Sunday 06 October 2013 08:20:45

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

Nel giudizio in materia di accesso il termine "lungo" per proporre appello in assenza della notificazione della sentenza è di tre mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza di primo grado

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza Consiglio di Stato

Nel ‘rito dell’accesso’, disciplinato all’articolo 116 del c.p.a., opera la dimidiazione di tutti i termini processuali stabilita per la generalità dei riti camerali dal comma 3 dall’articolo 87 del c.p.a. (con la sola eccezione – che qui non ricorre – del termine per la notificazione del ricorso di primo grado). Nei giudizi quale quello di specie, in materia di accesso, tutti i termini processuali sono dunque dimezzati, salvo che nei giudizi di primo grado, limitatamente alla notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. Tale previsione di dimezzamento dei termini è espressamente applicabile, quindi, ai giudizi di appello ai sensi dell’art. 116, comma 5, c.p.a. ed in tal senso si è di recente espresso, ripetutamente questo Consiglio di Stato ( Sez. VI n. 2516/2012, sez. VI n. 1403/2012) Il termine, cosiddetto lungo, per proporre appello in assenza della notificazione della sentenza è, pertanto, di tre mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza di primo grado essendo, come si è detto, la deroga al dimezzamento limitata ai soli giudizi in prima istanza. La notificazione, tardivamente intervenuta oltre il termine lungo di tre mesi determina, quindi, la conseguente irricevibilità del presente appello.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale **** del 2013, proposto dal Comune di Parma, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Adriano Rossi, con domicilio eletto presso Adriano Rossi in Roma, viale delle Milizie n. 1; 

contro

Cesare Piazza, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Vannicelli, con domicilio eletto presso Francesco Vannicelli in Roma, via Varrone n. 9; 

nei confronti di

Associazione Comunità Islamica di Parma e Provincia, in persona del legale rappresentante,non costituita; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZIONE. STACCATA DI PARMA: SEZIONE I - n.00286/2012, resa tra le parti, concernente diniego accesso agli atti sulla chiusura sedi

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cesare Piazza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 luglio 2013 il Consigliere Carlo Schilardi e uditi per le parti gli avvocati A. Rossi e F. Vannicelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

 

 

Il sig. Cesare Piazza, con ricorso notificato il 27.6.2012, chiedeva al T.A.R. per l’Emilia Romagna che fosse dichiarato illegittimo il diniego, espresso dal Comune di Parma con nota del 24 maggio 2012 n. 88468 2008.VI/3/2.47, avverso la propria istanza di accesso agli atti depositata il 30 aprile 2012.

Il diniego d’accesso riguardava il documento recante il prot. n. 190107 del 25 ottobre 2011, con la motivazione che “l’atto di cui è richiesta l’ostensione rientra in un rapporto di collaborazione tra gli Enti, estraneo alla procedura sanzionatoria di che trattasi”.

Il T.A.R., con sentenza n. 286 dell’11 ottobre 2012, avendo ravvisato l’inesistenza di esigenze di riservatezza tali da giustificare il rifiuto del Comune all’ostensione dell’atto citato, ha ritenuto l’opposto diniego illegittimo e, conseguentemente, ha accolto il ricorso proposto dal sig. Piazza.

Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Parma.

L’appellante con unico articolato motivo lamenta la violazione dell’art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in relazione all’art. 5, comma 3 lettera e) del regolamento comunale in materia di accesso agli atti.

Il Comune sostiene la legittimità del diniego opposto al sig. Piazza in quanto, nella specie, l’atto oggetto di richiesta di accesso rientrerebbe tra quelli elencati nell’art. 5, comma 3, lettera e) del regolamento comunale, che escluderebbe la possibilità di ostensione di rapporti e denunzie inviati all’autorità giudiziaria per tutto il tempo dell’attività istruttoria e fino a quando “il Giudice competente dichiari l’ostensibilità” degli stessi.

Si è costituito in giudizio il sig. Cesare Piazza che ha chiesto di rigettare l’appello in quanto le censure proposte dal Comune sarebbero infondate in fatto ed in diritto.

