Monday 24 February 2014 14:58:28
Giurisprudenza Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
In linea generale e in punto di diritto, la responsabilità precontrattuale consiste nella violazione del dovere di buona fede e correttezza durante la fase delle trattative (art. 1337 c.c.), ormai ritenuto pacificamente applicabile anche alla Pubblica Amministrazione. Costituisce violazione della buona fede il c.d. recesso ingiustificato, che si configura quando chi ha creato nella controparte un legittimo affidamento in ordine alla conclusione del contrato recede, anche incolpevolmente, provocando un danno. Integra gli estremi della responsabilità precontrattuale altresì la situazione in cui una parte, conoscendo o dovendo conoscere la esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra, che confidava nella sua validità (art. 1338 c.c.) Altra ipotesi in cui si ravvisa fattispecie di responsabilità precontrattuale (sottoposta alla Adunanza Plenaria n.920 del 7 marzo 2005) è quella in cui incorre la stazione appaltante che, indetta la gara e avvedutasi successivamente di motivi negativi (sopravvenuta carenza di fondi) prosegua nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l’aggiudicazione. Il danno, in tal caso, si è detto, non è causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela (annullamento, revoca o ritiro che sia), ma trova la sua causa nella condotta omissiva tenuta dall’amministrazione nella gestione della gara. La revoca degli atti di gara è stata disposta dalla stazione appaltante nell’esercizio dei poteri di autotutela e sotto tale profilo l’appellante non contesta la legittimità della revoca. Ha chiarito la giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 15 marzo 2012, n.1440) che in caso di revoca legittima degli atti della procedura di gara può sussistere una responsabilità precontrattuale della P.A. nella ipotesi di affidamenti suscitati nell’impresa dagli atti della procedura ad evidenza pubblica poi rimossi, in quanto l’impresa può aver confidato sulla possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso di aggiudicazione intervenuta e poi revocata, sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso. E’ quindi ammessa – e anzi è proprio il caso di scuola – la responsabilità precontrattuale della parte pubblica nel caso in cui la interruzione della procedura di gara sia stata ritenuta legittima e anzi doverosa per sopravvenuta valutazione dell’interesse pubblico (per esempio, sopravvenuta mancanza di finanziamenti). In tali ipotesi (così Cons. Stato, V, 7 settembre 2009, n.5245) ai fini della responsabilità precontrattuale non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nell’ultimo provvedimento amministrativo, ma della correttezza del contegno tenuto dall’ente pubblico durante la fase delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti contraenti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c., tanto è vero che l’art. 1337 è invocabile anche quando vi sia stata la stipulazione del contratto. Con particolare riferimento alle procedure di evidenza pubblica, tale responsabilità può configurarsi sia in presenza del preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale sia in caso dell’assodato presupposto della loro validità ed efficacia e in particolare: a) in caso di revoca della indizione e della aggiudicazione per esigenze di ampia revisione del progetto disposta dopo vari anni dopo l’espletamento della gara; b) per impossibilità di realizzare l’opera per mutate condizioni dell’intervento; c) nel caso di annullamento di ufficio degli atti di gara per vizio rilevato dall’amministrazione solo successivamente alla aggiudicazione definitiva o che avrebbe dovuto rilevare all’inizio della procedura; d) nel caso di revoca dell’aggiudicazione o rifiuto di stipulare il contratto per mancanza di fondi. In tutti tali casi, se la diversa valutazione dell’interesse pubblico è stata dovuta a carenze gestionali o di attenzione sin dall’inizio della indizione della procedura di gara, sussistono gli estremi della responsabilità precontrattuale. In punto di fatto, nella fattispecie esaminata, la revoca, piuttosto che annullamento, della aggiudicazione (delle aggiudicazioni) è stata disposta per due sostanziali ragioni, che secondo il primo giudice, sarebbero ampiamente condivisibili elidendo possibili responsabilità: lo schema di contratto che prevedeva due separate localizzazioni del sistema impiantistico non realizzava economie di scala, determinando a carico dei Comuni non sostenibili oneri economici; a valle della procedura selettiva i Comuni interessati avevano manifestato la loro assoluta indisponibilità alla localizzazione dell’intervento sul loro territorio. Il Collegio, ritenendo tali ragioni ampiamente prevedibili secondo