Tuesday 24 September 2013 00:02:40
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
nota del Prof. Avv. Enrico Michetti a sentenza del Consiglio di Stato
Opere abusivamente realizzate nel Giardino delle delizie di Palazzo Nunziante in Piazza dei Martiri, a Napoli, oggetto di disposizioni vincolistiche. Le fotografie all’epoca eseguite mostrano nel suo originario decoro “una piazza tra le più eleganti e raffinate di Napoli”, caratterizzata da costruzioni architettonicamente pregevoli, nonché da un vasto giardino, chiuso da una bassa cinta muraria con sovrastante cancellata e arricchito da piante di alto fusto. Negli anni ’60 il giardino appare ancora ben individuabile, mentre verso la fine degli anni ’70 lo stesso appare in gran parte occupato da manufatti, con vistose sopraelevazioni e qualche residua essenza arborea; nelle fotografie più recenti, infine, compare quello che sembra un unico grande cantiere, con strutture in elevazione precariamente coperte che occupano quasi completamente l’area del giardino, sovrastando la cancellata ed offrendo una veduta d’insieme eclettica e fatiscente, in rapporto alla quale si evidenzia “l’urgente necessità, per motivi culturali, funzionali, di decoro urbano, di sicurezza, ma….anche di civiltà” di soluzioni che pongano termine ad una “fattispecie ormai annosa, complessa e per molti versi sconcertante”. Scomparsa e' oggi il meraviglioso giardino, la cui ricostituzione “con l’aspetto esclusivamente naturalistico….perso ormai da tempo” si afferma “impossibile”. E' questa la vicenda giunta all'attenzione del Consiglio di Stato che non condivide la suddetta impossibilita di ricostruzione del Giardino. Si legge infatti nella sentenza che "Un giardino può essere oggetto di vincolo non per le peculiarità della flora in esso contenuta, ma come necessaria cornice rispetto ad immobili di pregio storico o artistico, risultando perciò protetto non nella esatta originaria consistenza, ma nella forma e nelle caratteristiche essenziali, che giustificavano il vincolo stesso e di cui appare arduo sostenere l’impossibilità di ricostituzione." In tale ottica, viene quindi richiamato il pacifico indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’avvenuta, parziale compromissione di un’area vincolata non giustifica il rilascio di provvedimenti, atti a comportare un ulteriore degrado, fermo restando l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi “secundum ius”, ove materialmente possibile (cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 2.3.1979, n. 112; Cons. St., sez. IV, 11.4.2007, n. 1585; Cons. St., sez. VI, 16.5.2013, n. 2654; TAR Lazio, Roma, sez. II, 1.2.2008, n. 883 e 30.7.2007, n. 7202). Con la conseguenza che quando, come nel caso di specie, le ragioni del parere negativo dell’Autorità preposta siano ravvisabili nella sostanziale distruzione dei valori tutelati, appare di assoluta evidenza che una motivazione, anche molto sintetica, possa sorreggere sia provvedimenti di autotutela riferiti ad inammissibili interventi di restauro di opere abusive, sia un diniego di sanatoria delle medesime opere, effettuato con rinvio recettizio al parere del 1997 e giustificato dal “contrasto con l’esigenza di salvaguardia dei valori di decoro della storica piazza dei Martiri e dell’area del giardino di palazzo Nunziante”. Per approfondire l'argomento e visualizzare il testo per esteso della sentenza clicca su "Accedi al provvedimento".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale ***** del 2008, proposto dalla società Gran Caffe' Cristallo S.a.s., rappresentata e difesa dall'avv. Pasquale Papa, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Alessandro III, N.6;
contro
Condominio del Fabbricato via Domenico Morelli 7 di Napoli, rappresentato e difeso dall'avv. Bartolomeo Della Morte, con domicilio eletto presso l’avv. Giorgio Recchia in Roma, corso Trieste, 88;
nei confronti di
Ministero dei Beni e della Attività Culturali - Soprintendenza Bbaa di Napoli e Provincia, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune Di Napoli, rappresentato e difeso dagli avvocati Annalisa Cuomo, Edoardo Barone e Giuseppe Tarallo, con domicilio eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
sul ricorso numero di registro generale 1922 del 2011, proposto da:
Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Gran Caffè Cristallo Sas, rappresentata e difesa dagli avvocati Ferdinando Scotto, Giuseppe Abbamonte e Felice Laudadio, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Alessandro III, 6;
nei confronti di
Comune Di Napoli, rappresentato e difeso dagli avvocati Annalisa Cuomo, Giuseppe Tarallo e Anna Pulcini, con domicilio eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18; Condominio Fabbricato in Napoli via Domenico Morelli n. 7;
per la riforma
quanto al ricorso n. 7146 del 2008:
della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli: Sezione IV n. 06520/2008, resa tra le parti, concernente SILENZIO RIFIUTO SU OBBLIGO PARERE SOPRINTENDENZA
quanto al ricorso n. 1922 del 2011:
della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli: Sezione IV n. 01885/2010, resa tra le parti, concernente REVOCA DI PARERE FAVOREVOLE SU RICHIESTA DI CONDONO EDILIZIO;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2013 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Bozzi per delega dell’avv. Della Morte, Pafundi per delega dell’avv. Ferrari, Laudadio per sè e in dichiarata delega dell’avv. Scotto, nonché l’avvocato dello Stato Paolo Grasso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Sono tornati all’esame del Collegio i ricorsi nn. 7146/2008, proposto dalla società Gran Caffè Cristallo s.a.s. (in persona del legale rappresentante) e 1922/11, proposto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Entrambe le impugnative si riferiscono ad una complessa vicenda di condono edilizio, avviata a norma della legge 28.2.1985, n. 47, con riferimento ad opere abusivamente realizzate nel cosiddetto Giardino delle delizie di Palazzo Nunziante in Piazza dei Martiri, a Napoli, oggetto di disposizioni vincolistiche. Tali disposizioni risultavano emesse il 29.9.1913 – ai sensi della legge n. 364/1909, allora vigente – per Palazzo Nunziante con annesso giardino e successivamente, ai sensi della legge n. 1089/1939, con decreti del Ministro per la Pubblica Istruzione in data 22.3.1952 e 19.8.1953: il primo, impositivo di vincolo indiretto su piazza dei Martiri, il monumento centrale ed i Palazzi Calabritto e Partanna; il secondo, confermativo di vincolo diretto su Palazzo Nunziante, “con annesso giardino, accessori e dipendenze”.
