Sunday 13 October 2013 11:45:02
Giurisprudenza Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato
Con l'appello in esame sono riproposte innanzi al Consiglio di Stato le questioni, decisive ai fini della risoluzione della controversia, di interpretazione della volontà contrattuale espressa dalle parti litiganti relativamente ad un contratto di concessione di un complesso natatorio comunale. Il TAR ha posto a base della statuizione di rigetto della domanda del ricorrente - che chiedeva il riconoscimento dei lavori da essa svolti in esecuzione del rapporto, non previsti nel capitolato speciale ed a suo dire riconosciuti dall’amministrazione concedente - il principio in virtù del quale l’alea delle opere extra-capitolato deve essere necessariamente essere fatta gravare sul concessionario, tanto in ragione della funzione tipica del contratto, quanto in considerazione del fatto che le opere necessarie erano in esso descritte a mero titolo esemplificativo e non tassativo. Il Consiglio di Stato ha ritenuto non corretto il ragionamento del Giudice di primo grado in ordine alla funzione tipica dello strumento concessorio. Infatti, si afferma che se è vero che lo strumento concessorio si connota per la traslazione dall’ente pubblico concedente al soggetto privato concessionario del rischio economico derivante dalla gestione di un bene avente attitudine produttiva, è del pari incontestabile che quest’ultimo soggetto non può essere esposto ad un’alea indeterminata, tale da alterare la naturale funzione commutativa del contratto. Non è in altri termini sostenibile che tutti i rischi contrattuali ricadano indiscriminatamente sul gestore privato, in particolare quelli imputabili all’amministrazione concedente, responsabile di carenze progettuali, che il privato partecipante alla procedura competitiva per l’aggiudicazione del contratto può in piena buona fede ignorare. Ad opinare in questo senso, infatti, verrebbe meno la stessa ragione di una procedura competitiva alla quale partecipano imprese private aspiranti concessionarie, selezionate – come nel caso di specie – attraverso l’offerta di un canone da corrispondere all’amministrazione. In particolare, sarebbe impossibile o comunque inutile qualsiasi stima circa la convenienza economica del contratto, la quale costituisce la ragione fondamentale in forza della quale soggetti imprenditoriali concorrono per l’aggiudicazione di contratti pubblici. Sotto questo profilo il Collegio non riscontra alcuna differenza tra concessione ed appalto. Come infatti ampiamente noto, e da ultimo precisato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza 7 maggio 2013, n. 13), la concessione di servizi, al quale schema è riconducibile il contratto oggetto del presente giudizio, costituisce il base all’art. 3, comma 12, del codice di cui a. d.lgs. n. 163/2006 “il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”. Entrambi sono quindi riconducibili allo schema generale di cui all’art. 1321 cod. civ., differenziandosi per il fatto che in un caso l’amministrazione riceve direttamente dal contraente privato servizi strumentali ai propri fini, mentre nell’altro detto contraente eroga i servizi alla collettività in sostituzione dell’ente pubblico. Entrambi, quindi, hanno una causa ai sensi del n. 2) della citata disposizione codicistica, data dalla funzione economico-sociale dello scambio che con essi si attua tra le parti contraenti, escludendosi che detto scambio possa in concreto non verificarsi, come avviene, lecitamente, per i contratti aleatori. Resta dunque fermo che anche la concessione deve essere economicamente appetibile, altrimenti venendo frustrato lo scopo di attrarre l’intervento del privato. In forza di tali considerazioni, sostenere che sul concessionario gravi anche l’alea di errori progettuali dell’amministrazione non preventivabili al momento della partecipazione alla procedura di aggiudicazione significa appunto rendere vano ogni valutazione circa la convenienza economica in ordine all’offerta del canone di concessione da corrispondere all’amministrazione, ed in ultima analisi sull’equilibrio economico tra l’esborso in questione ed il risultato netto ritraibile dalla gestione del servizio in concessione. Anche sul piano della stretta equità, la soluzione qui avversata determina un ingiustificato sacrificio economico per una parte del rapporto contrattuale, cui vengono accollati i rischi inerenti la sfera organizzativa dell’altra parte. Sotto questo profilo giova ricordare che nel contratto d’appalto civilistico le variazioni necessarie del progetto sono poste a carico dell’appaltatore nei limiti di un sesto del valore dell’appalto (art. 1660, comma 2, cod. civ.), laddove in caso di superamento di tale soglia, lo stesso è facoltizzato a svincolarsi dal contratto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale **** del 2001, proposto da:
Bear s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Bruno Becchi, Loredana Grillo e Vito Bellini, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via Orazio 3;
contro
Comune di Melzo, rappresentato e difeso dagli avv. Ludovico Villani, Alberto Fossati, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Asiago, 8;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE III n. 02177/2001, resa tra le parti, concernente somme per esecuzione lavori
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2013 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Graziosi, per delega dell'Avv. Becchi, e Villani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il presente giudizio ha ad oggetto la pretesa creditoria azionata davanti al TAR Lombardia – sede di Milano dalla BEAR s.r.l. in liquidazione nei confronti del Comune di Melzo. Costituisce titolo fondante del credito azionato il contratto in data 14 febbraio 1996 di concessione per la ristrutturazione e gestione settennale dell'impianto natatorio comunale intercorso tra le parti. La concessionaria Bear chiede il riconoscimento dei lavori da essa svolti in esecuzione del rapporto, non previsti nel capitolato speciale ed a suo dire riconosciuti dall’amministrazione concedente; il tutto per un ammontare di originarie lire 297.052.825 in linea capitale (pari ad € 153.414,98), ed in relazione alla quale ha chiesto la conseguente pronuncia di accertamento.
