Sunday 10 November 2013 12:56:37

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Edilizia: la misura degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione costituiscono una obbligazione direttamente stabilita dalla legge e, quindi l'affidamento del privato non può derivare dalla mera inerzia dell'Ente pubblico nell’adottare atti dovuti

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

Ai fini dell'esatta qualificazione degli oneri di costruzione e di urbanizzazione le opere realizzate in virtù della concessione edilizia originaria e di quella in variante devono essere considerate nella loro globalità, sicché, anche se nel caso di specie nel relativo provvedimento era citata la sola concessione in variante, esso non poteva non aver tenuto conto del risultato complessivo dell'intervento costruttivo. E’ quindi irrilevante la circostanza che nel provvedimento impugnato fosse formalmente richiamata solo la concessione in variante, essendo evidente che la somma richiesta, per la sua entità, era relativa al complesso di quanto autorizzato con la prima concessione e poi modificato a seguito di variante. Aggiungasi che l'esistenza o la misura degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione costituiscono una obbligazione direttamente stabilita dalla legge; come tale, la determinazione dell'”an” e del “quantum” del contributo concessorio ha natura di mero accertamento dell'obbligazione contributiva e viene effettuato dalla pubblica amministrazione (P.A.) in base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di potestà autoritative. Ne consegue che la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento è di diritto soggettivo e non di interesse legittimo. Osserva la Sezione in generale che le situazioni consolidate possono essere tutelate quando sulla loro legittimità l'interessato abbia fatto in buona fede affidamento, ma la sussistenza di esso deve escludersi a priori allorché esse siano, come nel caso di specie, dovute ad inerzia dell’Amministrazione nel richiedere il pagamento di somme dovute in base a disposizioni di cui anche l’interessato sia a conoscenza; in siffatto contesto è chiaro che ciò su cui l'interessato fa affidamento non è la legittimità della situazione venutasi a creare, bensì l'inerzia dell'Amministrazione nell'adozione di atti comunque dovuti. La convinzione che il passare del tempo riduca o limiti, sino ad annullare, il dovere dell'Amministrazione di esercitare prerogative cui è tenuta per legge non può trovare fondamento nei principi generali dell'affidamento né in quelli di efficacia e buon andamento dell'Amministrazione, necessitando invece di una apposita previsione normativa che, agendo sulla patologia dell'inerzia, la sanzioni con l'estinzione o con il mutamento del potere amministrativo esercitabile. Nel caso di specie l’inerzia dell’Amministrazione nel richiedere il pagamento degli oneri di cui trattasi poteva comportare il venir meno del potere di esercitare il diritto alla riscossione del credito, come condivisibilmente ritenuto dal primo Giudice, solo a seguito del decorrere della prescrizione. L'affidamento del privato non potrebbe quindi derivare dalla mera inerzia dell'Ente pubblico nell’adottare atti dovuti, ma solo da un suo eventuale comportamento positivo tale da configurare una qualche responsabilità da contatto. E’ peraltro incondivisibile la tesi dell’appellante che il comportamento del Comune avesse comportato l’insorgere in capo ad essa della ragionevole convinzione che il diritto non sarebbe stato in futuro esercitato, sicché la successiva pretesa di far valere il diritto sarebbe paralizzata dall’”exceptio doli”. Va osservato in proposito che la convinzione che il diritto in questione non sarebbe stato esercitato dal Comune nei termini di prescrizione innanzi tutto non poteva insorgere in maniera sufficientemente plausibile perché la parte che si sarebbe avvantaggiata da un tale comportamento non poteva non sapere che, essendo la pretesa del pagamento di detti crediti atto dovuto, tanto avrebbe comportato violazione di legge e responsabilità contabile; su tale ipotesi non poteva fondarsi quindi ragionevole affidamento della attuale appellante nel valutare il prezzo da richiedere per la vendita dei beni interessati. Quanto alla "exceptio doli specialis seu preteriti", essa indica il dolo commesso al tempo della conclusione dell’atto, ed è diretta a far valere (in via di azione o eccezione) l’esistenza di raggiri impiegati per indurre un soggetto a porre in essere un determinato negozio, al fine di ottenerne l’annullamento, ovvero a denunziare la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, la quale assume rilievo, a titolo di dolo incidente, nel caso in cui l’attività ingannatrice abbia influito su modalità del negozio che la parte non avrebbe accettato, se non fosse stata fuorviata dal raggiro. Detta eccezione non comporta l’invalidità del contratto, ma la responsabilità del contraente in mala fede per i danni arrecati dal suo comportamento illecito, i quali vanno commisurati al minor vantaggio e al maggior aggravio economico subiti dalla parte che ne è rimasta vittima. Al riguardo deve ritenersi innanzi tutto che l’istituto è applicabile in materia negoziale e non nel caso di specie in cui la pretesa della Amministrazione costituiva atto non meramente sinallagmatico, ma dovuto per legge.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale **** del 2002, proposto da:

