Thursday 13 March 2014 00:04:52
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV
L'istituto della retrocessione, prima disciplinato dagli artt. 60-63 della Legge n. 2359/1865, è oggi scolpito dagli artt. 46-48 del D.P.R. n. 327/2001 (T.U. Espropriazione per p.u.). Nell'ambito delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, l'istituto della retrocessione dà titolo alla restituzione dei beni espropriati ove non sia stata posta in essere o non sia più utilizzabile l'opera alla cui realizzazione gli stessi erano stati destinati dalla dichiarazione di pubblica utilità. Ricorre in tale evenienza la fattispecie della c.d. “retrocessione totale”, laddove sussiste un vero e proprio diritto soggettivo dell'originario proprietario ad ottenere la restituzione del bene oggetto della procedura ablatoria devoluto alla giurisdizione del Giudice ordinario. Ulteriore ipotesi normativa si invera allorché, pur essendo stata eseguita l'opera pubblica o di pubblica utilità, emerga che uno o più fondi espropriati non hanno ricevuto, in tutto o in parte, la prevista destinazione: ricorre in tale fattispecie la c.d. “retrocessione parziale”, laddove la posizione soggettiva ha consistenza di interesse legittimo, e la cognizione della stessa pertiene alla giurisdizione amministrativa. Secondo la giurisprudenza di merito, l'ipotesi di retrocessione totale, è contraddistinta dalla mancata realizzazione dell'opera prevista dalla dichiarazione di pubblica utilità: ivi parimenti è compreso il caso della sostituzione con un'opera completamente diversa da quella programmata, (T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 01-06-2011, n. 2937). Come ha a più riprese chiarito la giurisprudenza, invece, la retrocessione parziale si ha quando, dopo l'esecuzione totale o parziale dell'opera, alcuni dei fondi espropriati non abbiano ricevuto la prevista destinazione. La posizione giuridica soggettiva attiva nasce solo se e in quanto l'Amministrazione, nel compimento di una valutazione discrezionale in ordine alla quale il privato è titolare di un mero interesse legittimo, abbia dichiarato che quei fondi più non servono all'opera pubblica.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5173 del 2011, proposto da:
Giulio Gatti, rappresentato e difeso dagli avv. Corrado Orienti, Maria Elena Maratia, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
contro
Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gaetano Puliatti, Fabrizia Senofonte, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5; Comune di Modena, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Villani, Adriano Giuffre', con domicilio eletto presso Adriano Giuffrè in Roma, via dei Gracchi, 39;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. dell’ EMILIA-ROMAGNA – Sede di BOLOGNA- SEZIONE I n. 08107/2010, resa tra le parti, concernente dichiarazione d'inservibilità su area ubicata nel comune di Modena.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Emilia Romagna e di Comune di Modena;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Corrado Orienti, Andrea Manzi e Adriano Giuffrè;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna – sede di Bologna - ha respinto il ricorso di primo grado proposto dall’odierno appellante Gatti Giulio, volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento prot.n. 19750 del 30.7.1997, recante diniego di accoglimento dell'istanza di rilascio di decreto dichiarativo di inservibilità di aree espropriate.
L’appellante aveva prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere analiticamente vagliate dal Tar, che, ripercorsa anche sotto il profilo cronologico la vicenda procedimentale, ha dichiarato infondato il mezzo.
Il Tar, escluso il rilevo viziante della mancata indicazione nell’atto del responsabile del procedimento, così come dei termini e dell’autorità alla quale ricorrere (semplici irregolarità formali) e disattese quindi le censure riguardanti la violazione del procedimento amministrativo (ed in particolare le disposizioni di cui agli artt. 3/ult c., 4, 5 e 6 della L. n. 241/1990), ha vagliato le censure di merito, escludendone la fondatezza.
Ha, in particolare, fatto presente che l’istituto della retrocessione parziale, di cui all’art. 60 della L. n. 2359/1865, prevedeva che, in caso di mancata destinazione dei fondi o dei beni all’opera di pubblica utilità, gli espropriati o gli altri aventi causa avevano diritto alla retrocessione dell’area.
La detta retrocessione parziale si verificava quando l’opera pubblica, in relazione alla quale era stata disposta l’espropriazione dell’area privata, avesse sì avuto luogo, ma in termini quantitativamente diversi da quelli originariamente previsti.