la ordinaria diligenza, osserva che è pacifica la responsabilità della pubblica amministrazione in caso di evidente negligenza nella progettazione dell’opera da eseguire. Sotto il profilo della colpa evincibile in generale secondo la definizione dell’art. 43 codice penale, definizione che il codice civile presuppone e indirettamente richiama, in tema di responsabilità civile della p.a. nell'esecuzione di un'opera pubblica, ad escludere l'antigiuridicità del fatto e la colpa dell' amministrazione per i danni arrecati a terzi non basta la circostanza che quest'ultima abbia seguito correttamente il complesso iter tecnico-amministrativo previsto dalla legge per l'esecuzione dell'opera pubblica, poiché l'esito favorevole dei vari controlli non esime la p.a. dal dovere di seguire anche le regole tecniche e di comune prudenza e diligenza allo scopo di non ledere l'incolumità e il patrimonio di alcuno. Essendo questi i principi applicabili al caso di specie, non può non concludersi che, per una amministrazione diligente, la mancata considerazione iniziale delle diseconomie di scala a causa delle due separate localizzazioni e il mancato previo coinvolgimento (se non addirittura il previo assenso) dei Comuni interessati, costituiscono gravi negligenze rispetto al dovere di diligenza professionale (arg. ex art. 2236 c.c.) applicabile anche all’attività della pubblica amministrazione. Tali negligenze sono attribuibili a evidenti carenze progettuali e professionali riconducibili al momento della formazione della volontà contrattuale iniziale all’interno dell’amministrazione. E’ evidente che le ragioni del ripensamento sono state poi giustificate dall’amministrazione con la sopravvenuta insorgenza di tali problematiche, che potevano anche essere nel tempo superate, ma è altresì evidente che esse erano ampiamente ex antea prevedibili, secondo il metro della ordinaria diligenza amministrativa. Sussistono pertanto gli estremi della colpa o negligenza quale elemento soggettivo. Con riguardo alla quantificazione del danno risarcibile, è costante l’orientamento per cui in caso di responsabilità precontrattuale spetta il solo interesse negativo, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative (non alla lesione del contratto); il danno risarcibile è quindi unicamente quello consistente nella perdita derivata dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (interesse negativo). La differenza in negativo del patrimonio attiene all’interesse a non essere coinvolti in trattative inutili e dispendiose, non già all’interesse alla positiva esecuzione dei doveri contrattuali. Come chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (3380 del 2008) nella sua più autorevole espressione, dopo la “ legittima” revoca dell’aggiudicazione può residuare lo spazio per il risarcimento dei danni precontrattuali conseguenti alla lesione dell’affidamento ingenerato nell’impresa vittoriosa in seno alla procedura di evidenza pubblica poi rimossa ( cfr. Ap. n. 6 del 2005). Perchè sussista una tale responsabilità precontrattuale occorre però, da un lato, che il comportamento tenuto dalla P.A. risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 del cod. civ.; dall’altro, che lo stesso comportamento abbia ingenerato un danno del quale appunto viene chiesto il ristoro. Peraltro, come è regola nel caso della responsabilità precontrattuale, delimitando il quantum, il risarcimento riguarda il solo interesse negativo (spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali), mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla specifica gara d'appalto revocata. Inoltre, la regola generale dell'onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la pretesa avanzata, trova infatti integrale applicazione nel giudizio risarcitorio, nel quale non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato che giustifica nel giudizio di legittimità l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo. In caso di responsabilità precontrattuale, il danno va risarcito nei limiti dell'interesse negativo, che include soltanto le spese sostenute per la partecipazione alla gara ed, eventualmente, la perdita della cd. chance contrattuale alternativa. Non meritano, quindi, risarcimento le voci che fanno riferimento all'interesse cd. positivo (l'interesse all'esecuzione dell'appalto), che attengono, appunto, alle utilità e ai vantaggi che sarebbero derivati dall'esecuzione del contratto. Tra tali voci di danno non risarcibile vi è quella relativa al cd. danno curriculare, preteso dall’appellante. Non spetta il preteso danno curriculare, in quanto nell'ambito della responsabilità precontrattuale, esso non attiene all'interesse negativo, ma più propriamente all'interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell'appalto, non dall'inutilità della trattativa. Il cd. