Saturday 05 April 2014 08:23:42

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Il Consiglio di Stato chiarisce la portata e i riflessi dell'art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990 in materia di espropriazione per pubblica utilità

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

La giurisprudenza di merito, dopo avere affermato il principio generale per cui anche in materia di espropriazione per pubblica utilità trova applicazione il principio sancito dall'art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990, per cui non è annullabile il provvedimento in presenza di vizi formali o procedurali che non abbiano inciso sulla sostanza dell'atto, ne perimetra l’applicazione in senso sostanzialmente escludente rispetto alla fattispecie per cui è causa pervenendo alla significativa affermazione secondo cui “ciò vuol dire che le censure avverso un provvedimento ablatorio debbono attenere (anche) alla sostanza del provvedimento e non solo alla forma, salvo ovviamente il caso in cui il vizio di forma - ad esempio, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento - non abbia privato radicalmente l'interessato della possibilità di far valere le proprie ragioni in sede procedimentale” (T.A.R. Marche Ancona Sez. I, Sent., 21-10-2010, n. 3367). Ed anche la giurisprudenza più favorevole (T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 13-03-2012, n. 2449) che non contempla in via generale detta implicita clausola escludente, di fatto ne riduce la portata, escludendo qualsivoglia sanatoria nel caso in cui “l'amministrazione si limita ad affermarne apoditticamente l'inevitabilità del dispositivo del provvedimento “ senza dare l'effettiva dimostrazione che le caratteristiche tecniche dell'opera non potevano essere diverse da quelle assunte, né motivando sull'opportunità di imporre tale sacrificio quale migliore soluzione possibile per il perseguimento dell'interesse pubblico. Ciò in quanto, si è ivi condivisibilmente sostenuto ” l'avviso di cui all'art. 16 comma 4, D.P.R. n. 327 del 2001 realizza, infatti, una garanzia partecipativa non meramente formale rappresentando un necessario passaggio cognitivo-dialettico funzionale sia per la parte, che può opporre fatti e/o circostanze non considerati, sia per l'amministrazione che quelle osservazioni deve esaminare e valutare prima di approvare il progetto definitivo dell'opera; per cui, da tale omissione procedurale discende l'illegittimità degli atti approvativi del progetto e della dichiarazione di pubblica utilità ed in via derivata di quello occupativo ed espropriativo neppure essendo possibile fare ricorso all'art. 21 octies comma 2, l. n. 241 del 1990, sia per la natura non vincolata del provvedimento, sia laddove non sia dato riscontrare, nella fattispecie, come " palese " che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Nel caso di specie, anche a volere sposare la tesi “riduttiva” che prescinde dal dato categoriale generale della natura non vincolata del provvedimento, l’Amministrazione nulla ha provato in ordine alla assoluta impossibilità che l’apporto infraprocedimentale eventuale dei privati potesse apportare contributi utili, né che in concreto il provvedimento e la scelta dell’area di parte appellata fosse, in concreto, del tutto ed irredimibilmente vincolata. Errando poi sulla portata anche letterale dell'art. 21 octies comma 2, l. n. 241 del 1990 (“non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.”)l’appellante sostiene che sarebbe spettato al privato fornire la prova della utilità del proprio possibile apporto infraprocedimentale. Il dato va specularmente rovesciato: proprio in considerazione del chiaro tenore letterale della disposizione predetta, ed in considerazione che non si trattava di provvedimento vincolato, sarebbe spettato all’amministrazione fornire una dimostrazione di immodificabilità assoluta della scelta di allocazione dell’opera (Cons. Giust. Amm. Sic., 14-09-2007, n. 851:“nei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità il proprietario del fondo è legittimato ad agire in giudizio, poiché dall'annullamento degli atti impugnati conseguirebbe la mancata ablazione di esso. Nei suddetti procedimenti l'amministrazione ha l'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento agli interessati, ex art. 7 della legge n. 241 del 1990, eccetto i casi in cui essa dimostri che trattasi di un provvedimento vincolato il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso, ex art. 21 octies, c. 2, della citata legge “;Cons. Stato Sez. VI, 05-12-2007, n. 6183: “l'art. 21 octies della legge n. 241/90 non può essere applicato d'ufficio dal giudice, incombendo sull'amministrazione l'onere probatorio della dimostrazione che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato anche in caso di partecipazione del privato al procedimento.”).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale* del 2013, proposto da:

Andromeda Wind S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Germana Cassar, Claudio Visco, Doris Mansueto, con domicilio eletto presso Claudio Visco in Roma, via Cuboni N. 12;

 

contro

Giuseppe Intrevado, Maria Manna, rappresentati e difesi dall'avv. Stefano Scarano, con domicilio eletto presso Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7; 

nei confronti di

Regione Molise, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato; Terna Rete Elettrica Nazionale Spa, Comune di Ururi, New Energy Group Spa in Liquidazione; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del MOLISE – Sede di CAMPOBASSO - SEZIONE I n. 00785/2012 resa tra le parti, concernente esecuzione decreto di esproprio - mcp

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Giuseppe Intrevado e di Maria Manna e di Regione Molise;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Germana Cassar, F. Paoletti (su dichiarata delega di Stefano Scarano) e l'Avvocato dello Stato Carlo Maria Pisana;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dalla odierna parte appellata Giuseppe Intrevado e Maria Manna, la declaratoria di illegittimità e conseguente annullamento del decreto di esproprio 89 del 2010 reso in loro pregiudizio e di tutti gli atti ad esso connessi, oltre al risarcimento del danno.

Essi, in quanto comproprietari di un terreno agricolo ubicato nel comune di Ururi, avevano esposto di aver ricevuto in data 30 marzo 2010 una comunicazione della società Andromeda Wind, con cui erano stati avvisati che la stessa società, in qualità di promotrice dell'esproprio relativo ai lavori di realizzazione di un impianto eolico, avrebbe proceduto all'esecuzione di un decreto di esproprio adottato dalla regione Molise con determinazione dirigenziale 89 del 28 gennaio 2010.

Con la suddetta determinazione, dirigenziale 89 del 28 gennaio 2010, parimenti gravata, la regione aveva pronunciato l'asservimento coattivo, l'esproprio e l'occupazione temporanea d'urgenza di alcuni terreni tra cui quello di proprietà di parte appellata; con lo stesso atto era stato stabilito l'ammontare dell'indennità provvisoria ed erano stati invitati i proprietari degli immobili a manifestare, entro 30 giorni, l'eventuale adesione alla cessione volontaria dei beni, con l'avvertenza che, qualora i proprietari non avessero condiviso l'ammontare dell'indennità proposta, avrebbero potuto designare un tecnico di loro fiducia per la determinazione arbitrale dell'indennità, ai sensi dell'articolo 20 del testo unico sulle espropriazioni.