Con riferimento alle opere abusive, realizzate nel corso del tempo nel predetto giardino, la prima questione sottoposta all’esame del Collegio concerne l’obbligo della Soprintendenza di emettere nuovo parere (positivo o negativo) – in base a quanto previsto nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4593/06 del 19.7.2006 – sull’istanza di condono edilizio sopra citata e ancora non definita, con prioritario riferimento ad una struttura (veranda coperta – Galleria Navarra), oggetto nel corso del tempo di pareri discordi.
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. IV, n. 6520 in data 1.7.2008 veniva accolto il ricorso, al riguardo proposto dal Condominio di via Domenico Morelli, 7, con riconoscimento dell’obbligo sopra indicato.
In sede di appello (n. 7146/08, notificato il 28.7.2008), la società Gran Caffè Cristallo s.a.s., attuale titolare dell’immobile sito in piazza dei Martiri 23 e 23/G, sottolineava che, in base alla citata sentenza del Consiglio di Stato, il Comune di Napoli avrebbe dovuto pronunciarsi sull’istanza di condono prendendo in considerazione solo il precedente parere favorevole, già espresso dalla Soprintendenza. Nella sentenza appellata non si sarebbe tenuto conto, in primo luogo, dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, sia per estraneità del Condominio alla vicenda in questione, sia per insussistenza di qualsiasi obbligo della Soprintendenza di riesaminare un proprio precedente parere favorevole. L’ordine rivolto alla Soprintendenza nella sentenza appellata, inoltre, avrebbe violato il giudicato formatosi sulla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4593/06, di cui sarebbe stato travisato il contenuto, facendo rivivere un potere di valutazione ormai esaurito. Premesso quanto sopra, il Collegio non poteva fare a meno di rilevare – con ordinanza n. 4233/12 del 25.7.2012 – come dalla cronologia dei pareri, succedutisi sul manufatto in contestazione, emergessero situazioni non chiarite da parte della competente Soprintendenza, in ordine agli interventi di cui si discute: dopo un primo parere favorevole, ma subordinato ad alcune condizioni esecutive, emesso nel 1992, nel 1997 la medesima Soprintendenza esprimeva infatti parere negativo, con riferimento ad alcuni locali, contrassegnati dalle lettere H, G, I ed L; nel 2000 risultava invece emesso un nuovo parere favorevole (che avrebbe ignorato, tuttavia, la valutazione negativa effettuata nel 1997), mentre nel 2001 il parere era nuovamente negativo, ma sulla base delle sole considerazioni contrarie all’intervento, espresse nel 1997, senza che fosse in alcun modo considerato il parere del 2000. Dopo l’ultimo annullamento, intervenuto in sede giurisdizionale, del parere negativo del 2001, la società interessata riteneva quindi sussistente solo il parere (favorevole) immediatamente antecedente, mentre, nella sentenza appellata, si attribuiva una diversa valenza alla citata pronuncia del Consiglio di Stato n. 4593/06, in base alla quale il Comune di Napoli avrebbe dovuto prendere in considerazione – dopo l’annullamento del parere negativo del 2001 – il parere favorevole del 2000, ma “salvo nuove determinazioni della Soprintendenza, che in tal caso dovrà in primo luogo valutare l’ultimo proprio provvedimento (che, a seguito dell’annullamento della nota del 2001, era quello del 7.4.2000)”. Nella citata ordinanza n. 4233/12 si rilevava quindi l’esigenza di chiarire l’effetto conformativo delle pronunce giudiziali di cui trattasi, tramite acquisizione di dettagliati e documentati chiarimenti – corredati di materiale fotografico – da parte e sotto la responsabilità della Soprintendenza per i beni architettonici e ambientali per Napoli e provincia, in ordine alle seguenti circostanze:
a) ricostruzione analitica dell’intera vicenda, con indicazione delle ragioni sottostanti ai diversi pareri espressi dall’ufficio competente, tenuto conto della situazione che oggettivamente si presentava all’epoca dell’emanazione di ciascuno di essi;
b) intervenute modifiche o meno, nel corso del tempo, nella situazione di fatto su cui l’Amministrazione stessa era chiamata a pronunciarsi, situazione da rapportare anche allo stato dei luoghi attualmente riscontrabile;
c) chiarimenti circa le apparenti discordanze dei pareri in questione;
d) ogni altro elemento documentale, o riferito alla situazione materiale dei luoghi, utile alla definizione della controversia.
