Sunday 24 November 2013 08:31:38
Giurisprudenza Giustizia e Affari Interni
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
La giurisprudenza ha in passato osservato osservato che perché possa configurarsi la responsabilità della p.a. è sufficiente la colpa, anche lieve dell'apparato amministrativo (Consiglio Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981). E parimenti si è avuto modo in passato di evidenziare il ridotto onere dimostrativo che grava in subiecta materia sul privato, atteso che “fermo restando l'inquadramento della maggior parte delle fattispecie di responsabilità della p.a., all'interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.”(Consiglio Stato , sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale **** del 2009, proposto da:
Liliana Agnoletti, Marco Marconi, Michela Marconi, rappresentati e difesi dall'avv. Alberto Maria Bruni, con domicilio eletto presso Alberto M. Bruni in Roma, via G. Carducci, 4;
contro
Comune di Bibbona, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Vittorio Chierroni, con domicilio eletto presso Vittorio Chierroni in Roma, corso Vittorio Emanuele, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della TOSCANA – Sede di FIRENZE- SEZIONE II n. 00202/2009, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia – risarcimento del danno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bibbona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Vittorio Chierroni e Francesco Brizzi (su delega di Alberto Maria Bruni);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Toscana – sede di Firenze – ha respinto il ricorso di primo grado proposto dall’odierna parte appellante volto ad ottenere la condanna della Amministrazione comunale di Bibbona al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi a seguito del rilascio in favore del sig. Leonardo Vinchesi della illegittima concessione edilizia 13-6-1988 n. 583.
Il primo giudice ha in primo luogo ricostruito, anche sotto il profilo cronologico, il risalente contenzioso pregresso, dando atto che lo stesso ricorrente, sig. Marconi Giorgio aveva documentato di essere proprietario fin dal 1987 dello stabilimento balneare “Venere” sito in Marina di Bibbona a confine del quale si trovava l’area di proprietà del sig. Vinchesi Leonardo.
Quest’ultimo aveva chiesto ed ottenuto dal Comune di Bibbona in data 13 giugno1988 la concessione edilizia n.583 per la realizzazione di uno stabilimento balneare secondo l’allegato progetto di ampliamento di stazione balneare .
Il sig. Marconi aveva impugnato tale concessione edilizia e nel contempo aveva chiesto alla Regione Toscana di annullare l’atto autorizzatorio suindicato.
In accoglimento di tale richiesta la Regione Toscana con deliberazione della Giunta Regionale n.9284 del 22/10/1990, annullava il titolo abilitativo.
Tale atto di annullamento venne a sua volta impugnato dal Vinchesi ma senza sortire alcun effetto favorevole.
Infatti nel 1999 il Consiglio di Stato, Sezione IV, con due coeve decisioni definì i due giudizi sopra indicati negativamente per il Vinchesi: con la sentenza n.1939/99 respinse il gravame proposto dal Vinchesi avverso il provvedimento della Giunta Regionale della Toscana n. 9284/88 di annullamento della concessione edilizia n.583/88 e con la sentenza n.1939/99 dichiarò la carenza di interesse del sig. Marconi al ricorso proposto avverso la concessione edilizia n.583/88.
Nel ricorso di primo grado, però, era stato esposto che a partire dal 1989 e fino a tutto il 2001 il sig. Vinchesi aveva gestito illegittimamente lo stabilimento balneare “Leonardo”: ciò era avvenuto in ragione dell’ illegittimo comportamento dell’Amministrazione comunale identificabile nel rilascio della concessione edilizia in carenza dei presupposti: era stato pertanto richiesto dalla originaria parte ricorrente il risarcimento dei danni patiti e patiendi.
Il primo giudice, ha in via preliminare disposto la cancellazione di alcune affermazioni offensive dagli scritti di parte del ricorrente ed ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione avanzata dalla difesa del Comune di Bibbona affermando il principio per cui non vi erano ragioni preclusive a che il giudice amministrativo, in relazione al quantum di giurisdizione ad esso spettante, conoscesse di un’azione risarcitoria proposta in via autonoma, ma comunque preceduta dall’avvenuta decretazione, sia pure ad opera della stessa P.A. in sede di autotutela, della illegittimità dell’attività amministrativa (in quanto tale ultima circostanza radicava la “cognitio” del giudice dell’interesse legittimo in ordine alla pretesa risarcitoria connessa all’avventa rimozione di un atto amministrativo).
