Saturday 04 January 2014 07:38:39

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Edilizia: le stalle, i pollai ed i fienili, anche se amovibili, se hanno un’autonoma utilità ai fini dell’esercizio dell'attività di allevamento e sono idonei a modificare l’assetto territoriale sono costruzioni che richiedono il titolo edificatorio

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

Per costante giurisprudenza del Consiglio di Stato costituisce costruzione, richiedente il titolo edificatorio, qualunque intervento implicante una stabile, sebbene non irreversibile, trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, finalizzata a soddisfare esigenze non precarie del committente sotto il profilo funzionale e della destinazione dell'immobile (in questo senso: Sez. III, 6 novembre 2013, n. 5313; Sez. IV, 24 luglio 2012, n. 4214; Sez. V, 20 giugno 2011 n. 3683; Sez. VI, 16 febbraio 2011 n. 986).Nel giudizio in esame le risultanze documentali (in particolare la documentazione fotografica agli atti) inducono a ritenere che i manufatti oggetto del provvedimento qui impugnato siano riconducibili a tale ipotesi, sia per modalità costruttive che per caratteristiche tipologiche e funzionali. Si tratta infatti di fabbricati ad uso stalla, pollai e fienile, contraddistinti dall’infissione di materiali (legno o lamiera) nel terreno e copertura stabile. Ancorché amovibili, quindi, gli stessi costituiscono indiscutibilmente opere stabilmente destinate alle esigenze dell’attività di allevamento su fondi rustici.Né tanto meno questi ultimi possono essere ritenuti delle pertinenze.Quest’ultima nozione ha in ambito edilizio un significato assai circoscritto e limitato alle sole ipotesi di manufatti privi di intrinseco valore e non autonomamente utilizzabili, ma aventi destinazione esclusivamente servente dell’edificio principale, oltre che di dimensioni tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico (cfr. C.d.S., Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4448, 26 marzo 2013, n. 1709, 20 febbraio 2013, n. 1059, 15 gennaio 2013, n. 211; Sez. V, 14 ottobre 2013, n. 4997, 11 giugno 2013, n. 3221; Sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5274; 11 settembre 2013, n. 4493, 28 gennaio 2013, n. 496).Il che non può evidentemente dirsi per i fabbricati ad uso stalla, fienile e pollai oggetto del presente procedimento, i quali hanno un’autonoma utilità ai fini dell’esercizio della suddetta attività di allevamento e sono palesemente idonei ad modificare l’assetto territoriale (si tratta infatti di un pollaio e stalla di 13x8x1,8 metri; di un fienile di 7,5x3,5x2,2 metri; di un manufatto in bozze cementizie e copertura in fibrocemento di 3,1x2,4x1,75 metri ed infine di due pollai rispettivamente di 2,4x1,7x1,75 e 1,55x8x1,4/1,65 metri).Infine, deve affermarsi la manifesta infondatezza del terzo motivo.Sovviene ancora una volta la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, la quale è ferma nell’affermare che i provvedimenti repressivi in materia edilizia non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare mediante la demolizione del manufatto abusivo, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati. E ciò in base al rilievo per cui non si può configurare alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva per il mero trascorrere del tempo dalla commissione dell’abuso, vista l’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo in tale materia (Sez. IV, 10 giugno 2013, n. 3182, 26 marzo 2013, n. 1693; Sez. V, 24 ottobre 2013, n. 5158, 11 giugno 2013, n. 3235, 11 gennaio 2011, n. 79; Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5088, 18 settembre 2013, n. 4651, 31 maggio 2013, n. 3010, 4 marzo 2013, n. 1268).Anche a questo riguardo il Collegio non ravvisa alcuna ragione per discostarsi dal citato indirizzo. Qui è il caso di soggiungere che la pretesa comparazione tra contrapposti interessi è imposta in sede di esercizio del potere di autotutela amministrativa, e non già per l’ontologicamente diversa potestà sanzionatoria, in relazione alla quale, peraltro, alcun affidamento meritevole di tutela è ravvisabile in capo al privato autore dell’abuso, tanto per il carattere illecito della condotta, quanto per l’insussistenza di alcun comportamento positivo dell’amministrazione che possa avere ingenerato un ragionevole convincimento in ordine alla liceità dell’opera.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale ****** del 2000, proposto da:

Bonuccelli Armida, vedova della Bona, rappresentata e difesa dagli avv. Bruno Belli e Ferdinando D'Aniello, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, corso Trieste 87;

