Saturday 07 June 2014 12:21:05
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.5.2014
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del TAR in quanto fondata sull'erroneo presupposto che sulla domanda di condono edilizio presentata a suo tempo per il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile dalla sua precedente proprietaria si fosse formato il silenzio-assenso ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47 del 1985. L’Amministrazione, con provvedimento del 3 aprile 2002 comunicato all’odierna parte appellata ma rimasto inoppugnato, ha difatti respinto tale domanda di sanatoria in ragione della tardività della sua presentazione, in applicazione del comma 6 dell’art. 40 della legge n. 47/1985 (“Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purchè le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge”). Il precedente proprietario aveva acquistato l’immobile come locale ad uso magazzino, in sede di espropriazione immobiliare, in data 2 settembre 1989, ma aveva presentato la propria domanda di sanatoria per il mutamento di destinazione d’uso in questione solo il 9 maggio 1990, e perciò oltre il termine di centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile. La tardività della domanda di sanatoria comportava l’insussistenza dei presupposti per la formazione su di essa del silenzio-assenso ex art. 35 della legge n. 47/1985. Il pertinente comma 18 dell’articolo, infatti, si apre con un’indicazione che tiene “Fermo il disposto del comma 1 dell’art. 40”, e questo a sua volta evidenzia, in apertura, la necessità che la presentazione della domanda di sanatoria avvenga entro il termine perentorio per essa previsto. Né può dubitarsi della natura perentoria del termine dettato per la presentazione della domanda di condono dall’art. 40 comma 6, alla stessa stregua di quanto espressamente dispone il primo comma dell’art. 35 della legge. D’altra parte, gli effetti del diniego emesso in data 3 aprile 2002 non possono essere posti in contestazione nel presente giudizio ed evidenziano che – per la verifica della legittimità dell’atto impugnato in primo grado - non può comunque considerarsi sussistente il condono del manufatto. In difetto di sanatoria edilizia, viene di riflesso meno la possibilità, per gli attuali appellati, di invocare la norma dell’art. 35, comma 14, legge n. 47/1985 sull’abitabilità ex lege discendente dall’ottenimento del condono (“A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b ) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni”), abitabilità che il Giudice di prime cure aveva invece posto a base della propria pronuncia. L’immobile, pertanto, non aveva mai conseguito sotto alcuna forma l’abitabilità. Risulta pertanto legittimo il provvedimento impugnato in primo grado, per il fatto che l’Amministrazione si è limitata a vietarne senz’altro l’uso abitativo (“salvo il ripristino delle condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza e di sicurezza prescritte … e previo rilascio delle eventuali autorizzazioni comunali”), senza fare alcun cenno, nel proprio provvedimento, alla sanatoria formalmente allora ancora pendente, e senza preventivamente annullare la licenza d’uso in tesi scaturita dal preteso condono edilizio (in realtà, come si è visto, mai in alcun modo assentito). Il Comune appellante ha contestato fondatamente anche l’esistenza dell’ulteriore vizio ascrittogli, costituito dall’omessa comunicazione di avvio del procedimento sfociato nell’ordinanza impugnata. Il provvedimento in discussione, pur non integrando gli estremi di un’ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. n. 267/2000, costituiva comunque un atto di natura urgente, stante la rilevanza del valore (salute umana) con esso tutelato, ed attesa anche la condizione di abusività emersa. L’ordinanza interdiceva, infatti, l’uso abitativo di un immobile che non solo non era mai stato riconosciuto abitabile, e tuttavia proprio ad uso abitativo era stato adibito; ma era risultato, in concreto, inidoneo a soddisfare i requisiti minimi stabiliti dalla normativa vigente in punto di aerazione ed illuminazione, oltre che in pessime condizioni igienico-sanitarie. Come tale, l’atto risultava a rigore