Parimenti è stata disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per prescrizione della pretesa risarcitoria.
Ciò in quanto (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.2/2006) il momento iniziale del decorso della prescrizione doveva essere individuato nel passaggio in giudicato della decisione del giudice amministrativo d’appello che aveva sancito in via definitiva l’illegittimità del provvedimento ritenuto causativo del danno: in tema di diritto al risarcimento del danno derivato dall’esecuzione di atti amministrativi illegittimi, la domanda di annullamento di tali atti e quindi, l’impugnativa degli stessi costituiva interruzione della prescrizione fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza definitoria di quel giudizio.
Nel caso in esame, con la sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV n.1949 del 29/12/1999 era stato respinto il ricorso del sig. Vinchesi Leonardo avverso la delibera giuntale di annullamento della concessione edilizia n.583/88, di talchè -essendo l’azione risarcitoria proposta nel 2004- il relativo termine prescrizionale non risultava essere inutilmente decorso.
Nel merito, il TAR ha tuttavia respinto il gravame alla stregua di due capisaldi, affermando che la pretesa risarcitoria era inammissibile e infondata.
Sotto un primo profilo, non era stato provato da parte appellante il concreto pregiudizio patito consistente nella diminuzione dell’integrità patrimoniale e negli effetti negativi subiti dalla sfera psicologica del destinatario dell’atto lesivo, sotto i profili morale morale-soggettivo e biologico- esistenziale.
Sulla base di una perizia si era provveduto alla quantificazione dei danni in questione, ma tale documento non rivestiva portata decisiva dal momento che l’affermata sussistenza dei danni patrimoniali (identificati nella perdita di valore del complesso immobiliare “bagno Venere” e nel mancato guadagno degli incassi che avrebbe ottenuto gestendo l’ampliamento del proprio stabilimento) non era supportata da minimi elementi di prova.
Ad avviso del primo giudice, inoltre, anche con riguardo al lamentato danno non patrimoniale, denunciato sotto i vari profili del danno morale soggettivo, del danno biologico e del danno esistenziale ci si trovava al cospetto di una assoluta carenza di prova ed allegazione.
In disparte detto profilo preclusivo, il Tar ha altresì rimarcato che la pretesa risarcitoria era priva di fondamento con riferimento all’assenza, nell’ iter formativo della responsabilità ex art.2043 c. c., dell’indispensabile elemento della colpevolezza a carico dell’intimata Amministrazione comunale affermando l’applicabilità al caso all’esame della scusabilità dell’errore.
Parte odierna appellante non aveva né documentato né allegato alcun elemento dimostrativo di condotta colposa; la vicenda era caratterizzata da notevole complessità in relazione alle circostanze di fatto, niente affatto pacifiche , sussistenti al momento in cui l’Amministrazione di Bibbona aveva rilasciato il titolo edilizio poi dichiarato illegittimo e tale complessità era data anche dalla particolare articolazione delle disposizioni recate dalla normativa contenuta negli strumenti urbanistici comunali che avevano reso la questione giuridica sottesa all’adozione del provvedimento adottato di non facile soluzione sì da non potersi configurare a carico del Comune intimato un comportamento di negligenza e/o di imperizia.
Infine, rilevato che con la memoria difensiva depositata il 4 ottobre 2008 l’odierna parte appellante aveva introdotto due nuove domande (quelle del risarcimento in forma specifica e per equivalente) il primo giudice ne ha affermato la inaccoglibilità, in carenza dei presupposti per l’affermazione di responsabilità colposa ed in relazione alla irrituale introduzione del petitum nel processo.
L’odierna parte appellante, già ricorrente rimasto soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso il risalente e prolungato contenzioso intercorso con il comune ed ha riproposto tutte le domande disattese in primo grado.