2. Il TAR adito ha respinto la domanda, affermando che:
- la concessionaria era tenuta, coerentemente con la natura giuridica del contratto stipulato con il Comune resistente, alla progettazione esecutiva ed alla realizzazione di tutti gli interventi di ristrutturazione finalizzati all’agibilità dell’impianto;
- l’amministrazione concedente aveva indicato nel progetto definitivo posto a gara solo a titolo esemplificativo gli interventi, la cui concreta individuazione ed esecuzione era appunto demandata alla concessionaria, con onere economico a suo esclusivo carico;
- in contrario, la società ricorrente non può invocare il fatto che l’amministrazione aveva precedentemente riconosciuto, ed assunto il correlativo obbligo di pagamento, lavori di ristrutturazione extra-capitolato (con delibera di giunta comunale del 15 maggio 1996, n. 362), trattandosi nella specie di interventi strutturali caratterizzati da “specifiche particolarità”, necessari ad assicurare il mantenimento in efficienza dell’impianto ed evitarne la chiusura per un’intera stagione natatoria, cosicché tale precedente, per la sua eccezionalità, non poteva essere invocato dalla Bear per i lavori svolti successivamente, sui quali si fonda la pretesa dedotta in giudizio;
- né tanto meno per i successivi interventi strutturali, ancorché dalla Bear debitamente segnalati all’amministrazione, può configurarsi alcun riconoscimento del debito da parte di quest’ultima, tale non potendo essere qualificata la certificazione di congruità rilasciata dal tecnico comunale incaricato, poi approvata dalla giunta con delibera del 12 febbraio 1997, n. 96, provvedimento con il quale veniva anche svincolata la cauzione definitiva;
- più precisamente, mentre la certificazione di congruità del tecnico comunale contiene una quantificazione del “valore delle opere in più eseguite”, lo svincolo della cauzione disposto dalla successiva approvazione giuntale costituisce un atto dovuto “conseguente alla accertata regolare esecuzione delle opere”.
3. Nel presente appello la Bear contesta tutte le affermazioni qui sintetizzate ed insiste pertanto nella domanda di accertamento del credito pecuniario azionato, fondando la medesima anche in ragione del riconoscimento dell’utilità dei lavori extra-capitolato conseguente all’approvazione giuntale del certificato di congruità redatto dal tecnico comunale.
4. Resiste all’appello il Comune di Melzo, il quale segnala che la deduzione ora menzionata sostanzia una domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ. non proposta in primo grado.
DIRITTO
1. Con il presente appello sono riproposte questioni, decisive ai fini della risoluzione della controversia, di interpretazione della volontà contrattuale espressa dalle parti odierne litiganti nel contratto di concessione del complesso natatorio comunale.
1.1 Al riguardo, il TAR ha posto a base della statuizione di rigetto della domanda della Bear il principio in virtù del quale l’alea delle opere extra-capitolato deve essere necessariamente essere fatta gravare sul concessionario, tanto in ragione della funzione tipica del contratto, quanto in considerazione del fatto che le opere necessarie erano in esso descritte a mero titolo esemplificativo e non tassativo.
1.2 A tale ragionamento la Bear oppone nel presente appello che dette opere erano comunque previamente indicate, ancorché sinteticamente, nel contratto intercorso tra le parti, per cui quelle aggiuntive riconosciute come necessarie dalla stessa amministrazione concedente devono essere remunerate a parte.
