Saturday 15 March 2014 21:37:46

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

D.I.A.: l’azione di accertamento di insussistenza dei presupposti per la d.i.a. E' soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni ex art. 21 della legge 6 dicembre 1971, nr. 1034, decorrente dalla conoscenza della d.i.a.

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

Prescindendo dalla questione della natura giuridica della D.I.A. (i fatti di causa, invero, sono anteriori alle ben più recenti innovazioni normative), la giurisprudenza ha avuto modo di affermare, con orientamento dal quale il Collegio non rinviene motivi per discostarsi, che anche “l’azione di accertamento di insussistenza dei presupposti per la d.i.a., costituente in tale ipotesi il rimedio a disposizione del terzo che si ritenga leso dall’intervento posto in essere in esecuzione di essa” è “soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni ex art. 21 della legge 6 dicembre 1971, nr. 1034, decorrente dalla conoscenza della d.i.a. (in tale senso, la citata decisione nr. 917 del 2009)” (Cons. di Stato, sez. IV, nr. 2558/2010). Per approfondire cliccare su "Accedi al provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sui seguenti ricorsi in appello:

1) nr. 9776 del 2009, proposto dai signori Ciro GRECO e Alessandro GRECO, rappresentati e difesi dall’avv. Angelo Sbrocca, con domicilio eletto presso l’avv. Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104,

 

contro

i signori Domenico PERFETTO e Maria MASTRULLO, rappresentati e difesi dall’avv. Salvatore Di Pardo, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13, 

nei confronti di

COMUNE DI TERMOLI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Pasquale Consiglio, con domicilio eletto presso l’avv. Fernando Ciotti in Roma, via Marche, 54; 



2) nr. 1405 del 2013, proposto dai signori Ciro GRECO e Alessandro GRECO, rappresentati e difesi dall’avv. Angelo Sbrocca, con domicilio eletto presso l’avv. Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104, 

contro

 

- il COMUNE DI TERMOLI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Benedetto Cianci, con domicilio eletto presso l’avv. Paola Nazzaro in Roma, via C. Monteverdi, 16,;

- la REGIONE MOLISE, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;

- il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

 

nei confronti di

signori Domenico PERFETTO e Rosa MASTRULLO, rappresentati e difesi dall’avv. Salvatore Di Pardo, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13, 

per l’annullamento

quanto al ricorso nr. 9776 del 2009:

della sentenza del T.A.R. del Molise nr. 645/2009, pubblicata mercé deposito in Segreteria in data 23 settembre 2009 con la quale, in accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti proposti dai signori Domenico Perfetto e Maria Mastrullo nel giudizio rubricato al nr. 122/2002 sono stati annullati i seguenti atti del Comune di Termoli: a) provvedimento a firma del dirigente responsabile del Settore Gestione del Territorio del 12 dicembre 2001, nr. 268, recante revoca dell’ordinanza del 28 dicembre 2000, nr. 221, e presa d’atto della denuncia tardiva di inizio attività ex legge nr. 662 del 23 dicembre 1996 da parte del dottor Vincenzo Greco (dante causa degli odierni appellanti); b) provvedimento a firma del dirigente responsabile del Settore Gestione del Territorio del Comune di Termoli del 10 aprile 2003, nr. 66, con il quale “in accoglimento della denuncia tardiva di inizio attività ex legge 662 del 23.12.1996, da parte del dott. Vincenzo Greco, per le opere abusive poste in essere, si commina una sanzione pecuniaria”;

quanto al ricorso nr. 1405 del 2013:

della sentenza del T.A.R. del Molise nr. 548/2012, depositata in Segreteria il 12 ottobre 2012, resa nel ricorso nr. 502/2010 (proposto dagli odierni appellanti), riunito con il ricorso nr. 114/2010 (proposto dai signori Domenico Perfetto e Maria Mastrullo) e con il ricorso nr. 24/2011 (proposto dalla signora Maria Mastrullo).