In esito all’istruttoria l’Amministrazione depositava, in data 5.12.2012, solo una serie di documenti in possesso della medesima; fra tali documenti una relazione della competente Soprintendenza (n. prot. 19150 del 5.8.2008) forniva, in effetti, qualche delucidazione sull’apparente contraddittorietà delle diverse determinazioni assunte nel corso del tempo (punti a e c delle richieste di chiarimenti sopra riportate), in quanto – in occasione di successive richieste di manutenzione straordinaria – si sarebbe determinato uno sdoppiamento dei fascicoli, di modo che alcuni pareri sarebbero stati emessi, senza che l’organo competente fosse a conoscenza del parere negativo al condono del 1997.
Veniva successivamente all’esame del Collegio, quindi, l’atto di appello n. 1922/11, notificato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali il 14.2.2011, avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. IV, n. 1885/2010 del 9.4.2010, notificata il 12.1.2011, concernente la revoca – con provvedimento della Soprintendenza n. 29043 del 9.12.2008 – del parere favorevole n. 11684 del 17.4.2000. Nella citata sentenza – rilevata la legittimità dell’intervento ad opponendum del Condominio di via Morelli 7 e respinte alcune eccezioni preliminari – si rilevava come, anche dopo l’intervenuto annullamento in sede giudiziale del parere negativo n. 35297 del 1997, sussistesse l’esigenza di un parere chiaro e conclusivo della Soprintendenza, che ponesse fine alla complessa vicenda sopra sintetizzata. In rapporto all’atto di revoca nella fattispecie emesso, tuttavia, erano ritenute fondate le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, prospettate dalla ricorrente società Gran Caffè Cristallo s.a.s., non risultando esplicitate le ragioni del contrasto delle opere da condonare rispetto alle esigenze di tutela del complesso architettonico e non essendo stato valutato l’affidamento del destinatario, nei termini disciplinati dagli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990, in quanto l’atto impugnato avrebbe avuto carattere di annullamento d’ufficio del parere favorevole del 2000 – otto anni dopo l’emanazione del parere stesso – e non di vera e propria revoca.
In sede di appello, l’Amministrazione sottolineava come la necessità di un parere conclusivo sulla condonabilità degli abusi di cui trattasi discendesse dalla già ricordata sentenza del Consiglio di Stato n. 4593/06 e come fosse richiamato nell’atto conclusivo di revoca il parere n. 3524/1997, in cui si dichiarava l’incondonabilità dei locali, indicati con le lettere G, H, I ed L e si dava atto del contrasto delle opere oggetto di istanza di condono con i “valori di decoro della storica piazza dei Martiri”, nonché con “l’area del giardino di Palazzo Nunziante”. Dovevano ritenersi espresse in modo sintetico ma esaustivo, pertanto, le ragioni del diniego opposto dalla Soprintendenza alla sanatoria di una “costruzione abusiva di due piani su un’area di particolare importanza storico-architettonica…deturpata nel corso degli anni”, per l’evidente incompatibilità delle opere realizzate con la tutela storico-architettonica dei luoghi.
Premesso quanto sopra – e rilevato che la precedente istruttoria (peraltro non compiutamente adempiuta) non teneva conto degli sviluppi della vicenda, oggetto del citato appello n. 1922/11 – con sentenza non definitiva n. 616 in data 1.2.2013 si disponeva la riunione degli appelli nn. 1922/11 e 7146/08, con ulteriore previsione di una verificazione, ex art. 66 c.p.a., a cura del Direttore Generale per i Beni Culturali, per il Paesaggio, Belle Arti, Architettura e Arte contemporanea presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con facoltà di delega a dirigente o funzionario in possesso di adeguata competenza della stessa struttura centrale, affinchè provvedesse ad adempiere puntualmente – previo sopralluogo e con descrizione dell’attuale situazione di fatto, sulla base di documentazione fotografica – le richieste istruttorie di cui ai punti a), b) e d) della citata ordinanza della sezione n. 4233/12, con ulteriori precisazioni circa la conformità di detta situazione di fatto rispetto a quella sussistente alla data, che rileva ai fini del richiesto condono edilizio.
L’istruttoria è stata adempiuta, con relazione e documenti depositati il 5 aprile 2013 e su tale base, nell’udienza in data odierna, i ricorsi riuniti sono passati in decisione.
DIRITTO
E’ sottoposta all’esame del Collegio una complessa vicenda di condono edilizio, per opere abusive realizzate su un complesso immobiliare (Palazzo Nunziante, risalente al secolo XIX, con annesso giardino, accessori e dipendenze), vincolato già nel 1913 a norma della legge 20.6.1909, n. 364 (all’epoca vigente) e successivamente con decreti ministeriali in data 22.3.1952 e 19.8.1953, a norma della legge 1.6.1939, n. 1089 (“Tutela delle cose di interesse artistico e storico”).
Nei citati decreti si affermava l’assoggettamento a vincolo indiretto dell’intera area interessata (piazza dei Martiri, a Napoli), di cui non avrebbero dovuto essere alterate “la prospettiva”, nonché “le condizioni di ambiente e di decoro”, con ulteriore apposizione di vincolo diretto sul citato Palazzo Nunziante e specificamente sul suo giardino.
Le fotografie all’epoca eseguite mostrano nel suo originario decoro quella che lo stesso organo verificatore definisce “una piazza tra le più eleganti e raffinate di Napoli”, caratterizzata da costruzioni architettonicamente pregevoli, nonché da un vasto giardino, chiuso da una bassa cinta muraria con sovrastante cancellata e arricchito da piante di alto fusto.
