Sunday 30 June 2013 08:21:44

Giurisprudenza  Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Revisione pianta organica farmacie: il Consiglio di Stato chiarisce i casi in cui l'istituzione di nuove sedi farmaceutiche ricade nel divieto di prelazione comunale e nell’obbligo di copertura mediante il concorso straordinario

Consiglio di Stato

Il contenzioso in esame ha per oggetto la delibera del Consiglio Provinciale di Reggio Emilia, n. 55/2012, con la quale è stata approvata la revisione della pianta organica delle farmacie. La delibera è giunta all’esito del procedimento avviato con riferimento al biennio 2007/2008, secondo le leggi n. 475/1968 e n. 362/1991, e in applicazione dei criteri ivi previsti. La delibera prevede, fra l’altro, l’istituzione di un certo numero di nuove sedi farmaceutiche; e prevede altresì che sette (su otto) di queste siano offerte in prelazione ai rispettivi Comuni: Boretto, Montecchio nell’Emilia, Novellara, San Martino in Rio, Viano, e Reggio nell’Emilia (due sedi)......Nel merito viene in considerazione l’art. 11 del decreto legge n. 1/2012, come modificato dalla legge di conversione n. 27/2012. Il comma 1 modifica i parametri demografici per la determinazione del numero delle sedi farmaceutiche spettanti a ciascun Comune; la conseguenza (comma 2) è il potere-dovere dei Comuni di procedere all’individuazione delle nuove sedi farmaceutiche. Il comma 3 dispone che ciascuna Regione bandisca un concorso straordinario per l’immediata copertura «delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 e di quelle vacanti» e aggiunge che in deroga alle norme generali «sulle sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1 o comunque vacanti non può essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune». Si può dare per incontroverso, nel presente giudizio, che le due disposizioni, benché formulate con espressioni leggermente diverse, riguardino le medesime sedi; in altre parole, le sedi farmaceutiche per le quali è introdotto il divieto di assegnazione ai Comuni sono le stesse che debbono essere bandite nel concorso straordinario, e viceversa. Il punto ora in discussione è se le nuove sedi istituite con la pianta organica approvata con la delibera n. 55 del 12 aprile 2012 (data nella quale erano già entrate in vigore le nuove disposizioni e non erano ancora scaduti i termini per gli adempimenti conseguenti) ricadano nel divieto di prelazione comunale e nell’obbligo di copertura mediante il concorso straordinario. I ricorrenti sostengono la tesi affermativa, basandosi essenzialmente sulla portata ampia ed inclusiva della espressione «sedi comunque vacanti». La sentenza appellata ha invece recepito la tesi contraria, basandosi sulla petizione di principio che nella lingua italiana la parola “vacante” si riferisca specificamente ed esclusivamente ad una sede che sia divenuta tale per effetto della cessazione di chi ne era titolare, e non anche a quella che non sia mai stata coperta, perché di recente istituzione. Peraltro, sempre secondo la sentenza appellata, le sedi di cui si discute non rientrerebbero neppure nella previsione relativa alle «sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1», perché istituite in attuazione della normativa previgente, ancorché con atto emanato dopo l’entrata in vigore della nuova (pure questo punto della sentenza, ad avviso del Collegio, sarebbe discutibile, ma gli appellanti non lo contestano, e perciò può essere tenuto per fermo). Quanto asserito dal T.A.R. circa il significato della parola “vacante” nella lingua italiana non può viene condiviso dal Consiglio di Stato. E’ vero che per lo più i dizionari di uso corrente e scolastico dicono che “vacante” è il posto che si è reso libero per effetto del venir meno di chi ne era titolare, tacendo di quelli che sono liberi sin dall’origine, non essendo stati mai coperti. Ma è chiaro che le espressioni di siffatti dizionari hanno una funzione esplicativa ed esemplificativa e suggeriscono il significato di più immediata comprensione per il lettore; non hanno invece la pretesa di dare “definizioni” ad excludendum con esattezza scientifica o tecnico-giuridica. D’altra parte, dato e non concesso che si possa astrattamente distinguere fra le sedi “vacanti” siccome abbandonate dal titolare, e quelle mai coperte sin dalla loro origine, non si comprende quali ragioni vi siano per differenziare le une dalle altre quanto al regime giuridico, né quale interesse pratico o quale rilevanza concettuale possa avere tale distinzione. Di questi interrogativi la sentenza appellata non si occupa. In realtà, nel linguaggio giuridico comune l’espressione “posto vacante” ha, pacificamente e da sempre, il significato più esteso sostenuto dai ricorrenti e non quello più restrittivo affermato dal T.A.R.. Nella materia del pubblico impiego vi è una sterminata casistica dell’uso ampio ed inclusivo della locuzione “posto vacante”, sia nei testi normativi, sia nelle