sottratto, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/1990, alla necessità di un previo contraddittorio procedimentale (che l’articolo esclude in presenza di “ragionidi impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”). Occorre poi aggiungere, in punto di fatto, che i sigg.ri **, non figurando presenti in occasione del sopralluogo, risultano essere stati, nelle more, convocati presso gli uffici della Polizia Municipale in data 23 gennaio 2003 -come già il relativo verbale preannunziava - e sono stati resi edotti in merito agli accertamenti compiuti e ai provvedimenti che sarebbero stati adottati per l’immobile, con il risultato di essere posti comunque in grado, pur in difetto di una formale comunicazione di avvio del procedimento, di esprimere le proprie osservazioni. Ed è pacifico, in giurisprudenza, che l'omissione della formalità appena detta non infici la validità dell’azione amministrativa tutte le volte in cui una conoscenza dell’avvio del procedimento sia comunque intervenuta, sì da ritenere raggiunto in concreto lo scopo cui la comunicazione tendeva (cfr. a puro titolo esemplificativo C.d.S., IV, 25 giugno 2013, n. 3458; 17 settembre 2012, n. 4925). Osserva peraltro la Sezione, infine, che nel quadro delineato nel precedente paragrafo il provvedimento impugnato integrava un vero e proprio atto dovuto. Di conseguenza, ad escludere che la mancanza indicata possa essere ritenuta viziante rileva anche il consolidato orientamento giurisprudenziale che ha ispirato il disposto dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990, per i casi in cui il contenuto del provvedimento finale non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. ad es. C.d.S., IV, 25 maggio 2012, n. 3083; VI, 7 giugno 2011, n. 3416; 14 aprile 2008, n. 1588).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale* del 2003, proposto dal Comune di Venaria Reale, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Enrichens e Giuseppe Ramadori, con domicilio eletto presso la signora Paola Ramadori in Roma, via Marcello Prestinari 13;
contro
I signori Butera Enzo e Piccolo Michele;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE, SEZIONE I, n. 1118/2002, resa tra le parti, concernente la dichiarazione di inabitabilità e il conseguente sgombero di un immobile.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. Nicola Gaviano e udito per la parte appellante l’avv. Marco Ramadori, per delega dell’avv. Enrichens;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I sigg.ri Enzo Butera e Michele Piccolo hanno proposto il ricorso n. 597 del 2002 al T.A.R. per il Piemonte avverso l’ordinanza del Sindaco di Venaria Reale n. 25 del 12 febbraio 2002, con la quale era stato imposto il divieto di uso e d’abitazione dell’unità immobiliare di proprietà del primo, e gestita dal secondo, ubicata nello stesso Comune al piano seminterrato dello stabile di via Sciesa 18.
L’ordinanza, emessa sulla scorta di una relazione della competente U.S.L. ai sensi degli artt. 221 e 222 del T.U.LL.SS., si fondava sulla circostanza che i locali dell’unità interessata, ispezionati unitamente al personale della Polizia Municipale e dell’Ufficio Tecnico comunale, presentavano caratteristiche di inadeguata aerazione ed illuminazione, non idonee a soddisfare i requisiti minimi stabiliti dalla normativa vigente.
L’immobile, per giunta sovraffollato in quanto abitato da circa 10 persone, si trovava complessivamente in pessime condizioni igienico-sanitarie, rivelando anche “un odore nauseabondo causato dall’insufficiente aerazione”, con conseguente pregiudizio per la salute degli occupanti.
Il Comune intimato non si costituiva in giudizio.
Il Tribunale adìto - con la sentenza n. 1118 del 29 maggio 2002 in epigrafe, emessa in forma semplificata - accoglieva il ricorso.
Il Tar ha ritenuto che sarebbe mancata la previa comunicazione di avvio del relativo procedimento ed ha rilevato che i riscontrati vizi costruttivi dell’immobile (aeroilluminazione insufficiente) avrebbero potuto indurre un diniego del condono edilizio a suo tempo per esso richiesto, ma, essendosi ormai formato al riguardo il silenzio-assenso, non avrebbero potuto giustificare l’impugnato ordine di sgombero.