Lungo il perimetro della recinzione, in effetti, già nei primi anni ’50 risultavano introdotti alcuni esercizi commerciali, la cui sommità raggiungeva, più o meno, l’altezza della predetta cancellata, con ridotta visibilità esterna. Sul progressivo ampliamento e, soprattutto, sulla sopraelevazione dei primi manufatti realizzati, il medesimo organo verificatore non ha prodotto documentazione – fotografica o cartografica – certa, né, soprattutto, è riuscito a documentare con esattezza la situazione esistente alla data di riferimento del primo condono edilizio (legge 28.2.1985, n. 47, che all’art. 31 disponeva una possibilità di sanatoria, in via eccezionale, per le opere senza titolo abilitativo “ultimate entro la data del 1° ottobre 1983”, con ulteriore prevista esigenza per gli immobili vincolati, a norma dell’art. 32 della stessa legge, di previo “parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo”).
Certamente, in base alla documentazione fotografica in atti, negli anni ’60 il giardino appare ancora ben individuabile, mentre verso la fine degli anni ’70 lo stesso appare in gran parte occupato da manufatti, con vistose sopraelevazioni e qualche residua essenza arborea; nelle fotografie più recenti, infine, compare quello che sembra un unico grande cantiere, con strutture in elevazione precariamente coperte che occupano quasi completamente l’area del giardino, sovrastando la cancellata ed offrendo una veduta d’insieme eclettica e fatiscente, in rapporto alla quale – nella propria relazione conclusiva – il tecnico incaricato ribadisce “l’urgente necessità, per motivi culturali, funzionali, di decoro urbano, di sicurezza, ma….anche di civiltà” di soluzioni che pongano termine ad una “fattispecie ormai annosa, complessa e per molti versi sconcertante”.
Appare dunque evidente la sussistenza di manipolazioni successive rispetto allo stato dei luoghi, che poteva ritenersi sussistente nel 1983, con interventi che non possono ritenersi di mera manutenzione e salvaguardia delle opere in attesa di sanatoria (l’organo verificatore attesta, in particolare, come i vani convenzionalmente indicati come L ed H, mai condonati, non esistano più, in quanto smantellati nel 2000 e inglobati nella struttura di cantiere, finalizzata a lavori rimasti incompiuti), con i conseguenti obblighi repressivi gravanti sul Comune di Napoli, la cui domanda di estromissione dal giudizio non può essere accolta (essendo detto Comune, peraltro, parte del procedimento in esame e spettando al medesimo il rilascio, o meno, del provvedimento di condono per le opere ancora identificabili con quelle preesistenti, la cui procedura di sanatoria risulta “in itinere” da oltre venticinque anni, col descritto notevole degrado conseguente, tanto da rendere non solo opportuni, ma doverosi anche interventi sollecitatori – solo in parte effettuati – da parte dell’Amministrazione locale).
Tenuto conto di quanto sopra, circa i presupposti di fatto e di diritto della vicenda controversa, deve preliminarmente affermarsi che le contrapposte ragioni delle parti scaturiscono, in via prioritaria, dal succedersi nel tempo di diversi pareri – apparentemente non coerenti – della Soprintendenza e dagli esiti del contenzioso pregresso, al riguardo avviato.
E’ anche necessario ribadire, peraltro, che le valutazioni rimesse al Collegio riguardano non la data di realizzazione e la consistenza delle opere abusive oggetto di istanza di condono, ma la necessità, o meno, che la medesima Soprintendenza emettesse un nuovo parere, dopo l’annullamento di quello (negativo) del 2001, nonché la legittimità di detto ulteriore parere (in effetti nuovamente emesso, in senso negativo, nel 2008).
Non sembra inutile sottolineare, tuttavia, come nessun intervento a carattere ristrutturativo potesse venire autorizzato (senza essere considerato nuova opera, con applicazione delle ordinarie norme urbanistiche in materia di accertamento di conformità) su manufatti mai resi oggetto di formale sanatoria e come nessun affidamento del privato fosse giustificabile, in rapporto ad abusi edilizi non condonati: buona parte del contenzioso ancora aperto, viceversa, sembra scaturire proprio dalla ritenuta possibilità di presentare nuovi progetti e di effettuare interventi modificativi, in rapporto ad una situazione non regolarizzata.
Come già risultante dagli atti e puntualmente ribadito nella relazione dell’organo verificatore, infatti, in rapporto a diversi manufatti realizzati all’interno del giardino di cui trattasi la “Galleria Navarra s.n.c.” avviava la procedura di condono n. 12021/3/86, a norma della citata legge n. 47/1985, mentre ai sensi della nuova normativa di condono, contenuta nella legge n. 724/1994, la nuova proprietà (società Irancop s.r.l.) chiedeva di sanare soltanto un frazionamento ed un cambio di destinazione d’uso di alcuni locali (domanda, quest’ultima, da considerare evidentemente subordinata alla prima, concernente il titolo abilitativo a sanatoria per la realizzazione dei locali stessi).
