Sunday 16 December 2012 11:22:16
Giurisprudenza Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza
Consiglio di Stato
Lo scopo del raggruppamento (o associazione) temporanea è quello di consentire la più ampia partecipazione a gare di appalto, in relazione alle quali le singole imprese non posseggono singolarmente tutte le competenze tecnico-operative, le categorie, caratteristiche e classifiche richieste dal bando (scopo che risulta accentuato dalle facilitazioni offerte dalla legge 18 novembre 1998 n. 415, che ha escluso la necessità di costituzione preventiva dell’associazione ai fini della partecipazione alla gara). Proprio perché la finalità è costituita dalla agevolazione partecipativa alle gare attraverso temporanee aggregazioni “di scopo”, il raggruppamento temporaneo di imprese - come è stato chiarito anche dalla giurisprudenza risalente (Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 1987 n. 246) fino alla più recente (Cons. Stato, Ad. Plen., 13 giugno 2012 n. 22) – non da luogo alla costituzione di un soggetto autonomo e distinto dalle imprese che lo compongono (mancando qualunque organizzazione comune), né ad un rigido collegamento strutturale. In definitiva, può affermarsi che l’istituto del raggruppamento temporaneo di imprese rappresenta uno strumento volto ad agevolare la partecipazione alle gare di appalto disposte dalle pubbliche amministrazioni e dagli organismi pubblici in genere, al duplice scopo di consentire l’ampliamento delle imprese partecipanti, e dunque le occasioni di lavoro per le medesime, e di offrire al contempo alla stazione appaltante una più ampia possibilità di scelta con conseguente migliore definizione dell’offerta. Orbene, alla luce di quanto esposto (ed in particolare, dalla complessiva lettura dell’art. 37 d. lgs. n. 163/2006), si evince: - per un verso, che l’aggiudicazione, ove intervenuta in favore di un costituendo (o costituito) raggruppamento temporaneo, si intende disposta in favore della composizione di questo come “risultante dall'impegno presentato in sede di offerta” (comma 9); - per altro verso, che una mutazione della composizione (fatte salve le ipotesi di cui ai commi 18 e 19 del medesimo art. 37), comporta “l'annullamento dell'aggiudicazione o la nullità del contratto, nonché l'esclusione dei concorrenti riuniti in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti, concomitanti o successivi alle procedure di affidamento relative al medesimo appalto” (comma 10); - per altro verso ancora (ed ad ulteriore conferma delle ragioni fondanti l’annullamento dell’aggiudicazione o la nullità del contratto) che, sia nel raggruppamento verticale sia in quello orizzontale, ciascuno dei concorrenti deve effettuare, nel caso di lavori, quelli ad essi spettanti, di modo come non può essere ammessa una novazione soggettiva di uno o più dei partecipanti al raggruppamento, poiché ciò implica una mutazione di quanto dichiarato (e valutato) in sede di gara. Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di osservare (sez. V, 20 aprile 2012 n. 2328), con considerazioni che si condividono, l' immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche è preordinata a garantire l'amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico organizzativa ed economica, nonché alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara. E’ per tali ragioni, che l'art. 37, co. 9, del D.Lgs n. 163/2006 stabilisce il divieto di modificare la composizione dei raggruppamenti temporanei e le eccezioni previste ai commi 18 e 19 (fallimento del mandante, del mandatario e, se si tratta di imprenditore individuale, morte, interdizione o inabilitazione, nonché le ipotesi previste dalla normativa antimafia) sono ammissibili in quanto, riguardano motivi indipendenti dalla volontà del soggetto partecipante alla gara e trovano giustificazione nell'interesse della stazione appaltante alla continuazione della stessa. Pertanto, al di fuori delle ipotesi normativamente previste, non è ammissibile alcuna modifica della composizione del raggruppamento affidatario (in senso conforme, Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2006 n. 1903 e 30 agosto 2006 n. 5081). Questo Collegio non ignora che altra giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2010 n. 842 e 13 maggio 2009 n. 2964; sez. V, 10 settembre 2010 n. 6546; sez. IV, 6 luglio 2010 n. 