La sentenza formava oggetto d’appello da parte del Comune soccombente, che in sintesi deduceva che:
- nella specie la comunicazione di avvio del procedimento non era dovuta, e, ad ogni modo, la possibilità di un contraddittorio era stata comunque assicurata;
- sulla domanda di sanatoria edilizia relativa all’immobile non si è formato il silenzio-assenso, poiché essa è stata presentata tardivamente, come rilevato dall’Amministrazione con il provvedimento del 3 aprile 2002, che ha respinto l’istanza di condono ed è rimasto inoppugnato.
Nel secondo grado gli appellati non si costituivano in giudizio.
Infine, l’Amministrazione con la sua conclusiva memoria rappresentava che nelle more del giudizio l’unità immobiliare era stata acquistata, nell’ambito di una procedura esecutiva, dal sig. Claudio Marchetto, quale locale da adibire a deposito.
Alla pubblica udienza del 29 aprile 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
1 La Sezione ritiene preliminarmente utile un accenno alle sopravvenienze che hanno interessato l’immobile in rilievo, al fine di circoscrivere nel tempo la rilevanza della presente controversia.
Dalla produzione del Comune appellante, e segnatamente dalla lettura del decreto di trasferimento del Tribunale di Torino del 15 maggio 2009 emesso nell’ambito di una procedura di esecuzione immobiliare svolta a carico del sig. Butera, si desume che l’unità in questione è stata ormai acquistata dal sig. Claudio Marchetto quale “locale ad uso magazzino”, come bene strumentale per la sua impresa individuale. Lo stesso decreto di trasferimento avverte che l’immobile, in forza del regolamento di condominio, “può avere esclusiva destinazione a magazzino-laboratorio, e devono pertanto intendersi non ammissibili usi diversi”.
Tanto premesso, l’appello comunale è fondato.
2 Occorre invero porre subito in risalto l’erroneità del presupposto, a base della sentenza di prime cure, che sulla domanda di condono edilizio presentata a suo tempo per il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile dalla sua precedente proprietaria (la Gerace s.r.l.) si fosse formato il silenzio-assenso ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47 del 1985.
2a L’Amministrazione, con provvedimento del 3 aprile 2002 comunicato all’odierna parte appellata ma rimasto inoppugnato, ha difatti respinto tale domanda di sanatoria in ragione della tardività della sua presentazione, in applicazione del comma 6 dell’art. 40 della legge n. 47/1985 (“Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purchè le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge”).
Il precedente proprietario aveva acquistato l’immobile come locale ad uso magazzino, in sede di espropriazione immobiliare, in data 2 settembre 1989, ma aveva presentato la propria domanda di sanatoria per il mutamento di destinazione d’uso in questione solo il 9 maggio 1990, e perciò oltre il termine di centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile.
2b La tardività della domanda di sanatoria comportava l’insussistenza dei presupposti per la formazione su di essa del silenzio-assenso ex art. 35 della legge n. 47/1985.
Il pertinente comma 18 dell’articolo, infatti, si apre con un’indicazione che tiene “Fermo il disposto del comma 1 dell’art. 40”, e questo a sua volta evidenzia, in apertura, la necessità che la presentazione della domanda di sanatoria avvenga entro il termine perentorio per essa previsto. Né può dubitarsi della natura perentoria del termine dettato per la presentazione della domanda di condono dall’art. 40 comma 6, alla stessa stregua di quanto espressamente dispone il primo comma dell’art. 35 della legge.
D’altra parte, gli effetti del diniego emesso in data 3 aprile 2002 non possono essere posti in contestazione nel presente giudizio ed evidenziano che – per la verifica della legittimità dell’atto impugnato in primo grado - non può comunque considerarsi sussistente il condono del manufatto.
2c In difetto di sanatoria edilizia, viene di riflesso meno la possibilità, per gli attuali appellati, di invocare la norma dell’art. 35, comma 14, legge n. 47/1985 sull’abitabilità ex lege discendente dall’ottenimento del condono (“A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b ) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni”), abitabilità che il Giudice di prime cure aveva invece posto a base della propria pronuncia.