 

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati signori Domenico Perfetto e Maria Mastrullo, del Comune di Termoli e del Ministero Per i Beni e Le Attività Culturali;

Viste le memorie prodotte dagli appellanti (in date 19 e 29 novembre 2013 in entrambi i giudizi), dal Comune (in date 15 e 28 novembre 2013 nel giudizio nr. 9776/2009) e dal Comune (in data 14 novembre 2013 nel giudizio nr. 9776/2009) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2013, il Consigliere Raffaele Potenza;

Uditi l’avv. Vito Elio Pappalepore (su delega dell’avv. Sbrocca) per gli appellanti, l’avv. Di Pardo per gli appellati, l’avv. Luca Mazzeo (su delega dell’avv. Consiglio) per il Comune e l’Avv. dello Stato Pietro Garofoli per l’Amministrazione statale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Con ricorso al TAR del Molise (nr. 122/2002) i signori Domenico Perfetto e Maria Mastrullo esponevano di essere proprietari di locali ubicati in uno stabile sito in Termoli, all’incrocio tra via XX Settembre e corso Nazionale, sottostanti ad immobili di proprietà del dottor Vincenzo Greco, avendoli dal medesimo acquistati nel 1999.

In precedenza il dottor Greco aveva chiesto ed ottenuto una concessione edilizia (nr. 231/1995) per opere di ristrutturazione delle parti dell’immobile rimaste in sua proprietà.

Ad esito di sopralluogo eseguito dall’Ufficio Tecnico del Comune di Termoli il 4 ottobre 2000, in detti locali veniva accertata la realizzazione, al di fuori del predetto titolo edilizio, di opere di ristrutturazione, consistenti in: 1) un vano corsa, con l’inserimento di un ascensore a tre fermate, dal piano terra all’ultimo piano, non previsto in progetto assentito; 2) una scala dal primo all’ultimo piano, non prevista in progetto assentito; 3) un caminetto al primo piano; 4) una scala interna, dal primo piano sino a quello superiore; 5) una vasca a mezzaluna di dimensioni di mt. 2,67 x 3,90 x 1,42 h al primo piano, non prevista in progetto assentito; 6) spostamento di un divisorio, con realizzazione di un ripostiglio lavabo e posizionamento di una cassaforte al primo piano; 7) eliminazione di due finestre, trasformazione di una finestra in porta e di una porta in finestra, realizzazione di quattro oblò circolari, di cui uno passante e tre finti, traslazione di una finestra verso l’alto, per allineamento con altre due esistenti, e pavimentazione della corte interna al primo piano; 8) spostamento del solaio verso il basso, realizzazione di un caminetto e di un vano ripostiglio, nonché predisposizione degli impianti per un bagno, non autorizzati, al primo piano sottotetto.

1.1. Pertanto, in data 28 dicembre 2000, detto Ente adottava l’ordinanza nr. 221, recante ordine di riduzione in pristino delle opere abusive, avverso la quale il dottor Greco proponeva dinanzi al T.A.R. il ricorso nr. 98/2001, definito poi con decreto decisorio di improcedibilità del 24 maggio 2006, nr. 471.

2. Successivamente, in data 12 dicembre 2001, il Comune di Termoli emanava l’ordinanza nr. 268, con la quale revocava la predetta ordinanza n. 221/2001, dando atto dell’avvenuto deposito, da parte dell’interessato, di una tardiva denuncia di inizio attività edilizia (DIA del 2 maggio 2001) ; con il medesimo provvedimento comminava al dottor Greco la sanzione pecuniaria di £ 1.000.000 ed infine gli ordinava di provvedere alla “eliminazione degli impianti atti al mutamento della destinazione d’uso del sottotetto e consistenti in un camino e nella predisposizione di un servizio igienico”.

2.1. Quest’ultimo provvedimento veniva gravato dal dottor Greco (con il ricorso al T.A.R. del Molise nr. 89/2002, dichiarato poi improcedibile con decreto decisorio del 24 maggio 2006, nr. 496), e dai signori Perfetto e Mastrullo, col predetto ricorso nr. 122/2002, nel quale essi deducevano i seguenti motivi: violazione e falsa applicazione della legge 7 agosto 1990, nr. 241; violazione e falsa applicazione della legge 28 febbraio 1985, nr. 47, e s.m.i. e del d.l. 5 ottobre 1993, nr. 398, convertito dalla legge 4 dicembre 1993, nr. 493, e della legge 23 dicembre 1996, nr. 662; violazione e falsa applicazione del regolamento edilizio e delle N.T.A. del Comune di Termoli; eccesso di potere per errore nei presupposti e nel procedimento, difetto di istruttoria, errore e difetto di motivazione, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà; eccesso di potere per sviamento.