 

contro

Comune di Massa, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Grassi e Avilio Presutti, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, piazza S. Salvatore in Lauro 10; 

nei confronti di

Dani Pasquale, in qualità di erede di Ricciardi Maria Teresa; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA, SEZIONE III, n. 00457/1999, resa tra le parti, concernente demolizione di opere edilizie abusive.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Colabucci, in dichiarata delega dell’avv. Belli, e Meschini, in delega dell’avv. Grassi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Armida Bonuccelli impugnava davanti al TAR Toscana l’ordine a lei rivolto dal Comune di Massa, con provvedimento 29 giugno 1998, n. 415, di demolire le costruzioni realizzate sul terreno sito in zona di via Arezzo (censito al foglio 140, mappale 763), di cui è affittuaria, consistenti in fabbricati di modeste dimensioni strumentali all’attività di allevamento (due pollai, una stalla, un fienile ed un manufatto in bozze cementizie con copertura in fibrocemento ondulato).

Il TAR adito respingeva l’impugnativa.

Per quanto qui ancora di interesse, statuiva che:

- ancorché ubicate in zona agricola, le costruzioni oggetto del provvedimento repressivo non avrebbero potuto essere realizzate in assenza di titolo edilizio, alla luce della analitica disciplina sulle caratteristiche delle costruzioni in zona agricola contenuta nel piano regolatore generale dell’allora Comune di Apuania, approvato con l. n. 147/1931;

- le medesime costruzioni consistono in opere fisse al suolo, pertanto necessitanti del suddetto titolo;

- non occorre alcuna specifica motivazione in punto prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità rispetto al contrapposto affidamento privato al mantenimento delle opere, essendo al riguardo sufficiente l’accertamento dell’abuso.

Nell’appellare la sentenza la Bonuccelli, controdeduce che:

- all’epoca di realizzazione dei manufatti l’obbligo di munirsi di titolo ad edificare era circoscritto dalla legge urbanistica n. 1150/1942 ai soli centri abitati, risultando conseguentemente abrogate le previgenti norme di legge contrastanti;

- le opere in contestazione sono precarie e pertinenziali;

- il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dei manufatti (circa 40 anni) avrebbe richiesto una specifica motivazione a sostegno dell’ordine di demolizione, tenuto anche conto della sopravvenuta legislazione regionale in materia di interventi in aree agricole (in particolare: l. reg. n. 25/1997).

DIRITTO

Così riassunte le opposte prospettazioni delle parti, il primo motivo è infondato.

Deve infatti convenirsi con quanto affermato dal TAR circa il fatto che per realizzare le opere in contestazione occorresse premunirsi di un titolo autorizzatorio, malgrado le stesse insistano in zona agricola.

Decisiva è la constatazione che all’epoca di presunta realizzazione dei manufatti (anni ’50) doveva ritenersi tuttora vigente il piano regolatore generale del Comune di Apuania, approvato con legge n. 147/1931. Come infatti osservato dal TAR, lo strumento urbanistico in questione, pur non imponendo espressamente il titoload aedificandum, dettava una serie di puntuali prescrizioni conformative dell’attività edificatoria in zona agricole, concernenti le altezze, i piani, le distanze e la destinazione degli interventi. Il che avvalora la conseguenza che il giudice di primo grado ha ragionevolmente tratto da tale disciplina e cioè che la stessa in tanto ha una portata pratica in quanto l’attività di trasformazione edilizia in dette zone sia soggetta al preventivo controllo autorizzatorio dell’autorità comunale.

In contrario non giova invocare la disposizione abrogativa contenuta nell’art. 45 della legge urbanistica (n. 1150/1942) e la contestuale affermazione dell’obbligo di munirsi di licenza edilizia solo per i centri abitati (art. 31 della medesima legge). La prima delle ora citate disposizioni prevede l’abrogazione delle previgenti disposizioni normative contrarie o incompatibili con l’obbligo di cui all’art. 31 e dunque va letteralmente riferita ad ipotetiche previsioni normative che a vario titolo escludevano la necessità del titolo autorizzatorio per i centri abitati. Non già dunque a quelle che, lungi dal porsi in rapporto di contrarietà o incompatibilità, perseguivano il medesimo fine dell’ordinato e razionale sfruttamento del territorio, anche al di fuori delle zone di espansione urbana per le quali il legislatore del 1942 aveva inteso predisporre una regolamentazione puntuale dell’attività edificatoria.

Pertanto, non convince la tesi dell’appellante, secondo cui l’abrogazione riguarderebbe l’art. 6 del r.d.l. n. 2105/1937 (contenente norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti), il quale prevedeva un obbligo generalizzato, e non già circoscritto ai centri urbani, di premunirsi dell’autorizzazione a costruire.