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del "curriculum" professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto. La responsabilità precontrattuale della p.a. non è responsabilità da provvedimento, ma da comportamento, e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative, in quanto l'art. 1337 c.c. pone in capo alla p.a. obblighi analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali. Il danno derivante dalla violazione di tali regole è limitato al cd. interesse contrattuale negativo , consistente nel ristoro delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e di una percentuale equitativa delle spese generali di impresa, e nel ristoro per la perdita - adeguatamente documentata - di altre favorevoli occasioni contrattuali, con esclusione del danno cd. curriculare. Al fine della dimostrazione del danno da perdita di chance, è necessario e sufficiente che la parte documenti la rinuncia a diverse proposte contrattuali, accettate da altre ditte, senza dar conto di una struttura di impresa tale da impedire di essere contemporaneamente impegnata su più fronti, in quanto la scelta di non impegnarsi su più cantieri esprime un uso lineare e corretto della diligenza imprenditoriale. Nei casi di responsabilità precontrattuale propriamente detti, ciò che il privato lamenta non è la mancata aggiudicazione, ma la lesione della sua corretta autodeterminazione negoziale. Nell'ambito della responsabilità precontrattuale , il c.d. danno curriculare non è risarcibile, perché non attiene all' interesse negativo ma, più propriamente, all' interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell'appalto, non dall'inutilità della trattativa. Il c.d. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto. Con riguardo alla quantificazione del danno la parte appellante pretende le seguenti voci di danno: 1) la partecipazione alle due gare per costi vivi è costata euro 42.530,00 per asseverazioni, relazioni idrogeologiche, di impatto ambientale, stampe, progetti, cartografie; 2) ulteriori costi per euro 37.562,14 per relazione di impatto acustico, spese notarili, progettazione, flottaggio e stampe, polizze fideiussorie, rilievo celerimetrico, relazione geologica, perizia e progettazione economica; 3) le spese sostenute a titolo di onorari per l’ing. Fernando Tramonte pari ad euro 336.072,97; per l’ing. Luigi Putignano pari ad euro 253.801,66; per l’ing. Carmine Carella, pari ad euro 368.253,02, per l’attività professionale di questi tre ingegneri per la predisposizione del progetto, tenendo conto che il valore dell’impianto, di natura complessa, è di circa venti milioni di euro; 4) per spese di giudizio amministrativo (per il giudizio che le ha consentito la riammissione in gara) sono documentate spese per euro 26.000, 00; 5) i costi della struttura aziendale (servizi generali, gestione dell’immobile sede della società e per gli ammortamenti) in funzione della gara poi annullata, costi ammontanti a euro 1.100.000,00; 6) il danno c.d. curriculare, per la misura del tre per cento del valore dell’appalto (e quindi 576.270,00 su euro 19.209.000,00). Con riguardo al danno curriculare, valgono le considerazioni sopra riportate sulla non dovutezza in caso di interesse contrattuale negativo. Sono certamente dovute le voci vive per la partecipazione alle due gare e quindi: circa 80.000 complessivi (42.530,00 e 37.562,14) per relazioni e altro. Non sono dovute le spese per i giudizi amministrativi, in quanto, per definizione, esse sono compensate dalla eventuale condanna alle spese di giudizio. In relazione a quanto preteso per la prestazione dei tre professionisti ingegneri, da un lato si ritiene di ridurre alla pretesa per un solo ingegnere responsabile del progetto e dall’altro lato, in assenza di contestazioni da parte dell’amministrazione, non può non riconoscersi quantomeno il minore degli importi professionali riferiti ad uno dei tre ingegneri (e per ciò euro 253.000,00 circa). Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale ****del 2013, proposto da:
Consorzio Cogeam, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 02482/2013, resa tra le parti, concernente risarcimento dei danni subiti a seguito dell'annullamento in autotutela della procedura concorsuale per il trattamento dei rifiuti urbani
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati PIetro Quinto e l'avvocato dello Stato Carlo Maria Pisano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tar Lazio l’attuale appellante agiva per responsabilità precontrattuale nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, derivante dallo scorretto comportamento culminato con la revoca di procedura di gara che la vedeva già come aggiudicataria e quindi in posizione consolidata.