Essi erano insorti prospettando motivi di censura incentrati sui vizi di eccesso di potere e violazione di legge.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Molise con la impugnata sentenza ha innanzitutto respinto l'eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado prospettata dalla Società odierna appellante, in quanto lo stesso era stato notificato entro il termine decadenziale di 60 giorni dall'effettiva conoscenza del provvedimento lesivo (non rilevando infatti, al fine della decorrenza del termine, le date di pubblicazione dei vari atti propedeutici al provvedimento impugnato, in quanto la lesione della posizione soggettiva si era concretizzata ed era stata percepibile solo al momento in cui, in mancanza di precedenti comunicazioni, era stata data esecuzione al provvedimento espropriativo).

Ha poi sottoposto a scrutinio –e lo ha accolto, ritenendolo fondato- il primo motivo di ricorso, con il quale era stato dedotta la omessa comunicazione di avvio del procedimento relativo all'apposizione del vincolo espropriativo e del procedimento per la dichiarazione di pubblica utilità del parco eolico.

Infatti, nella determinazione regionale impugnata 89 del 2010 si era dato atto che era già intervenuta la comunicazione di avvio del procedimento, ma tale comunicazione non era stata mai ricevuta dagli interessati. (il che avrebbe, ad avviso di parte appellata, invalidato l'intera procedura espropriativa, per violazione dell'articolo 11 del testo unico sulle espropriazioni).

Il Tar ha in proposito esposto il proprio convincimento secondo cui il testo unico sulle espropriazioni dettava disposizioni volte a rendere effettiva la partecipazione del proprietario a ciascuna fase del procedimento, imponendo apposita comunicazione di avvio delle fasi di apposizione del vincolo, di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, di determinazione dell'indennità di esproprio.

Nel caso di specie, le disposizioni del d.p.r. 327 del 2001 dovevano essere applicate congiuntamente alle norme contenute nel decreto legislativo 387 del 2003( che semplificano il procedimento per la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, prevedendo il rilascio di una autorizzazione unica che attribuisce automaticamente all'opera il carattere della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e che sostituisce anche il vincolo preordinato all'espropriazione, strumentale alla realizzazione dell'opera stessa ex articolo 12 del decreto legislativo 387 del 2003).

L'amministrazione procedente avrebbe pertanto dovuto dare rituale e tempestiva comunicazione dell'avvio del procedimento finalizzato all'emanazione dell'autorizzazione unica di cui all'art. 12 del D. Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, per la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile.

La semplificazione procedimentale per la realizzazione di impianti di tale tipo non esimeva, dunque, ad avviso del Tar, il promotore dell'espropriazione dall'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento, (seppure tale obbligo potesse ritenersi essere legittimamente assolto, allorché il numero dei destinatari della comunicazione sia superiore a 50, osservando le formalità prescritte dall'articolo 11 e dall'articolo 16 del testo unico 327 del 2001, che consente di effettuare la comunicazione mediante pubblico avviso, da affiggere all'albo pretorio dei comuni nel cui territorio ricadono gli immobili, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale e, ove istituito, sul sito informatico della regione).

Nel caso di specie era pacifico ed incontestato che tale comunicazione di avvio del procedimento non fosse stata data, neppure in forma semplificata.

L’unico avviso di avvio del procedimento, relativo alla fase dell’espropriazione, della sottoposizione a servitù e dell’occupazione temporanea, era stato dato con atto del 3.12.2009, pubblicato all’albo pretorio comunale per 15 giorni consecutivi a decorrere dal 3.12.2009, oltre che su alcuni quotidiani.

Nessun avviso di avvio del procedimento, neppure nella modalità semplificata e collettiva, era stato dato, invece, con riferimento alla procedura conclusasi con l’adozione dell’autorizzazione unica del 3 aprile 2008.

Da ciò doveva discendere l’illegittimità dell’intero procedimento espropriativo, il che determinava la qualificazione in termini di illiceità dell’attuale occupazione dei terreni di proprietà diparte appellata.

E’ stata pertanto presa in esame la domanda risarcitoria, con la quale era stata chiesta la condanna, in solido o, in via subordinata, secondo le rispettive responsabilità, della regione Molise e del comune di Ururi al risarcimento dei danni subiti da parte appellata.

Il Tar ha in proposito posto in luce che l’Amministrazione non aveva esercitato il potere acquisitivo, a sanatoria dell’illecita occupazione del terreno, conferitole dalla legge dapprima con l’art. 43 del TU delle espropriazioni e successivamente, in seguito all’accertata illegittimità costituzionale della norma recata da tale diposizione, dal vigente art. 42 bis del medesimo testo unico.

Ne derivava che parte appellata era tuttora legittima proprietaria del fondo occupato dalla P.A. su cui è stata realizzata l’opera pubblica, non essendosi mai perfezionata la costituzione del diritto di proprietà pubblica sul bene immobile.

Ne discende che sarebbe stato obbligo della Regione resistente procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta, (il che avrebbe implicato l’accoglimento della domanda risarcitoria in forma specifica per la restituzione dei beni).

Il primo giudice ha osservato però che, stante l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica, doveva presumersi maggiormente aderente all’interesse pubblico la definitiva acquisizione della proprietà dei beni all’amministrazione comunale, in alternativa all’ipotesi restitutoria, con conseguente, possibile traslazione, della tutela risarcitoria nella modalità equivalente (circostanza, questa, possibile in quanto la domanda risarcitoria era stata espressamente formulata in senso ampio).

Il Tar ha quindi rimesso alla Regione ogni valutazione in ordine alla scelta dello strumento attraverso cui addivenire all'acquisizione delle aree illegittimamente occupate, fissando, a tale fine, un termine di tre mesi, decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della sentenza, entro cui l'Amministrazione avrebbe dovuto procedere alla formulazione di una proposta finalizzata alla stipulazione di un contratto per la cessione del diritto di proprietà ed il contestuale soddisfacimento delle pretese risarcitorie in via transattiva, ovvero all'adozione del provvedimento, ex art. 42 bis del DPR 327/2001, con conseguente pagamento dell’indennizzo.

Il Tar ha poi stabilito che laddove la Regione non avesse inteso adottare il provvedimento costitutivo della proprietà pubblica o stipulare il contratto traslativo del diritto di proprietà, avrebbe dovuto provvedere all’immediata rimozione delle opere realizzate sui terreni della parte appellata, in quanto eseguite sine tituloe corrispondergli, inoltre, il risarcimento del danno, limitatamente al periodo di spossessamento, provvedendo a determinare anche i criteri ex art. 34, comma 4, cod. proc. amm(non essendovi stata al riguardo alcuna espressa opposizione delle parti costituite.).

