Wednesday 12 March 2014 23:20:37
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI
Ai fini del rilascio dell’assenso edilizio in sanatoria è, infatti, necessario dimostrare che l’opera abusiva è conforme non solo alla disciplina urbanistica vigente alla data in cui l’assenso viene richiesto, ma anche a quella vigente all’atto della realizzazione dell’opera. Come ha chiarito la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (da ultimo, sez. V, 11 giugno 2013, n.3220), l'art. 36 del d.p.r. 6 giugno 20012, n. 380, come già l'art. 13 della legge n. 47 del 1985, pone come condizione inderogabile, ai fini del rilascio della sanatoria, che “l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda" .
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2205 del 2012, proposto da:
Bartolomeo Adriano e Prestia Carmelina, rappresentati e difesi dagli avvocati Cristiano Romano, Andrea Romano, Antonio Sinesio, con domicilio eletto presso Antonio Sinesio in Roma, via Francesco Siacci, 39
contro
Comune di Cilavegna in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Adavastro, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 2195/2011, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cilavegna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2014 il consigliere Roberta Vigotti e udito per l’Amministrazione resistente l’avvocato Pietro Quinto per delega dell’avvocato Francesco Adavastro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I signori Adrano Bartolomeo e Prestia Carmelina chiedono la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della Lombardia ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento del Comune di Cilavegna del 26 aprile 2005, di reiezione dell’accertamento di conformità per la realizzazione, in difformità dalla concessione edilizia n. 27 del 1991, di un muro di contenimento a servizio di un accesso laterale dell’edificio unifamiliare di proprietà dei ricorrenti, ubicato in via Berlinguer n. 42.
Il diniego si fonda sulla motivazione che la costruzione insiste all’interno della zona R2 del p.r.g. (zona di rispetto stradale e acque pubbliche), sia in base allo strumento urbanistico vigente all’epoca di realizzazione del manufatto, sia in base a quello in vigore all’epoca della presentazione della domanda di accertamento di conformità.
I) La sentenza impugnata ha respinto il ricorso, osservando che è incontestato che il manufatto costituisce nuova costruzione, e che non sussiste la doppia conformità alle norme di piano regolatore, perché l’opera è a meno di 20 metri dalla fascia di rispetto delle acque pubbliche, e perché il limite di 10 metri prescritto dall’art. 50 delle n.t.a. vigenti richiama quello ulteriore previsto dall’art. 96 r.d. n. 523 del 1904, ma non costituisce deroga al divieto generale di edificazione previsto per tutta la zona R2 dalla prima parte del medesimo art. 50 e dall’art. 61 delle n.t.a. del piano regolatore previgente.
II) Con l’appello in esame i ricorrenti lamentano, in particolare, la considerazione del manufatto come nuova costruzione, e sostengono che la fascia di rispetto di 20 metri prevista dal primo p.r.g. (art. 61) coinciderebbe con quella di 10 metri di cui al secondo p.r.g. (art. 50) atteso che la prima si calcolerebbe dalla linea di mezzeria del canale e la seconda dal piede dell’argine; in entrambi i casi l’opera non ricadrebbe nella fascia di rispetto, anche atteso che il nuovo p.r.g. prevede solo una fascia di 10 pari a dieci metri; inoltre, l’Amministrazione non ha motivato circa il punto di partenza assunto per il calcolo della fascia.
III) Con l’ordinanza e sentenza parziale 18 dicembre 2012, n. 6490 questa Sezione ha rilevato che la censura tendente alla considerazione del manufatto come nuova costruzione costituisce, conformemente all’eccezione del Comune resistente, motivo non dedotto in primo grado e comunque infondato nel merito; inoltre ha considerato come l’intervento non sia riconducibile alla tipologia di opere che sono eccezionalmente realizzabili all’interno della fascia di rispetto in base al previgente e al vigente p.r.g.
Per dirimere il contrasto esistente tra le parti su circostanze di fatto essenziali per la decisione dei successivi motivi d’appello, il Collegio ha poi ordinato una verificazione, tendente ad acclarare:
- i criteri di misurazione della fascia di rispetto R2 in base all’art. 61 del previgente p.r.g. del Comune di Cilavegna e la identità o difformità della fascia di rispetto in base alla parte grafica e normativa di detto p.r.g.;
- i criteri di misurazione della fascia di rispetto R2 in base all’art. 50 del vigente p.r.g. del Comune di Cilavegna e la identità o difformità della fascia di rispetto in base alla parte grafica e normativa di detto p.r.g.;
- in particolare, se il nuovo p.r.g. prevede sia una fascia di rispetto di 20 metri sia una di 10 metri o solo una fascia di rispetto di 10 metri, alla luce del citato art. 50 e della parte grafica del piano;
- l’esatta posizione del muro di contenimento in contestazione, e la sua distanza dal punto di partenza della fascia di rispetto, sia quella di 20 metri sia quella di dieci metri.