2.2. Il Comune di Termoli, a seguito di ulteriore sopralluogo eseguito il 25 novembre 2002, in data 10 aprile 2003 adottava quindi l’ordinanza nr. 66, con la quale irrogava al dottor Greco la sanzione pecuniaria di € 16.733,20, in relazione alle opere abusive precedentemente contestate.

Avverso detta ulteriore ordinanza i signori Perfetto e Mastrullo proponevano i seguenti motivi aggiunti: violazione ed elusione delle ordinanze del T.A.R. del Molise nn. 153/2002 e 75/2001; violazione e falsa applicazione della legge nr. 241 del 1990; violazione e falsa applicazione della legge nr. 47 del 1985 e s.m.i., del d.l. n. 398 del 1993 e della legge nr. 662 del 1996; violazione e falsa applicazione del regolamento edilizio e delle N.T.A. del Comune di Termoli; eccesso di potere per errore nei presupposti e nel procedimento, difetto di istruttoria, errore e difetto di motivazione, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà; eccesso di potere per sviamento.

2.3. Successivamente al ricorso di cui sopra, il dottor Vincenzo Greco cedeva la proprietà dell’immobile ai figli Ciro e Alessandro .

3. Con la sentenza epigrafata nr. 645/2009, il Tribunale adito, dopo aver disposto istruttoria, accoglieva il ricorso, annullando le ordinanze impugnate (nr. 268/2001 e nr. 66/2003).

4. Di qui il primo ricorso d’appello in odierna trattazione, interposto dai germani signori Ciro e Alessandro Greco, innanzi a questo Consesso ed affidato ai motivi meglio illustrati nel prosieguo della presente pronunzia.

4.1. Si è costituita nel giudizio l’Amministrazione intimata, chiedendo in successiva memoria la riforma della sentenza del T.A.R. e, per l’effetto, il rigetto del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti proposti dai signori Perfetto e Mastrullo.

4.2. Si sono altresì costituiti i ricorrenti in primo grado ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, i primi specificando le proprie difese in successive memorie, ed entrambi concludendo per il rigetto dell’appello.

5. Al ricorso di primo grado e di cui sopra seguiva una serie di atti e provvedimenti (tra cui, in data 22 febbraio 2010 da parte degli aventi causa signori Ciro ed Alessandro Greco, domanda di accertamento di conformità, ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380); ciò originava da parte dei signori Perfetto e Mastrullo la proposizione di altri tre distinti ricorsi al T.A.R. del Molise.

Più specificamente, nel ricorso nr.114/2010 erano impugnati:

a) l’ordinanza nr. 426/09 datata 17 dicembre 2009, a firma del Dirigente responsabile del Settore Gestione e Governo del Territorio del Comune di Termoli, recante ordine ai controinteressati signori Ciro e Alessandro Greco di riduzione in pristino delle opere abusivamente realizzate dal loro dante causa, dottor Vincenzo Greco, sull’immobile sito in Termoli, via XX Settembre, angolo corso Nazionale (foglio 13, mappale 475, sub. 17, 18, 19, 20);

b) l’atto in data 2 novembre 2009, di voltura da parte del Comune della concessione edilizia nr. 231/1995 e della D.I.A. datata 2 maggio 2001, in capo ai controinteressati signori Alessandro e Ciro Greco.

I ricorrenti deducevano i seguenti motivi: violazione e falsa applicazione della legge nr. 241 del 1990, violazione del d.P.R. nr. 380 del 2001, violazione del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267, violazione dell’art. 97 Cost., violazione ed elusione della sentenza del T.A.R. del Molise nr. 645/2009, omessa o insufficiente motivazione, eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, difetto d’istruttoria, irragionevolezza, contraddittorietà manifesta, incompetenza, carenza di potere, cattivo esercizio del potere.

