Saturday 27 July 2013 08:36:34

Giurisprudenza  Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Farmacisti: il diritto a percepire l'indennità di residenza e gli sconti farmaceutici, le problematiche connesse alla delimitazione ISTAT delle località abitate

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

La vicenda giunta al Consiglio di Stato parte dalle Regione Toscana dove alcuni farmacisti titolari di sedi farmaceutiche rurali (fino al 1994/95, “sussidiate”), rivendicano, per il biennio 1996/1997, il diritto all’indennità di residenza ex art. 2 della legge 221/1968, ed il correlato “sconto” farmaceutico di cui all’art. 7, comma 1, della legge 724/1994, chiedendo la condanna della Regione Toscana al pagamento delle relative somme, maggiorate di interessi e rivalutazione, e dei danni consequenziali, ciò, previa disapplicazione, se occorra, della delibera del direttore generale della AUSL 3 di Pistoia n. 507/1997, che ha negato la spettanza dei suddetti benefici, e della nota della Regione Toscana n. 3971/1997, che ha riclassificato le loro farmacie come rurali (ma non anche “sussidiate”). Il Consiglio di Stato ha confermato la statuizione resa dal TAR Toscana, Firenze ed ha rigettato l'appello precisando che l’art. 4 della legge 221/1968, nel disciplinare la presentazione dell’istanza per il conseguimento dell’indennità, prevede che il farmacista interessato produca <>. L’art. 5 stabilisce che la valutazione sul diritto all’indennità debba avvenire <>. Va rimarcato come l’esigenza di basare detta valutazione su criteri certi ed univoci, trova conferma nel rilievo che al Prefetto è attribuita la vigilanza sull’anagrafe della popolazione residente ex art. 12 della legge 1228/1954 e 52 e 54 del d.P.R. 223/1989 (alla regolare tenuta dell’anagrafe provvede il Sindaco quale Ufficiale di Governo, ex art. 4, della legge 1228/1954). Funzione che riguarda sia la consistenza numerica della popolazione, sia la ripartizione del territorio attraverso la delimitazione delle località abitate (centri e nuclei abitati). Come risulta dagli artt. 38 e 39 del d.P.R. 223/1989, la delimitazione delle località abitate, compiuta in occasione del censimento generale della popolazione, deve rimanere invariata sino al successivo censimento, salvi gli aggiornamenti periodici che avvengono sempre secondo le istruzioni impartite dall’ISTAT. Ai sensi dell’art. 9, della legge 1228/1954, i Comuni devono provvedere alla individuazione e delimitazione delle località abitate ed alla suddivisione del territorio in frazioni, ma il piano topografico che ne risulta deve essere esaminato ed approvato dall’ISTAT (nello stesso senso, l’art. 18 del d.P.R. 254/1991, recante il regolamento di esecuzione del 13° censimento generale della popolazione). Dall’ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, deve dunque rilevarsi che, in generale, i Comuni, nella delimitazione e nell’aggiornamento delle località abitate, compiti che rientrano nel servizio anagrafico, siano soggetti al potere conformativo ed alla supervisione dell’ISTAT. Ciò per garantire continuità e coerenza (e quindi confrontabilità) tra i dati rilevati con cadenza periodica. Può aggiungersi che il servizio anagrafico è funzione statale (cfr. Corte Cost. nn. 730/1988 e 12/1962) ed è oggetto di potestà legislativa esclusiva statale, come conferma oggi l’art. 117, secondo comma, lettera i), Cost. Così ricostruito il quadro normativo nazione, il Collegio si e' poi domandato come impatti, sulla disciplina statale suindicata, l’art. 5, comma 1, della l.r. Toscana 73/1976 (poi abrogata dall’art. 55 l.r. 16/2000), secondo cui <>, disposizione che gli appellanti pongono alla base delle loro pretese. Ad avviso del Collegio, poiché al Comune non è consentito modificare la delimitazione ISTAT delle località abitate, e poiché, del resto, la disposizione regionale non prende espressamente in considerazione tale aspetto, deve ritenersi che il Sindaco, nel certificare i dati aggiornati della popolazione residente, debba tener conto delle delimitazioni territoriali esistenti ai fini del censimento ISTAT. In altri termini, la disposizione regionale richiede il necessario aggiornamento del dato numerico, ma tiene ferma la delimitazione degli agglomerati urbani; integra, ma non abroga l’art. 5 della legge 221/1968. In definitiva, conclude il Consiglio di Stato sia perché le disposizioni richiamano i dati ISTAT, sia per le esigenze operative legate alla circostanza che si tratta di delimitare ambiti territoriali non aventi caratteristiche oggettive, quindi assai incerti ed opinabili (accanto al capoluogo ed alle frazioni, i “centri abitati” ovvero le “località” o gli “agglomerati rurali, diversi dalle “case sparse”), non si può fare a meno di riferirsi a dati omogenei e progressivi definiti in un contesto generale, quale appunto quelli stabiliti nell’articolazione territoriale predisposta in collaborazione con l’ente nazionale di settore (risulta che l’ISTAT abbia trasmesso ai Comuni, con nota prot. 17891 in data 29 novembre 1995, le “basi territoriali” di ciascun Comune, rappresentate dai confini amministrativi, dalle “località abitate” e dalle “sezioni di censimento”, allegando cartografie, tabulati e richiamando la disciplina dettata dall’art. 38 del d.P.R. 233/1989). Ferma restando la necessità di tener conto degli aumenti/decrementi demografici in quelle stesse località, come certificati dai Sindaci. E nel caso specifico, è stato affermato dal TAR (e non viene confutato dagli appellanti) che l’istruttoria compiuta dalla ASL con riferimento alle certificazioni dei Comuni, applicando le risultanze ISTAT circa le “località” rispetto alle quali calcolare la popolazione residente, ha evidenziato – di volta in volta, anche sulla base della contiguità con altre località/frazioni, o dell’incertezza dei confini o delle denominazioni – che le località in cui sono ubicate le farmacie rurali dei ricorrenti devono ritenersi al di sopra del limite di 3000 abitanti, soglia che, ai sensi dell’art. 2, della legge 221/1968, non consente di ottenere i benefici in questione a prescindere dal limite di reddito (è questa, si è detto, la sostanziale materia del contendere).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 4605 del 2003, proposto da:

Picconi Maurizio, Biagini Francesco, Casci Antonio, Magnini Stefano, Caporusso Pino, Raspa Alberto, Palandri Franco, Bardazzi Elisabetta, Associazione Sindacale Titolari Farmacie Prov. di Pistoia, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Roberto Righi, con domicilio eletto presso Roberto Righi in Roma, via Carducci, 4;

 

contro

 

- Regione Toscana, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vanna Console, Enrico Baldi e Fabio Lorenzoni, con domicilio eletto presso Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, 43;

- Azienda USL n. 3, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Pilade Chiti e Fabio Lorenzoni, con domicilio eletto presso Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, 43;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE, SEZIONE III, n. 00723/2003, resa tra le parti, concernente diritto dei farmacisti a percepire indennità di residenza e sconti farmaceutici.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Paoletti su delega di Righi e Lorenzoni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Gli appellanti, farmacisti titolari di sedi farmaceutiche rurali (fino al 1994/95, “sussidiate”), rivendicano, per il biennio 1996/1997, il diritto all’indennità di residenza ex art. 2 della legge 221/1968, ed al correlato “sconto” farmaceutico di cui all’art. 7, comma 1, della legge 724/1994, con condanna della Regione Toscana al pagamento delle relative somme, maggiorate di interessi e rivalutazione, e dei danni consequenziali.

Ciò, previa disapplicazione, se occorra, della delibera del direttore generale della AUSL 3 di Pistoia n. 507/1997, che ha negato la spettanza dei suddetti benefici, e della nota della Regione Toscana n. 3971/1997, che ha riclassificato le loro farmacie come rurali (ma non anche “sussidiate”).

Ricorre insieme ad essi l’associazione sindacale dei farmacisti della Provincia di Pistoia.