Nieddu Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Paolo Morgana e Daniele Manca Bitti, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via Luigi Luciani, n. 1;

 

contro

 

Comune di Sassari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Congiatu, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Daniela Empoli, in Roma, via Colossi, n. 53;

Dirigente del Settore Gestione del Territorio del Comune Sassari, in persona del titolare dell’Ufficio pro tempore, non costituito in giudizio;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Sardegna n. 01252/2000, resa tra le parti, concernente contributo per costo di costruzione e oneri di urbanizzazione;

inoltre perché sia dichiarato che la appellante non è tenuta a corrispondere le somme richieste dal Comune di Sassari con l’atto impugnato, previo annullamento dello stesso e degli atti presupposti e consequenziali;

nonché, in caso di riconoscimento dell’obbligo di pagamento di dette somme, per la condanna di detto Comune al risarcimento dei danni causati alla Nieddu Costruzioni s.r.l. con l’illegittimo comportamento da esso tenuto, in misura pari all’ammontare degli oneri ex l. n. 10/1977 che dovesse essere riconosciuto, ovvero alla minor somma che possa essere liquidata in via equitativa.

 

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sassari;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Viste le proprie ordinanze 19 marzo 2002 n. 1063 e 4 giugno 2002 n. 2241;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Manca Bitti, in proprio e per delega dell'Avvocato Morgana, ed Empoli, per delega dell'Avvocato Congiatu;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

 

FATTO

Il Comune di Sassari, con determinazioni dirigenziali del 26/10/1999 e del 2/3/2000, ha richiesto alla Nieddu Costruzioni s.r.l. il pagamento del contributo per costo di costruzione e oneri di urbanizzazione secondaria rispettivamente sulla concessione n. 406 del 29/8/1991 (£. 320.360.000 a titolo di contributo ex art. 10, comma 2, della l. n. 10/1977) e sulla concessione edilizia, in variante della precedente, n. 239 del21/4/1994 (£ 299.436.000 in modifica dell’importo precedentemente richiesto), rilasciate per la costruzione di un complesso edilizio ad uso commerciale in Sassari, nella zona industriale “Preda Niedda”, su aree distinte in Catasto Terreni Sez. A al foglio 70, mappali 106-107-128-245-243-263-387-283-284-441-443-444.

Con ricorsi, rispettivamente, n. 40/2000 e n. 566/2000 proposti innanzi al T.A.R. Sardegna detta società, premesso che con la determinazione del 2.3.2000 non erano state prese in considerazione le eventuali differenze contributive determinate dalla variante autorizzata, ma erano stati stabiliti i contributi dovuti per costo di costruzione e di urbanizzazione secondaria con riferimento all’intera costruzione assentita con la prima concessione, ha chiesto (nell’assunto che il Comune avesse ingenerato affidamento, all’atto della cessione a terzi di numerose unità immobiliari, in ordine alla insussistenza di oneri per il rilascio della concessione edilizia) l’accertamento della insussistenza dell’obbligo di pagamento delle somme richieste con dette determinazioni, o, subordinatamente, la riduzione delle stesse somme; inoltre ha chiesto l’annullamento di dette determinazioni dirigenziali e, occorrendo, di ogni altro atto connesso, in particolare della deliberazione della Giunta Municipale n. 606 del 10/5/1978 e di tutti gli atti con i quali erano stati deliberati i parametri da applicare per la determinazione del contributo di cui trattasi. Infine ha chiesto, in subordine, la condanna del Comune di Sassari al risarcimento dei danni arrecati alla società in conseguenza dell’affidamento formatosi, a seguito del rilascio della originaria concessione n. 406/91 e del comportamento complessivamente tenuto dall’Ente, in ordine alla esenzione dei contributi di cui all’art. 10, secondo comma, della l. n. 10/1977.

