedimenti oggetto del giudizio ) sono ad avviso del Collegio tali da concretizzare quel pericolo di infiltrazione mafiosa, che costituisce appunto il presupposto necessario e sufficiente per l'applicazione dell'interdittiva antimafia.
Anche a voler invero deprivare di qualsiasi rilevanza ( come sembra in particolare ritenere la citata nota della Questura, all’uopo risultando qui nel suo complesso del tutto irrilevante la successiva nota dello stesso Ufficio in data 21 luglio 2014, che risulta del tutto estranea agli atti oggetto del giudizio ed il cui contenuto asseritamente “favorevole e chiarificatore circa gli intervenuti approdi processuali” può semmai essere posto a base di una eventuale richiesta di aggiornamento dell’ésito dell’informativa ) la misura di prevenzione inizialmente applicata nei confronti di detto soggetto e poi revocata per mancanza di elementi idonei “a far ritenere che sussistano a carico del -OMISSIS- indizi di appartenenza al sodalizio criminale” ( sent. Corte di Appello di Reggio Calabria n. 21/09 ), in quanto dell’asserita perdurante significatività della misura stessa ( pur teoricamente sostenibile, in quanto il giudizio di pericolosità sociale posto a base delle misure di prevenzione ha àmbito e portata del tutto diversi da quello posto a base dell’interdittiva antimafia ) la Prefettura stessa non fornisce nel provvedimento impugnato alcuna motivazione, resta il dato ineludibile, correttamente evidenziato dal T.A.R. sulla base delle risultanze della nota della Questura in data 13 aprile 2013, della pendenza di tre procedimenti penali:
- n. 00200 proveniente dalla locale Procura della Repubblica DDA con il n. 3074/01 per i reati di cui agli artt. 629 cp e art. 7 L. 203/91 e 110 c.p.;
- n. 599/06 per i reati di cui agli artt. 416 c.p., art. 12 L. 356/92 e 368 c.p.;
- n. 3254/11 per i reati di cui agli artt. 648 – 81 – 110 e 99 comma 1 c.p.
Trattasi di elementi certamente dotati del necessario requisito della adeguatezza e pregnanza ai fini de quibus, e dunque idonei ad evidenziare la sussistenza di una situazione tale da rendere probabile il pericolo di infiltrazione, se sol si consideri che la prima delle tre fattispecie oggetto di accertamento in corso da parte dell’Autorità giudiziaria penale è caratterizzata dalla contestazione dell'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91 (pur sempre rilevante ex art. 10, co. 7, lett. a), del D.P.R. n. 252/1998, il quale menziona anche i delitti ricompresi nell'art. 51 co. 3 bis c.p.p., cioè commessi al fine di agevolare un'associazione mafiosa) e la terza, quella più recente, che ha portato anche all’emanazione di un’ordinanza di custodia cautelare poi annullata per insussistenza dei presupposti ma senza che la posizione di imputato dell’interessato nel procedimento penale sia venuta meno, attiene a reati di ricettazione in un settore ( quale quello del riciclo di materiali ferrosi ) di sicuro interesse per la criminalità organizzata di stampo mafioso.
Peraltro, se si tiene conto del fatto che per giurisprudenza costante i varii episodi di cui si compone il quadro indiziario che sta alla base della informativa possono anche non assumere rilevanza se partitamente considerati ma essere illuminanti se guardati alla luce del complessivo coacervo degli elementi raccolti, in quest'ottica anche fatti risalenti ( come quelli di cui al citato procedimento penale del 2001 ), ove considerati in uno con gli ulteriori procedimenti sopravvenuti ( ed in particolare con quello più recente del 2011 ) possono congruamente far presumere il permanere di una contiguità ( che non significa necessariamente sodalizio ) fra questi e gli ambienti malavitosi di stampo mafioso, dalla quale la Prefettura ha pertanto correttamente desunto, senza che ne risulti alcun contrasto rispetto ai sottostanti accertamenti istruttorii posti in essere dalla Questura, la sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa.