Ha infine escluso che il Comune intimato, avesse spiegato alcun ruolo nella formazione dell’illecito (essendosi limitato a dare pubblicità legale agli atti adottati dalla Regione nel corso dell’iter espropriativo) e ne è stata pertanto dichiarata la carenza di legittimazione passiva riguardo la domanda risarcitoria.

Avverso la sentenza in epigrafe, depositata il 27.12.2012 e non notificata la parte controinteressata rimasta soccombente ha proposto un articolato appello notificato il 20 marzo 2013 evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata.

L’appellante ha in via preliminare chiarito le tappe del procedimento avviato dall’Amministrazione.

Ha in proposito evidenziato che il nucleo centrale della sentenza demolitoria riposava nell’opinamento del Tar secondo cui non sarebbe stata sufficiente la comunicazione di avvio del procedimento espropriativo se non preceduta da quella della procedura autorizzativa culminata con il rilascio dell’autorizzazione unica del 3.4.2008.

Senonchè, anche la comunicazione della fase dichiarativa della pubblica utilità era stata data alla parte appellata.

Infatti la New Energy (dante causa dell’appellante, che aveva richiesto il 28.6.2007 la concessione dell’autorizzazione unica per il parco eolico) aveva comunicato il 30.7.2007 alla parte appellata (pur potendo ricorrere alla mera pubblicazione)l’avvio della fase procedimentale volta alla apposizione della dichiarazione di PU ex art. 16 del dPR n. 327/2001.

La New Energy non si era costituita nel giudizio di primo grado e non aveva depositato la detta documentazione: ciò però non ostava a che se ne prendesse visione e contezza in questa fase di appello.

Peraltro (punto 8, pag. 11) il procedimento di screening ambientale si era concluso con Determinazione Dirigenziale di Via n. 6 del 16.1.2008, alla quale alcuno degli interessati aveva presentato osservazioni (essa non era stata mai impugnata da alcuno).

L’autorizzazione unica n. 14/2008 del 3.4.2008 (che riconosceva il carattere di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere) venne rilasciata proprio in carenza di alcuna opposizione.

Il 30 giugno 2007 parte appellata aveva sottoscritto un contratto di affitto di terreno e cessione del diritto di superficie : l’impugnazione perciò era senz’altro speciosa.

In ogni caso risultavano garantite le garanzie partecipative del dPR n. 327/2001: l’avviso di avvio del procedimento espropriativo (3 dicembre 2009) era stato pubblicato sull’albo pretorio comunale dal 2 al 17 dicembre 2009 e su due quotidiani (gli interessati erano in numero superiore a 50) ex artt.11 e 16 del dPR medesimo.

L’appellata quindi: era stata resa edotta dell’avvio di entrambi i procedimenti, ed in ogni caso (terza censura) ex art. 21 octies della l. 241/90 non aveva provato che essa avrebbe potuto fornire apporti infraprocedimentali tali da condurre ad un provvedimento diverso.

Ha poi sostenuto la inammissibilità del mezzo di primo grado per omessa impugnazione dell’autorizzazione unica n. 14/2008 del 3.4.2008 pubblicata sul BURM. Pertanto l’impugnazione proposta il 7 giugno 2010 era tardiva.

La sentenza aveva poi violato il disposto di cui all’art. 42 bis del dPR n. 327/2001:imponeva alla Regione l’acquisto della proprietà dell’area, secondo le prescrizioni di cui al primo comma della norma e non invece (come avrebbe dovuto) secondo quelle di cui al comma 6 concernente l’acquisizione del diritto di servitù.

Inoltre la sentenza era carente anche in punto di determinazione del valore venale del bene: l’art. 34 del dLgs n. 104/2010 costituiva una ipotesi di “supplenza” al mancato accordo delle parti e non poteva essere interpretato nel senso di facultizzare il giudice a dettare anticipatamente una disciplina suppletiva in ipotesi di mancato accordo.

La Regione Molise ha proposto un articolato appello incidentale notificato il 26.3.2013 sostanzialmente reiterando le argomentazioni di parte appellante principale.

Parte appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del mezzo principale, ribadendo che il mezzo di primo grado da essa proposto era tempestivo, e riproponendo (pagg. 11 e seguenti della memoria ) i motivi rimasti assorbiti.

Ivi, in particolare, si è sostenuto che comunque il procedimento era viziato perché alla parte appellata non era stato mai inoltrato l’avviso dell’avvio del rilascio del permesso di costruire (assentito dal comune di Ururi con provvedimento n. 18/2008 prot. 5430 del 23.7.2008) per la realizzazione di tutte le opere per cui la Regione aveva rilasciato l’Autorizzazione Unica n. 14/2008.

Si è poi sottolineato (motivo n. 3.2.) che, quanto all’avviso di avvio del procedimento espropriativo (3 dicembre 2009) esso era stato soltanto pubblicato sull’albo pretorio comunale dal 2 al 17 dicembre 2009 e non anche sui due quotidiani nazionali e di rilievo regionale siccome prescritto exlege. Inoltre non era provato che gli interessati fossero in numero superiore a 50: infatti non era dato sapere quanti fossero i proprietari interessati.

In ultimo (censura 3.3.) ha sostenuto che il procedimento fosse integralmente viziato anche per carente specificazione di quale procedura (art. 22 o 22 bis del TU) fosse stata esperita ed ha insistito per la conferma della condanna risarcitoria resa dal Tar.

Alla camera di consiglio del 9 aprile 2013 fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione della esecutività della gravata decisione, la Sezione con ordinanza n. 1295/2013 ha respinto il petitumcautelare sulla scorta della considerazione per cui “seppur nella sommarietà della delibazione cautelare il proposto appello non appare provvisto di decisivo fumus e peraltro il danno prospettato non appare connotarsi del requisito della irreparabilità;

Alla odierna pubblica udienza del 17 dicembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

 

 

1.L’appello principale e l’appello incidentale della Regione Molise (quest’ultimo, per il vero, non contenente censure autonome e distinte rispetto a quello principale) sono entrambi tempestivi e, quindi, esaminabili dal Collegio: la sentenza di primo grado, non notificata, venne pubblicata il 27.12.2012; l’ appello principale venne notificato il 20.3.2012,mentre l’ appello incidentale venne passato per notifica il 26.3.2012.

Il termine previsto dal cpa è stato rispettato.

1.1. Essi sono però infondati e vanno disattesi nei sensi di cui alla motivazione che segue.

2.La prima problematica da esaminare riposa nella riproposta eccezione di inammissibilità, per tardività, del mezzo di primo grado.

2.1. Essa assume valenza preliminare e va esaminata pregiudizialmente, ancorchè la strettissima connessione con l’argomento congiunto utilizzato dal primo giudice per supportare l’accoglimento del mezzo di primo grado ne imponga lo scrutinio unitario alle doglianze tese ad avversare detto caposaldo demolitorio.