4332), ha ritenuto che il divieto di mutamento della composizione va letto come inteso ad impedire l’aggiunta o la sostituzione di imprese partecipanti all’A.T.I. e non anche a precludere il recesso di una o più imprese dall’associazione, a condizione che quelle che restano risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione, e sempre che il recesso e/o la modifica della compagine soggettiva in senso riduttivo avvenga per esigenze organizzative proprie dell’A.T.I., e non per eludere la disciplina di gara, o, più in particolare, non sia finalizzato ad evitare la sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti a carico del componente. A tal fine, si è sostenuto che tale interpretazione non penalizza la stazione appaltante, non creando incertezze, né le imprese “le cui dinamiche non di rado impongono modificazioni soggettive di consorzi e raggruppamenti, per ragioni che prescindono dalla singola gara, e che non possono precluderne la partecipazione se nessun nocumento ne deriva per la stazione appaltante”, né risulta violata la par condicio “perché non si tratta di introdurre nuovi soggetti in corsa, ma solo di consentire a taluno degli associati o consorziati il recesso, mediante utilizzo dei requisiti dei soggetti residui, già comunque posseduti” (in tal senso, Cons. St., sez. VI, n. 841/2010, cit.). Il Collegio non ritiene di condividere tale ultima interpretazione, alla luce del chiaro disposto dell’art. 37, co. 9, il quale letteralmente prevede che “salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta.”. Per un verso, quindi, il divieto imposto dal legislatore, riguarda “qualsiasi modificazione”, con ciò impedendosi all’interprete di escludere alcune delle modificazioni dal “totale” di esse, complessivamente vietato dal legislatore E ciò risulta a maggior ragione confermato dal fatto che il medesimo legislatore ha provveduto espressamente ad indicare le eccezioni al regime di divieto, con ciò ancora una volta (e a maggior ragione) precludendo interpretazioni volte ad escludere ipotesi di modificazione (quale quella in senso riduttivo dei componenti) dal complesso delle modifiche vietate. In definitiva, l’interpretazione “meno rigida” sopra riportata non può ritenersi consentita poiché essa, in presenza di un chiaro (e complessivo) divieto imposto dalla legge, con l’escludere un caso da tale divieto, compie una operazione non già di interpretazione normativa, bensì di (non consentita) integrazione della norma, di per sé compiutamente disciplinante il caso considerato. Tale operazione non già di interpretazione ma di (non consentita) integrazione normativa, risulta vieppiù non condivisibile, laddove si rileva che la stessa non si limita ad escludere contra legem le modificazioni per riduzione dei partecipanti dal divieto, ma distingue i casi di riduzione per esigenze organizzative, da ritenersi ammessi, dai casi di riduzione dei partecipanti per così dire “elusivi” di cause di esclusione, da ritenere vietati, in tal modo affidando – in modo estemporaneo ed in assenza di previsione normativa, anzi in presenza di esplicito divieto – all’amministrazione, e successivamente al giudice, una analisi delle ragioni del recesso dell’impresa dal raggruppamento. Per altro verso, il divieto di modificazione, come si è già affermato, è volto a garantire l'amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico organizzativa ed economica, nonché alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara. Ma tale divieto è volto anche a presidiare la complessiva serietà delle imprese che partecipano alla gara, onde garantire la migliore affidabilità del futuro contraente dell’amministrazione. Ed infatti, se è vero che il R.T.I. costituisce strumento volto ad agevolare la partecipazione del maggior numero di imprese alle gare, allo stesso tempo esso richiede anche una preventiva verifica di seria ed effettiva volontà di ciascuna impresa in ordine alla suddetta partecipazione in forma temporaneamente associata con altre. Né è possibile sostenere che imprese possano dapprima decidere di partecipare ad una gara in forma associata, per poi – per le circostanze più varie – mutare tale forma composita di partecipazione, senza che ciò assuma – in presenza dei requisiti di partecipazione alle altre imprese del raggruppamento – alcuna rilevanza per l’amministrazione. Da quanto sin qui