Sunday 30 March 2014 18:39:32

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Edilizia: il potere di vigilanza del Comune ex art. 27 del testo unico può essere svolto senza limiti di tempo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

Confermata dal Consiglio di Stato la sentenza del giudice di prime cure laddove ha affermato che "il potere di vigilanza in materia edilizia che compete all’amministrazione comunale ex art. 27 del testo unico può essere svolto senza limiti di tempo”; coerente con questo principio è quindi la non previsione nel nostro ordinamento di “ un obbligo generalizzato della autorità amministrativa di procedere a sopralluogo per accertare la reale esistenza dei luoghi in ogni pratica amministrativa sottoposta alla sua attenzione; i provvedimenti che sono rilasciati senza questa verifica diretta dei luoghi e sulla base della sola rappresentazione degli stessi fornita dalla parte si intendono pertanto rilasciati con una clausola implicita rebus sic stantibus, e possono senz’altro essere annullati o revocati nel momento in cui si verifica l’esistenza di una situazione diversa da quella descritta dalla parte”. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale ***del 2010, proposto da:

-Bruno S.a.s. di Benagli Angela & C., rappresentato e difeso dagli avv. Alessio Petretti, Paolo Bonomi, con domicilio eletto presso Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni, 268/A;

-Impresa Cortinovis Attilio, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Bonomi, Alessio Petretti, con domicilio eletto presso Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni, 268/A;

 

contro

Comune di Colzate, rappresentato e difeso dagli avv. Yvonne Messi, Goffredo Gobbi, con domicilio eletto presso Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina 8; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n.02493/2010, resa tra le parti, concernente ANNULLAMENTO PARZIALE PERMESSO DI COSTRUIRE

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Colzate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Alessio Petretti e Goffredo Gobbi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso al TAR della Lombardia, la società Bruno, di Benagli Angela & C, esponeva di essere titolare di permesso di costruire (n.8/2008) rilasciato dal Comune di Colzate (prov. di Bergamo) per un intervento di “ ristrutturazione di fabbricato residenziale e costruzione di box interrati” insistenti su area in predetto Comune, contraddistinta dai mappali n.546 e n.1168 e situata in zona urbanistica “A”. Riferiva inoltre la società Bruno che, successivamente all’inizio dei lavori (2.3.2009, comunicato al Comune unitamente al nominativo della ditta incaricata dei lavori, “Cortinovis Attilio”), l’amministrazione municipale verificava l’esecuzione di lavori ritenuti abusivi , consistenti nella elevazione dell’edificio insistente sul mappale n. 1168 ; in particolare il verbale di accertamento rinveniva, negli elaborati grafici posti a corredo della domanda edilizia, errori sull’altezza originaria del corpo principale dell’edificio (indicata in misura m.l. 2,50, superiore a quella reale di m.l. 1,70), sulla base di rilievo aereofotogrammetrico e di confronto tra immagini fotografiche antecedenti all’epoca dell’intervento. Pertanto, ritenuto che le inesatte informazioni sullo stato dei luoghi avessero portato al rilascio del permesso in parola in violazione delle norme urbanistiche vigenti per la zona interessata, il Comune disponeva, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, l’annullamento d’ufficio del permesso rilasciato, limitatamente alla parte relativa alle opere ritenute come sopra in contrasto (det. 10.3.2010, n.55/31). Seguiva una ordinanza di demolizione (11.3.2010, n.1072/7) della parte delle opere privata del permesso.

Col predetto ricorso, pertanto, la società Bruno, unitamente alla ditta Cortinovis, adiva il nominato TAR, chiedendo l’annullamento della determinazione citata e dell’ ordine di demolizione deducendo a sostegno del ricorso :

- violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, 7, 21nonies e 22 della legge n. 241/1990, nonchè eccesso di potere sotto diversi profili;

- violazione e falsa applicazione della legge regionale lombarda n.12/2005 (artt.38 e 54) e degli att. 32 e 38 della legge n. 380/2001.

1.2.- Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso.

2.- Di qui l’appello interposto innanzi a questo Consesso dai ricorrenti in prime cure ed affidato ai motivi trattati nel prosieguo della presente pronunzia.

2.1.- Si è costituita nel giudizio l’Amministrazione comunale intimata , resistendo al ricorso e precisando le proprie difese.

2.2.- Con ordinanza cautelare (n.4770/2010) , la Sezione ha accolto la domanda di sospensione della sentenza gravata, ritenendo nelle more del giudizio prevalente l’interesse delle ricorrenti a non demolire quanto contestato.

2.3.- Le parti hanno precisato in rispettive memorie le proprie tesi e, alla pubblica udienza del 26 novembre 2013, l’appello è stato trattenuto in decisione.

3.- Il gravame è infondato, ragione per cui il Collegio può prescindere dall’esaminare l’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune appellato (che sostiene la mera riproposizione del ricorso di primo grado).

3.1 – In merito, con il primo mezzo, parte ricorrente rileva che la decisione gravata “svela” di aver preso in considerazione esclusivamente l’annullamento del permesso e non l’ordinanza di demolizione, della quale le istanti avevano evidenziato l’assoluto difetto di motivazione e nonostante il gravissimo danno derivante dall’atto imponesse una puntuale indicazione delle ragioni poste alla base del medesimo. La tesi non può essere condivisa. L’ordine di demolizione, a fronte del venir meno del titolo edilizio, ed ove non si dimostri che l’intervento abusivo possa essere soggetto a sanzione pecuniaria in alternativa alla demolizione, costituisce un atto dovuto e consequenziale che, pertanto, poggia sufficientemente sulla motivazione che sostiene l’annullamento del titolo edilizio. Ne deriva che nessun vizio presenta quella decisione di primo grado che pronunzi la legittimità dell’annullamento del permesso edilizio senza fornire una motivazione con riferimento all’ordine di demolizione che da detto annullamento strettamente deriva. Ciò è da ritenersi a maggior ragione allorché , come nel caso di specie, la demolizione non è stata censurata per vizi autonomi rispetto all’annullamento del permesso, bensì per motivi da questo derivanti.