Il Comune appellato ha depositato un articolato controricorso volto a contestare l’appello principale ed ha altresì proposto in via incidentale appello volto a contestare i capi della gravata decisione che hanno disatteso le eccezioni di difetto di giurisdizione e di prescrizione del petitum risarcitorio articolate in primo grado.
Con decreto presidenziale n. 1727 in data 27 giugno 2012 il ricorso in appello è stato dichiarato perento: il detto decreto è stato gravato dall’appellante e la Sezione, con ordinanza n. 02317/2013 ha accolto il mezzo, avendo rilevato che l’opponente aveva documentato di avere proposto istanza di fissazione di udienza depositandola in data 4 dicembre 2009, revocando il decreto e fissando l’udienza di trattazione della causa.
Con ulteriore memoria l’ amministrazione comunale ha fatto presente che con delibera di C.C. n. 33 del 4 luglio 2013 era stato deliberato di procedere alla demolizione del “Bagno Leonardo” (già acquisito al patrimonio comunale) in assenza di preminenti ragioni di interesse pubblico sottese all’eventuale mantenimento del medesimo il che faceva venire meno (essendo palese la improcedibilità) il petitum risarcitorio in forma specifica proposto dall’appellante e, asseritamente, anche quello relativo al risarcimento per equivalente, in quanto proposto in via subordinata.
Con memoria ritualmente depositata l’appellante ha puntualizzato e ribadito le proprie difese ed ha fatto presente che la doverosa quanto tardiva delibera di C.C. n. 33 del 4 luglio 2013 con la quale era stato deliberato di procedere alla demolizione del “Bagno Leonardo” non determinava l’improcedibilità del petitum risarcitorio.
All‘odierna pubblica udienza dell’ 8 ottobre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. L’appello principale è infondato e va pertanto respinto: l’appello incidentale è in parte infondato (nella parte tesa a contestare la giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo in subiecta materia) ed in parte improcedibile (nella parte in cui ha reiterato l’eccezione di prescrizione del petitum risarcitorio disattesa in primo grado).
2. La prima questione da esaminare è quella –riproposta in via incidentale dal comune di Bibbona – relativa all’asserito difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia.
2.1.Essa è certamente infondata, se non financo temeraria, collidendo con l’orientamento giurisprudenziale costante secondo il quale, allorché vi sia spendita di potere amministrativo il petitum risarcitorio “segue” il giudizio principale, sia esso proposto coevamente od in via indipendente.
Nel caso di specie, sol che si esamini la domanda proposta in primo grado, appare evidente che il pregiudizio di cui si è chiesto il ristoro in giudizio è in tesi ascrivibile all’illegittimo rilascio al sig. Leonardo Vinchesi della concessione edilizia 13.6.1988 n. 583 con cui con la causale “ampliamento del Bagno Venere” era stata consentita la realizzazione del nuovo stabilimento balneare “Leonardo”.
Trattasi di conseguenza generatrice – nella prospettazione di parte appellante - di ingiusto danno risarcibile derivante da una condotta autoritativa: né rileva in senso contrario la circostanza che l’illegittimo provvedimento produttivo di danno sia stato successivamente rimosso in autotutela, nel 1990, da parte della Regione Toscana giacché, ogni qual volta venga in contestazione il legittimo esercizio dell'attività amministrativa, ed anche nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia stato annullato o revocato dalla P.A. nell'esercizio del suo potere di autotutela decisoria (ovvero sia stato rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo, ovvero ancora abbia esaurito i suoi effetti a seguito del decorso del termine di efficacia ad esso assegnato dalla legge) l'azione risarcitoria rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi comunque della tutela dell'interesse legittimo leso dall'esercizio illegittimo del potere dell'Amministrazione.
L’eccezione va dunque senz’altro disattesa e ricorrono le condizioni per affermare la giurisdizione di questo plesso giurisdizionale amministrativo sul petitum risarcitorio proposto, armonicamente rispetto all’approdo giurisprudenziale secondo il quale “la giurisdizione del giudice amministrativo, e quindi quella annessa per il risarcimento del danno, sussiste solo nelle fattispecie in cui la pubblica amministrazione agisca quale autorità, nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino dinanzi al giudice amministrativo; in altri termini, vi è giurisdizione amministrativa solo se l'amministrazione, ancorché con forme e strumenti del diritto privato, eserciti un potere amministrativo” (Cons. Stato Sez. IV Sent., 29-01-2008, n. 248).