Con la sentenza in epigrafe indicata detto T.A.R., riuniti i gravami, ha dichiarato improcedibile il primo ricorso n. 40/2000, perché il provvedimento con esso ricorso era stato superato dalla successiva determinazione 2.3.2000, con la quale era stata rideterminata la somma da pagare per lo stesso titolo, impugnata con il ricorso n. 566/2000, che è stato a sua volta respinto.

Con il ricorso in appello in esame la citata società ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza, nonché la declaratoria e la condanna in epigrafe indicate, deducendo i seguenti motivi:

1.- E’ incondivisibile la tesi del T.A.R. che era ininfluente il richiamo alla sola concessione edilizia in variante del 1994 operato con il provvedimento di determinazione del contributo, perché la prima concessione si riferiva quasi interamente all’intero fabbricato da realizzare, mentre la seconda riguardava modifiche che davano luogo solo a minimi aumenti di cubatura.

Erronee erano anche le tesi del primo Giudice che, vertendosi in materia di atto paritetico, non potevano essere fatte valere censure formali e che era possibile quantificare l’esatta volumetria della intera costruzione sulla base del solo progetto di variante.

2.- Il principio fatto proprio dal T.A.R., che l’obbligazione debitoria viene meno solo per prescrizione e non per tardiva richiesta del credito, non è applicabile a casi, come quello di specie, in cui l’inerzia è corroborata da elementi che rendono comunque ragionevole l’ipotesi che il diritto non sarà in futuro esercitato.

L’affidamento inizialmente dato e poi ritrattato costituiva violazione del dovere di correttezza dell’esercizio della attività amministrativa ed era idoneo a fondare un giudizio di responsabilità dell’Amministrazione e dei suoi dirigenti.

Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, esisteva un atto, costituito da nota del 9.7.1985 del Sindaco del Comune di cui trattasi (del quale è chiesto che venga consentita l’ammissione), da cui si evinceva che l’esonero in questione sarebbe stato applicato.

3.- Erroneamente non sono state prese in considerazione le prove dedotte dalla ricorrente, e viene chiesto che sia disposta l’acquisizione degli atti richiamati in detta nota sindacale.

Con ordinanza 19 marzo 2002 n. 1063 la Sezione ha disposto adempimenti istruttori.

Con atto depositato il 2.4.2002 si è costituito in giudizio il Comune di Sassari, che ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

Con ordinanza 4 giugno 2002 n. 2241 la Sezione ha respinto la istanza di sospensione della sentenza impugnata.

Con memoria depositata il 4.2.2013 la parte appellante [premesso che nella acquisita deliberazione della giunta municipale (G.M.) n. 2026/1993 era ammessa la esistenza della deliberazione della G.M. del 2.7.1985 relativa alla esenzione dal pagamento degli oneri ex l. n. 10/1977 accordata da sempre agli insediamenti commerciali nella zona de qua, ha asserito che tanto provava l’assunto di parte appellante sull’affidamento in essa ingenerato e la rinuncia del Comune ai propri diritti, avendo avviato il recupero delle relative somme quando la maggior parte dei contributi dovuti erano prescritti] ha ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata il 22.2.2013 la parte resistente (premesso che non è stata impugnata la parte di sentenza con la quale è stata respinta la domanda di risarcimento danni) ha asserito che non è mai stata adottata alcuna deliberazione della Giunta Municipale che abbia autorizzato l’esonero dei costruttori dal pagamento degli oneri di edificazione nella zona industriale e che la nota sindacale cui l’appellante fa riferimento (e che comunque nel testo riportato dalla appellante, era relativa ai soli contributi sul costo di costruzione) non poteva avere valore ai fini di detto esonero, essendo sprovvista di ufficialità; ha quindi sostanzialmente ribadito le già formulate deduzioni.

Alla pubblica udienza del 9.7.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dalla Nieddu Costruzioni s.r.l., di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato dichiarato improcedibile il ricorso n. 40/2000, perché il provvedimento di determinazione della somma da pagare per contributo per costo di costruzione e oneri di urbanizzazione secondaria sulla concessione edilizia n. 239 del 21/4/1994, impugnato con esso ricorso, era stato superato dalla successiva determinazione 2.3.2000, con la quale era stata rideterminata detta somma in variante della precedente concessione edilizia n. 406 del 29/8/1991, impugnata con il riunito ricorso n. 566/2000, che è stato a sua volta respinto.