Nel ricorso nr. 502/2010, integrato da motivi aggiunti, venivano impugnati:

a) il silenzio formatosi sulla domanda del 22 febbraio 2010 di accertamento di conformità, ex art. 36 del d.P.R. nr.380 del 2001;

b) il verbale del comando di P.M. recante l’accertamento di inottemperanza all’ordinanza nr. 426/2009, di riduzione in pristino;

c) il silenzio, formatosi per decorso del termine di legge, sull’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. nr. 380 del 2001, in data 22 febbraio 2010, afferente le opere edilizie oggetto della predetta ordinanza.

I ricorrenti germani Greco deducevano le seguenti censure: violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 32 del d.P.R. nr. 380 del 2001, in relazione all’art. 36, violazione dei principi di efficienza, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, violazione dell’art. 97 Cost., eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria, contraddittorietà, perplessità, manifesta ingiustizia, sviamento, illegittimità diretta e derivata.

Infine, nel ricorso nr. 24/2011 erano gravati:

a) il provvedimento prot. nr. 6344M datato 15 giugno 2010, con il quale la Regione Molise ha accertato la compatibilità paesaggistica, ex art. 167, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, nr. 42, delle opere realizzate dal dottor Vincenzo Greco, in assenza di autorizzazione paesaggistica, sull’immobile;

b) il parere favorevole prot. nr. 5597-43.19.10 datato 10 giugno 2010, espresso dal Ministero per i Beni e le Attività culturali, sulla compatibilità paesaggistica degli interventi eseguiti dal dottor Vincenzo Greco su detto immobile.

I ricorrenti, signori Perfetto e Mastrullo, deducevano i seguenti motivi: violazione e falsa applicazione del d.lgs. nr. 42 del 2004 e s.m.i., violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge nr. 241 del 1990, violazione dell’art. 97 Cost., eccesso di potere per omessa o insufficiente motivazione e per difetto di istruttoria; violazione o elusione della sentenza del T.A.R. del Molise nr. 645/2001, violazione e falsa applicazione del d.P.C.M. 12 dicembre 2005, violazione e falsa applicazione del d.lgs. nr. 42 del 2004 e s.m.i., difetto d’istruttoria, errore nei presupposti, travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, carenza di potere; violazione e falsa applicazione dell’art. 167 del d.lgs. nr. 42 del 2004, errore nei presupposti, carenza di potere.

5.1. Con la sentenza epigrafata nr. 548/2012, il Tribunale adito, riunite le tre impugnative, disponeva quanto segue: “accoglie il ricorso n. 114/2010 e, per l’effetto, annulla i provvedimenti con esso impugnati, dichiara improcedibile il ricorso n. 502/2010 per la sopravvenuta carenza di interesse, infine accoglie il ricorso n. 24/2011, per l’effetto annullando i provvedimenti con esso impugnati”.

6. Di qui il secondo ricorso in appello, proposto dai signori Greco ed affidato ai motivi trattati meglio illustrati nel prosieguo della presente pronunzia.

6.1. Si sono costituiti nel giudizio l’Amministrazione comunale di Termoli, i ricorrenti in primo grado, ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, i primi due specificando le proprie difese in successive memorie, e tutti concludendo per il rigetto dell’appello.

7. Gli appellanti hanno replicato con memorie riferite ad entrambi gli appelli, i quali alla pubblica udienza del 20 dicembre 2013 sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

8. Evidenti elementi di connessione oggettiva permettono di riunire i due ricorsi al fine di deciderli con un’unica pronunzia.

9. La controversia oggetto dei presenti gravami attiene alla legittimità di opere edilizie di ristrutturazione (realizzate dagli appellanti in ritenuta difformità dalla vigente normativa) ed ai provvedimenti emessi dal Comune in ordine alle stesse.

10. L’appello nr. 9776/2009 controverte di un’ordinanza (nr. 268/2001) con la quale il Comune ha revocato una precedente ordinanza (nr. 221/2001) che intimava la demolizione delle opere ritenute abusive, in ragione dell’avvenuto deposito, da parte dell’interessato, di una tardiva denuncia di inizio attività edilizia; il medesimo provvedimento, pertanto, ha comminato ai proprietari in luogo della demolizione la sanzione pecuniaria di £ 1.000.000 ed infine ha intimato di provvedere alla eliminazione degli impianti atti al mutamento della destinazione d’uso ed ivi indicati.