Il sig. Piazza in ordine alla asserita violazione dell’art. 5, comma 3 lett. e) del regolamento comunale, ha rilevato che l’articolato non potrebbe applicarsi al caso di specie in quanto il regolamento è stato approvato dal Comune in data 4 maggio 2012, mentre l’istanza di accesso è stata presentata in data 30 aprile 2012 e conseguentemente l’Amministrazione avrebbe dovuto far riferimento al vecchio regolamento dell’anno 1997 che non prevedeva alcun divieto analogo a quello invocato.

Sotto altro profilo l’appellato deduce che l’Amministrazione, a giustificazione del diniego, ha opposto, peraltro solo nel corso del giudizio di primo grado, la sussistenza del segreto istruttorio, vincolo che in realtà sarebbe stato dichiarato solo in data 14 dicembre 2012 dal Procuratore della Repubblica e, conseguentemente, fino a tale data il documento sarebbe stato “perfettamente ostensibile”.

L’appellato inoltre deduce la carenza di interesse del Comune di Parma ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado, a seguito della intervenuta secretazione del documento per cui è causa da parte del Procuratore della Repubblica e a seguito della sentenza n. 24/2013, resa dal T.A.R. nel giudizio di ottemperanza instaurato dallo stesso, che ha differito l’accesso al predetto documento alla chiusura delle indagini preliminari.

Con la memoria del 12 luglio 2013 il sig. Piazza eccepisce, inoltre, la tardività del gravame atteso che l’atto di appello è stato notificato in data 11 marzo 2013 e depositato il 19 marzo 2013, mentre la sentenza è stata depositata in data 11 ottobre 2012 e, trattandosi di un procedimento di accesso agli atti, il termine per proporre appello sarebbe di tre mesi in luogo dei sei mesi previsti per le ordinarie impugnazioni.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 30 luglio 2013.

Ai fini del decidere deve preliminarmente esaminarsi l’eccezione di tardività sollevata dal signor Piazza.

Al riguardo, l’appellato evidenzia, come si è detto, che il ricorso in appello è stato notificato in data 11 marzo 2013, mentre la sentenza è stata depositata in data 11 ottobre 2012 (ossia, dopo il decorso del termine dimidiato di cui agli articoli 116 e 87 del c.p.a.).

L’eccezione è fondata.

Invero deve osservarsi, che nel caso del cosiddetto ‘rito dell’accesso’, disciplinato all’articolo 116 del c.p.a., opera la dimidiazione di tutti i termini processuali stabilita per la generalità dei riti camerali dal comma 3 dall’articolo 87 del c.p.a. (con la sola eccezione – che qui non ricorre – del termine per la notificazione del ricorso di primo grado).

Nei giudizi quale quello di specie, in materia di accesso, tutti i termini processuali sono dunque dimezzati, salvo che nei giudizi di primo grado, limitatamente alla notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.

Tale previsione di dimezzamento dei termini è espressamente applicabile, quindi, ai giudizi di appello ai sensi dell’art. 116, comma 5, c.p.a. ed in tal senso si è di recente espresso, ripetutamente questo Consiglio di Stato ( Sez. VI n. 2516/2012, sez. VI n. 1403/2012)

Il termine, cosiddetto lungo, per proporre appello in assenza della notificazione della sentenza è, pertanto, di tre mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza di primo grado essendo, come si è detto, la deroga al dimezzamento limitata ai soli giudizi in prima istanza e, nel caso di specie, la sentenza del TAR è stata depositata in data 11 ottobre 2012, mentre il ricorso in appello è stato notificato in data 11 aprile 2013, ben oltre il termine previsto di 3 mesi.

La notificazione, tardivamente intervenuta oltre il termine lungo di tre mesi determina, quindi, la conseguente irricevibilità del presente appello.

Attese le evoluzioni normative ed interpretative che nella fattispecie hanno interessato la procedura, sussistono giusti motivi per compensare le spese.

 

 

 

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile

Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Alessandro Pajno, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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