2. Va fin d’ora osservato che, nel corso del procedimento conclusosi con detti provvedimenti, erano emerse discordanze tra i dati e le definizioni contenuti nelle certificazioni (rilasciate, ex art. 5 l.r. Toscana 73/1976, dai Sindaci dei Comuni di ubicazione delle farmacie) prodotte dagli interessati, e quelli risultanti dall’ultimo censimento decennale ISTAT. In pratica, le certificazioni registravano una consistenza numerica inferiore ai 3000 abitanti (presupposto in mancanza del quale, la spettanza dei benefici in questione è subordinata al non superamento di una soglia di reddito da parte della farmacia); ma ciò, prendendo come riferimento ambiti territoriali (“località” abitate: “centri” e “nuclei” abitati) diversi da quelli corrispondenti alle delimitazioni territoriali individuate dall’ISTAT ai fini del censimento del 1991. La circostanza aveva indotto la AUSL a chiedere una nuova verifica dei dati, per renderli coerenti con le delimitazioni territoriali ISTAT: l’esito della verifica ha condotto all’adozione degli atti impugnati.

3. Il TAR Toscana, con la sentenza appellata (III, n. 723/2003), ha respinto il ricorso nei confronti dei farmacisti (e lo ha dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione, nei confronti dell’associazione di categoria), affermando che devono avere rilevanza i dati ISTAT (sulle delimitazioni delle località di riferimento e sulla relativa popolazione) e che le farmacie dei ricorrenti (ciascuna presa in considerazione in modo autonomo, nella sentenza) non avevano le caratteristiche per essere classificate come “sussidiate”.

4. Nell’appello, si deduce che la sentenza sarebbe erronea, posto che, per valutare la sussistenza dei requisiti, occorre utilizzare le certificazioni sulla popolazione residente nelle frazioni rilasciate dai Sindaci quali Ufficiali di Governo ed allegate dai farmacisti, ex art. 5 l.r. 73/1976 (ormai peraltro abrogata), alle istanze per la corresponsione delle indennità. Ciò, del resto, conformemente alla prassi finora seguita ed alla stessa opinione espressa dal Ministero della sanità, con nota dell’Ufficio Legislativo in data 11 aprile 1997, dall’ISTAT con note in data 21 luglio 1997 e 24 settembre 1997, e dalla Regione con la circolare in data 22 aprile 1999.

In questa prospettiva, gli appellanti, in particolare:

- invocano i precedenti del TAR Toscana n. 825/2001 e n. 406/1999;

- sostengono che la previsione dell’art. 5 della l.r. 73/1976, dettata per la determinazione della popolazione residente, varrebbe, analogicamente, anche per la classificazione delle farmacie (compresa la delimitazione delle località di riferimento, rispetto alla quale calcolare la popolazione residente);

- sottolineano che, ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. 616/1977, i Comuni hanno competenza in materia di individuazione delle frazioni amministrative del territorio comunale; e che, per contro, ai sensi degli artt. 4 e 5, della legge 221/1968, trascorsi due anni dal censimento ISTAT, i relativi dati devono ritenersi mancanti e sostituibili con quelli delle certificazioni comunali aggiornate.

5. La Regione Toscana si è costituita in giudizio e controdeduce puntualmente.

Si è altresì costituita in giudizio la AUSL n. 3

6. Le conclusioni cui è giunta la sentenza appellata meritano di essere condivise.

6.1. Il Collegio ritiene che l’associazione sindacale non sia legittimata a ricorrere.

Ciò, non tanto per la natura dell’interesse azionato, che il TAR ha ritenuto spettante soltanto ai singoli farmacisti beneficiari delle sovvenzioni, quanto, piuttosto, perché la decisione della controversia richiede (anche, e soprattutto) di stabilire quale sia il criterio di delimitazione delle circoscrizioni rilevante (per calcolare la popolazione residente) ai fini dell’attribuzione dei benefici, ed è evidente che tale criterio, in quanto idoneo a “spostare” gruppi di residenti dall’ambito territoriale di riferimento di una farmacia a quello di un’altra, è suscettibile di soddisfare le pretese di alcuni farmacisti, mortificando quelle di altri.

6.2. Riguardo ai singoli farmacisti, può ipotizzarsi che vi sia anche un profilo di inammissibilità del ricorso, per mancata impugnazione tempestiva della classificazione delle loro farmacie come rurali ma non sussidiate, avvenuta nel 1997, posto che il ricorso è stato proposto nel 2001; tant’è vero, che di detti atti autoritativi viene chiesta la disapplicazione, che però non è ammissibile.