Il T.A.R., con la decisione gravata, ha accolto il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti (ed ha quindi annullato le ordinanze impugnate) “sia per la violazione della regola procedimentale di cui all’art. 7 della legge 241 del 1990 sia perché si è ritenuto di poter sanare opere difformi mediante la presentazione di una DIA in variante per interventi che invece avrebbero richiesto il rilascio di un permesso di costruire in variante, previo, in ogni caso, rilascio di nuovo nulla osta della Soprintendenza”.

Dall’articolata esposizione dei motivi d’appello, a carico di tali motivazioni emergono censure che attengono a due aspetti.

10.1. Il primo aspetto attiene alla violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, stante il mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento ai signori Perfetto e Marzullo, nonostante la loro asserita posizione di controinteressati rispetto al procedimento che ha condotto al provvedimento di revoca dell’ordine di demolizione.

I ricorrenti argomentano, al contrario, che ai ricorrenti non poteva essere riconosciuta una legittimazione a partecipare necessariamente al procedimento di revoca della sanzione.

Il motivo è meritevole di accoglimento.

L’art.7 citato stabilisce che l’avviso del procedimento deve essere inviato ai soggetti direttamente destinatari dell’atto, sicché, come sarà anche in seguito chiarito (sotto il profilo della scelta sanzionatoria), la posizione di vicinitas – pur sufficiente ai fini della legittimazione a ricorrere, di modo che deve disattendersi la censura al riguardo formulata dagli appellanti - non sembra potersi spingere sino ad ipotizzare un dovere dell’Amministrazione di dare avviso del procedimento avviato al fine di reprimere gli abusi dai vicini denunziati.

Inoltre l’ipotesi accolta dal T.A.R. perde di ogni concretezza allorché la revoca risulti, come nel caso in esame, preceduta dall’assenso di una D.I.A. che legittimi l’intervento o lo sottoponga a sanzione differente da quella originaria; in tale ipotesi, e ove il titolo formatosi a seguito della D.I.A. risulti intangibile, la revoca della sanzione demolitoria risulta un atto consequenziale dovuto, per il quale non occorre dare avviso del procedimento ai soggetti che hanno denunziato l’abuso, la cui sfera partecipativa non pare estensibile sino a investire i profili tipologici della sanzione irrogata, considerata la facoltà dell’Amministrazione di valutare l’abuso e di scegliere lo strumento repressivo tra quelli eventualmente offerti dall’ordinamento.

In realtà, come emerge dalla parte sostanziale della lettura del ricorso di primo grado e dalla motivazione della relativa sentenza, la pretesa partecipativa azionata dai ricorrenti in primo grado, era nella prospettiva di ottenere la riduzione in pristinum, tant’è che essi hanno impugnato gli altri due provvedimenti (ordinanza nr. 66/03 e accoglimento della D.I.A. tardiva) nella parte in cui si commina una sanzione pecuniaria e che costituisce l’unica alternativa alla sanzione demolitoria.

10.2. Le osservazioni sin qui svolte introducono il secondo aspetto dell’appello, inerente i profili sostanziali del’intervento edilizio contestato, oggetto della seconda ordinanza (nr. 66/2003), impugnata con motivi aggiunti al ricorso n. 122/2002.

Il primo giudice ha ritenuto illegittimo tale provvedimento relativo alla D.I.A. del 2 maggio 2001 (che ha sanzionato le difformità con misura pecuniaria) poiché, in sintesi, “le opere in contestazione non sono suscettibili di realizzazione mediante semplice dia, occorrendo allo scopo il rilascio di permesso di costruire in variante come eccepito dai ricorrenti ed accertato dal CTU nominato in corso di causa”.