2.2. Si rammenta in proposito, infatti, che il Tar ha respinto l’eccezione sulla scorta della motivazione per cui non potevano rilevare al fine della decorrenza del termine di proposizione dell’impugnazione, le date di pubblicazione dei vari atti propedeutici al provvedimento impugnato, “in quanto la lesione della posizione soggettiva dei ricorrenti si era concretizzata ed era stata percepibile solo al momento in cui, in mancanza di precedenti comunicazioni, è stata data esecuzione al provvedimento espropriativo.”.

In particolare, ad avviso del Tar, era mancata la fase di avviso di avvio del procedimento volto alla apposizione della dichiarazione di pubblica utilità.

2.3. Come riferito nella parte in fatto, l’appellante contesta tale approdo ed ha depositato in appello documentazione supportante – a suo dire – la tesi per cui detta necessaria pubblicità, imposta ex lege, non era stata omessa. Ciò, a cagione della iniziativa intrapresa dalla New Energy (dante causa dell’appellante, che aveva richiesto il 28.6.2007 la concessione dell’autorizzazione unica per il parco eolico) che aveva comunicato il 30.7.2007 a parte appellata (pur potendo ricorrere alla mera pubblicazione)l’avvio della fase procedimentale volta alla apposizione della dichiarazione di PU ex art. 16 del dPR n. 327/2001.

2.4. Il Collegio non concorda con tale assunto.

2.4.1. Va premesso in primo luogo che il Collegio ritiene che si potrebbe dubitare fondatamente della esaminabilità della documentazione prodotta in appello, in quanto la omessa produzione della predetta documentazione in primo grado fu dovuta esclusivamente alla incuria e negligenza della odierna parte appellante la quale, conoscendo le censure proposte dalla originarie ricorrenti – ed ammettendo di rivestire sul punto una posizione “derivata” in quanto il detto incombente sarebbe stato espletato dalla propria dante causa New Energy - non si preoccupò di dedurre tale circostanza, e neppure di provarla facendosi consegnare dalla propria dante causa tale (a suo dire indispensabile) documentazione e neppure prospettando tale eventualità.

La circostanza che la propria dante causa non si sia costituita in primo grado non rileva punto, in quanto sarebbe spettato all’appellante attivarsi in tal senso, mentre eventuali rilievi sulla condotta di New Energy restano confinati nell’alveo delle possibili contestazioni reciproche tra dette due parti e sono indifferenti alla soluzione del tema controverso.

Il vero è però che, se si dovesse ammettere una attività di “supplenza giudiziaria” in sede di assunzione del materiale probatorio, che sani l’inerzia di una parte “complessa” (quale in parte qua deve considerarsi l’odierna appellante, posto che il segmento iniziale della procedura venne posto in essere dalla propria dante causa) ne verrebbe stravolto il principio di parità delle parti processuali e nel caso di specie, vanificato il principio previsto dall’art. 104, II comma, cpa ed immanente al sistema processualistico italiano (si veda l’analogo precetto contenuto sub art. 345 cpc) che relega al ricorrere di evenienze assolutamente eccezionali la producibilità di “nova” in appello. Così procedendo si rischierebbe di elevare a “giusta causa” della produzione tardiva l’inerzia di una parte processuale.

2.4.2. Ma anche a volere obliare detta considerazione, e considerando in via del tutto ipotetica ammissibile ed esaminabile la documentazione prodotta per la prima volta da parte appellante nell’odierno grado di giudizio, ritiene il Collegio che la censura non colga nel segno.

2.4.3. Si rammenta in proposito che per costante ed incontroversa giurisprudenza assai recente (ex aliisCons. Stato Sez. IV, 21-08-2013, n. 4229)“al privato proprietario di un'area destinata all'espropriazione, siccome interessata dalla realizzazione di un'opera pubblica , deve essere garantita, mediante la formale comunicazione dell' avviso di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l'amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull'apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e, quindi, dell'approvazione del progetto definitivo.”

Contrariamente a quanto sostenutosi nell’appello, peraltro, una imponente produzione giurisprudenziale amministrativa ha sempre costantemente dato atto della circostanza che la necessità dell'avviso di avvio del procedimento amministrativo (nel caso di specie si trattava dell’adozione di provvedimenti di annullamento) costituisca affermazione pacifica e consolidata nella giurisprudenza amministrativa.

Secondo tale corrente giurisprudenziale “la preventiva comunicazione di avvio del procedimento rappresenta un principio generale dell'agere amministrativo (T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 12-07-2011, n. 1276).

La materia relativa alle procedure di espropriazione per pubblica utilità non costituisce certo eccezione a detto approdo della giurisprudenza: ed anzi, come è noto, un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato (cfr. Ad. Plen. 20 dicembre 2002, n. 8; 24 gennaio 2000, n. 2; 15 settembre 1999, n. 14), dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, ha affermato il principio, generale ed inderogabile, per cui al privato proprietario di un'area destinata all'espropriazione, siccome interessata dalla realizzazione di un'opera pubblica, dev'essere garantita, mediante la formale comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l'amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull'apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e, quindi, dell'approvazione del progetto definitivo.

Con più stringente riferimento alla fattispecie per cui è causa, poi, di recente la giurisprudenza di questa Sezione del Consiglio di Stato ha avuto modo di ribadire il detto principio, essendosi affermato che ( Cons. Stato Sez. IV, 09-12-2010, n. 8688) costituisce principio generale ed inderogabile dell'ordinamento vigente che al privato, proprietario di un'area sottoposta a procedimento espropriativo per la realizzazione di un'opera pubblica, deve essere garantita, mediante la formale comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l'amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull'apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e, quindi, dell'approvazione del progetto definitivo, né sarebbe invocabile come esimente dal dovere in questione il disposto dell'art. 13, comma 1, l. 7 agosto 1990 n. 241, in quanto detta norma si riferisce ai soli atti a contenuto generale, mentre l'intesa tra lo Stato e la Regione sulla localizzazione di un'opera di interesse statale non consiste in un documento di pianificazione territoriale, ma produce l'effetto puntuale e specifico dell'individuazione dell'ubicazione dell'intervento (oltre a valere come dichiarazione di pubblica utilità) e si rivela, come tale, idonea ad incidere, in maniera immediata, sugli interessi dei soggetti proprietari del terreno interessato dalla sua realizzazione, con evidenti implicazioni sulla partecipazione di questi al relativo procedimento.

Analoghe conclusioni si traggono dalle disposizioni specifiche contenute nel TU Espropriazioni.