E’ in rapporto alla prima e fondamentale procedura di sanatoria – ancora non conclusa – che si registrano nel tempo ben cinque pareri della Soprintendenza, di segno non univoco, per le ragioni di seguito sintetizzate:
1) in data 11 maggio 1992 parere favorevole, ma sulla base di proposte progettuali della citata società Galleria Navarra: tale parere (che all’organo verificatore è sembrata piuttosto “una nota interlocutoria e preliminare” e che in sede giudiziale è stato definito “parere condizionato”) appare superato, anche per omessa esecuzione da parte della medesima società del progetto presentato (ed anche a prescindere, quindi, dall’ammissibilità di tale progetto: ammissibilità contestata dal Comune di Napoli, per la previsione di opere di ristrutturazione non conformi al P.R.G. e per esigenza di valutazione delle opere da condonare nello stato in cui si trovavano al momento della richiesta);
2) in data 16 ottobre 1997 parere solo parzialmente positivo (per i locali posti al piano scantinato, individuati in planimetria con le lettera A, B e C, nonché per i locali a piano terra indicati con le lettere D, E, F); parere negativo per i locali individuati con le lettere H e G, nonché – al livello coperture – per quelli indicati con le lettere L ed I); la legittimità di tale parere era confermata dal giudice amministrativo sia di primo che di secondo grado;
3) in data 17 aprile 2000, parere nuovamente favorevole per interventi di manutenzione straordinaria sui manufatti identificati con le lettere L ed H, proposti dalla nuova società proprietaria Gran Caffè Cristallo, nonché su richiesta di modifica del parere preventivo in data 11 maggio 1992: come emerso successivamente, detto parere era stato emesso senza che risultasse alla Soprintendenza il parere negativo, di cui al precedente punto 2);
4) 18 giugno 2001conferma, con nuovo parere negativo, della non condonabilità dei locali, contrassegnati con le lettere H, L, G, ed I; tale parere veniva annullato in sede giurisdizionale (da ultimo, con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4593/06 del 19.7.2006, sulla cui esatta portata interpretativa, come successivamente definita dal TAR della Campania, verte il primo degli appelli in esame: n. 7146/08);
5) 9 dicembre 2008 “revoca” (ovvero sostanziale annullamento) del ricordato parere favorevole del 2000 e valutazione conclusivamente negativa dell’istanza di condono, tramite richiamo al parere già espresso nel 1997: tale atto è stato annullato dal TAR per difetto di motivazione e di istruttoria ed a tale riguardo è stato proposto dal Ministero dei Beni Culturali il secondo degli appelli in esame (n. 1922/11).
Premesso quanto sopra, appare evidente l’esigenza di esaminare in via prioritaria l’impugnativa n. 7146/2008, proposta dalla società Gran Caffè Cristallo s.a.s. contro il Condominio del Fabbricato di via Domenico Morelli, 7, dopo l’accoglimento in primo grado (con sentenza del TAR Campania n. 6520/08) del ricorso proposto da detto Condominio, avverso il silenzio inadempimento della Soprintendenza, in ordine alle esigenze di revoca del parere favorevole del 2000 e di parere conclusivo sulla condonabilità degli abusi edilizi di cui trattasi.
L’appello in questione non può ritenersi improcedibile, pur avendo la Soprintendenza successivamente operato nel senso richiesto, in quanto l’accoglimento delle ragioni difensive della società appellante implicherebbe riconoscimento di avvenuta consumazione del potere della medesima Soprintendenza di pronunciarsi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 32 della legge n. 47/1985, dovendo attribuirsi carattere definitivo – sancito dalla ricordata sentenza del Consiglio di Stato n. 4593/2006 – al parere favorevole del 17.4.2000, con ormai acclarata rimozione di qualsiasi ostacolo – sempre secondo le prospettazioni difensive dell’appellante – al rilascio del condono edilizio.
Il Collegio non condivide tale impostazione interpretativa, che la società appellante affida ad un triplice ordine di censure:
a) insussistenza di un obbligo dell’Amministrazione – evidenziabile con procedura di silenzio inadempimento – per l’adozione di un provvedimento in via di autotutela;
b) insussistenza di una situazione di interesse protetto del Condominio di via Morelli, 7;
c) affidamento del privato ormai consolidato e confermato dal “dictum” del Consiglio di Stato.
Appare in primo luogo da escludere – seguendo un ordine logico di trattazione – il difetto di legittimazione attiva del Condominio di via Domenico Morelli 7 a sollevare, in primo grado di giudizio, la questione in esame: è oggetto di pacifica giurisprudenza, infatti, la sussistenza di interesse a ricorrere in materia urbanistico-edilizia di coloro che possano rivendicare una posizione giuridica differenziata rispetto alla generalità dei cittadini, in rapporto alla porzione di territorio interessata: tale posizione è determinata in base al criterio della “vicinitas”, intesa come stabile collegamento di uno o più cittadini con la zona interessata da interventi urbanistico-edilizi, senza che sia necessaria l’ulteriore dimostrazione di un danno specifico, essendo tale danno insito nella violazione della normativa in materia di corretta programmazione d’uso del territorio e connessa edificazione, nel rispetto – ove sussistenti – dei vincoli gravanti sull’area (cfr. per il principio, fra le tante, Cons. St. sez. VI, 9.7.2012, n. 4035 e 15.6.2010, n. 3744; Cons. St., sez. IV, 6.3.2010, n. 1535 e 27.10.2011, n. 5775; Cons. St., sez. V, 27.5.1993, n. 633).
Il Condominio in questione, localizzato nel medesimo complesso immobiliare in cui era stato inserito il giardino, con affacci su quest’ultimo, era pertanto sicuramente legittimato ad agire, a tutela della conservazione del bene protetto e della legittimità di eventuali edificazioni.