IV) L’esito della verificazione, depositata il 15 aprile 2013, ha chiarito:
- l’identità della fascia di rispetto in base alla parte grafica e normativa del p.r.g. previgente del 1983, misurata a partire dal subdiramatore Quintino Sella;
- l’esistenza di una fascia di rispetto di venti metri dall’argine del subdiramatore stesso in forza della previsioni del p.r.g. del 2003, che prevede anche una fascia di dieci metri mediante il generale richiamo all’art. 96 r.d. n. 523 del 1904;
- l’ubicazione del muro in contestazione ad una distanza dall’argine del subdiramatore che varia da un minimo di circa 13,23 metri a un massimo di circa 16,10 metri;
- la collocazione indubitabile del manufatto all’interno della fascia di inedificabilità di venti metri di cui all’art. 61 del previgente p.r.g. e all’art. 50 del vigente p.r.g., e all’esterno della fascia di dieci metri di cui all’art. 96 r.d. n. 523 cit.
V) Alla luce delle risultanze della verificazione, che appare correttamente eseguita ed esaustivamente motivata, anche per quanto riguarda la considerazione del punto di partenza per la misurazione della fascia di rispetto, l’appello si appalesa infondato.
Le contestazioni ribadite dai ricorrenti anche in prossimità dell’odierna udienza si appuntano sul riferimento che il p.r.g. del 2003, vigente all’epoca dell’esame della domanda respinta con il provvedimento oggetto del ricorso, opera alla misura di dieci metri di cui all’art. 96 citato, entro la quale ricade il manufatto in contestazione, con sostanziale scoloramento della più ampia fascia indicata dallo strumento urbanistico previgente.
La censura non può essere condivisa, dal momento che, se è vero che l’art. 50 del p.r.g. del 2003 vieta qualsiasi tipo di nuova costruzione nella fascia di rispetto dei corsi d’acqua pubblica, senza determinarne la profondità, che indica in dieci metri solo con riferimento all’art. 96 del r.d. n. 523 cit., è anche vero che nella parte cartografica del medesimo strumento urbanistico (elaborato O.2) il contrassegno e la profondità di tale fascia nella Zona R2 corrisponde, come ha accertato il verificatore, a venti metri a partire dall’argine del subdiramatore Quintino Sella, conformemente al rilievo aerofotogrammetrico. Il medesimo elaborato O2 non indica, invece, l’area di rispetto pari a dieci metri, di cui all’art. 96 cit.
Si può quindi convenire nel senso che legittimamente il Comune ha rilevato la difformità del manufatto (nell’ambito di una più ampia sanatoria accordata per gran parte degli interventi eseguiti in difformità dal titolo edilizio) rispetto al parametro indicato dal piano regolatore vigente.
Peraltro, poiché non è contestabile, né contestato, che le norme del piano regolatore previgente indicassero una fascia di rispetto di venti metri per la zona considerata, il provvedimento impugnato si dimostra immune dalle censure svolte dai ricorrenti anche sotto un ulteriore profilo.
Ai fini del rilascio dell’assenso edilizio in sanatoria è, infatti, necessario dimostrare che l’opera abusiva è conforme non solo alla disciplina urbanistica vigente alla data in cui l’assenso viene richiesto, ma anche a quella vigente all’atto della realizzazione dell’opera. Come ha chiarito la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (da ultimo, sez. V, 11 giugno 2013, n.3220), l'art. 36 del d.p.r. 6 giugno 20012, n. 380, come già l'art. 13 della legge n. 47 del 1985, pone come condizione inderogabile, ai fini del rilascio della sanatoria, che “l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda" .
Un tale principio, che non è stato oggetto di contestazione nel presente giudizio, si oppone dunque alla pretesa dei ricorrenti, posto che, come ha rilevato il Comune nel provvedimento impugnato in primo grado e ha confermato il verificatore, il manufatto in discorso non è, comunque, conforme al p.r.g. del 1983, vigente all’epoca della sua realizzazione, ponendosi ad una distanza dall’argine del corso d’acqua pacificamente inferiore a venti metri.
VI) L’appello è in conclusione infondato e deve essere respinto.
Le spese di questo secondo grado del giudizio possono essere compensate tra le parti, ad eccezione delle spese relative alla verificazione, che vanno poste a carico della parte soccombente, nella misura di 2.000 (duemila) euro, come da nota per onorari depositata in atti
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti, in solido, al pagamento degli onorari di cui in motivazione, compensando tra le parti, per il resto, le spese del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore
Carlo Mosca, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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