Peraltro, resterebbe da esaminare la domanda risarcitoria, ancorché essa sia stata prospettata genericamente.

Il Collegio ritiene di prescindere da tale profilo di inammissibilità, considerata l’evidente infondatezza delle censure nel merito.

6.3. La prima questione da affrontare riguarda il valore cogente o meno delle categorie di rilevazione della popolazione residente utilizzate dall’ISTAT ai fini del censimento generale.

L’art. 4 della legge 221/1968, nel disciplinare la presentazione dell’istanza per il conseguimento dell’indennità, prevede che il farmacista interessato produca <<un certificato del sindaco attestante che la farmacia o il dispensario sono aperti>>.

L’art. 5 stabilisce che la valutazione sul diritto all’indennità debba avvenire <<in base ai dati ufficiali della popolazione residente in ciascun capoluogo, frazione, o centro abitato, pubblicati dall’Istituto centrale di statistica o in mancanza su attestazione della prefettura ed in base alla documentazione prodotta dal farmacista rurale … >>.

Va rimarcato come l’esigenza di basare detta valutazione su criteri certi ed univoci, trova conferma nel rilievo che al Prefetto è attribuita la vigilanza sull’anagrafe della popolazione residente ex art. 12 della legge 1228/1954 e 52 e 54 del d.P.R. 223/1989 (alla regolare tenuta dell’anagrafe provvede il Sindaco quale Ufficiale di Governo, ex art. 4, della legge 1228/1954). Funzione che riguarda sia la consistenza numerica della popolazione, sia la ripartizione del territorio attraverso la delimitazione delle località abitate (centri e nuclei abitati).

Come risulta dagli artt. 38 e 39 del d.P.R. 223/1989, la delimitazione delle località abitate, compiuta in occasione del censimento generale della popolazione, deve rimanere invariata sino al successivo censimento, salvi gli aggiornamenti periodici che avvengono sempre secondo le istruzioni impartite dall’ISTAT. Ai sensi dell’art. 9, della legge 1228/1954, i Comuni devono provvedere alla individuazione e delimitazione delle località abitate ed alla suddivisione del territorio in frazioni, ma il piano topografico che ne risulta deve essere esaminato ed approvato dall’ISTAT (nello stesso senso, l’art. 18 del d.P.R. 254/1991, recante il regolamento di esecuzione del 13° censimento generale della popolazione).

Dall’ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, deve dunque rilevarsi che, in generale, i Comuni, nella delimitazione e nell’aggiornamento delle località abitate, compiti che rientrano nel servizio anagrafico, siano soggetti al potere conformativo ed alla supervisione dell’ISTAT.

Ciò per garantire continuità e coerenza (e quindi confrontabilità) tra i dati rilevati con cadenza periodica.

Può aggiungersi che il servizio anagrafico è funzione statale (cfr. Corte Cost. nn. 730/1988 e 12/1962) ed è oggetto di potestà legislativa esclusiva statale, come conferma oggi l’art. 117, secondo comma, lettera i), Cost.

6.4. A questo punto occorre domandarsi come impatti, sulla disciplina statale suindicata, l’art. 5, comma 1, della l.r. Toscana 73/1976 (poi abrogata dall’art. 55 l.r. 16/2000), secondo cui <<le domande da presentarsi a norma dell’art. 4 della legge 8 marzo 1968, n. 221, debbono essere corredate da un certificato del Sindaco che attesti la consistenza della popolazione residente al 31 dicembre dell’anno precedente di ogni biennio nelle località o agglomerato rurale in cui è ubicata la farmacia, nonché da un certificato di residenza del titolare, gestore provvisorio o direttore responsabile>>, disposizione che gli appellanti pongono alla base delle loro pretese.

Ad avviso del Collegio, poiché al Comune non è consentito modificare la delimitazione ISTAT delle località abitate, e poiché, del resto, la disposizione regionale non prende espressamente in considerazione tale aspetto, deve ritenersi che il Sindaco, nel certificare i dati aggiornati della popolazione residente, debba tener conto delle delimitazioni territoriali esistenti ai fini del censimento ISTAT.