In particolare, il T.A.R., sulla base delle risultanze peritali emerse in corso di giudizio, ha osservato che “la lettera g) del comma 7 della 4 della legge 493/93 come sostituito dall’art. 2, comma 60 delle legge 662/96: “….I seguenti interventi sono subordinati alla denuncia di inizio attività ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537:… g) varianti a concessioni edilizie già rilasciate che non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non cambino la destinazione d'uso e la categoria edilizia e non alterino la sagoma e non violino le eventuali prescrizioni contenute nella concessione edilizia;..”.

In contrario, l’appellante eccepisce che la D.I.A. del 2 maggio 2001 non è stata mai opposta od annullata, mentre gli appellati ribattono (memoria dell’11 novembre 2013) di essere venuti a conoscenza della D.I.A. tardiva solo a seguito dell’ordinanza nr. 268 del 12 dicembre 2001 (di revoca della precedente) e di averla censurata col ricorso proposto contro la stessa, senza che fosse necessaria una forma solenne di impugnazione.

Il motivo è fondato, atteso che la formazione del titolo abilitativo per effetto della D.I.A. in questione è stata espressamente, ma tardivamente, censurata.

In effetti, come indicano gli stessi appellati, la formulazione dell’impugnazione di primo grado menziona inequivocabilmente la D.I.A., sicché, in carenza di documenti che comprovino altra ed anteriore data di assunzione di conoscenza della dichiarazione, può assumersi come dies a quo per computare le scadenze successive, la data di notificazione del ricorso principale (11 marzo 2002).

Del resto la stessa ordinanza impugnata dà espressamente atto della presentazione della dichiarazione, si limita a prendere atto della presentazione della D.I.A. tardiva e non presenta alcuna valenza provvedimentale sulla stessa; essa ha l’unico effetto di riammettere in termini per l’impugnativa il terzo, che aveva quindi a disposizione sessanta giorni per contrastare in sede giurisdizionale gli effetti già prodottisi verso il Comune (nella specie il 1 giugno 2001, per decorso dei trenta giorni di legge per l’esercizio dei poteri repressivi).

Infatti, prescindendo dalla questione della natura giuridica della D.I.A. (i fatti di causa, invero, sono anteriori alle ben più recenti innovazioni normative), la giurisprudenza ha avuto modo di affermare, con orientamento dal quale il Collegio non rinviene motivi per discostarsi, che anche “l’azione di accertamento di insussistenza dei presupposti per la d.i.a., costituente in tale ipotesi il rimedio a disposizione del terzo che si ritenga leso dall’intervento posto in essere in esecuzione di essa” è “soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni ex art. 21 della legge 6 dicembre 1971, nr. 1034, decorrente dalla conoscenza della d.i.a. (in tale senso, la citata decisione nr. 917 del 2009)” (Cons. di Stato, sez. IV, nr. 2558/2010).

Nella fattispecie, l’azione è stata invece proposta coi motivi aggiunti al ricorso nr. 122/2002, espressamente formulati contro “l’accoglimento della denunzia tardiva di attività” (recte: l’efficacia conseguita dalla D.I.A.), con atto notificato l’8 luglio 2003, e pertanto ben oltre il termine decadenziale per il ricorso giurisdizionale al T.A.R., decorrente dalla data di conoscenza (11 marzo 2002).

Conclusivamente, in accoglimento dell’appello, la sentenza deve essere riformata integralmente in parte qua con conseguente rigetto dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e dichiarazione di tardività dei motivi aggiunti.

11. L’appello nr. 1405/2013 contrasta una decisione che, come premesso in fatto, ha definito tre ricorsi di primo grado di cui, nell’ordine, il primo ed il terzo proposti dai denunzianti signori Perfetto e Mastrullo ed il secondo dagli odierni appellanti.

11.1- Il primo ricorso (nr. 114/2010), rivolto contro un’ordinanza che ha intimato ai signori Greco la riduzione in pristino delle opere realizzate senza titolo dal loro dante causa e contro l’atto di voltura della concessione edilizia originaria e della relativa D.I.A., è stato ritenuto anzitutto ammissibile in quanto la posizione di vicinitas dei ricorrenti è stata giudicata lesa dalla revoca da parte del Comune della precedente ordinanza demolitoria nr. 221/2000 (divenuta inoppugnabile) e dalla conseguente indebita rimessione in termini dei controinteressati, disposta dal Comune di Termoli con la reiterazione dell’ingiunzione a demolire. Quest’ultima , ha osservato il T.A.R., “ha reso possibile ai controinteressati medesimi di chiedere nuovamente la sanatoria dell’abuso edilizio, dopo che si era ormai consolidata una situazione di perdita della proprietà dell’immobile oggetto degli interventi abusivi”.