Era avvenuto che con un primo decreto commissariale, n. 308 del 13 dicembre 2003, modificato con successivo decreto n. 24/CD del 17 febbraio 2004, era stato bandito il pubblico incanto per l’affidamento del servizio di gestione del sistema impiantistico complesso articolato in due lotti, Lesina e Vieste, ciascuno costituito da linea di biostabilizzazione, centro di selezione e discarica di servizio/soccorso, a servizio del bacino di utenza FG/1, con fondi a carico dell’aggiudicatario e cofinanziamento pubblico massimo di Euro 8.500.000,00, in attuazione del POR Puglia 2000-2006.
Nel termine stabilito pervenivano n. 3 offerte, tra cui quella dell’ATI COGEAM-Lombardi Ecologica.
La Commissione dichiarava la gara deserta, in conseguenza dell’esclusione della altre due partecipanti e dell’ATI COGEAM-Lombardi.
Quest’ultima, in particolare, attuale appellante, veniva esclusa perché “dall’esame della documentazione emergeva la mancanza degli elaborati tecnici relativi ai rilievi aereo fotogrammetrici in scala 1:2000 e 1:500 conformi a quanto previsto dall’art. 5 del CdO. Sono state peraltro rinvenute planimetrie in scala 1:2000 e 1:500 relative ad entrambi i siti che risultano comunque non conformi ai requisiti previsti dal CdO”.
Con decreto n. 310/CD del 14 dicembre 2004, il Commissario Delegato prendeva atto dell’operato della Commissione, confermava l’esclusione dell’ATI COGEAM e dichiarava la gara deserta.
Con successivo decreto n. 311 del 15 dicembre 2004, il Commissario Delegato provvedeva all’indizione di una nuova gara per l’aggiudicazione del medesimo servizio assegnando termine sino al 14 marzo 2005 per la presentazione delle offerte.
L’ATI COGEAM partecipava anche alla nuova procedura formulando una nuova offerta.
Con ricorso n. 248/05, l’ATI COGEAM adiva il TAR al fine di sentire annullare il provvedimento commissariale che decretava la propria esclusione dalla prima procedura concorsuale.
Dopo avere sospeso gli atti di gara, limitatamente alla indizione della nuova procedura, il TAR Bari, con sentenza n. 3409/2005, accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento di esclusione dell’ATI COGEAM.
Per effetto di tale pronuncia, la ricorrente risultava riammessa in gara ed unica partecipante.
Con provvedimento prot. N. 49/CD del 31 gennaio 2007 il Commissario Delegato revocava l’intera procedura concorsuale (sia la prima che la seconda gara).
Il suddetto annullamento o revoca veniva motivato sulla base sostanzialmente di due motivi:
l’assenza di economie di scala conseguente alla realizzazione del sistema impiantistico su due diversi siti;
la localizzazione degli impianti in siti per i quali non era stato acquisito il preventivo assenso da parte dei comuni contermini.
Il ricorrente deduceva in sostanza la sussistenza degli estremi per responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, con tesi invece ritenuta non fondata dal primo giudice, che ha ravvisato gli estremi per concludere che la revoca della gara era da ascrivere a mutate valutazioni di opportunità che in alcun modo risultano imputabili all’amministrazione.
Secondo il primo giudice, considerata la circostanza del sopraggiunto mutamento ambientale e territoriale nel quale risulta inserito il sito per il trattamento dei rifiuti urbani di cui all’odierno ricorso oltre che del mutato assetto valutativo in ordine alla ottimizzazione economica del servizio e della disponibilità delle Amministrazioni locali alla localizzazione del sistema impiantistico, non sussistono i presupposti di responsabilità precontrattuale e, in specie, l’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, né, del resto, l’ingiustizia del danno; così pure non è configurabile una violazione dei principi di correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c., nè la violazione delle regole di buona amministrazione.
La revoca, quindi, si è resa necessaria stante le specifiche ragioni che l'hanno determinata. Sono state infatti chiaramente indicate (e non risultano manifestamente irragionevoli) le ragioni di pubblico interesse (attuale e concreto) che hanno determinato l'adozione dell'atto di autotutela e che risultano prevalenti rispetto agli altri interessi militanti in favore della conservazione degli atti oggetto della revoca.
Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello lo stesso Consorzio Cogeam, deducendo quanto segue.
Con l’atto di appello si deduce quanto segue.
In punto di fatto la revoca della aggiudicazione (delle aggiudicazioni) è stata disposta per due sostanziali ragioni: lo schema di contratto che prevedeva due separate localizzazioni del sistema impiantistico non realizzava economie di scala, determinando a carico dei Comuni non sostenibili oneri economici; a valle della procedura selettiva i Comuni interessati avevano manifestato la loro assoluta indisponibilità alla localizzazione dell’intervento sul loro territorio.
Pertanto, è emerso che, in fatto, la stazione appaltante ha indetto la procedura selettiva senza verificare la convenienza economica dell’opera e senza provvedere al necessario coinvolgimento degli enti locali interessati; in entrambe le situazioni, si tratta di circostanze che impedivano in ogni caso una possibile aggiudicazione; non si è quindi trattato, come invece ritenuto dal primo giudice, di una normale, possibile e legittima rivisitazione successiva dell’interesse pubblico, ma di un comportamento gravemente colpevole e dannoso nei confronti del possibile contraente, evitabile con l’uso della normale diligenza, che sarebbe consistita nel compiere uno studio economico relativo al funzionamento dell’impianto posto come oggetto della gara e di acquistare il benestare di tutti i Comuni interessati all’intervento. L’appello richiama ampia giurisprudenza di questo Consesso e della magistratura amministrativa in tema di responsabilità precontrattuale.
Successivamente, quantifica il danno patrimoniale da interesse negativo, rappresentando che: la partecipazione alle due gare per costi vivi è costata euro 42.530,00 per asseverazioni, relazioni idrogeologiche, di impatto ambientale, stampe, progetti, cartografie; successivamente ha sostenuto ulteriori costi per euro 37.562,14 per relazione di impatto acustico, spese notarili, progettazione, flottaggio e stampe, polizze fideiussorie, rilievo celeri metrico, relazione geologica, perizia e progettazione economica. A tali importi vanno sommate le spese sostenute a titolo di onorari per l’ing. Fernando Tramonte pari ad euro 336.072,97; per l’ing. Luigi Putignano pari ad euro 253.801,66; per l’ing. Carmine Carella, pari ad euro 368.253,02, per l’attività professionale di questi tre ingegneri per la predisposizione del progetto, tenendo conto che il valore dell’impianto, di natura complessa, è di circa venti milioni di euro.
Sempre a titolo di danno emergente, l’appellante fa presente che per spese di giudizio amministrativo (per il giudizio che le ha consentito la riammissione in gara) sono documentate spese per euro 26.000, 00. Dovranno essere risarciti i costi della struttura aziendale (servizi generali, gestione dell’immobile sede della società e per gli ammortamenti) in funzione della gara poi annullata, costi ammontanti a euro 1.100.000,00.
Chiede altresì il danno c.d. curriculare, per la misura del tre per cento del valore dell’appalto (e quindi 576.270,00 su euro 19.209.000,00).
Si sono costituite le appellate amministrazioni statali con memoria di pura forma.
Alla udienza pubblica del 17 dicembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
La parte appellante pone la problematica della responsabilità precontrattuale dell’amministrazione per essere stata coinvolta per ben due volte in gare con spendita di attività poi risultata inutile a causa della negligenza della amministrazione appaltante.
L’appello è fondato per le ragioni che seguono.
In linea generale e in punto di diritto, la responsabilità precontrattuale invocata dalla parte appellante, consiste nella violazione del dovere di buona fede e correttezza durante la fase delle trattative (art. 1337 c.c.), ormai ritenuto pacificamente applicabile anche alla Pubblica Amministrazione.
Costituisce violazione della buona fede il c.d. recesso ingiustificato, che si configura quando chi ha creato nella controparte un legittimo affidamento in ordine alla conclusione del contrato recede, anche incolpevolmente, provocando un danno.
Integra gli estremi della responsabilità precontrattuale altresì la situazione in cui una parte, conoscendo o dovendo conoscere la esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra, che confidava nella sua validità (art. 1338 c.c.)