Sotto il profilo strettamente letterale, infatti, le espresse disposizioni di cui agli artt. 11 (“. Al proprietario, del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio, va inviato l'avviso dell'avvio del procedimento:

a) nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del consiglio comunale;

b) nei casi previsti dall'articolo 10, comma 1, almeno venti giorni prima dell'emanazione dell'atto se ciò risulti compatibile con le esigenze di celerità del procedimento.

L'avviso di avvio del procedimento è comunicato personalmente agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto. Allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50, la comunicazione è effettuata mediante pubblico avviso, da affiggere all'albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo. L'avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto. Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall'autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni.

La disposizione di cui al comma 2 non si applica ai fini dell'approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ricompresi nei programmi attuativi dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.

Ai fini dell'avviso dell'avvio del procedimento delle conferenze di servizi in materia di lavori pubblici, si osservano le forme previste dal decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554.

Salvo quanto previsto dal comma 2, restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di partecipazione del proprietario dell'area e di altri interessati nelle fasi di adozione e di approvazione degli strumenti urbanistici.”) e 16 comma 4 (“Al proprietario dell'area ove è prevista la realizzazione dell'opera è inviato l'avviso dell'avvio del procedimento e del deposito degli atti di cui al comma 1, con l'indicazione del nominativo del responsabile del procedimento”) del D.P.R. 8-6-2001 n. 327 congiurano nel fare ritenere il detto obbligo assolutamente cogente ed inderogabile in armonia con i principi affermati dalla Cedu e ben recepiti a più riprese da questo Consiglio di Stato.

Non appare il caso di immorare vieppiù sul punto, se non per rimarcare, a fini di coerenza sistematica, che (d.Lgs. 12-4-2006 n. 163, art. 166) il detto obbligo è prescritto anche nel caso di opere strategiche, (si veda sul punto Cons. Stato Sez. IV n. 4230/2013)per cui esso costituisce principio non dequotabile (comma 2 della in ultimo citata disposizione: “ “l’avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità è comunicato dal soggetto aggiudicatore, o per esso dal concessionario o contraente generale, ai privati interessati alle attività espropriative ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni; la comunicazione è effettuata con le stesse forme previste per la partecipazione alla procedura di valutazione di impatto ambientale dall'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n. 377. Nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione di avvio del procedimento, i privati interessati dalle attività espropriative possono presentare osservazioni al soggetto aggiudicatore, che dovrà valutarle per ogni conseguente determinazione. Le disposizioni del presente comma derogano alle disposizioni degli articoli 11 e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327.”.).

2.4.4. Ovviamente – non è superfluo rammentarlo – perché possa produrre l’effetto di pubblicità cui l’incombente è ricollegato, il detto avviso dell’avvio del procedimento non può che essere inviato dall’autorità procedente, come espressamente affermato ex art. 16 del dPR n. 327/2001 laddove il combinato disposto dei commi 1 e quattro rende evidente che l’avviso dell’avvio che assume rilievo debba necessariamente promanare dall’ Autorità procedente, non altrimenti potendosi intendere l’inequivocabile riferimento ivi contenuto al soggetto “responsabile del procedimento” (“Il soggetto, anche privato, diverso da quello titolare del potere di approvazione del progetto di un'opera pubblica o di pubblica utilità, può promuovere l'adozione dell'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera. A tale fine, egli deposita pressa l'ufficio per le espropriazioni il progetto dell'opera, unitamente ai documenti ritenuti rilevanti e ad una relazione sommaria, la quale indichi la natura e lo scopo delle opere da eseguire, nonché agli eventuali nulla osta, alle autorizzazioni o agli altri atti di assenso, previsti dalla normativa vigente.

In ogni caso, lo schema dell'atto di approvazione del progetto deve richiamare gli elaborati contenenti la descrizione dei terreni e degli edifici di cui è prevista l'espropriazione, con l'indicazione dell'estensione e dei confini, nonché, possibilmente, dei dati identificativi catastali e con il nome ed il cognome dei proprietari iscritti nei registri catastali.

L'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'articolo 15 consente anche l'effettuazione delle operazioni previste dal comma 2.

Al proprietario dell'area ove è prevista la realizzazione dell'opera è inviato l'avviso dell'avvio del procedimento e del deposito degli atti di cui al comma 1, con l'indicazione del nominativo del responsabile del procedimento.”).

Ed in passato la disposizione predetta è stata interpretata esattamente in tal modo (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III Sent., 27-03-2007, n. 540 “la norma dell'art. 16 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 modificato dalla L. 1 agosto 2002 n. 185, ai commi 4 e seguenti prevede che al proprietario dell'area ove è prevista la realizzazione dell'opera va inviato l' avviso dell' avvio del procedimento e del deposito degli atti, con l'indicazione del nominativo del responsabile del procedimento e se la comunicazione prevista dal comma 4 non ha luogo per irreperibilità o assenza del proprietario risultante dai registri catastali, il progetto può essere ugualmente approvato. Infatti se risulta la morte del proprietario iscritto nei registri catastali e non risulta il proprietario attuale, la comunicazione di cui al comma 4 è sostituita da un avviso , affisso per venti giorni consecutivi all'albo pretorio dei comuni interessati e da un avviso pubblicato su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale. Il comma 9 dispone espressamente che l' autorità espropriante non è tenuta a dare alcuna comunicazione a chi non risulti proprietario del bene. Conseguentemente l'indicazione del soggetto direttamente inciso dalla procedura ablatoria va individuato sulla scorta dei dati catastali, secondo un criterio già contenuto nell'art. 10 L. n. 865/1971, e tenuto fermo dagli artt. 11 e 16 del D.P.R. n. 327/2001; pertanto, vigendo un sistema di oggettiva conoscibilità da parte della p.a. del soggetto su cui grava il carico della procedura ablatoria, non è ipotizzabile che tale norma imponga al soggetto pubblico di accertare l'esistenza di altri proprietari al fine di estendere anche ad altri soggetti la partecipazione procedimentale”).

2.4.5. Tanto premesso il collegio rileva, ferma la inammissibilità della documentazione prodotta in appello, che comunque la comunicazione inviata da New Energy non rileva quindi, ai predetti fini, sotto due distinti e rilevanti angoli prospettici.

Da un canto infatti, -e per quanto si è finora chiarito - essa non era l’Autorità competente ad imprimere il vincolo ma semmai, il “privato interessato” di cui al comma 1 della citata disposizione, per cui in nessun caso la missiva da essa inviata avrebbe potuto sollevare l’Autorità competente dal procedere all’inoltro dell’avviso.

Secondariamente, poi (ed armonicamente con tali conclusioni) la stessa missiva inoltrata da New Energy faceva riferimento ad una futura comunicazione che avrebbe dovuto essere inoltrata dalla competente Autorità.