3. Venendo all’esame dell’appello principale, lo stesso è divenuto improcedibile quanto al petitum risarcitorio avanzato in forma specifica perché (come in parte ammesso dalla stessa parte appellante principale), a seguito della delibera di C.C. n. 33 del 4 luglio 2013 con la quale è stato deliberato di procedere alla demolizione del “Bagno Leonardo” si è inverata la richiesta proposta in via principale dall’appellante.
E’ ben vero che (come sottolineato da parte appellante) alla detta delibera non è stata data ancora materiale esecuzione: è pur vero però che l’adozione dell’atto amministrativo è pienamente satisfattoria (in parte qua) per la posizione di parte appellante, e che nella paventata e temuta ipotesi che l’Amministrazione non portasse ad esecuzione il detto atto parte appellante – sulla scorta delle affermazioni contenute nella presente decisione e della delibera predetta – potrebbe agire in via autonoma contro l’Amministrazione.
3.1.Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune nella propria memoria, tuttavia, ciò non implica l’improcedibilità dell’intero appello perché, all’evidenza, la domanda risarcitoria per equivalente avanzata in primo grado (al di là delle formule di stile ivi utilizzate) non aveva natura subordinata ma si affiancava a quella risarcitoria specifica (sol che si esaminino le richieste dell’appellante, risulterà chiaro ed evidente che la demolizione del manufatto non costituiva, nella prospettazione dell‘odierna parte appellante, presidio unico idoneo a restaurare la posizione attiva asseritamente lesa, ma che parte appellante avanzava anche una richiesta risarcitoria per equivalente relativa ai danni cagionati medio tempore dalla struttura edificata e dall’attività ivi svoltasi).
3.2. Il petitum risarcitorio per equivalente risulta pertanto procedibile e deve essere esaminato nel merito, dovendosi sul punto disattendere l’eccezione dell’amministrazione appellata.
3.3.A tale proposito, rileva il Collegio, anzitutto, una rilevante peculiarità “genetica” nella proposizione della detta azione.
La stessa, infatti, sebbene individui come “fatto genetico produttivo di danno” l’avvenuto rilascio della concessione edilizia 13.6.1988 n. 583 all’originario controinteressato, e sebbene strutturi la illegittimità, quantomeno in parte, in termini colposi da omesso controllo (per non avere l’Amministrazione colto che l’ intervento edilizio non era assentibile e che l’istante non era legittimato a richiederlo) non è stata articolata (neppure sotto il profilo descrittivo delle condotte) nei confronti del controinteressato “ricettore” del provvedimento abilitativo favorevole e giudicato illegittimo.
La singolarità di tale “parcellizzata” domanda risarcitoria non è casuale, ad avviso del Collegio, né può essere ascritta ad una mera dimenticanza.
Premesso infatti che se anche (il che non è, come si vedrà di qui a breve) si fosse addivenuti ad una affermazione di responsabilità risarcitoria nei confronti del Comune la quantificazione della stessa avrebbe dovuto tenere conto della portata concausale della condotta del controinteressato, ritiene il Collegio di dovere anticipare il proprio convincimento secondo cui l’appellante ben si rende conto della circostanza per cui un vaglio rigoroso sulle condotte che condussero il Comune ad adottare l’avversato atto ampliativo (poi annullato in autotutela dopo un non lunghissimo arco temporale) avrebbe indotto, all’evidenza, ad escludere la responsabilità colposa dell’Amministrazione e, insieme, a valutare l’apporto concausale a propria volta arrecato proprio dall’odierno appellante.