Altra ipotesi in cui si ravvisa fattispecie di responsabilità precontrattuale (sottoposta alla Adunanza Plenaria n.920 del 7 marzo 2005) è quella in cui incorre la stazione appaltante che, indetta la gara e avvedutasi successivamente di motivi negativi (sopravvenuta carenza di fondi) prosegua nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l’aggiudicazione.
Il danno, in tal caso, si è detto, non è causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela (annullamento, revoca o ritiro che sia), ma trova la sua causa nella condotta omissiva tenuta dall’amministrazione nella gestione della gara.
La revoca degli atti di gara è stata disposta dalla stazione appaltante nell’esercizio dei poteri di autotutela e sotto tale profilo l’appellante non contesta la legittimità della revoca.
Ha chiarito la giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 15 marzo 2012, n.1440) che in caso di revoca legittima degli atti della procedura di gara può sussistere una responsabilità precontrattuale della P.A. nella ipotesi di affidamenti suscitati nell’impresa dagli atti della procedura ad evidenza pubblica poi rimossi, in quanto l’impresa può aver confidato sulla possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso di aggiudicazione intervenuta e poi revocata, sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso.
E’ quindi ammessa – e anzi è proprio il caso di scuola – la responsabilità precontrattuale della parte pubblica nel caso in cui la interruzione della procedura di gara sia stata ritenuta legittima e anzi doverosa per sopravvenuta valutazione dell’interesse pubblico (per esempio, sopravvenuta mancanza di finanziamenti).
In tali ipotesi (così Cons. Stato, V, 7 settembre 2009, n.5245) ai fini della responsabilità precontrattuale non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nell’ultimo provvedimento amministrativo, ma della correttezza del contegno tenuto dall’ente pubblico durante la fase delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti contraenti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c., tanto è vero che l’art. 1337 è invocabile anche quando vi sia stata la stipulazione del contratto.
Con particolare riferimento alle procedure di evidenza pubblica, tale responsabilità può configurarsi sia in presenza del preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale sia in caso dell’assodato presupposto della loro validità ed efficacia e in particolare: a) in caso di revoca della indizione e della aggiudicazione per esigenze di ampia revisione del progetto disposta dopo vari anni dopo l’espletamento della gara; b) per impossibilità di realizzare l’opera per mutate condizioni dell’intervento; c) nel caso di annullamento di ufficio degli atti di gara per vizio rilevato dall’amministrazione solo successivamente alla aggiudicazione definitiva o che avrebbe dovuto rilevare all’inizio della procedura; d) nel caso di revoca dell’aggiudicazione o rifiuto di stipulare il contratto per mancanza di fondi.
In tutti tali casi, se la diversa valutazione dell’interesse pubblico è stata dovuta a carenze gestionali o di attenzione sin dall’inizio della indizione della procedura di gara, sussistono gli estremi della responsabilità precontrattuale.
In punto di fatto, nella fattispecie esaminata, la revoca, piuttosto che annullamento, della aggiudicazione (delle aggiudicazioni) è stata disposta per due sostanziali ragioni, che secondo il primo giudice, sarebbero ampiamente condivisibili elidendo possibili responsabilità: lo schema di contratto che prevedeva due separate localizzazioni del sistema impiantistico non realizzava economie di scala, determinando a carico dei Comuni non sostenibili oneri economici; a valle della procedura selettiva i Comuni interessati avevano manifestato la loro assoluta indisponibilità alla localizzazione dell’intervento sul loro territorio.
Il Collegio, ritenendo tali ragioni ampiamente prevedibili secondo la ordinaria diligenza, osserva che è pacifica la responsabilità della pubblica amministrazione in caso di evidente negligenza nella progettazione dell’opera da eseguire.
Sotto il profilo della colpa evincibile in generale secondo la definizione dell’art. 43 codice penale, definizione che il codice civile presuppone e indirettamente richiama, in tema di responsabilità civile della p.a. nell'esecuzione di un'opera pubblica, ad escludere l'antigiuridicità del fatto e la colpa dell' amministrazione per i danni arrecati a terzi non basta la circostanza che quest'ultima abbia seguito correttamente il complesso iter tecnico-amministrativo previsto dalla legge per l'esecuzione dell'opera pubblica, poiché l'esito favorevole dei vari controlli non esime la p.a. dal dovere di seguire anche le regole tecniche e di comune prudenza e diligenza allo scopo di non ledere l'incolumità e il patrimonio di alcuno.