Tale comunicazione quindi in nessun caso potrebbe considerarsi equipollente all’inoltro dell’avviso dell’avvio del procedimento.

Ed in considerazione del fatto che la competente Autorità non risulta aver proceduto a comunicare il prescritto avviso non può che concludersi – come rettamente affermato dal primo giudice – che tale incombente sia stato nella sostanza omesso.

Va quindi respinta l’articolazione principale del terzo motivo di appello (e non può considerarsi tardivo il mezzo di primo grado) mentre sugli argomenti connessi ivi parimenti contenuti ci si soffermerà di seguito.

2.4.6.Quanto alle conseguenze di tale omissione, la disamina delle stesse può essere svolta congiuntamente alle altre censure articolate da parte appellante principale (ed anche, in parte dalla Regione Molise appellante incidentale) visto che, in qualche misura, finisce con il coincidervi.

2.5. A tale proposito, quanto alla censura prospettata nel secondo motivo dell’appello, con la quale si ripropone la tematica – già disattesa dal Tar- della asserita originaria inammissibilità, per tardività, del mezzo di primo grado, evidenzia il Collegio quanto segue.

La prima parte della doglianza (distinta dalla lettera “a”) introduce un argomento non solo ovvio, ma neppure mai contestato (ovvero diversamente interpretato dal giudice di primo grado): è ben ovvio che l’annullamento ottenuto da parte appellata è stato reso nei limiti dell’interesse vantato da parte appellata,e con riguardo esclusivo alle opere insistenti sul proprio fondo. Nulla di diverso è ricavabile dalla decisione di primo grado, per cui può affermarsi che non ci si trovi in presenza di una vera e propria censura, ma semmai, appunto di una mera constatazione di fatto incidente su una circostanza mai revocata in dubbio.

Nel prosieguo della censura, però, l’appellante reitera l’argomento concernente la asserita tardività del mezzo di primo grado, concernente l’avvenuta pubblicazione dell’Autorizzazione Unica n. 14/2008 sul BURM del 16.4.2008.

Senonchè, laddove si consideri che per quanto si è sopra chiarito l’unica pubblicità del procedimento relativo alla fase dell’espropriazione, della sottoposizione a servitù e dell’occupazione temporanea, era stata data con atto del 3.12.2009, pubblicato all’albo pretorio comunale per 15 giorni consecutivi a decorrere dal 3.12.2009, oltre che su alcuni quotidiani, e che nessun avviso di avvio del procedimento, neppure nella modalità semplificata e collettiva, era stato dato con riferimento alla procedura conclusasi con l’adozione dell’autorizzazione unica del 3 aprile 2008, francamente non è dato comprendere per quale ragione il mezzo di primo grado sarebbe stato proposto tardivamente.

Privata di ogni rilievo in rito principalmente e comunque in merito la “comunicazione” inoltrata da New Energy (che peraltro, come prima chiarito, faceva riferimento ad una futura ulteriore comunicazione che avrebbe dovuto essere inoltrata dalla competente Autorità), e non rilevando la eventuale conoscenza aliundeottenuta dal privato, appare evidente che soltanto al momento in cui, in mancanza di precedenti comunicazioni, era stata data esecuzione al provvedimento espropriativo parte appellata potesse percepire la lesività dell’opera in riferimento alla propria posizione giuridica: unicamente da tale momento avrebbe potuto decorrere il termine decadenziale per la proposizione del mezzo di primo grado e non è contestato che, esso sia in riferimento a tale momento tempestivo.

La seconda censura va quindi disattesa.

2.6. Non miglior sorte meritano gli ulteriori argomenti contenuti nel terzo mezzo e che non sono stati sinora scrutinati.

Essi si pongono – tutti – in frontale contrasto con consolidate, ed anche di recente ribadite, posizioni assunte dalla giurisprudenza amministrativa.

2.6.1. Quanto alla invocata praticabilità del “rimedio” di cui all’art. 21 octies della legge generale del procedimento amministrativo n. 241/1990 alla fattispecie relativa all’omesso inoltro dell’avviso di avvio del procedimento espropriativo e della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, è stata da tempo raggiunta una concordanza di opinioni secondo cui non risulta utile, per l'Amministrazione comunale, al fine di sanare il vizio di mancata comunicazione di avvio del procedimento, invocare l'applicazione dell'articolo 21 octiesdella legge 241/1990, secondo cui i provvedimenti non avrebbero potuto avere altro contenuto.

La giurisprudenza di merito, infatti, dopo avere affermato il principio generale per cui anche in materia di espropriazione per pubblica utilità trova applicazione il principio sancito dall'art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990, per cui non è annullabile il provvedimento in presenza di vizi formali o procedurali che non abbiano inciso sulla sostanza dell'atto, ne perimetra l’applicazione iin senso sostanzialmente escludente rispetto alla fattispecie per cui è causa pervenendo alla significativa affermazione secondo cui “ciò vuol dire che le censure avverso un provvedimento ablatorio debbono attenere (anche) alla sostanza del provvedimento e non solo alla forma, salvo ovviamente il caso in cui il vizio di forma - ad esempio, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento - non abbia privato radicalmente l'interessato della possibilità di far valere le proprie ragioni in sede procedimentale” (T.A.R. Marche Ancona Sez. I, Sent., 21-10-2010, n. 3367).

Ed anche la giurisprudenza più favorevole (T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 13-03-2012, n. 2449) che non contempla in via generale detta implicita clausola escludente, di fatto ne riduce la portata, escludendo qualsivoglia sanatoria nel caso in cui “l'amministrazione si limita ad affermarne apoditticamente l'inevitabilità del dispositivo del provvedimento “ senza dare l'effettiva dimostrazione che le caratteristiche tecniche dell'opera non potevano essere diverse da quelle assunte, né motivando sull'opportunità di imporre tale sacrificio quale migliore soluzione possibile per il perseguimento dell'interesse pubblico.

Ciò in quanto, si è ivi condivisibilmente sostenuto ” l'avviso di cui all'art. 16 comma 4, D.P.R. n. 327 del 2001 realizza, infatti, una garanzia partecipativa non meramente formale rappresentando un necessario passaggio cognitivo-dialettico funzionale sia per la parte, che può opporre fatti e/o circostanze non considerati, sia per l'amministrazione che quelle osservazioni deve esaminare e valutare prima di approvare il progetto definitivo dell'opera; per cui, da tale omissione procedurale discende l'illegittimità degli atti approvativi del progetto e della dichiarazione di pubblica utilità ed in via derivata di quello occupativo ed espropriativo neppure essendo possibile fare ricorso all'art. 21 octies comma 2, l. n. 241 del 1990, sia per la natura non vincolata del provvedimento, sia laddove non sia dato riscontrare, nella fattispecie, come " palese " che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Nel caso di specie, anche a volere sposare la tesi “riduttiva” che prescinde dal dato categoriale generale della natura non vincolata del provvedimento, l’Amministrazione nulla ha provato in ordine alla assoluta impossibilità che l’apporto infraprocedimentale eventuale dei privati potesse apportare contributi utili, né che in concreto il provvedimento e la scelta dell’area di parte appellata fosse, in concreto, del tutto ed irredimibilmente vincolata.