In altri termini, la disposizione regionale richiede il necessario aggiornamento del dato numerico, ma tiene ferma la delimitazione degli agglomerati urbani; integra, ma non abroga l’art. 5 della legge 221/1968.

6.5. Anche i precedenti del TAR Toscana invocati dagli appellanti non conducono a diversa conclusione.

Infatti, la sentenza n. 825/2001 ha affermato la prevalenza dei dati demografici attuali rilevati dal Comune, ma non ha affrontato motivatamente quella del potere di delimitare le circoscrizioni di riferimento; la sentenza n. 406/1999, riguardava detta delimitazione, ma sotto il diverso profilo della computabilità o meno dei residenti in località separate o case sparse, vale a dire il criterio del c.d. bacino d’utenza della farmacia (l’art. unico della legge 40/1973 è stato approvato proprio per chiarire che i sindaci dovevano considerare solo la popolazione delle località abitate senza considerare anche se su una farmacia gravitasse, per condizioni di vicinanza o di più facile accesso, parte della popolazione di altre località o di case sparse, seppur appartenenti alla sede farmaceutica).

Gli appellanti, a ben vedere, sembrano confondere il potere di aggiornamento dei dati demografici (di spettanza del Comune, a cadenza biennale) ed il presupposto potere di delimitazione e modifica delle circoscrizioni di riferimento (spettante all’ISTAT).

6.6. Per quanto esposto, perde rilevanza l’altra questione oggetto di specifica censura, relativa alla computabilità o meno tra la popolazione dei centri e nuclei urbani, dei residenti nelle case sparse più prossime e funzionalmente collegate per ciò che concerne la fruibilità dei servizi pubblici. Tale questione, infatti, nella presente controversia assume rilievo solo qualora si accetti che il Comune possa autonomamente stabilire nuove delimitazioni delle località rispetto a quelle definite dall’ISTAT.

6.7. In definitiva, sia perché le disposizioni richiamano i dati ISTAT, sia per le esigenze operative legate alla circostanza che si tratta di delimitare ambiti territoriali non aventi caratteristiche oggettive, quindi assai incerti ed opinabili (accanto al capoluogo ed alle frazioni, i “centri abitati” ovvero le “località” o gli “agglomerati rurali, diversi dalle “case sparse”), non si può fare a meno di riferirsi a dati omogenei e progressivi definiti in un contesto generale, quale appunto quelli stabiliti nell’articolazione territoriale predisposta in collaborazione con l’ente nazionale di settore (risulta che l’ISTAT abbia trasmesso ai Comuni, con nota prot. 17891 in data 29 novembre 1995, le “basi territoriali” di ciascun Comune, rappresentate dai confini amministrativi, dalle “località abitate” e dalle “sezioni di censimento”, allegando cartografie, tabulati e richiamando la disciplina dettata dall’art. 38 del d.P.R. 233/1989).

Ferma restando la necessità di tener conto degli aumenti/decrementi demografici in quelle stesse località, come certificati dai Sindaci.

E nel caso specifico, è stato affermato dal TAR (e non viene confutato dagli appellanti) che l’istruttoria compiuta dalla ASL con riferimento alle certificazioni dei Comuni, applicando le risultanze ISTAT circa le “località” rispetto alle quali calcolare la popolazione residente, ha evidenziato – di volta in volta, anche sulla base della contiguità con altre località/frazioni, o dell’incertezza dei confini o delle denominazioni – che le località in cui sono ubicate le farmacie rurali dei ricorrenti devono ritenersi al di sopra del limite di 3000 abitanti, soglia che, ai sensi dell’art. 2, della legge 221/1968, non consente di ottenere i benefici in questione a prescindere dal limite di reddito (è questa, si è detto, la sostanziale materia del contendere).

7. Le spese, tenuto conto che l’interpretazione della disciplina, data dal TAR e da questo Collegio condivisa, appare difforme rispetto alla prassi ed al contenuto di atti pregressi dell’Amministrazione, possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Roberto Capuzzi, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     
 

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