3.4. Tali considerazioni – sulle quali pure si tornerà nel prosieguo della esposizione- tuttavia non esimono il Collegio dal valutare i termini della condotta ascritta all’Amministrazione e l’efficienza causale della condotta del controinteressato latore del provvedimento abilitativo sull’errore dell’amministrazione nel rilascio del medesimo: tanto si impone in quanto l’analisi in ordine alla ascrivibilità dell’errore all’Amministrazione medesima e la sussistenza dell’elemento psicologico dell’illecito (sotto la forma della colpa o del dolo in capo all’Amministrazione) costituiscono elementi essenziali al fine dell‘individuazione della sussistenza di un “danno risarcibile”.
Parimenti dovrà essere valutata la incidenza dell’eventuale condotta –commissiva od omissiva- di parte appellante e l’eventuale refluenza della stessa sull’asserito “errore” commesso dall’Amministrazione.
La Sezione condivide infatti l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa che ha ancora di recente affermato che “l' azione di risarcimento conseguente all' annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo implica la valutazione dell' elemento psicologico della colpa, alla luce dei vizi che inficiavano il provvedimento stesso e della gravità delle violazioni imputabili all'Amministrazione, secondo l' ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all' organo amministrativo nonché delle condizioni concrete in cui ha operato l' Amministrazione, non essendo il risarcimento una conseguenza automatica della pronuncia del giudice della legittimità.”(Consiglio Stato , sez. IV, 01 ottobre 2007, n. 5052).
3.5. In sintesi: avuto riguardo al petitum proposto, sarà necessario valutare se sia riscontrabile l’elemento della colpa a carico dell’Amministrazione: per fare ciò sarà altresì necessario individuare l’incidenza della condotta posta in essere dalla parte controinteressata latrice del provvedimento ampliativo favorevole successivamente oggetto di atto di autotutela e, lo si ripete,dovrà essere parimenti valutata, ex art. 1227 del codice civile, la condotta spiegata dalla odierna parte appellante e l’incidenza complessiva della medesima sia in termini di causazione dell’illegittimità che di produzione del danno.
4. Anticipa a tale proposito il Collegio che l’approdo valutativo cui è giunto il primo giudice appare senz’altro corretto sotto l’assorbente profilo dell’assenza di colpa in capo all’Amministrazione odierna appellata.
4.1. Nel caso di specie infatti si ritiene che l’operato dell’apparato amministrativo sia del tutto immune da censure sotto il profilo della sussistenza dell’elemento colposo.
Come già accennato, la giurisprudenza ha in passato osservato – e non v’è ragione per discostarsi da tale approdo - che, perché possa configurarsi la responsabilità della p.a. è sufficiente la colpa, anche lieve dell'apparato amministrativo (Consiglio Stato , sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).
E parimenti si è avuto modo in passato di evidenziare il ridotto onere dimostrativo che grava in subiecta materia sul privato, atteso che “fermo restando l'inquadramento della maggior parte delle fattispecie di responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all'interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.”(Consiglio Stato , sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).
Non si ravvisano ragioni per discostarsi dal superiore orientamento: e la complessiva condotta dell’amministrazione deve essere valutata unitariamente e deve escludersi nel caso in questione alcuna ipotesi di colpa.
Ritiene infatti la Sezione di potere rinvenire nella condotta amministrativa oggetto di verifica elementi antitetici a qualsivoglia ipotesi di negligenza, disattenzione, approssimazione.
4.2.Per comodità espositiva il vaglio del Collegio terrà distinti i due “macroversanti” sui quali si incentrano le censure di parte appellante: essi si strutturano, in primis e secondo un criterio “cronologico”, nella fase concernente l’avvenuto rilascio del provvedimento abilitativo illegittimo successivamente annullato.
Secondariamente, è stato ipotizzato da parte della odierna appellante che, nel torno di tempo susseguente all’avvenuto annullamento dell’atto ampliativo in autotutela, si sia in presenza di uno stigmatizzabile operato dell’appellata amministrazione che, secondo la tesi di parte appellante, non avrebbe tempestivamente impedito al controinteressato di continuare ad esercitare abusivamente l’attività (con grave danno per l’appellante in termini di sviamento, sottrazione di clientela, illegittima concorrenza, etc).
4.3. Iniziando per comodità espositiva da tale secondo versante critico, ritiene il Collegio che, all’evidenza,la pretesa di parte appellante appaia del tutto infondata.