Al contrario, l’istituto non poteva trovare applicazione nell’ipotesi in cui su tutta l’area espropriata fosse stata realizzata l’opera pubblica e solo successivamente all’ultimazione dell’opera stessa tale area avesse perso la precedente destinazione o non risultasse più utilizzata per gli anzidetti fini.
Nel caso di specie non risultava dagli atti depositati - progetto dell’opera costituita da un fabbricato scolastico e relazioni allegate - che il fondo espropriato fosse rimasto inutilizzato: emergeva invece che il medesimo costituiva pertinenza dell’edificio, essendo tuttora ricompreso nell’area cortilizia del fabbricato scolastico e che, allo stato, esso fosse ordinariamente adibito a campo sportivo a disposizione degli alunni della scuola.
Né in senso contrario poteva deporre la circostanza (affermata dall’originario ricorrente) secondo cui l’area espropriata fosse stata successivamente presa in considerazione ai fini della realizzazione di una nuova e diversa opera pubblica.
Tale dato – ad avviso del Tar – era irrilevante rispetto alla pretesa dichiarazione d’inservibilità dell’area stessa e, quindi, alla sua conseguente retrocessione, non costituendo la destinazione originaria un vincolo assoluto cui conformare l’agire dell’amministrazione.
Il provvedimento appariva, quindi, adeguatamente motivato in relazione ai presupposti di fatto e di diritto in esso richiamati e da ciò conseguiva, ad avviso del primo giudice, la reiezione del ricorso.
Conclusivamente, il mezzo è stato integralmente respinto.
La odierna parte appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso il contenzioso intercorso ed ha sostenuto che il Tar non aveva colto la necessità di approfondire l’istruttoria, al fine di accertare se, in passato, l’area espropriatagli fosse mai stata adibita all’uso (fabbricato scolastico) per il quale era stata espropriata.
Di certo v’era che l’opera progettata aveva subito una sensibile riduzione e notevoli modifiche; che l’area espropriatagli non era servita a fabbricare l’edificio scolastico; che soltanto su supposizioni si era ritenuto che essa fosse stata adibita a pertinenza della scuola; che l’Amministrazione aveva depositato un'unica fattura, dalla quale risultava che una sola volta, in sì numerosi anni, aveva provveduto a far ripulire l’area (che, per il resto era in stato di abbandono); che, con deliberazione giuntale comunale n. 1507/1986, era stata accertata la fisica separazione tra l’area relitta ed il plesso scolastico.
Sotto altro profilo, laddove fosse stato vero quanto assunto dall’Amministrazione, si sarebbero dovuti rinvenire atti amministrativi, nell’ambito dei quali sarebbe stato doveroso chiedere il parere/concerto etc delle autorità scolastiche (che in tesi utilizzavano il bene), allorché si era ipotizzato di adibirlo ad altri usi.
Il Tar si era rifatto alle spiegazioni fornite dall’Amministrazione, senza avvertire l’evidenza che esse erano del tutto prive di alcun riscontro fattuale.
L’amministrazione comunale odierna appellata ha depositato una articolata memoria, ripercorrendo l’iter infraprocedimentale sotteso alla utilizzazione dell’area per cui è causa e chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
Ha poi, con memoria depositata il 15.1.2014, riproposto, in via subordinata, le eccezioni di intervenuta usucapione e di tardività del mezzo di primo grado, non esaminate dal primo giudice in quanto assorbite.
L’amministrazione regionale ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e deve essere respinto, nei termini di cui alla motivazione che segue, il che rende improcedibili le riproposte censure relative alle eccezioni di primo grado assorbite.
2. Ritiene il Collegio che le censure di parte appellante siano infondate, già alla stregua del dato normativo.
Come è noto, l'istituto della retrocessione, prima disciplinato dagli artt. 60-63 della Legge n. 2359/1865, è oggi scolpito dagli artt. 46-48 del D.P.R. n. 327/2001 (T.U. Espropriazione per p.u.). Nell'ambito delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, l'istituto della retrocessione dà titolo alla restituzione dei beni espropriati ove non sia stata posta in essere o non sia più utilizzabile l'opera alla cui realizzazione gli stessi erano stati destinati dalla dichiarazione di pubblica utilità.
