Monday 07 April 2014 17:05:11

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

La doppia conformità per sanare gli abusi edilizi: è legittimo il diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 17.3.2014

La giurisprudenza corrente ha ormai superato l’interpretazione parzialmente impostasi nel passato circa la necessità della conformità del manufatto oggetto di sanatoria con la sola disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda di assentimento in sanatoria o a quello nel quale la domanda esaminata; questo Consiglio ha da tempo chiarito che ai sensi dell’art. 13 L. 28 febbraio 1985, n. 47 (così come ai sensi delle corrispondenti disposizioni del testo unico sull’edilizia), è legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St., V, 11 giugno 2013, n. 3235; id., V, 17 settembre 2012, n. 4914; id., V, 25 febbraio 2009, n. 1126; id., IV, 26 aprile 2006, n. 2306). Infatti, solo il legislatore può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico. Tale ragionevolezza risulta da due fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge: a) evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile); b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico. Questa doppia conformità non si registra nel caso in esame, perché, come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure, essa è una vera e propria “conditio sine qua non” e dunque se il regime previsto dal P..R.G. di Arezzo al tempo della presentazione dell’istanza di sanatoria qualificava l’area su cui insiste l’immobile dell'appellante come zona agricola, appare evidente la difformità di un capannone industriale all’interno di tale zona, sia pure anni dopo divenuta zona produttiva. Del resto, la regola della doppia conformità di cui all’art. 13 L. 47 del 1985 applicato dal Comune al caso di specie è stata ribadita dal legislatore con l’art. 6 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il quale al comma 1° ha stabilito che “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività (…) il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”. Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale* del 2002, proposto dal signor Sgrevi Ugo, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Rubechi e Leonardo Lascialfari, con domicilio eletto presso il signor Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II 18; 

contro

Il Comune di Arezzo, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberta Ricciarini e Stefano Pasquini, con domicilio eletto presso la Segreteria della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA, Sez. III n. 2028/2001, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere eseguite senza concessione edilizia;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Arezzo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2014 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati E. Follieri, su delega dell'avv. Alberto Rubechi, e Gabriele Pafundi su delega dell'avv. Stefano Pasquini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Nel 1991 il signor Ugo Sgrevi, nella qualità di proprietario di un terreno in via Buonconte da Montefeltro nel Comune di Arezzo, sul quale esercitava l’attività di vendita di materiali edili all’ingrosso, presentava istanza ex art. 26 della legge n. 47 del 1985 per la realizzazione di un carro-ponte, per poi produrre in data 28 febbraio 1995 - in relazione ad opere di copertura di detta struttura - domanda di condono ai sensi dell’art. 39 legge n. 724 del 1994.

Con ordinanza del 21 aprile 1995 n. 262 il Sindaco di Arezzo intimava la demolizione di opere ritenute eseguite senza concessione edilizia, costituite dalla:

a) "messa in opera di un manto di copertura in pannelli ondulati in fibra di cemento, su capriate di cemento armato, murate sulla struttura portante di un carro ponte";

b) "realizzazione di un fabbricato di due piani fuori terra, realizzato in bozze, con una tamponatura parziale e la realizzazione di parte del solaio".

Successivamente il signor Sgrevi presentava al Comune di Arezzo, in data 28 luglio 1995, una domanda di sanatoria ex art. 13 legge n. 47 del 1985 per la costruzione del solaio e della tamponatura esterna e quindi proponeva il 4 luglio 1995 il ricorso n. 2830 del 1995 al TAR della Toscana avverso l’ordinanza sindacale n. 262 del 22 aprile 1995, deducendone la illegittimità da un lato per il mancato previo esame della domanda di condono, neppure richiamata, ed inoltre perché l’intervento realizzato non necessitava di peculiari titoli edilizi o, tutt’al più poteva essere assoggettato ad autorizzazione, escludendosi così l’applicazione della demolizione ex art. 7 della legge 47 del 1985, delle cui conseguenze l’Amministrazione avrebbe anche trascurato l’impatto sulle preesistenze regolari del fabbricato.

Nelle more, con provvedimento del 21 settembre 1999, la domanda di sanatoria ex art. 13 veniva respinta per contrasto con la normativa di P.R.G. e tale determinazione veniva impugnata dall’interessato con altro ricorso n. 3058 del 1999, mentre con istanza del 26 e 27 ottobre 1999 il signor Sgrevi chiedeva il riesame della domanda di sanatoria, ma tali richieste venivano nuovamente denegate.

In data 21 settembre 2000 l'Amministrazione comunale rilasciava con atto n. 250 il condono edilizio ai sensi della legge n. 724/94 per la "struttura per carro-ponte coperto".

Quindi, in data 14 febbraio 2000 veniva adottata dal Comune di Arezzo una variante al piano regolatore generale, prevedente per l’area interessata dal manufatto in contestazione la destinazione a zona D (attività produttiva).

Infine, con ordinanza n. 505 dell’11 luglio 2000 il competente ufficio comunale ingiungeva al signor Sgrevi la demolizione delle opere relative alla tamponatura del carro ponte e al solaio intermedio, visto il diniego sulle istanze ex art. 13 e rilevato che le opere sopradescritte si configuravano come interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti senza titolo legittimante.

Avverso tale provvedimento parte ricorrente proponeva atto di motivi aggiunti (nell’ambto del giudizio n. 2830 del 1995), rilevando l’omessa considerazione della domanda di condono ed il mancato assoggettamento al regime autorizzatorio delle opere di tamponatura e dell’impatto sulle preesistenze regolari del fabbricato ed inoltre da un lato l’approvazione della variante del 2000 che non precludeva l’intervento in parola e dall’altro l’assenza di un concreto impatto urbanistico, per cui si doveva tenere conto della c.d. sanatoria impropria (o giurisprudenziale) li dove, appunto la costruzione è conforme allo strumento urbanistico al momento del rilascio della concessione in sanatoria.