Essendo questi i principi applicabili al caso di specie, non può non concludersi che, per una amministrazione diligente, la mancata considerazione iniziale delle diseconomie di scala a causa delle due separate localizzazioni e il mancato previo coinvolgimento (se non addirittura il previo assenso) dei Comuni interessati, costituiscono gravi negligenze rispetto al dovere di diligenza professionale (arg. ex art. 2236 c.c.) applicabile anche all’attività della pubblica amministrazione.
Tali negligenze sono attribuibili a evidenti carenze progettuali e professionali riconducibili al momento della formazione della volontà contrattuale iniziale all’interno dell’amministrazione.
E’ evidente che le ragioni del ripensamento sono state poi giustificate dall’amministrazione con la sopravvenuta insorgenza di tali problematiche, che potevano anche essere nel tempo superate, ma è altresì evidente che esse erano ampiamente ex antea prevedibili, secondo il metro della ordinaria diligenza amministrativa.
Sussistono pertanto gli estremi della colpa o negligenza quale elemento soggettivo.
Con riguardo alla quantificazione del danno risarcibile, è costante l’orientamento per cui in caso di responsabilità precontrattuale spetta il solo interesse negativo, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative (non alla lesione del contratto); il danno risarcibile è quindi unicamente quello consistente nella perdita derivata dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (interesse negativo).
La differenza in negativo del patrimonio attiene all’interesse a non essere coinvolti in trattative inutili e dispendiose, non già all’interesse alla positiva esecuzione dei doveri contrattuali.
Come chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (3380 del 2008) nella sua più autorevole espressione, dopo la “ legittima” revoca dell’aggiudicazione può residuare lo spazio per il risarcimento dei danni precontrattuali conseguenti alla lesione dell’affidamento ingenerato nell’impresa vittoriosa in seno alla procedura di evidenza pubblica poi rimossa ( cfr. Ap. n. 6 del 2005).
Perchè sussista una tale responsabilità precontrattuale occorre però, da un lato, che il comportamento tenuto dalla P.A. risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 del cod. civ.; dall’altro, che lo stesso comportamento abbia ingenerato un danno del quale appunto viene chiesto il ristoro.
Peraltro, come è regola nel caso della responsabilità precontrattuale, delimitando il quantum, il risarcimento riguarda il solo interesse negativo (spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali), mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla specifica gara d'appalto revocata.
Inoltre, la regola generale dell'onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la pretesa avanzata, trova infatti integrale applicazione nel giudizio risarcitorio, nel quale non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato che giustifica nel giudizio di legittimità l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo.
In caso di responsabilità precontrattuale, il danno va risarcito nei limiti dell'interesse negativo, che include soltanto le spese sostenute per la partecipazione alla gara ed, eventualmente, la perdita della cd. chance contrattuale alternativa.
Non meritano, quindi, risarcimento le voci che fanno riferimento all'interesse cd. positivo (l'interesse all'esecuzione dell'appalto), che attengono, appunto, alle utilità e ai vantaggi che sarebbero derivati dall'esecuzione del contratto. Tra tali voci di danno non risarcibile vi è quella relativa al cd. danno curriculare, preteso dall’appellante.
Non spetta il preteso danno curriculare, in quanto nell'ambito della responsabilità precontrattuale, esso non attiene all'interesse negativo, ma più propriamente all'interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell'appalto, non dall'inutilità della trattativa.
Il cd. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del "curriculum" professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto.
La responsabilità precontrattuale della p.a. non è responsabilità da provvedimento, ma da comportamento, e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative, in quanto l'art. 1337 c.c. pone in capo alla p.a. obblighi analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali. Il danno derivante dalla violazione di tali regole è limitato al cd. interesse contrattuale negativo , consistente nel ristoro delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e di una percentuale equitativa delle spese generali di impresa, e nel ristoro per la perdita - adeguatamente documentata - di altre favorevoli occasioni contrattuali, con esclusione del danno cd. curriculare. Al fine della dimostrazione del danno da perdita di chance, è necessario e sufficiente che la parte documenti la rinuncia a diverse proposte contrattuali, accettate da altre ditte, senza dar conto di una struttura di impresa tale da impedire di essere contemporaneamente impegnata su più fronti, in quanto la scelta di non impegnarsi su più cantieri esprime un uso lineare e corretto della diligenza imprenditoriale.