esposto, consegue che, una volta che un raggruppamento temporaneo di imprese abbia partecipato ad una gara e ne abbia ottenuto l’aggiudicazione, non è possibile alcuna modifica, tanto meno soggettiva, in ordine alla composizione del raggruppamento ed a quanto dichiarato in sede di gara (l’ “impegno presentato in sede di offerta”, di cui parla il comma 9 dell’art. 37). A maggior ragione, nel caso in cui una impresa, sia essa la mandataria o una delle mandanti del raggruppamento, dichiara di non voler più partecipare al raggruppamento (ad esempio, non partecipando alla sua successiva costituzione), ovvero dichiara alla amministrazione aggiudicatrice di non avere più intenzione di eseguire le prestazioni cui era obbligata ai sensi dell’offerta, ovvero ancora nel caso in cui dichiara di “rinunciare” - anche solo in proprio - agli effetti dell’aggiudicazione o del contratto, in ciascuno di detti casi si realizza una differente composizione (per sottrazione/riduzione) del raggruppamento per come esso si è presentato, quale concorrente, in sede di gara, di modo che deve procedersi ai sensi dell’art. 37, comma 10, all’annullamento dell’aggiudicazione o alla declaratoria di nullità del contratto, fermo ogni ulteriore profilo di (eventuale) responsabilità dell’impresa nei confronti della amministrazione appaltante. In altre parole, l’effetto concreto che si produce, quale conseguenza delle situazioni sopra rappresentate, è quello di una modificazione della composizione del raggruppamento, che priva l’amministrazione del suo contraente (presente o futuro), così come determinato in sede di gara. Né a diverse conclusioni si perviene qualora la dichiarazione di rinuncia agli effetti dell’aggiudicazione provenga dalla mandataria. Anche in questo caso, non ha alcun rilievo (per la Pubblica Amministrazione appaltante), se detta rinuncia rientri (o meno) tra i poteri conferiti alla mandataria, né assumono rilievo le disposizioni del codice civile, e segnatamente l’art. 1711 c.c., in base al quale “il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato. L’atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario”. Come già affermato, nel caso di specie si realizza una modificazione soggettiva del raggruppamento, dovuta al venir meno di una delle imprese concorrenti e partecipanti al medesimo, di modo che ogni questione attinente ai poteri e relativi limiti dell’impresa mandataria non può che retrocedere a fronte del mero dato costituito dalla diversa realtà di fatto. Occorre ricordare che le norme del Codice dei contratti, quali norme di natura pubblicistica, regolano le posizioni in sede di procedure di affidamento ed i rapporti in sede di esecuzione delle imprese private nei confronti (e con) una Pubblica Amministrazione, organismo pubblico o altro soggetto equiparato, non già (salvo specifiche ed espresse eccezioni) i rapporti tra soggetti privati e, in particolare, tra imprese operanti nell’ambito del medesimo raggruppamento. Ciò comporta che le norme medesime devono essere interpretate nell’ambito di tale contesto, ed a chiarificazione dei rapporti tra soggetti privati e Pubblica Amministrazione, senza che eventuali disposizioni di fonte diversa, atte a regolare i rapporti interprivati, possano costituire – se non nei limiti strettamente necessari, e laddove la fattispecie delineata dalla norma di diritto pubblico non sia completa – integrazione di una diversa fattispecie e di una normativa di per sé autosufficiente. Si intende, dunque, affermare che, nel caso in cui una impresa mandataria rinunci all’aggiudicazione, tale manifestazione di volontà sicuramente produce, nei confronti della Pubblica Amministrazione, una oggettiva modificazione della composizione del raggruppamento, le cui conseguenze, sul piano pubblicistico, sono disciplinate dall’art. 37, co. 10, d. lgs. n. 163/2006, mentre ogni questione relativa ai contenuti e limiti del rapporto di mandato - allorchè fuoriescono dalla disciplina pubblicistica -, od anche gli effetti di atti o comportamenti tenuti dall’impresa mandataria nei confronti dell’amministrazione sulla sfera giuridica delle mandanti, possono rilevare tra gli stessi mandante e mandatario, ma risultano indifferenti alla Pubblica Amministrazione, ed in ogni caso esulano dalla cognizione (e giurisdizione) del giudice amministrativo.
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