massime di giurisprudenza. Così, quando la legge n. 207/1985 ha concesso l’inquadramento in ruolo “in sanatoria” al personale degli enti sanitari che avesse svolto di fatto le mansioni, subordinando il beneficio alla preesistenza del relativo “posto vacante in organico”, è sempre stato pacificamente inteso che con ciò la norma si riferisse anche ai posti mai coperti (anzi, di fatto questa era l’ipotesi di più frequente applicazione) e non è mai stata affacciata l’ipotesi che la si dovesse intendere diversamente. La controprova è che non esiste un termine tecnico appropriato per indicare quei posti che, pur essendo privi di titolare, stando alla tesi del T.A.R. non si potrebbero denominare “vacanti”, e che ovviamente non sono neppure “non vacanti”. Etimologicamente, il termine “vacante” deriva com’è noto dal verbo “vacare”, disusato in italiano, ma che in latino significa essere vuoto (vacuus), e per estensione essere libero (vacare vitio, essere esente da vizio), senza distinguere se tale stato di fatto duri sin dall’origine ovvero dipenda da vicende sopravvenute. Anche nel codice di diritto canonico, quando si parla di officium vacans il contesto rende palese che ci si riferisce indifferentemente ad entrambe le ipotesi (canoni 153, 155). Anche per questa via si smentisce la tesi lessicale affermata dal T.A.R..Tornando al testo letterale dell’art. 11 del decreto legge n. 1/2012, poi, è ulteriormente significativo che il legislatore abbia abbinato alla parola “vacante” (già di per sé insuscettibile dell’interpretazione limitativa accolta dal T.A.R.) l’avverbio “comunque”. Esso, pur essendo sostanzialmente superfluo, tuttavia palesa l’intenzione di sottolineare ancora l’ampiezza del termine usato e di eliminare ogni possibilità di equivoco. Invero in quel contesto “comunque” sta per: “quale che sia la causa per cui la sede è priva di titolare”. L’intenzione così palesata dal legislatore mediante un uso non equivoco delle parole è coerente con lo scopo perseguito dall’intero decreto legge. Esso contiene, com’è noto, disposizioni relative a materie assai disparate, ma tutte accomunate dall’intento politico enunciato dall’intitolazione del decreto legge: «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività». Si comprende che l’aumento del numero delle farmacie e una sia pur minima apertura verso una certa liberalizzazione del settore rispondono, nella mente del legislatore, non solo e non tanto allo scopo di migliorare il servizio reso all’utenza, quanto a quello di offrire nuove possibilità all’iniziativa imprenditoriale e alla concorrenza. Da questo punto di vista si spiega dunque che il legislatore abbia temporaneamente interdetto la facoltà dei Comuni di assumere la gestione di un certo numero di farmacie, sottraendole all’iniziativa privata. Dunque la disposizione: «sulle sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1 o comunque vacanti non può essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune», non può essere oggetto di capziose forzature interpretative che contraddirebbero tanto il senso proprio delle parole usate, quanto lo scopo palese dell’intero intervento normativo. Per completezza, il Collegio si e' fatto carico di un’altra possibile obiezione formulabile contro le tesi degli appellanti. Si potrebbe invero prospettare la tesi che, proprio perché le sedi farmaceutiche in contestazione sono state istituite con la delibera del 12 aprile 2012, esse non erano né esistenti né tanto meno “vacanti” alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 27/2012 (25 marzo); dunque non ricadrebbero sotto il divieto stabilito in deroga e una tantum dall’intervento legislativo, e resterebbero suscettibili della prelazione comunale. Neppure questa tesi, peraltro, può essere condivisa, perché come si è detto sopra il divieto della prelazione comunale è posto in stretta correlazione con la indizione del concorso straordinario, il quale deve avere per oggetto tanto le farmacie di nuova istituzione quanto tutte quelle genericamente “vacanti”. La data di riferimento per individuare quali sedi siano “vacanti” (e come tali da mettere a concorso), e quali no, può dunque essere logicamente solo quella della indizione effettiva del concorso straordinario; oppure, a tutto concedere, quella della scadenza del termine (ordinatorio e non perentorio) entro il quale il concorso doveva essere bandito, se anteriore alla data della effettiva indizione. La delibera impugnata (12 aprile 2012) è notevolmente anteriore ad entrambe quelle possibili date di riferimento. In conclusione, è certo che la delibera impugnata in primo grado, n. 55 del 12 aprile 2012, è viziata nella parte in cui offre in prelazione ai rispettivi Comuni quelle nuove sedi farmaceutiche, in un momento nel quale la prelazione era tassativamente esclusa dalla legge testé entrata in vigore.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

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