2d L’immobile, pertanto, non aveva mai conseguito sotto alcuna forma l’abitabilità.
Risulta pertanto legittimo il provvedimento impugnato in primo grado, per il fatto che l’Amministrazione si è limitata a vietarne senz’altro l’uso abitativo (“salvo il ripristino delle condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza e di sicurezza prescritte … e previo rilascio delle eventuali autorizzazioni comunali”), senza fare alcun cenno, nel proprio provvedimento, alla sanatoria formalmente allora ancora pendente, e senza preventivamente annullare la licenza d’uso in tesi scaturita dal preteso condono edilizio (in realtà, come si è visto, mai in alcun modo assentito).
3 Il Comune appellante ha contestato fondatamente anche l’esistenza dell’ulteriore vizio ascrittogli, costituito dall’omessa comunicazione di avvio del procedimento sfociato nell’ordinanza impugnata.
3a Il provvedimento in discussione, pur non integrando gli estremi di un’ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. n. 267/2000, costituiva comunque un atto di natura urgente, stante la rilevanza del valore (salute umana) con esso tutelato, ed attesa anche la condizione di abusività emersa. L’ordinanza interdiceva, infatti, l’uso abitativo di un immobile che non solo non era mai stato riconosciuto abitabile, e tuttavia proprio ad uso abitativo era stato adibito; ma era risultato, in concreto, inidoneo a soddisfare i requisiti minimi stabiliti dalla normativa vigente in punto di aerazione ed illuminazione, oltre che in pessime condizioni igienico-sanitarie.
Come tale, l’atto risultava a rigore sottratto, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/1990, alla necessità di un previo contraddittorio procedimentale (che l’articolo esclude in presenza di “ragionidi impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”).
3b Occorre poi aggiungere, in punto di fatto, che i sigg.ri Butera e Piccolo, non figurando presenti in occasione del sopralluogo, risultano essere stati, nelle more, convocati presso gli uffici della Polizia Municipale in data 23 gennaio 2003 -come già il relativo verbale preannunziava - e sono stati resi edotti in merito agli accertamenti compiuti e ai provvedimenti che sarebbero stati adottati per l’immobile, con il risultato di essere posti comunque in grado, pur in difetto di una formale comunicazione di avvio del procedimento, di esprimere le proprie osservazioni.
Ed è pacifico, in giurisprudenza, che l'omissione della formalità appena detta non infici la validità dell’azione amministrativa tutte le volte in cui una conoscenza dell’avvio del procedimento sia comunque intervenuta, sì da ritenere raggiunto in concreto lo scopo cui la comunicazione tendeva (cfr. a puro titolo esemplificativo C.d.S., IV, 25 giugno 2013, n. 3458; 17 settembre 2012, n. 4925).
3c Osserva peraltro la Sezione, infine, che nel quadro delineato nel precedente paragrafo 3a il provvedimento impugnato integrava un vero e proprio atto dovuto. Di conseguenza, ad escludere che la mancanza indicata possa essere ritenuta viziante rileva anche il consolidato orientamento giurisprudenziale che ha ispirato il disposto dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990, per i casi in cui il contenuto del provvedimento finale non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. ad es. C.d.S., IV, 25 maggio 2012, n. 3083; VI, 7 giugno 2011, n. 3416; 14 aprile 2008, n. 1588).
Pertanto anche questa censura dell’originaria ricorrente va respinta.
4 In conclusione, l’appello del Comune di Venaria Reale risulta fondato e va accolto, sicché, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado n. 597 del 2002 deve essere senz’altro respinto (non potendo lo scrutinio della Sezione estendersi al motivo d’incompetenza assorbito dal T.A.R. in mancanza di una sua rituale riproposizione).
Le spese dei due gradi del giudizio sono liquidate secondo la soccombenza dal seguente dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe n. 6854 del 2003, lo accoglie, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado n. 597 del 2002.
Condanna i ricorrenti in primo grado, in solido tra loro, al rimborso al Comune di Venaria Reale delle spese processuali del presente appello, che liquida nella misura di euro quattromila, oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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