Quanto alle argomentazioni, di cui ai precedenti punti a) e c) – da esaminare congiuntamente – appare necessario chiarire quello che sembra un equivoco di fondo: per quanto riguarda, infatti, la compatibilità degli interventi abusivi di cui trattasi con i valori protetti (ovvero per le specifiche finalità che imponevano – in materia di condono edilizio su immobili vincolati – il parere dell’Autorità preposta alla relativa tutela) la competente Soprintendenza risulta essersi pronunciata – in modo sostanzialmente convergente e con valutazione negativa per gli interventi di maggiore impatto – nel 1997, nel 2001 e nel 2008; nel 1992, invece, il parere della medesima Soprintendenza investiva, come documentato in atti, una proposta di sistemazione delle aree interessate, in rapporto alla quale il consenso veniva espresso in forma condizionata e risultava, poi, superato dalle osservazioni del Comune di Napoli, nonchè da vicende successive, come già in precedenza ricordato: a conferma di tale superamento, nel parere negativo del 1997, si precisava che il precedente parere del 1992 doveva ritenersi “erroneamente formulato, su di una proposta progettuale di sistemazione dell’area e non in merito all’abuso compiuto; nel 2000 poi – per quanto qui più direttamente interessa – il parere favorevole risultava contenuto in due note della Soprintendenza emesse in pari data (nn. 11674 e 11684), testualmente riferite a “interventi di manutenzione straordinaria” e “richiesta di modifica di parere preventivo datato 11.5.1992”; è stato poi ulteriormente chiarito, in via istruttoria, che nella pratica esaminata nel 2000 dalla medesima Soprintendenza non era rappresentata la reale situazione di persistente abusività dei locali, di cui veniva autorizzata la manutenzione (in ogni caso con preclusa realizzazione di gazebo sulla terrazza).
Nel 2001, il parere negativo poi annullato richiamava quello del 1997 e ribadiva come l’intervento richiesto (ultimazione delle opere, ex art. 35 della legge n. 47/1985) ricadesse su “manufatti abusivi non condonabili”. Il rilievo puramente formale, su cui si è basato l’annullamento del predetto parere del 2001 (omessa considerazione del precedente parere favorevole) evidenziava dunque un effettivo difetto di motivazione del parere stesso, che avrebbe dovuto rendere conto del succedersi di valutazioni, almeno apparentemente contraddittorie (ma in realtà corrispondenti, come ormai appurato, a carenze documentali ed istruttorie, in ordine all’iter della procedura di condono ed al reale stato dei luoghi); tale carenza di motivazione, tuttavia, non poteva trasformare le valutazioni – espresse nel 2000, nella descritta situazione di carenza informativa – in un parere favorevole, specificamente riferito alla compatibilità delle opere abusive con i valori oggetto di decreto di vincolo.
In tale contesto, l’appellata sentenza del TAR Campania n. 6520/08 fornisce interpretazione adeguata e ragionevole della sentenza del Consiglio di Stato n. 4593/06 in rapporto alla situazione in atto, con ravvisata necessità di un “parere definitivo sulle istanze di condono edilizio in questione”, indipendentemente dal contenuto di tale parere. Una valutazione conclusiva di segno negativo, peraltro, non avrebbe potuto omettere di considerare il parere favorevole del 2000, in quanto contraddittorio rispetto a considerazioni, che avrebbero imposto di negare il condono delle opere, di cui era stata autorizzata la manutenzione straordinaria.
Le argomentazioni difensive, di cui ai precedenti punti a) e b) non possono dunque che ritenersi infondate, non potendo trarsi dalla più volte citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4593/06 effetti più ampi di quelli, che il dispositivo della sentenza stessa comportava (annullamento di un parere negativo per difetto di motivazione e non certo ampliamento, o trasformazione dell’oggetto, di un precedente parere positivo, comunque non riferito alla condonabilità, o meno, delle opere di cui trattasi).
Nella peculiare situazione in esame una riconsiderazione, in via di autotutela, delle valutazioni espresse nel 2000 (riconsiderazione solo adombrata nella predetta sentenza n. 4593/06, in quanto non strettamente attinente al “decisum”) poteva dunque ritenersi doverosa per l’Amministrazione, nonché fonte di un obbligo di provvedere, evidenziabile con procedura di silenzio inadempimento: a ben vedere, infatti, si trattava di pervenire alla conclusione di una procedura di condono, protrattasi oltre ogni ragionevole limite e non ancora conclusa, in contrasto con quanto prescritto dall’art. 2, comma 1, della legge n. 241/1990, secondo cui “ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza….le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”.
Nella situazione in esame, tale provvedimento espresso non poteva che essere costituito dal provvedimento di condono, o dal relativo diniego, entrambi non adottabili senza una chiara, previa pronuncia sulla compatibilità delle opere realizzate con il regime vincolistico vigente.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello n. 7146/2008 debba essere respinto.
Quanto all’altra impugnativa in esame (n. 1922/2011), proposta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, avverso la sentenza del TAR Campania (n. 1885/2010) che annullava il nuovo provvedimento emesso dalla Soprintendenza, in esecuzione dell’obbligo di provvedere sopra richiamato, il Collegio ritiene invece che le ragioni difensive esposte dall’appellante siano meritevoli di accoglimento.
Nella sentenza in questione – respinte alcune eccezioni preliminari e rilevata la legittima emanazione di un nuovo parere, che esprimesse “una chiara, esaustiva ed univoca valutazione, circa la compatibilità degli abusi da condonare, sotto il profilo dell’interesse tutelato” – si assumeva tuttavia che le nuove valutazioni della Soprintendenza, espresse nel 2008, fossero viziate per difetto di motivazione e di istruttoria.
Avrebbero dovuto essere specificati, infatti, “gli elementi di fatto presupposti ed il ragionamento logico seguito dall’amministrazione”, né tali elementi sarebbero deducibili – “per relationem” – dal richiamato parere del 1997, a sua volta “genericamente motivato”; in nessun modo, poi, sarebbe stato effettuato un apprezzamento, circa l’interesse pubblico prevalente, rispetto all’affidamento del destinatario dell’atto, ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990, tenuto conto del lungo lasso di tempo intercorso dall’amanazione dell’atto da annullare, risalente all’anno 2000; quanto alla mancata ultimazione dei lavori – addotta ad ulteriore giustificazione della non condonabilità delle opere – si rilevava come tale situazione fosse stata determinata dall’interruzione dei lavori manutentivi in corso.
