Saturday 14 December 2013 14:19:34
Giurisprudenza Giustizia e Affari Interni
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III
Nel giudizio in esame gli appellati, già ricorrenti in primo grado, sono stati destinatari di un provvedimento di divieto di accesso agli impianti sportivi (c.d. “daspo”) emesso dalla Questura di Genova. Il Consiglio di Stato ricorda che le ipotesi nelle quali è prevista la emissione di un “daspo” sono elencate nell’art. 6 (testo attualmente vigente) della legge n. 401/1989. La norma fa riferimento, fra l’altro, ai soggetti che risultino «denunciati o condannati» per varie fattispecie penali, fra le quali sono qui pertinenti quelle previste dall’art. 6-bis della stessa legge. Si tratta del fatto di chi, nel corso di una manifestazione sportiva, «supera indebitamente una recinzione o separazione dell'impianto ovvero invade il terreno di gioco»; il fatto è punito come contravvenzione, ma è delitto se «ne deriva un ritardo rilevante dell’inizio, l’interruzione o la sospensione definitiva della competizione calcistica». In effetti, agli attuali appellati non viene ascritto altro che il fatto di essersi spostati da un settore all’altro degli spazi riservati al pubblico. Il fatto non è stato da loro negato, e del resto appare comprovato per il fatto che essi sono stati fotografati, dopo gli incidenti, nel settore “distinti” mentre avevano fatto ingresso nella “curva nord”. Essi hanno però dedotto di averlo fatto in modo pacifico, dopo che il varco fra un settore e l’altro era stato aperto da altri; la circostanza non è smentita, e in un certo senso è avvalorata dalla considerazione che gli interessati non sono stati indicati come fomentatori dei disordini, né comunque come partecipi dei comportamenti minacciosi che pure erano stati tenuti (da altri) in quella occasione. Peraltro, il fatto punito, si è visto, è quello di chi «supera ... una recinzione o separazione dell'impianto»; non a caso nella rubrica dell’art. 6-bis esso è denominato «scavalcamento». Si tratta dunque di un fatto diverso (e intuitivamente più grave) di quello di chi pacificamente si sposta da un settore all’altro, profittando di un varco occasionalmente aperto. In altre parole, l’illecito penale (che legittimerebbe l’emanazione del “daspo”) si integra quando il soggetto dolosamente supera o scavalca una recinzione, o altro ostacolo materiale. Non sembra necessario dilungarsi nello spiegare perché le due ipotesi siano apprezzabilmente diverse fra loro quanto a pericolosità e riprovevolezza. In conclusione, l’appello del Ministero dell'Interno e' stato respinto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale *******del 2013, proposto da:
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
*****, *********;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE II n. 00425/2013, resa tra le parti, concernente divieto di accedere a tutti gli impianti sportivi ubicati sul territorio nazionale in cui si svolgono incontri di calcio di qualsiasi serie e categoria nonchè nei luoghi interessati al transito e trasporto dei tifosi, per la durata di anni tre
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il Pres. Pier Giorgio Lignani e udito l’avvocato dello Stato Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Gli appellati, già ricorrenti in primo grado, sono stati destinatari di un provvedimento di divieto di accesso agli impianti sportivi (c.d. “daspo”) emesso dalla Questura di Genova.
Il provvedimento faceva seguito ad un episodio svoltosi nello stadio di calcio di quel capoluogo, in occasione della partita Genoa-Siena del 22 aprile 2012. Quando la partita volgeva al termine e si prevedeva una pesante sconfitta della squadra locale, un certo numero dei sostenitori di questa aveva iniziato a rumoreggiare ed ad inveire contro i calciatori, minacciando anche di passare a vie di fatto; per rendere più concrete le minacce, si erano spostati dal settore “curva nord” al settore “distinti”, fino a trovarsi al di sopra del varco attraverso il quale i giocatori sarebbero rientrati negli spogliatoi. La situazione era tale che l’arbitro aveva preferito sospendere la partita e solo dopo lungo tempo, ottenuta una relativa calma, ne aveva ordinato la ripresa.
Indagando sull’incidente, la Polizia aveva potuto identificare un buon numero degli spettatori (fra i quali gli attuali appellati) che risultavano essersi spostati da un settore all’altro. Costoro sono stati dunque colpiti dal provvedimento.
2. Gli attuali appellati hanno fatto ricorso al T.A.R. Liguria. Essi non hanno negato di avere cambiato posto all’interno dello stadio – peraltro solo dopo aver visto che il cancello di comunicazione fra un settore e l’altro era stato aperto - ma contestano di avere preso parte attiva ai disordini e di avere comunque tenuto comportamenti violenti o minacciosi.
Il T.A.R. Liguria ha accolto il ricorso, motivando con la necessità di dare un’interpretazione ragionevolmente restrittiva delle norme in materia di “daspo” e prendendo atto che in questa luce non risultava provato che i ricorrenti avessero tenuto comportamenti sanzionabili.
3. Il Ministero dell’Interno ha proposto appello contro la sentenza.
Gli appellati non si sono costituiti.
4. Il Collegio ricorda che le ipotesi nelle quali è prevista la emissione di un “daspo” sono elencate nell’art. 6 (testo attualmente vigente) della legge n. 401/1989. La norma fa riferimento, fra l’altro, ai soggetti che risultino «denunciati o condannati» per varie fattispecie penali, fra le quali sono qui pertinenti quelle previste dall’art. 6-bis della stessa legge. Si tratta del fatto di chi, nel corso di una manifestazione sportiva,«supera indebitamente una recinzione o separazione dell'impianto ovvero invade il terreno di gioco»; il fatto è punito come contravvenzione, ma è delitto se «ne deriva un ritardo rilevante dell’inizio, l’interruzione o la sospensione definitiva della competizione calcistica».
In effetti, agli attuali appellati non viene ascritto altro che il fatto di essersi spostati da un settore all’altro degli spazi riservati al pubblico. Il fatto non è stato da loro negato, e del resto appare comprovato per il fatto che essi sono stati fotografati, dopo gli incidenti, nel settore “distinti” mentre avevano fatto ingresso nella “curva nord”. Essi hanno però dedotto di averlo fatto in modo pacifico, dopo che il varco fra un settore e l’altro era stato aperto da altri; la circostanza non è smentita, e in un certo senso è avvalorata dalla considerazione che gli interessati non sono stati indicati come fomentatori dei disordini, né comunque come partecipi dei comportamenti minacciosi che pure erano stati tenuti (da altri) in quella occasione.
Peraltro, il fatto punito, si è visto, è quello di chi «supera ... una recinzione o separazione dell'impianto»; non a caso nella rubrica dell’art. 6-bis esso è denominato «scavalcamento». Si tratta dunque di un fatto diverso (e intuitivamente più grave) di quello di chi pacificamente si sposta da un settore all’altro, profittando di un varco occasionalmente aperto. In altre parole, l’illecito penale (che legittimerebbe l’emanazione del “daspo”) si integra quando il soggetto dolosamente supera o scavalca una recinzione, o altro ostacolo materiale. Non sembra necessario dilungarsi nello spiegare perché le due ipotesi siano apprezzabilmente diverse fra loro quanto a pericolosità e riprovevolezza.
5. In conclusione, l’appello del Ministero va respinto.
S’intende che la presente decisione non preclude all’amministrazione la possibilità di emanare nuovamente il provvedimento, qualora sia in grado (eventualmente anche in relazione all’esito di eventuali indagini penali) di porvi a base una motivazione più pertinente e più circostanziata.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, non essendovi stata costituzione degli appellati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE | ||
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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