In particolare, l’appellante non ha contestato l‘analitica ricostruzione fornita dall’ articolata difesa dell’amministrazione comunale che ha buon gioco, ad avviso del Collegio, nel dimostrare che elementari canoni di prudenza consigliassero di attendere le definitive determinazioni dell’Autorità giudiziaria – adita su ricorso del controinteressato – in ordine alla legittimità degli atti amministrativi volti a rimuovere l’atto ampliativo (e le conseguenze del medesimo).
Ciò in quanto (a tacere dei passaggi processuali precedenti, che, come meglio si vedrà di seguito avevano visto parte appellante e parte controintereressata impugnare serialmente, -chiedendo altresì tutela cautelare - tutti i provvedimenti resi dall’Amministrazione) il Tar, con l‘ordinanza n. 599/2000 aveva concesso tutela cautelare a parte controinteressata, impedendo l‘acquisizione comunale delle opere illegittime nell’ambito di un ricorso dichiarato perento soltanto nel 2006 (ric. n. 850/2000).
Il Comune pertanto, in detta fase, e con riferimento al versante riposante nell’accertamento di una supposta condotta lassista o addirittura omissiva “favorevole” all’originario controinteressato che esercitava abusivamente l’attività posta in concorrenza diretta con quella di parte appellante ha:
a) adottato tutti gli atti di propria competenza tesi a fare cessare l’abuso e le conseguenze del medesimo;
b) respinto tutte le ulteriori iniziative del controinteressato volte ad ottenere provvedimenti sananti.
Di converso, a seguito dell’avvenuta concessione della tutela cautelare con riferimento ai provvedimenti acquisitivi/demolitori, il controinteressato Vinchesi ebbe ad ottenere tutela cautelare anche con riguardo alle connesse statuizioni inibitorie dell’esercizio di attività commerciale (ordinanza n. 807/2000 sul ricorso n. 1256/2000).
Soltanto nel 2002 l’appellante ha intrapreso iniziative giudiziarie volte ad avversare gli atti di rinnovo che medio-tempore il comune aveva rilasciato a parte controinteressata (ricorso definito con sentenza del Tar favorevole a parte appellante n. 2711/2003).
Ne consegue che, ad avviso del Collegio, non sussistono indici, neppure indiziari, per potere affermare che la condotta dell’amministrazione sia stata dolosamente preordinata a favorire il
controinteressato (come a tratti pare trasparire dal ricorso), ma neppure emergono elementi per sostenere che la stessa fosse rimproverabile secondo i principi della diligenza: la circostanza che il controinteressato avesse ottenuto – a più riprese – tutela cautelare in sede giurisdizionale rende evidente che, improntando la propria condotta a canoni di prudenza, il Comune abbia proceduto conformemente alle regole del corretto agere amministrativo, e che nessuna colpa possa ravvisarsi.
5.Quanto alla prima problematica dianzi evidenziata, ritiene il Collegio che parimenti la pretesa di parte appellante appaia infondata per carenza dell’elemento soggettivo in capo all’Amministrazione.
4.3.1. In primo luogo rileva il Collegio che la parte appellante medesima versava (e in parte versa ancora) in una condizione di conclamata irregolarità (con riferimento al Bagno Venere di propria pertinenza) essendo state emesse nei confronti della stessa (e, in parte, del dante causa della medesima) ben nove ordinanze di demolizione tese a stigmatizzare abusi edilizi di ogni genere e specie (dallo stesso gravate con ricorso respinto dal Tar e successivamente con appello al Consiglio di Stato dichiarato perento).
E pur apparendo impossibile, salvo volere appesantire oltremodo l’esposizione, in questa sede compendiare partitamente gli esiti dei singoli ricorsi proposti (potendosi fare sul punto rinvio alla memoria depositata dall’amministrazione comunale e non contestata in parte qua che riepiloga puntualmente anche sotto il profilo cronologico lo stato e l’esito delle iniziative giudiziarie intraprese) non appare arbitrario rilevare che, in larga parte, o attraverso provvedimenti reiettivi, ovvero attraverso la successiva “spontanea” demolizione delle opere, appare conclamata la fondatezza delle singole contestazioni relative alla abusività delle opere.