La società Gran Caffè Cristallo, costituitasi nel giudizio di appello, nel ribadire le proprie ragioni difensive, sottolineava la compatibilità delle opere non condonate con la tutela storico-ambientale dei luoghi, essendo in discussione un “cespite nascosto dalla cancellata che delimita i confini della piazza”, tanto che l’intero cortile di palazzo Nunziante sarebbe stato “urbanisticamente da considerarsi fuori da piazza dei Martiri”; si tornava a sottolineare, inoltre, l’affidamento del privato, cui non sarebbe mai stato notificato il parere negativo del 1997, comunque impugnato come atto presupposto dalla medesima società, unitamente al parere negativo del 2001 e da considerarsi, pertanto, parimenti annullato; l’autorizzata esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione, infine, non avrebbe potuto non determinare un consistente affidamento della medesima società, circa la regolarizzazione delle opere realizzate sull’area. Avrebbe confermato le tesi difensive anzidette l’accoglimento del ricorso di ottemperanza, riferito alla citata decisione n. 4593/2006. L’apparente carattere non ultimato delle opere, peraltro, sarebbe stato riconducibile solo all’interruzione dei lavori manutentivi autorizzati.
Molte delle argomentazioni da ultimo menzionate, in effetti, trovano già risposta nelle considerazioni e nei fatti in precedenza esposti, ma appaiono senz’altro necessarie alcune ulteriori puntualizzazioni.
E’ bene ricordare infatti, in primo luogo, che il già richiamato decreto di vincolo del 1953 riguardava non solo palazzo Nunziante, ma anche l’”annesso giardino”, sicuramente già rilevante per il vincolo indiretto apposto, nel precedente anno 1952, sull’intera piazza dei Martiri, al fine di preservarne la prospettiva: in tale decreto si sottolineava infatti l’esigenza di “imporre particolari prescrizioni nei confronti dell’immobile seguente: giardino del palazzo Nunziante”.
E’ dunque del tutto evidente che i parametri del parere, richiesto alla Soprintendenza ex art. 32 della legge n. 47/1985, non potevano prescindere dalla conservazione del giardino, le cui caratteristiche e la cui incidenza sull’assetto globale dei luoghi emergono pienamente dalla documentazione fotografica in atti. Altrettanto evidente – in base alla documentazione fotografica più recente – è la scomparsa del giardino, la cui ricostituzione “con l’aspetto esclusivamente naturalistico….perso ormai da tempo” si afferma “impossibile”, in una recente valutazione tecnica di parte a firma dell’arch. Bruno Discepolo. Tale conclusione risulta, sostanzialmente, recepita nella relazione dello stesso organo verificatore. Dette conclusioni, ad avviso del Collegio, non possono essere condivise.
Un giardino può essere infatti oggetto di vincolo – come sembra sostenibile nel caso di specie – non per le peculiarità della flora in esso contenuta, ma come necessaria cornice rispetto ad immobili di pregio storico o artistico, risultando perciò protetto non nella esatta originaria consistenza, ma nella forma e nelle caratteristiche essenziali, che giustificavano il vincolo stesso e di cui appare arduo sostenere l’impossibilità di ricostituzione. In tale ottica, sembra opportuno ricordare il pacifico indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’avvenuta, parziale compromissione di un’area vincolata non giustifica il rilascio di provvedimenti, atti a comportare un ulteriore degrado, fermo restando l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi“secundum ius”, ove materialmente possibile (cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 2.3.1979, n. 112; Cons. St., sez. IV, 11.4.2007, n. 1585; Cons. St., sez. VI, 16.5.2013, n. 2654; TAR Lazio, Roma, sez. II, 1.2.2008, n. 883 e 30.7.2007, n. 7202).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene di poter rilevare la non condivisibilità delle ragioni di annullamento, ravvisate nella sentenza appellata, proprio per il pacifico riconoscimento di una situazione in cui – già alla data di riferimento per il condono edilizio di cui trattasi, ma più ancora a seguito di successive modifiche dello stato dei luoghi – le caratteristiche essenziali dell’area protetta avevano subito un pesante degrado, poi ulteriormente aggravato dalle opere manutentive, inizialmente approvate e dalle quali sembra discendere anche l’attuale, parziale, non identificabilità di alcuni manufatti, originariamente oggetto dell’istanza di condono.
Quando d’altra parte, come nel caso di specie, le ragioni del parere negativo dell’Autorità preposta siano ravvisabili nella sostanziale distruzione dei valori tutelati, appare di assoluta evidenza che una motivazione, anche molto sintetica, possa sorreggere sia provvedimenti di autotutela (formale revoca, ma sostanziale autoannullamento) riferiti ad inammissibili interventi di restauro di opere abusive, sia un diniego di sanatoria delle medesime opere, effettuato con rinvio recettizio al parere del 1997 e giustificato dal “contrasto con l’esigenza di salvaguardia dei valori di decoro della storica piazza dei Martiri e dell’area del giardino di palazzo Nunziante”.
In tale contesto, nessuna delle ragioni difensive della società Gran Caffè Cristallo appare condivisibile, per le ragioni di seguito sintetizzate.