3.2.- Viene poi criticato il punto della sentenza ove il TAR ha ritenuto che “l’infedeltà della rappresentazione è stata ricavata in modo oggettivo mediante l’estrapolazione di rilievo aereofotogrammetrico di epoca preesistente ai lavori e mediante sovrapposizioni effettuate con software informatico tra alcune fotografie dello stato dei luoghi preesistente all’inizio dei lavori ed alcuni punti fissi estranei al complesso da edificare (come i pali della luce)”; al riguardo, secondo il ricorso, il primo giudice non fornisce motivazione sul risultato della tecnica ricostruttiva (il “software virtuale”) che peraltro non sarebbe supportata da alcun richiamo normativo. Entrambi i profili sono privi di pregio.

Il risultato di un metodo tecnico in quanto tale , non rappresentando un percorso logico ma un’operazione materiale, non pare necessiti di motivazione.

Quanto alla previsione normativa si palesa altrettanto non indispensabile, poiché è principio generale che l’amministrazione possa avvalersi di tutti i mezzi tecnologici di accertamento o indagine e che non risultino pericolosi o comunque colpiti da specifici divieti normativi.

3.3.- Il primo giudice, nel ritenere oggettivo l’accertamento effettuato dal Comune, avrebbe poi trascurato la portata della documentazione depositata dalla società istante nel procedimento di rilascio del permesso ed inerente stato di fatto; che tale documentazione abbia ricevuto verifica positiva, e consentito il rilascio del titolo edilizio renderebbe contraddittorio ed illogico un successivo accertamento della sua irregolarità. Anche tali argomentazioni non possono essere condivise. La fattispecie presa in considerazione dal Comune per giungere all’annullamento del permesso consiste proprio nell’erronea percezione dello stato dei luoghi che , in rapporto alla normativa ed indipendentemente dalla sua fonte soggettiva, legittima la correzione del provvedimento, nell’esercizio del potere di autotutela conferito dalla legge.

E’ del tutto irrilevante poi che l’errore sia stato portato a conoscenza del Comune mediante segnalazioni dei vicini, i quali sono infatti del tutto legittimati dal nostro ordinamento a sollecitare l’esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi (come anche ad impugnare quei permessi che risultino difformi dalle norme urbanistiche).

Sul punto deve peraltro condividersi l’assunto del primo giudice per cui “il potere di vigilanza in materia edilizia che compete all’amministrazione comunale ex art. 27 del testo unico può essere svolto senza limiti di tempo”; coerente con questo principio è quindi la non previsione nel nostro ordinamento di “ un obbligo generalizzato della autorità amministrativa di procedere a sopralluogo per accertare la reale esistenza dei luoghi in ogni pratica amministrativa sottoposta alla sua attenzione; i provvedimenti che sono rilasciati senza questa verifica diretta dei luoghi e sulla base della sola rappresentazione degli stessi fornita dalla parte si intendono pertanto rilasciati con una clausola implicita rebus sic stantibus, e possono senz’altro essere annullati o revocati nel momento in cui si verifica l’esistenza di una situazione diversa da quella descritta dalla parte”.

3.4.- L’accertamento postumo compiuto dal Comune sarebbe poi illegittimo considerato che l’attività istruttoria e le competenze relative al rilascio dei titoli edilizi sono “puntualmente normate” da disposizioni riportate ampiamente nel ricorso . La censura ripete l’errato concetto sostenuto ed esaminato dal precedente punto 3.2.; si tratta peraltro di una formulazione che non risulta escludere il potere di autotutela dell’amministrazione a correzione degli errori rilevati.

3.5.- A prosieguo delle censure che sostengono il difetto di motivazione della sentenza sugli accertamenti svolti dal Comune, si afferma l’apodittica preferenza accordata alla relazione dell’amministrazione e l’inattendibilità della carta aereofotogrammetrica. Ma sul punto la sentenza è supportata da idonea motivazione laddove il TAR ha ritenuto che: “le deduzioni contenute nella relazione tecnica presentata dalla ricorrente sono state adeguatamente confutate dall’amministrazione in apposita relazione tecnica depositata per l’udienza odierna, che evidenzia (oltre che errori del perito del ricorrente, quale quello sulla data dell’aereofotogrammetria che viene retrodatata di 11 anni nel contesto del ragionamento che vorrebbe sostenere che gli strumenti utilizzati dal Comune non sono attendibili) che gli 80 cm. in più costruiti dalla stessa non sono giustificabili in alcun modo con possibili errori di taratura o sfasature conseguenti alla riproduzione fotografica”.

3.6.- Si lamenta un’ ingiustificata preferenza del TAR per il rito processuale abbreviato; si tratta però di una facoltà del giudice, il quale può disporre la conversione del rito da cautelare in ordinario, decidendo la causa nel merito ove ritenga l’esistenza già in quella fase di elementi sufficienti, derivanti da un’istruttoria correttamente svoltasi nel procedimento amministrativo; nella specie, pertanto, la scelta non è suscettibile di incidere sulla legittimità delle valutazioni compiute dalla sentenza impugnata sull’istruttoria amministrativa compiuta dal Comune.

3.7.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

4.- Le spese del giudizio seguono il principio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe,

respinge l’appello.

Condanna parte appellante al pagamento, in favore del Comune di Colzate, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida, complessivamente, in Euro tremila (3.000), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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