5.1. Deve quindi affermarsi che la richiesta risarcitoria viene proposta da soggetto che versava in stato di abusività reiterata (seppur parziale), ancorché mai oggetto di provvedimenti repressivi insistenti sull’attività commerciale esercitata.
E’ ben vero che ciò non priva l’appellante di legittimazione attiva (nel sistema giuridico italiano l’abusivo ben può dolersi della analoga condotta abusiva perpetrata dal controinteressato sull’area limitrofa): è parimenti vero, però, che nella eventuale quantificazione del risarcimento (le cui cifre esposte negli scritti dell’appellante, oltre che sfornite di prova ed allegazione alcuna appaiono del tutto abnormi) si dovrebbe tenere conto – detraendolo dal monte complessivo- degli introiti derivanti da una attività irregolare, in quanto esercitata per il tramite di strutture illegittimamente edificate (cabine, panineria, etc).
5.2. Ma v’è di più.
Sol che si guardi la fase “genetica” del rilascio del titolo abilitativo annullato in autotutela (atto, quest’ultimo, avversato dal controinteressato Vinchesi con ricorso definito sfavorevolmente dal Consiglio di Stato con la sentenza n.1939/99 con cui venne respinto il gravame proposto dal Vinchesi avverso il provvedimento della Giunta Regionale della Toscana n. 9284/88 di annullamento della concessione edilizia n.583/88), è agevole riscontrare che – almeno nella fase iniziale - i provvedimenti amministrativi ampliativi dei quali oggi parte appellante si duole erano dalla stessa auspicati e “condivisi”.
In particolare, sono rimaste prive di alcuna contestazione le affermazioni contenute nelle prime tre pagine del ricorso incidentale proposto dall’amministrazione comunale (e delle quali v’è in parte contezza nella sentenza del Tar n. 62/1999) secondo cui la prospettazione a tenore della quale nella zona potesse realizzarsi un ampliamento dello stabilimento balneare esistente, anche attraverso “sdoppiamento” del medesimo, era integralmente condivisa dalla odierna parte appellante, che presentò osservazioni, richieste, ed istanze in tal senso, le quali poi vennero dalla stessa “disconosciute”.
Se così è – e l’appellante, lo si ripete, non ha in alcun modo provveduto a contestare detta prospettazione – si assiste ad una vicenda processuale che a tratti assume portata paradossale: la parte che ha inizialmente prospettato l’adozione di un determinato atto, per poi “dissociarsene”, agisce per fare constare la responsabilità colposa risarcitoria dell’Amministrazione che ebbe ad adottare proprio l’atto in passato sollecitato (seppur in seguito adottato ad esclusivo beneficio del controinteressato).
Milita a questo punto, per l’esclusione dell’elemento soggettivo della responsabilità dell’Amministrazione, non solo il “concorso” assorbente della stessa parte appellante (almeno nella fase iniziale) e del controinteressato nell’adozione dell’atto, ma soprattutto la constatazione che, a fronte di una istanza proveniente da tutte le parti interessate, l’Amministrazione sia stata indotta a procedere con sollecitudine all’adozione del richiesto provvedimento ampliativo, per cui l’errore certamente sussistente (e che indusse all’intervento repressivo in autotutela dell’Autorità superiore) non può essere ascritto a titolo di colpa, versando la stessa in stato di errore scusabile.
5.3. Alla stregua delle superiori considerazioni va pertanto respinto l’appello principale, laddove anche si consideri che tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso, e va dichiarato improcedibile il ricorso incidentale proposto dall’appellata amministrazione comunale.
6.Le spese del procedimento seguono la soccombenza, e vengono separatamente liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge integralmente l’appello principale, ed in parte respinge ed in parte dichiara improcedibile l’appello incidentale e, per l'effetto, conferma con le precisazioni rese nella parte motiva la gravata decisione. .
Le spese processuali del grado di giudizio seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante deve essere condannata al pagamento delle medesime in favore dell’ appellata amministrazione comunale in misura che appare equo quantificare in complessivi Euro 3000 (€ 3000,00) oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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