Appare evidente, in primo luogo, che l’omesso completamento delle opere da condonare – in quanto riconducibile non all’astratta condonabilità delle opere, come sussistenti alla data di riferimento della legge sul condono edilizio n. 47/1985, ma a lavori di manutenzione successivamente autorizzati – non può di per sé costituire ragione di diniego (sempre che le nuove opere non abbiano implicato, come già sopra illustrato, eliminazione o trasformazione dell’immobile, originariamente oggetto di istanza di condono); le predette considerazioni sono tuttavia omesse nei provvedimenti in esame e da esse si può prescindere, restando unica (e sufficiente) ragione di parere negativo la totale compromissione dei valori protetti. Sicuramente erronea, poi, è la considerazione secondo cui quello che viene definito “cortile” di palazzo Nunziante sarebbe estraneo alla tutela di piazza dei Martiri, quale “cespite nascosto dalla cancellata”: è stato appena ricordato, infatti, come il giardino fosse specificamente oggetto di vincolo, mentre la documentazione fotografica in atti smentisce clamorosamente il carattere “nascosto” degli abusi, nettamente sovrastanti alla cancellata e, almeno apparentemente, finalizzati alla realizzazione di uno o più manufatti su due piani.
Anche l’asserito, avvenuto annullamento del parere negativo del 1997, in quanto impugnato come atto presupposto del parere annullato del 2001, appare ininfluente per il contenzioso in esame: la Soprintendenza ha ritenuto, infatti, di doversi pronunciare nuovamente, revocando (ovvero, sostanzialmente, annullando) il parere favorevole del 2000 – relativo a lavori da effettuare su opere non condonate, nonché ad inammissibile riviviscenza del parere del 1992 – ed esprimendo conclusivo dissenso sulla condonabilità delle opere di cui trattasi.
Il richiamo formale al parere del 1997, comunque sostituito dal nuovo parere, appare utile solo per comprendere l’oggetto del diniego stesso, nei termini già in precedenza riportati e puntualmente indicati nella cartografia, allegata alla relazione dell’organo verificatore.
Restano da valutare le censure di violazione degli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990, per omesso bilanciamento fra interessi pubblici e privati, violazione del principio del termine ragionevole e omessa tutela dell’affidamento del privato.
Nessuna di tali ragioni può essere condivisa. Premesso che l’atto impugnato (espressamente definito “viziato da eccesso di potere” nella nota n. 29043 del 9.12.2008) deve essere qualificato di annullamento e non di revoca (con conseguente applicabilità dell’art. 21 nonies e non dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990) nessuna violazione della citata norma di riferimento può, nella fattispecie, essere ravvisata.
Le ragioni di interesse pubblico sottostanti all’annullamento – come anche alla reiterazione di parere negativo sulle medesime opere, già ritenute non condonabili nel 1997 e nel 2001 – non richiedevano infatti particolari esternazioni, trattandosi, come già rilevato, di opere abusive, che implicavano non una mera modifica, ma la distruzione del bene protetto in quanto tale, nei termini rappresentati nei decreti di vincolo.
I tempi di intervento della Soprintendenza, inoltre, sono stati certamente non brevi, ma anche in buona parte condizionati da procedure contenziose, nonché dalla condotta degli stessi autori degli abusi, che – oltre ad alimentare incessantemente dette procedure – hanno più volte cercato di realizzare interventi di trasformazione, non assentibili su opere che restavano prive di qualsiasi titolo abilitativo, in ordine alla relativa sussistenza. Per la stessa ragione non appare individuabile un consolidato affidamento dei privati interessati: questi ultimi potevano infatti ignorare, come asserito, il parere negativo del 1997, ma non anche il mai avvenuto rilascio di concessione in sanatoria, con conseguente, costante consapevolezza di effettuare ogni nuovo intervento su opere illecitamente realizzate e non assentite.
Il bilanciamento fra interesse pubblico e privato appare, in tale contesto, ravvisabile “in re ipsa”: la Soprintendenza non ha escluso, infatti, la condonabilità di alcuni locali, che risultavano in qualche modo inglobati nella cinta muraria o comunque poco visibili, ma si è opposta alla totale “invasione” dell’area già adibita a giardino – per quanto risulta dagli atti ridotta a poco più di un corridoio – nonché a sopraelevazioni, incidenti in modo insanabile sull’assetto della medesima area, nella consistenza descritta e tutelata attraverso i decreti di vincolo. L’esistenza di una procedura di condono ancora in itinere, in altre parole, precludeva alla radice un “affidamento”, che gli interessati avrebbero potuto trarre solo dal rilascio del provvedimento di condono e non anche da un mero parere favorevole (atto endo-procedimentale, benchè autonomamente impugnabile, peraltro annullato dopo un solo anno dalla relativa emanazione, poiché emesso sulla base di falsi presupposti).
Per le ragioni esposte in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello n. 1922/11, proposto dal Ministero per i Beni Culturali ed ambientali debba essere accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo; le spese giudiziali – da porre a carico delle parti soccombenti in ciascuno dei due ricorsi riuniti, unitamente al compenso dell’organo verificatore, vengono liquidate come pure specificato in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando in ordine agli appelli riuniti nn. 7146/08 e 1922/11, indicati in epigrafe, respinge il primo di tali appelli, proposto dalla società Gran Caffè Cristallo ed accoglie il secondo, proposto dal Ministero per i Beni e Le Attività Culturali e per l’effetto, con riferimento all’appello n. 7146/08, conferma il rigetto del ricorso proposto in primo grado, mentre, per quanto riguarda l’appello n. 1922/11, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado; Condanna la società Gran Caffè Cristallo s.a.s. al pagamento delle spese della disposta verificazione, nonché delle spese giudiziali, nella misura, a quest’ultimo riguardo, di €. 5.000,00 (euro cinquemila/00) a favore del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di €. 5.000,00 (euro cinquemila/00) a favore del Condominio di via Domenico Morelli, 7; compensa dette spese giudiziali nei confronti del Comune di Napoli.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Antonio Malaschini, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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