Ricorre in tale evenienza la fattispecie della c.d. “retrocessione totale”, laddove sussiste un vero e proprio diritto soggettivo dell'originario proprietario ad ottenere la restituzione del bene oggetto della procedura ablatoria devoluto alla giurisdizione del Giudice ordinario.
Ulteriore ipotesi normativa si invera allorché, pur essendo stata eseguita l'opera pubblica o di pubblica utilità, emerga che uno o più fondi espropriati non hanno ricevuto, in tutto o in parte, la prevista destinazione: ricorre in tale fattispecie la c.d. “retrocessione parziale”, laddove la posizione soggettiva ha consistenza di interesse legittimo, e la cognizione della stessa pertiene alla giurisdizione amministrativa. Secondo la giurisprudenza di merito, l'ipotesi di retrocessione totale, è contraddistinta dalla mancata realizzazione dell'opera prevista dalla dichiarazione di pubblica utilità: ivi parimenti è compreso il caso della sostituzione con un'opera completamente diversa da quella programmata, (T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 01-06-2011, n. 2937).
Come ha a più riprese chiarito la giurisprudenza, invece, la retrocessione parziale si ha quando, dopo l'esecuzione totale o parziale dell'opera, alcuni dei fondi espropriati non abbiano ricevuto la prevista destinazione. La posizione giuridica soggettiva attiva nasce solo se e in quanto l'Amministrazione, nel compimento di una valutazione discrezionale in ordine alla quale il privato è titolare di un mero interesse legittimo, abbia dichiarato che quei fondi più non servono all'opera pubblica.
2.1. L’appellante sostiene che - in considerazione della omessa utilizzazione già dall’inizio del fondo in questione - tale evenienza si sia verificata nel caso di specie: ciò in quanto la detta area mai fu adibita al servizio della scuola realizzata e, in seguito a mutamento progettuale, ivi non fu neppure direttamente realizzata alcuna opera.
2.2. Nel premettere che la detta posizione giuridica soggettiva attiva può sorgere soltanto laddove risulti e sia comprovato che l’area non fu giammai asservita, neppure per un istante, al servizio dell’opera pubblica realizzata, e che, di converso, tale interesse legittimo sarebbe recessivo (rectius: non potrebbe insorgere alcuna posizione attiva) laddove vi sia stato un sia pur breve asservimento all’ utilizzo pubblico dell’area e, successivamente, l’amministrazione ritenga di mutare la destinazione pubblicistica dell’area, pur sempre mantenendola al servizio della pubblica collettività (o comunque adibendola a fini di pubblico interesse), rileva il Collegio quanto segue.
2.3. Una pluralità di acquisizioni documentali versate in atti – cui correttamente ha fatto riferimento il Tar - congiura, ad avviso del Collegio, nel fare ritenere che, se è vero che sull’area per cui è causa non venne materialmente eretto l’edificio scolastico (anche in relazione al mutamento progettuale intervenuto), è altresì rispondente al vero che la stessa venne utilizzata dall’istituto scolastico medesimo quale area pertinenziale, adibita a campetto per attività ginniche, calcistiche, etc.
La circostanza che l’area de qua venisse parimenti utilizzata a detti fini dai ragazzi del quartiere non implica la pretesa conseguenza per cui essa dovesse essere considerata “relitta”, “abbandonata”, o comunque non utilizzata a fini pubblici (e/o allo scopo per il quale venne espropriata), ma si armonizza perfettamente con quanto ben sovente accade, essendo evenienza del tutto normale che si consenta che simili “infrastrutture” vengano utilizzate anche da soggetti diversi da quelli che ne avrebbero “naturale” diritto (id est, nel caso di specie, gli alunni della scuola).
Un simile utilizzo, se da un canto appare coerente con principi di efficiente amministrazione (non avrebbe senso alcuno vietare l’utilizzazione dell’area ad “esterni”, specie se trattasi di infrastruttura suscettibile di tollerato utilizzo da parte di altri soggetti senza che ne possa discendere un danno al bene medesimo), d’altro canto in nulla dimostra la fondatezza della critica appellatoria.
Le censure dell’appellante, infatti, avrebbero potuto essere accolte soltanto se si fosse dimostrato che giammai l’area fu adibita ad un uso coerente con quello per cui fu espropriata.