Errando poi sulla portata anche letterale dell'art. 21 octies comma 2, l. n. 241 del 1990 (“non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.”)l’appellante sostiene che sarebbe spettato al privato fornire la prova della utilità del proprio possibile apporto infraprocedimentale.

Il dato va specularmente rovesciato: proprio in considerazione del chiaro tenore letterale della disposizione predetta, ed in considerazione che non si trattava di provvedimento vincolato, sarebbe spettato all’amministrazione fornire una dimostrazione di immodificabilità assoluta della scelta di allocazione dell’opera (Cons. Giust. Amm. Sic., 14-09-2007, n. 851:“nei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità il proprietario del fondo è legittimato ad agire in giudizio, poiché dall'annullamento degli atti impugnati conseguirebbe la mancata ablazione di esso. Nei suddetti procedimenti l'amministrazione ha l'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento agli interessati, ex art. 7 della legge n. 241 del 1990, eccetto i casi in cui essa dimostri che trattasi di un provvedimento vincolato il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso, ex art. 21 octies, c. 2, della citata legge “;Cons. Stato Sez. VI, 05-12-2007, n. 6183: “l'art. 21 octies della legge n. 241/90 non può essere applicato d'ufficio dal giudice, incombendo sull'amministrazione l'onere probatorio della dimostrazione che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato anche in caso di partecipazione del privato al procedimento.”).

L’assoluta carenza di prova (e ancor prima di allegazione) sul punto impone la declaratoria di infondatezza anche di detta censura.

2.6.2. Quanto infine – per concludere la disamina del terzo motivo- alla supposta acquiescenza del privato, e comunque “equipollenza” all’omesso inoltro dell’avviso dell’avvio del procedimento della conoscenza aliunde ottenuta, è sufficiente – per smentirne l’accoglibilità -richiamare il consolidato approdo della giurisprudenza in punto di impossibilità di una acquiescenza “anticipata” rispetto al momento di insorgenza del vizio poi stigmatizzato dal privato, mentre la circostanza relativa al preliminare di affitto del terreno nulla dimostra in alcun senso, se non che le parti private avrebbero potuto essere d’accordo con l’operato dell’Amministrazione laddove la procedura espropriativa si fosse svolta secondo i crismi della legalità il che,invece, non è avvenuto (si veda T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 15-11-2011, n. 1370: “a nulla rileva che l'interessato abbia avuto comunque conoscenza del procedimento, dato che le esigenze partecipative alla base dell'obbligo di comunicazione non possono essere ritenute soddisfatte da una generica conoscenza dell'esistenza di un procedimento espropriativo, essendo necessario, per escludere la rilevanza dell' omissione della comunicazione di avvio, una precisa conoscenza dell'andamento del procedimento e dell'oggetto di esso.”).

2.7. Conclusivamente, anche la terza censura va disattesa e, insieme con questa, l’appello incidentale della Regione Molise, pressoché integralmente incentrato sulle tematiche prima approfondite.

3. Resta adesso da esaminare la quarta censura contenuta nell’appello principale proposto da Andromeda.

Essa, in realtà, consta di due distinte prospettazioni.

Con la prima di esse si censura il quomodo dell’esercizio da parte del primo giudice del potere relativo all’utilizzo da parte dell’Amministrazione del disposto di cui all’art. 42 bis del TU espropriazioni;

con la seconda critica (coincidente con identica doglianza proposta dalla Regione Molise nel proprio appello incidentale) essa si duole della avvenuta determinazione dei criteri risarcitori da parte del Tar ai sensi dell’art. 34 comma 4 del cpa.

Entrambe le articolazioni di tale doglianza, in quanto proposte da Andromeda, sarebbero, in via di principio, inammissibili: Andromeda non è l’Amministrazione facultizzata alla eventuale emissione del provvedimento ex art. 42 bis del TU espropriazioni, e non si vede a qual titolo si possa dolere di circostanze afferenti il possibile oggetto di detto provvedimento, ovvero della determinazione risarcitoria.

Soltanto accogliendo una nozione lata ed estesa di interesse ex art. 100 cpc (e quindi facendovi rientrare l’interesse indiretto di Andromeda quale utilizzatrice dell’opus installato nell’area) potrebbe ipotizzarsi che la stessa fosse legittimata a sollevare simili censure.

Peraltro il Collegio anche in considerazione dell’appello incidentale regionale non si sottrarrà alla partita disamina nel merito delle dette critiche.

3.1. Quanto alla seconda articolazione della richiamata doglianza, dato atto che costituisce circostanza incontrovertibile quella per cui nessuna delle parti del giudizio di primo grado si oppose alla eventualità che il Giudice determinasse i criteri cui commisurare la somma da versare a titolo di risarcimento del danno, l’affermazione dell’appellante (in ultimo reiterata in memoria) secondo cui “ogni accordo è impossibile” non integra censura, ma preconizzazione di un futuro esito delle trattative che, in quanto tale, resta alla responsabilità della parte che tale esito negativo abbia preveduto ma che certo non può essere addossata al Tar che detti criteri ebbe a dettare.

Nel merito della doglianza, l’appellante si duole dell’inciso contenuto nella sentenza, secondo cui in mancanza dell’accordo “il tecnico potrà essere nominato - su richiesta di una delle parti - dal prefetto di Campobasso, sempre con oneri a carico dell'amministrazione.”.

Con tale inciso, infatti, il Tar avrebbe “anticipato” l’esito di un futuro giudizio (quello di ottemperanza) in ipotesi di omesso raggiungimento dell’accordo.

Di più: avrebbe vanificato la prescrizione normativa secondo la quale l’esito del mancato accordo è proprio quello del necessario esperimento di un secondo giudizio.

Non pare al Collegio che ciò sia avvenuto.

L’art. 34 comma 4 non impone al Giudice una necessaria genericità dei criteri fissati: nel caso di specie, il Tar (lodevolmente, peraltro) ha stabilito quale sia la eventuale base di partenza alla quale le parti avrebbero potuto fare riferimento in ipotesi di disaccordo. Ed ha rimesso tale determinazione ad un tecnico stabilendo le modalità di nomina di quest’ultimo.