2. Quest’ultima tesi è meritevole di condivisione.
In base agli artt. 2 e 4 del contratto suddetto, il concessionario deve tra l’altro provvedere “all’esecuzione di tutti i lavori di ristrutturazione necessari a rendere agibile il complesso natatorio”, ivi compresi quelli necessari all’adeguamento alle norme di sicurezza, nonché alle “manutenzioni ordinarie e straordinarie della struttura e degli impianti”. Il tutto, peraltro, sulla base dei “progetti di massima redatti dal tecnico incaricato”, e dunque dall’amministrazione concedente.
Su questa premessa, sono posti carico del medesimo concessionario le opere necessarie al riattamento del complesso natatorio, descritte “sinteticamente” nel citato art. 4 e cioè: la separazione tra il volume piscina ed il rimanente corpo di fabbrica, il rifacimento degli impianti di filtrazione e disinfezione delle acque, della centrale termica, dell’impianto di ventilazione e di quello elettrico, le modifiche alle vasche ed ai filtri.
2.1 Ora, è vero che l’indicazione delle attività spettanti al concessionario è formulata in termini ampi, come assume l’amministrazione e come ha ritenuto il TAR, ma si tratta comunque di lavori per i quali vi è stata una progettazione da parte dell’ente pubblico concedente. Vi è stata dunque un’attività di individuazione delle esigenze funzionali e di previsione degli interventi costruttivi, prodromica all’affidamento del contratto. Il tutto, del resto, secondo quanto avviene ogniqualvolta l’amministrazione faccia ricorso al privato.
2.2 Il Comune di Melzo, poi, non contesta che i lavori extra-capitolato si sono resi necessari per carenze di detta progettazione, come sostiene la Bear.
2.3 La documentazione versata agli atti del giudizio di primo grado conferma del resto questo assunto. E’ in particolare significativo, in primo luogo, il fatto che le segnalazioni del concessionario circa la necessità di opere aggiuntive mai hanno avuto alcun riscontro negativo da parte dell’amministrazione.
Inoltre, il certificato di congruità del tecnico comunale – lo stesso che ha redatto il progetto preliminare a base di gara - conferma tale rilievo, visto che esso contiene la descrizione delle opere complessivamente realizzate dalla Bear, mediante una loro suddivisione secondo le categorie sinteticamente descritte nell’originario contratto, sopra menzionate, ma con specifica indicazione dei lavori aggiuntivi e della loro utilità funzionale per l’amministrazione, corredate infine da una analitica quantificazione del relativo valore. Tale documento si conclude quindi con la seguente attestazione: “tutto quanto previsto nel capitolato di gara di gestione […] è stato regolarmente realizzato insieme ad una serie di opere in più e migliorie, che già lo vedono completamente funzionante nel rispetto delle prescrizioni assegnate in capitolato”.
Nell’approvare tale certificazione, infine, la Giunta comunale ha infine specificato che le opere aggiuntive in essa indicate sono rispondenti “alle esigenze di questa amministrazione”.
3. In base alle descritte risultanze probatorie, il Collegio reputa che tale delibera contenga un riconoscimento di debito per le opere extra-capitolato.
Il provvedimento in questione, infatti, fa integralmente proprie le valutazioni espresse dal tecnico incaricato, non solo relative alla congruità dei lavori, come già rilevato dal TAR, ma anche alla loro rispondenza alla causa del contratto stipulato, sotto il profilo della loro indispensabilità al fine di restituire completa funzionalità al complesso natatorio.
3.1 Ed allora, un simile comportamento, ancorché posteriore alla conclusione del contratto, è indicativo della comune intenzione delle parti, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., di circoscrivere, ancorché con formulazione sintetica, ma comunque da correlare alla progettazione posta a gara, gli obblighi del concessionario relativi ai lavori di ristrutturazione dell’impianto.
3.2 In secondo luogo, sovvengono nel senso di escludere che i lavori debbano gravare economicamente su quest’ultimo anche i criteri di interpretazione oggettiva del contratto, nel caso in cui si ritenga di dubitare del significato testuale delle espressioni che in esso sono contenute. Si allude ai criteri della buona fede e quello, residuale, della minor gravosità per l’obbligato, rispettivamente previsti dagli artt. 1366 e 1371 cod. civ.
E’ infatti evidente che in base al canone della buona fede interpretativa non si possono far ricadere su una parte prestazioni che la stessa non poteva ragionevolmente prevedere di essere tenuta ad eseguire in base degli elementi conoscitivi a sua disposizione. Allo stesso risultato conduce il criterio della minor gravosità per l’obbligato.