E’ appena il caso di precisare, poi, che la coerenza dell’utilizzo risponda a criteri di natura finalistica, non potendosene desumere l’assenza dalla circostanza che, per modifiche progettuali, ivi venne allocato un manufatto diverso da quello progettato.
Nel caso di specie non può certo dirsi che un campetto posto al servizio di un edificio scolastico, ed a questo pertinenziale, cessi di essere per ciò solo coerente con la finalizzazione che costituiva la causa del potere ablativo esercitato, e pertanto l’appello non appare fondato.
2.4. Si rammenta in proposito che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente interpretato in senso finalistico, e non meramente materiale, il concetto di “diversità”,- affermando che ciò che è necessario per aversi continuità è che risulti rispettata la complessiva organizzazione urbanistica dell'assetto territoriale, peraltro adattata alle sopravvenute esigenze attraverso lo strumento delle varianti -, sino a spingersi alla significativa affermazione per cui (Cass. civ. Sez. I, 03-04-2003, n. 5121) “agli effetti della retrocessione di beni espropriati, non rappresenta esecuzione di opera del tutto diversa da quella progettata, nel contesto complessivo dell'attuazione di un piano per l'edilizia economica e popolare per comparti, il maggior dimensionamento di un centro commerciale in luogo della realizzazione di attrezzature scolastiche.
E, per altro verso, non residua dubbio alcuno in ordine alle seguenti circostanze:
.- che la posizione dell’appellante abbia consistenza di interesse legittimo;
.- che laddove l’amministrazione motivatamente sostenga che vi sia convenienza all’utilizzo dell’area in funzione dell’opera realizzata (Cass.Sez. Unite 11 novembre 2009 n.23823, T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 09-03-2012, n. 181) detto interesse sia recessivo;
.- che proprio ciò sia avvenuto nel caso di specie (il che implica ex se la inaccoglibilità della posizione soggettiva del privato);
.- che laddove il bene sia entrato - nei termini prima esposti - nella sfera pubblicistica ed adibito ad un utilizzo non del tutto incoerente con la causa del potere ablatorio illo tempore esercitato, non rilevino, in senso preclusivo, le eventuali successive destinazioni che l’Amministrazione voglia imprimere al bene medesimo.
Nel caso in esame l’utilizzo promiscuo tollerato non priva il fondo espropriato della connessione finalistica alla destinazione di pubblico interesse; l’amministrazione comunale ha motivato esaurientemente sotto tale profilo, di guisa che le censure non appaiono accoglibili.
3. Nessuna delle ulteriori deduzioni di parte appellante appare dimostrare in termini persuasivi la premessa di fondo (omessa adibizione ad utilizzo pertinenziale rispetto all’edificio scolastico): la erezione del muretto, in particolare, non può essere considerata dimostrativa dell’intenzione di escludere la detta area dal perimetro di quelle facenti capo alla scuola.
La circostanza poi che, seppur sporadicamente (od anche una volta soltanto) le autorità scolastiche si fossero interessate alla manutenzione dell’area, da un canto comprova che la destinazione pubblicistica non sia del tutto mancata, e che la destinazione di questa fosse coerente con la causa del potere ablativo esercitata e, per altro verso, armonicamente con le conclusioni della giurisprudenza menzionata, è sufficiente ad escludere la delibazione possibilmente favorevole del – recessivo - interesse privatistico azionato.
Tale troncante circostanza milita per la reiezione del gravame, mentre gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso: in particolare, posto che il punto da accertare riposava nell’uso pubblicistico del bene, tutte le censure formulate in via ipotetica ed “in negativo” e volte a far risaltare l’omesso coinvolgimento delle autorità scolastiche nel diverso utilizzo del bene prospettato, nulla dimostrano, se non la omissione di incombenti procedimentali. Non escludono, in particolare, il pregresso utilizzo pubblicistico, dimostrato – a tacer d’altro- dalla circostanza che le autorità scolastiche si erano interessate alla manutenzione dell’area e non escludono che, anche in via meramente fattuale, la scuola abbia effettivamente utilizzato l’area.
4. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto, e la sentenza di primo grado deve essere confermata.
5. Le spese processuali possono essere integralmente compensate tra le parti, a cagione della particolarità e specificità fattuale della vicenda processuale scrutinata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm
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