Si è costituito in giudizio il Comune di Arezzo, sostenendo l’infondatezza delle impugnative e chiedendone il rigetto.

2. Con sentenza n. 2028 del 18 dicembre 2001, il TAR della Toscana dichiarava improcedibile il ricorso principale n. 2830 del 1995 (concernente l’ingiunzione di demolizione n. 262 del 21 aprile 1995), visto che le opere considerate erano state oggetto di condono edilizio, mentre lo respingeva per la parte concernente il solaio e la parziale tamponatura della struttura adibita a carro ponte, ovverosia quanto descritto nel punto 2 dell’ordinanza n. 262 del 1995, in quanto dette opere, se pur conformi alla nuova destinazione di piano regolatore, non lo erano in riferimento a quella vigente al momento della realizzazione.

3. Con appello in Consiglio di Stato notificato il 29 ottobre 2002, il signor Sgrevi impugnava la sentenza di primo grado, ribadendo che le opere non condonate, consistenti in porzione di solaio e parziale tamponatura della struttura principale, questa oggetto di condono, non vanno qualificati come interventi sanzionabili con la demolizione, e deducendo che l’ingiunzione non ne individuava i limiti, né prendeva in considerazione l’impatto edilizio della riduzione in pristino, ed inoltre insisteva sulla non necessità assoluta del principio della cosiddetta “doppia conformità”, per cui le opere non assentite dovevano essere conformi sia alla destinazione vigente al momento della costruzione, sia a quella vigente al momento della domanda ed il principio della conservazione dei valori giuridici imponeva agli uffici comunali, così come riconosciuto da una parte della giurisprudenza, di emettere un provvedimento in sanatoria.

Il Comune di Arezzo si è costituito in giudizio, sostenendo in particolar modo il principio della “doppia conformità” e chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla udienza pubblica dell’11 febbraio 2014 la causa è passata in decisione.

4. L’appello è infondato e va respinto.

Si deve dapprima sgombrare il campo dalla censura, altrimenti dirimente, sull’assenza di necessità della cosiddetta “doppia conformità” delle opere da assentire ex post, connessa secondo l’interessato al principio della conservazione dei valori giuridici: in questo caso il solaio interno e la tamponatura del “carro ponte” dovrebbero essere suscettibili di provvedimento favorevole in quanto conformi alla destinazione urbanistica vigente al momento dell’esame della domanda di sanatoria.

La giurisprudenza corrente ha ormai superato l’interpretazione parzialmente impostasi nel passato circa la necessità della conformità del manufatto oggetto di sanatoria con la sola disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda di assentimento in sanatoria o a quello nel quale la domanda esaminata; questo Consiglio ha da tempo chiarito che ai sensi dell’art. 13 L. 28 febbraio 1985, n. 47 (così come ai sensi delle corrispondenti disposizioni del testo unico sull’edilizia), è legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St., V, 11 giugno 2013, n. 3235; id., V, 17 settembre 2012, n. 4914; id., V, 25 febbraio 2009, n. 1126; id., IV, 26 aprile 2006, n. 2306).

Infatti, solo il legislatore può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico.

Tale ragionevolezza risulta da due fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge:

a) evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile);

b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico.

Questa doppia conformità non si registra nel caso in esame, perché, come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure, essa è una vera e propria “conditio sine qua non” e dunque se il regime previsto dal P..R.G. di Arezzo al tempo della presentazione dell’istanza di sanatoria qualificava l’area su cui insiste l’immobile dell'appellante come zona agricola, appare evidente la difformità di un capannone industriale all’interno di tale zona, sia pure anni dopo divenuta zona produttiva.

Del resto, la regola della doppia conformità di cui all’art. 13 L. 47 del 1985 applicato dal Comune al caso di specie è stata ribadita dal legislatore con l’art. 6 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il quale al comma 1° ha stabilito che “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività (…) il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.

Per il resto, è infondata la censura riguardante la mancata individuazione dei limiti delle opere da demolire e dell’impatto strutturale che ne sarebbe derivato: a prescindere dalla contraddittorietà della censura, la quale così come rappresentata dimostra invece la piena comprensione delle parti del carro ponte da rimuovere, è del tutto evidente che queste consistono nella tamponatura del fabbricato e nella realizzazione di parte del solaio, questa ultima descritta anche nelle sue precise misure nell’ingiunzione di demolizione impugnata.

E’ infatti palese che l’originario carro ponte, poi condonato, consistesse in una tettoia sorretta da pali, alla quale erano stati successivamente aggiunti un manto di copertura in pannelli ondulati su capriate di cemento armato con tamponatura del fabbricato e realizzazione di parte di solaio interno; quindi da un lato sono evidenti le opere da rimuovere, dall’altro appare chiaro che il primitivo carro ponte sia divenuto un corpo di fabbrica, tra l’altro adibito a commercio all’ingrosso, necessitante di titolo concessorio, peraltro non assentibile in quella che era allora classificata zona E1 agricola speciale, il quale poteva essere interessato solamente da interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria se preesistente alla adozione del piano regolatore generale.

5. Per le suesposte considerazioni, l’appello deve quindi essere respinto.

La condanna al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello n.. 9206 del 2002, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di giudizio in favore del Comune di Arezzo, liquidate in complessivi €. 2.000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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