4. Inoltre, non è corretto il ragionamento del Giudice di primo grado in ordine alla funzione tipica dello strumento concessorio. Infatti, se è vero che lo strumento concessorio si connota per la traslazione dall’ente pubblico concedente al soggetto privato concessionario del rischio economico derivante dalla gestione di un bene avente attitudine produttiva, è del pari incontestabile che quest’ultimo soggetto non può essere esposto ad un’alea indeterminata, tale da alterare la naturale funzione commutativa del contratto.
Non è in altri termini sostenibile che tutti i rischi contrattuali ricadano indiscriminatamente sul gestore privato, in particolare quelli imputabili all’amministrazione concedente, responsabile di carenze progettuali, che il privato partecipante alla procedura competitiva per l’aggiudicazione del contratto può in piena buona fede ignorare. Ad opinare in questo senso, infatti, verrebbe meno la stessa ragione di una procedura competitiva alla quale partecipano imprese private aspiranti concessionarie, selezionate – come nel caso di specie – attraverso l’offerta di un canone da corrispondere all’amministrazione. In particolare, sarebbe impossibile o comunque inutile qualsiasi stima circa la convenienza economica del contratto, la quale costituisce la ragione fondamentale in forza della quale soggetti imprenditoriali concorrono per l’aggiudicazione di contratti pubblici.
4.1 Sotto questo profilo non si riscontra alcuna differenza tra concessione ed appalto.
Come infatti ampiamente noto, e da ultimo precisato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza 7 maggio 2013, n. 13), la concessione di servizi, al quale schema è riconducibile il contratto oggetto del presente giudizio, costituisce il base all’art. 3, comma 12, del codice di cui a. d.lgs. n. 163/2006“il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.
Entrambi sono quindi riconducibili allo schema generale di cui all’art. 1321 cod. civ., differenziandosi per il fatto che in un caso l’amministrazione riceve direttamente dal contraente privato servizi strumentali ai propri fini, mentre nell’altro detto contraente eroga i servizi alla collettività in sostituzione dell’ente pubblico. Entrambi, quindi, hanno una causa ai sensi del n. 2) della citata disposizione codicistica, data dalla funzione economico-sociale dello scambio che con essi si attua tra le parti contraenti, escludendosi che detto scambio possa in concreto non verificarsi, come avviene, lecitamente, per i contratti aleatori. Resta dunque fermo che anche la concessione deve essere economicamente appetibile, altrimenti venendo frustrato lo scopo di attrarre l’intervento del privato.
4.2 In forza di tali considerazioni, sostenere che sul concessionario gravi anche l’alea di errori progettuali dell’amministrazione non preventivabili al momento della partecipazione alla procedura di aggiudicazione significa appunto rendere vano ogni valutazione circa la convenienza economica in ordine all’offerta del canone di concessione da corrispondere all’amministrazione, ed in ultima analisi sull’equilibrio economico tra l’esborso in questione ed il risultato netto ritraibile dalla gestione del servizio in concessione.
4.3 Anche sul piano della stretta equità, la soluzione qui avversata determina un ingiustificato sacrificio economico per una parte del rapporto contrattuale, cui vengono accollati i rischi inerenti la sfera organizzativa dell’altra parte. Sotto questo profilo giova ricordare che nel contratto d’appalto civilistico le variazioni necessarie del progetto sono poste a carico dell’appaltatore nei limiti di un sesto del valore dell’appalto (art. 1660, comma 2, cod. civ.), laddove in caso di superamento di tale soglia, lo stesso è facoltizzato a svincolarsi dal contratto.
Nel caso oggetto di questo giudizio, tenuto conto che per la concessione la Bear ha corrisposto la somma di 50 milioni di lire per sette anni di durata contrattuale, per un totale di 350 milioni, i 297 milioni di lavori extra-capitolato si pongono ampiamente sopra tale valore, che qui può appunto essere invocato come parametro equitativo per la valutazione della ripartizione dei rischi contrattuali.
5. Pertanto, la domanda della Bear è fondata ed in accoglimento dell’appello della società la sentenza del TAR deve essere riformata. Per l’effetto, risulta positivamente accertato il debito nei confronti di quest’ultima del Comune di Melzo per il titolo dedotto in giudizio, vale a dire per la somma, non contestata nel suo ammontare, di € 153.414,98 in linea capitale, oltre agli interessi legali dal 31 marzo 1997, data di esecutività della delibera di approvazione del certificato di congruità dei lavori, fino al saldo effettivo.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello come in motivazione.
Condanna il Comune di Melzo a rifondere alla Bear s.r.l. in liquidazione le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in € 8.000,00, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere
Sabato Malinconico, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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