Il Tar quindi (condivisibilmente, ad avviso di questo Collegio, anche tenuto conto dei principi costituzionali in tema di ragionevole durata del processo scolpiti ex art. 111 della Costituzione) ha fatto quanto in proprio potere per evitare un nuovo giudizio, stabilendo che le parti possano trovare un accordo immediato sulla base dei criteri già predeterminati in sentenza (e questo capo di decisione, certamente, rientrava nei poteri del Tar medesimo, come appare incontroverso).

Ha poi previsto che, se anche non si fosse raggiunto tale accordo, una determinazione compiuta potesse essere affidata ad un tecnico: ma la determinazione da questo fissata, ovviamente, non costituisce modalità elisiva/assorbitiva del possibile successivo ricorso al giudizio di ottemperanza.

Essa integra unicamente un successivo e maggiormente specifico modo di determinazione della presumibile somma da versare, fermo restando che, laddove su neppure quest’ultima l’accordo venga raggiunto, resta salva la possibilità delle parti di adire nuovamente il Giudice ai sensi dell’ultima parte del comma IV della richiamata disposizione del cpa.

D’altro canto, laddove si consideri che nulla avrebbe vietato al giudice di procedere esso stesso alla compiuta determinazione del quantum risarcitorio, appare evidente che non v’è nel caso in oggetto alcuno straripamento di poteri.

Laddove nessun accordo venga raggiunto neppure dopo la determinazione del tecnico, le parti interessate potranno agire in ottemperanza. Quest’ultimo giudizio si svolgerà – presumibilmente - giovandosi della base di partenza consistente nella determinazione resa dal tecnico predetto, ma nulla vieta che la detta determinazione, in sede di ottemperanza, possa essere rivisitata, censurata, smentita etc.

Nei termini sinora esposti, la doglianza è manifestamente priva di fondamento.

3.2. Quanto invece alla prima articolazione della detta censura, essa appare in realtà frutto di un fraintendimento del dato normativo.

3.2.1. Il disposto di cui all’art. 42 bis del TU espropriazioni costituisce una mera facoltà dell’Amministrazione.

Questa Sezione ha più volte affermato, in passato, che (Cons. Stato Sez. IV, 26-03-2013, n. 1710) “nel procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nell'attuale quadro normativo, l'Amministrazione ha l'obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l'occupazione "sine titulo" e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La P.A. ha due sole alternative: o deve restituire i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo "status quo ante", oppure deve attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell'area da parte del soggetto attuale possessore. In assenza di legittimi provvedimenti ablatori o di contratti di acquisto delle relative aree, o di provvedimenti di acquisizione ex art. 42 bis, D.Lgs. n. 327/2001 deve affermarsi il potere-dovere di far luogo alla materiale rimozione delle opere che risultano senza titolo. “.

Detta scelta è rimessa all’Amministrazione, ed il primo giudice null’altro ha fatto che rammentare all’Amministrazione tale possibilità affermando che (si riporta un breve inciso della motivazione della gravata sentenza)“ rimettere alla Regione resistente ogni valutazione in ordine alla scelta dello strumento attraverso cui addivenire all'acquisizione delle aree illegittimamente occupate, fissando, a tale fine, un termine di tre mesi, decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, entro cui l'Amministrazione dovrà procedere alla formulazione di una proposta finalizzata alla stipulazione di un contratto per la cessione del diritto di proprietà ed il contestuale soddisfacimento delle pretese risarcitorie in via transattiva, ovvero all'adozione del provvedimento, ex art. 42 bis del DPR 327/2001, con conseguente pagamento dell’indennizzo.

Laddove la Regione non intenda adottare il provvedimento costitutivo della proprietà pubblica o stipulare il contratto traslativo del diritto di proprietà, dovrà provvedere all’immediata rimozione delle opere realizzate sui terreni del ricorrente in quanto eseguite sine titulo e corrispondergli, inoltre, il risarcimento del danno, secondo i criteri di seguito indicati, limitatamente al periodo di spossessamento.”.

Ovviamente – si ribadisce- la scelta è rimessa all’Amministrazione, unico soggetto che possa emettere il provvedimento acquisitivo.

Sul piano processuale, l'affermazione della giurisprudenza per cui il predetto comando non è rivolto al giudice ma alla P.A. (cfr. infra multa Consiglio di Stato sez. IV 09 gennaio 2013 n. 76), sta a significare solo che la decisione relativa alla valutazione della persistenza dell'interesse pubblico al mantenimento dell'opera pubblica, afferisce totalmente al merito amministrativo e non può essere demandato alla sede giurisdizionale.

Ciò l’Amministrazione all’evidenza farà, valutando anche i rapporti intrattenuti con la società proprietaria del manufatto (turbina eolica, nel caso di specie) allocato sull’area: fermandosi alla evenienza prospettata nell’appello, laddove quest’ultima, ad esempio, non risultasse disponibile ad acquistare il diritto di superficie sul terreno al fine di ivi mantenervi la turbina (ovvero a locarlo per il tempo necessario), essa potrà o dovrà omettere, secondo il proprio discrezionale giudizio, di rendere il provvedimento ex art. 42 bisdel Tu.

Ciò che risulta invece del tutto inaccoglibile, è la pretesa di parte appellante di addossare al proprietario dell’immobile le conseguenze dell’eventuale disaccordo tra la Regione e la ditta proprietaria della turbina ed utilizzatrice della medesima e, a fronte della totale inutilizzabilità dell’area, prevedere l’acquisizione di un diritto reale “minor” proprio in virtù ed a cagione di detto disaccordo.

Non è fuor di luogo rammentare, a tale proposito che la procedura avviata ( e risultata illegittima) era finalizzata alla espropriazione dell’area; per queste ragioni venne occupato l’immobile; questo sarebbe stato l’approdo finale ove l’Amministrazione avesse agito correttamente.

Tale scorrettezza la Regione può ora “sanare”: ma non può certo modificare detta originaria deliberazione (ad opera già eseguita e turbina già installata sul fondo) mutandone l’oggetto.

D’altro canto, la affermata circostanza su cui poggia la tesi di Andromeda secondo cui l’acquisizione potrebbe avvenire soltanto in presenza di opera pubblica utilizzata dall’ente pubblico medesimo è per tabulas smentita dal comma V dell’art. 43 bis medesimo, laddove questo estende la portata del comma I anche a fattispecie diverse (“Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell'autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell'indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene.”), il che è proprio l’evenienza concretatasi nel caso di specie.

L’invocato comma VI del citato articolo configura, a ben guardare, una norma di chiusura che disciplina una evenienza tutt’affatto diversa (“ Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l'autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia”).

Id est: detta disposizione in ultimo citata ammette che la c.d. “acquisizione sanante” sia praticabile anche con riferimento a diritti reali parziari: ma ciò laddove sia risultata irregolare la procedura finalizzata all’acquisizione in mano pubblica di uno di tali diritti.

 

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Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 02 December 2024 09:33:32

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