Nel merito il ricorso è stato ritenuto fondato in quanto:

- in virtù della sentenza nr. 645/2009 – con la quale sono stati annullati i provvedimenti emessi dal Comune di Termoli nn. 268/2001 e 66/2003 – avrebbe riacquistato validità ed efficacia l’ordinanza nr. 221 del 28 dicembre 2000, con cui il Comune di Termoli aveva ingiunto all’originario proprietario dell’immobile di demolire le opere abusivamente realizzate sullo stesso;

- il decorso del termine di novanta giorni assegnato al proprietario – con l’ordinanza ingiunzione nr. 221/2000 – per la demolizione del manufatto abusivo avrebbe prodotto di diritto l’effetto acquisitivo al patrimonio comunale; da quel momento, il Comune avrebbe potuto soltanto accertare l’inottemperanza dell’ingiunzione a demolire, notificarla all’interessato, immettersi nel possesso dell’immobile e trascrivere l’acquisizione comunale di proprietà nei registri immobiliari: “…È ovvio che se il Comune emette una nuova ingiunzione a demolire, di fatto sta concedendo un’illegittima proroga del termine di novanta giorni al proprietario inottemperante (ovvero ai suoi aventi causa), obliterando gli effetti di legge dell’inottemperanza”;

- anche l’impugnato atto di voltura della concessione edilizia nr. 231/1995 e della D.I.A. datata 2 maggio 2001, in capo ai germani controinteressati, risente dei medesimi vizi di legittimità dell’ordinanza comunale, poiché implicitamente riconosce loro un titolo di proprietà, considerando tamquam non esset l’effetto acquisitivo della proprietà dell’immobile in capo all’ente locale, e restituendo ai controinteressati un immobile irreversibilmente sottratto alla loro sfera di diritto.

11.1.1. Avverso queste motivazioni gli appellanti deducono in primis che la decisione ha riconosciuto e tutelato una legittimazione dei ricorrenti ben oltre il consentito, ritenendo l’ammissibilità del ricorso pur essendo il medesimo volto ad una indiscriminata censura delle opere in questione.

La censura è fondata, con le precisazioni che seguono.

Va rilevato in proposito che i ricorrenti, col gravame di riferimento, hanno contestato non un diniego di esercizio di poteri sanzionatori ma, al contrario, un provvedimento sanzionatorio degli abusi compiuti, seppur adottato in sostituzione di precedente ordinanza.

Come già sopra rilevato, tuttavia, non può riconoscersi meritevole di tutela una posizione di vicinitas che non si limita a sollecitare l’esercizio dei poteri di repressione dell’abuso o a garantire la propria partecipazione al relativo procedimento, ma che si estende sino a pretendere di poter indicare all’Amministrazione la tipologia di sanzione da adottare, con particolare preferenza ove possibile per la demolizione acquisitiva ai sensi dell’art. 7 della legge nr. 47/1985 (peraltro particolarmente impraticabile nella specie a causa della natura degli abusi, insistenti anche su parti comuni dell’edificio, e della configurabilità di un’area di sedime).

Il fatto che l’ordinanza abbia contestualmente preso atto della D.I.A. tardiva, creando il presupposto giuridico per rinnovare la sanzione demolitoria, determina poi questioni che investono la legittimità di tali ulteriori provvedimenti (oggetto di altro ricorso).

11.1.2. Analoghi rilievi valgono per l’impugnativa dell’atto di voltura della concessione edilizia, il quale, rappresentando un’operazione amministrativa, non risulta impugnabile, costituendo peraltro atto dovuto in mera esecuzione della successione determinatasi tra il signor Vincenzo Greco e gli appellanti suoi aventi causa.

11.1.3. In accoglimento dell’appello sul punto ed in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado nr. 114/2010 deve quindi essere dichiarato inammissibile.