In sostanza, la tesi a sostegno del motivo in esame postula un intento del legislatore rimasto del tutto inespresso nella legge urbanistica del 1942, consistente nel limitare la necessità del previo titolo edilizio ai soli contesti urbani e nella correlativa esclusione per le altre aree.

Anche il secondo motivo è infondato.

Per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, costituisce costruzione, richiedente il titolo edificatorio, qualunque intervento implicante una stabile, sebbene non irreversibile, trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, finalizzata a soddisfare esigenze non precarie del committente sotto il profilo funzionale e della destinazione dell'immobile (in questo senso: Sez. III, 6 novembre 2013, n. 5313; Sez. IV, 24 luglio 2012, n. 4214; Sez. V, 20 giugno 2011 n. 3683; Sez. VI, 16 febbraio 2011 n. 986).

Le pacifiche risultanze documentali (in particolare la documentazione fotografica agli atti) inducono a ritenere che i manufatti oggetto del provvedimento qui impugnato siano riconducibili a tale ipotesi, sia per modalità costruttive che per caratteristiche tipologiche e funzionali. Si tratta infatti di fabbricati ad uso stalla, pollai e fienile, contraddistinti dall’infissione di materiali (legno o lamiera) nel terreno e copertura stabile. Ancorché amovibili, quindi, gli stessi costituiscono indiscutibilmente opere stabilmente destinate alle esigenze dell’attività di allevamento su fondi rustici.

Né tanto meno questi ultimi possono essere ritenuti delle pertinenze.

Quest’ultima nozione ha in ambito edilizio un significato assai circoscritto e limitato alle sole ipotesi di manufatti privi di intrinseco valore e non autonomamente utilizzabili, ma aventi destinazione esclusivamente servente dell’edificio principale, oltre che di dimensioni tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico (cfr. C.d.S., Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4448, 26 marzo 2013, n. 1709, 20 febbraio 2013, n. 1059, 15 gennaio 2013, n. 211; Sez. V, 14 ottobre 2013, n. 4997, 11 giugno 2013, n. 3221; Sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5274; 11 settembre 2013, n. 4493, 28 gennaio 2013, n. 496).

Il che non può evidentemente dirsi per i fabbricati ad uso stalla, fienile e pollai oggetto del presente procedimento, i quali hanno un’autonoma utilità ai fini dell’esercizio della suddetta attività di allevamento e sono palesemente idonei ad modificare l’assetto territoriale (si tratta infatti di un pollaio e stalla di 13x8x1,8 metri; di un fienile di 7,5x3,5x2,2 metri; di un manufatto in bozze cementizie e copertura in fibrocemento di 3,1x2,4x1,75 metri ed infine di due pollai rispettivamente di 2,4x1,7x1,75 e 1,55x8x1,4/1,65 metri).

Infine, deve affermarsi la manifesta infondatezza del terzo motivo.

Sovviene ancora una volta la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, la quale è ferma nell’affermare che i provvedimenti repressivi in materia edilizia non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare mediante la demolizione del manufatto abusivo, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati. E ciò in base al rilievo per cui non si può configurare alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva per il mero trascorrere del tempo dalla commissione dell’abuso, vista l’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo in tale materia (Sez. IV, 10 giugno 2013, n. 3182, 26 marzo 2013, n. 1693; Sez. V, 24 ottobre 2013, n. 5158, 11 giugno 2013, n. 3235, 11 gennaio 2011, n. 79; Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5088, 18 settembre 2013, n. 4651, 31 maggio 2013, n. 3010, 4 marzo 2013, n. 1268).

Anche a questo riguardo il Collegio non ravvisa alcuna ragione per discostarsi dal citato indirizzo. Qui è il caso di soggiungere che la pretesa comparazione tra contrapposti interessi è imposta in sede di esercizio del potere di autotutela amministrativa, e non già per l’ontologicamente diversa potestà sanzionatoria, in relazione alla quale, peraltro, alcun affidamento meritevole di tutela è ravvisabile in capo al privato autore dell’abuso, tanto per il carattere illecito della condotta, quanto per l’insussistenza di alcun comportamento positivo dell’amministrazione che possa avere ingenerato un ragionevole convincimento in ordine alla liceità dell’opera.

In conclusione l’appello deve essere respinto.

Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate tra le parti costituite avuto riguardo alla non agevole ricostruzione del dato normativo vigente all’epoca dei fatti, mentre non vi è luogo a provvedere sulle stesse nei rapporti tra l’appellante e la parte intimata non costituita.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese del presente grado tra le parti costituite.

Nulla per le spese tra l’appellante e la parte intimata non costituita.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Carmine Volpe, Presidente

Manfredo Atzeni, Consigliere

Sabato Malinconico, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/12/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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