Nei casi di responsabilità precontrattuale propriamente detti, ciò che il privato lamenta non è la mancata aggiudicazione, ma la lesione della sua corretta autodeterminazione negoziale.
Nell'ambito della responsabilità precontrattuale , il c.d. danno curriculare non è risarcibile, perché non attiene all' interesse negativo ma, più propriamente, all' interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell'appalto, non dall'inutilità della trattativa. Il c.d. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto.
Con riguardo alla quantificazione del danno la parte appellante pretende le seguenti voci di danno: 1) la partecipazione alle due gare per costi vivi è costata euro 42.530,00 per asseverazioni, relazioni idrogeologiche, di impatto ambientale, stampe, progetti, cartografie; 2) ulteriori costi per euro 37.562,14 per relazione di impatto acustico, spese notarili, progettazione, flottaggio e stampe, polizze fideiussorie, rilievo celerimetrico, relazione geologica, perizia e progettazione economica; 3) le spese sostenute a titolo di onorari per l’ing. Fernando Tramonte pari ad euro 336.072,97; per l’ing. Luigi Putignano pari ad euro 253.801,66; per l’ing. Carmine Carella, pari ad euro 368.253,02, per l’attività professionale di questi tre ingegneri per la predisposizione del progetto, tenendo conto che il valore dell’impianto, di natura complessa, è di circa venti milioni di euro; 4) per spese di giudizio amministrativo (per il giudizio che le ha consentito la riammissione in gara) sono documentate spese per euro 26.000, 00; 5) i costi della struttura aziendale (servizi generali, gestione dell’immobile sede della società e per gli ammortamenti) in funzione della gara poi annullata, costi ammontanti a euro 1.100.000,00; 6) il danno c.d. curriculare, per la misura del tre per cento del valore dell’appalto (e quindi 576.270,00 su euro 19.209.000,00).
Con riguardo al danno curriculare, valgono le considerazioni sopra riportate sulla non dovutezza in caso di interesse contrattuale negativo.
Sono certamente dovute le voci vive per la partecipazione alle due gare e quindi: circa 80.000 complessivi (42.530,00 e 37.562,14) per relazioni e altro.
Non sono dovute le spese per i giudizi amministrativi, in quanto, per definizione, esse sono compensate dalla eventuale condanna alle spese di giudizio.
In relazione a quanto preteso per la prestazione dei tre professionisti ingegneri, da un lato si ritiene di ridurre alla pretesa per un solo ingegnere responsabile del progetto e dall’altro lato, in assenza di contestazioni da parte dell’amministrazione, non può non riconoscersi quantomeno il minore degli importi professionali riferiti ad uno dei tre ingegneri (e per ciò euro 253.000,00 circa).
Anche in relazione ai pretesi costi per il mantenimento della struttura aziendale in funzione della gara poi annullata (più propriamente per la partecipazione alle gare) , non può non riconoscersi la spettanza di una voce di danno, limitata tuttavia equitativamente in euro centomila (100.000,00), apparendo esorbitante la pretesa economica di parte appellante ma dall’altro lato non emergendo contestazioni da parte dell’amministrazione sul punto.
In definitiva, ritiene il Collegio che spettino a titolo di risarcimento del danno alla parte appellante le seguenti somme: 80.000,00 (ottantamila euro) per relazioni, studi e altro; 253.000,00 (duecentocinquantatremila euro) per compensi ai progettisti; 100.000,00 (centomila euro) per spese di struttura.
Il totale quindi ammonta a euro 433.000,00 (quattrocentotrentatremila euro), oltre interessi ai sensi di legge.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni, l’appello deve essere accolto ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, conseguentemente, in riforma dell’appellata sentenza, la domanda di risarcimento del danno va accolta ai sensi e limiti di cui in motivazione.
La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie la domanda di condanna al risarcimento del danno nella misura indicata di 433.000,00 (quattrocentotrentatremila euro), oltre rivalutazione monetaria e interessi ai sensi di legge.
Condanna la parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidandole in complessivi ottomila euro.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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