In proposito occorre rammentare che le informative prefettizie in materia di lotta antimafia possono essere fondate su fatti e vicende aventi valore sintomatico ed indiziario e mirano alla prevenzione di infiltrazioni mafiose e criminali nel tessuto economico imprenditoriale.
L'informativa antimafia deve, quindi, fondarsi su di un quadro fattuale di elementi, che, pur non dovendo assurgere necessariamente a livello di prova (anche indiretta), siano tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l'"id quod plerumque accidit", l'esistenza di elementi, che, secondo il prudente apprezzamento del Prefetto, sconsigliano l'instaurazione di un rapporto con la p.a. (Consiglio Stato sez. VI, 29 febbraio 2008, n. 756).
Il giudizio del Prefetto è quindi connotato da un margine di apprezzamento riservato, che il giudice amministrativo può sindacare solo nei casi limite in cui il giudizio relativo al pericolo di infiltrazione si basi su mere congetture o sospetti; e tali non possono certo considerarsi i fatti che hanno portato a vere e proprie imputazioni penali, aventi nel caso di specie indubbio carattere sintomatico ed indiziario del pericolo stesso in senso oggettivo, al di là dell'individuazione, tuttora di là da venire, di precise responsabilità penali (C.d.S., sez. IV, 13 ottobre 2003, n. 6187; 25 luglio 2001, n. 4065; sez. VI, 29 ottobre 2004, n. 4065; C.d.S. IV, 02 ottobre 2006, n. 5753).
Quanto, poi, alla pretesa irrilevanza del vincolo di parentela intercorrente tra il soggetto gravato da tali imputazioni e due dei tre socii ( moglie e figlio, quest’ultimo anche nominato amministratore unico contestualmente alla acquisizione delle quote ) della società di cui si tratta, se deve qui ribadirsi che questi, in sé considerati, non possono essere ritenuti idonei a supportare autonomamente una informativa prefettizia antimafia negativa ( ma assumono rilievo qualora emerga un intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell'oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l'infiltrazione mafiosa nell'impresa considerata: C.G.A. Reg. Sicilia Sez. giurisdizionale, n. 227 del 29 febbraio 2012 ), rivela qui portata dirimente il fatto che il soggetto “a rischio” si è “defilato” dalla compagine sociale ( quale socio e procuratore speciale ), con una cessione di quote in favore di soggetti inseriti nello stesso ristretto contesto familiare, a ridosso della emanazione dell’interdittiva del gennaio 2013 ( e precisamente circa un mese prima, pendente il procedimento di accertamento antimafia attivato su richiesta di Rete Ferroviaria Italiana ) e per di più con un negozio di donazione; elementi, questi, che, unitamente alla giovane età ( 22 anni ) del figlio convivente assurto al ruolo di socio e per circa undici mesi anche di amministratore, convergono tutti nel delineare la finalità elusiva dei controlli previsti dalla legislazione antimafia della fuoruscita dalla società di detto soggetto, correttamente pertanto in tal senso sottolineata dall’impugnata ultima nota informativa.
3. - In definitiva, gli accertamenti posti a base dell'informativa oggetto del giudizio delineano un quadro indiziario sufficientemente preciso e concordante ed assumono connotazione di indubbia gravità, così da giustificare la formulazione di un giudizio di controindicazione ai fini antimafia e cioè un congruo giudizio di possibilità che l'attività imprenditoriale della società odierna appellante possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata.
4. - In conclusione, resistendo la sentenza impugnata a tutte le censure prospettate, l’appello deve essere respinto siccome infondato, con conseguente conferma della sentenza stessa.
Sussistono, peraltro, giusti e particolari motivi, in virtù della delicatezza della vicenda contenziosa, per disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, fatto salvo il contributo unificato, che resta a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi degli appellanti, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 16 luglio 2015, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Dante D'Alessio, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2015
IL SEGRETARIO
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