11.2. Il secondo ricorso (nr. 502/2010, con relativi motivi aggiunti), oggetto della sentenza appellata, era stato invece proposto dai signori Greco contro il silenzio-rigetto (formatosi ex 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380) su istanza di accertamento di conformità presentata dagli interessati; i ricorrenti lamentavano come il provvedimento demolitorio originario, e il conseguente effetto acquisitivo prodottosi a favore del patrimonio comunale, impedissero la sanatoria delle opere in questione.

Su questo punto, il T.A.R. ha dichiarato l’improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse in virtù degli effetti dell’accoglimento del ricorso nr. 114/2010, ritenuto preclusivo dell’accoglimento dell’istanza in questione.

Osserva sul punto il Collegio che la riforma della predetta decisione di accoglimento riporta in vita il diniego di conformità impugnato, il quale però risulta comunque superato dall’accoglimento della D.I.A. che ha regolato gli abusi edilizi in questione.

Ne deriva che l’appello con oggetto la decisione del ricorso nr. 520/2010 deve essere respinto con conferma della decisione con diversa motivazione in punto improcedibilità del ricorso di primo grado.

11.3. Infine, la sentenza è contrastata dagli appellanti ove ha accolto il terzo ricorso (nr. 24/2011), proposto dalla signora Maria Mastrullo, che aveva impugnato il provvedimento della Regione Molise reso sulla domanda di conformità e che (previo parere favorevole espresso dal Ministero) aveva accertato la compatibilità paesaggistica, ex art. 167, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, nr. 42, delle opere realizzate dal dottor Vincenzo Greco in assenza di autorizzazione paesaggistica.

Al riguardo il T.A.R. ha affermato, diversamente da quanto ritenuto dall’Amministrazione, che, per effetto della precedente sentenza nr. 645/2009, l’intervento edilizi in contestazione “è tutt’altro che immune da aumenti di volumi e superfici e, in realtà, modifica gli elementi tipologici esterni che caratterizzano l’architettura e le modalità costruttive del palazzo. La sentenza citata, infatti, accerta – sul presupposto di una perizia tecnica d’ufficio - che è stata variata la sagoma del fabbricato, con la trasformazione di un volume chiuso in portichetto, è stata variata la pendenza del tetto, sono state apportate visibili modifiche al prospetto dell’immobile, è stato modificato il terrazzo interno, infine sono state incrementate superfici e volumetria”.

In merito gli appellanti si dolgono della pretesa della decisione di contrastare un accertamento tecnico dell’Amministrazione sul rilievo non sostanziale che la difformità contestata ha avuto sul progetto originariamente assentito.

Il motivo è fondato.

Poiché l’annullamento della sentenza indicata non permette di trarre le conseguenze individuate dal T.A.R. a carico del provvedimento regionale, la motivazione del primo giudice presta ampiamente il fianco alla critica di essersi in toto sostituita, ed in senso opposto, all’accertamento tecnico che sostiene l’atto regionale nella valutazione del pregiudizio ricevuto dal vincolo oggetto di tutela. Anche relativamente al rigetto del ricorso nr. 24/2011, l’appello in trattazione merita perciò accoglimento.

12. Conclusivamente, gli appelli sono meritevoli di accoglimento con le precisazioni e le conseguenze di cui in dispositivo.

13. La complessità della vicenda e delle questioni trattate permette di disporre la compensazione delle spese con riferimento ad entrambi i giudizi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito ai ricorsi in epigrafe e previa loro riunione:

- accoglie l’appello nr. 9776/2009 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata (nr. 645/2009), respinge il ricorso introduttivo nr. 122/2002 e dichiara inammissibili i connessi motivi aggiunti;

- accoglie in parte l’appello nr. 1405/2013 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata (nr. 548/2012):

a) dichiara inammissibile il ricorso di primo di primo grado nr. 114/2010;

b) respinge il ricorso di primo grado nr. 24/2011;

- respinge per il resto (con riferimento al ricorso di primo grado nr. 502/2010) l’appello nr.1405/2013, confermando la sentenza di primo grado con diversa motivazione di improcedibilità.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Raffaele Greco, Presidente FF

Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il**/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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