Con l’atto di appello è stato anche chiesto che sia dichiarato che la appellante non è tenuta a corrispondere le somme richieste dal Comune di Sassari con l’atto richiamato in epigrafe, previo annullamento dello stesso e degli atti presupposti e consequenziali; inoltre, in caso di riconoscimento dell’obbligo di pagamento di dette somme, è stata chiesta la condanna di detto Comune al risarcimento dei danni causati alla Nieddu Costruzioni s.r.l. con l’illegittimo comportamento da esso tenuto, in misura pari all’ammontare degli oneri ex l. n. 10/1977 di cui dovesse essere riconosciuta la debenza, ovvero alla minor somma liquidata in via equitativa.

2.- Con il primo motivo di appello è stata affermata la incondivisibilità della tesi del T.A.R., secondo cui era ininfluente la circostanza che il provvedimento di determinazione del contributo faceva richiamo alla sola concessione edilizia del 1994, di variante alla concessione n. 406 del 29/8/1991, perché un tale aspetto formale non poteva incidere sulla posizione giuridica di diritto soggettivo fatta valere in ricorso.

Le due concessioni non avevano infatti il medesimo oggetto e, mentre la prima quasi interamente si riferiva all’intero fabbricato da realizzare, la seconda riguardava modifiche che davano luogo solo a minimi aumenti di cubatura.

Per la determinazione dei contributi in questione avrebbero dovuto essere precisati tutti gli elementi che avrebbero consentito di identificare il “petitum” e la “causa petendi” con riferimento ad entrambe le concessioni, sicché, in assenza di tale specificazione, non poteva ritenersi che il provvedimento impugnato facesse riferimento anche ai volumi assentiti con la prima concessione.

La tesi del primo Giudice che, vertendosi in materia di un atto paritetico, non potevano essere fatte valere censure formali, non sarebbe condivisibile perché proprio tale natura avrebbe richiesto un maggior rigore formale, trattandosi di collegare una domanda dell’Amministrazione ad un oggetto ben determinato.

Erronea sarebbe anche la tesi del T.A.R. che era possibile quantificare l’esatta volumetria della intera costruzione sulla base del solo progetto di variante, perché le due concessioni erano del tutto distinte ed erano state rilasciate per volumi assolutamente diversi, sicché ciascuna di esse costituiva una specifica base imponibile per la determinazione dell’obbligo contributivo.

2.1.- Osserva la Sezione che i calcoli allegati alla richiesta di pagamento del 2/3/2000 impugnata, che faceva riferimento alla concessione edilizia in variante n. 239 del 21.4.1994, erano chiaramente riferiti non alle sole opere relative ai lavori con essa autorizzati, ma anche a quelle assentite con la prima concessione del 28.9.1991, essendo questa richiamata in detta concessione in variante, come pure il progetto ad essa allegato, relativo al seminterrato e ai due piani da cui era composta la costruzione, peraltro tutti oggetto della richiesta suddetta; ciò anche perché la domanda di concessione in variante non può essere esaminata solo nei suoi singoli elementi oggetto specifico di variante, ma va valutata con riferimento all'insieme delle modificazioni apportate al primitivo progetto, quindi in modo globale e contestuale che di esso tiene ben conto.

Ai fini dell'esatta qualificazione degli oneri di costruzione e di urbanizzazione le opere realizzate in virtù della concessione edilizia originaria e di quella in variante devono essere considerate nella loro globalità, sicché, anche se nel caso di specie nel relativo provvedimento era citata la sola concessione in variante, esso non poteva non aver tenuto conto del risultato complessivo dell'intervento costruttivo.

E’ quindi irrilevante la circostanza che nel provvedimento impugnato fosse formalmente richiamata solo la concessione in variante, essendo evidente che la somma richiesta, per la sua entità, era relativa al complesso di quanto autorizzato con la prima concessione e poi modificato a seguito di variante.

Aggiungasi che l'esistenza o la misura degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione costituiscono una obbligazione direttamente stabilita dalla legge; come tale, la determinazione dell'”an” e del “quantum” del contributo concessorio ha natura di mero accertamento dell'obbligazione contributiva e viene effettuato dalla pubblica amministrazione (P.A.) in base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di potestà autoritative. Ne consegue che la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento è di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.

Tanto conforta la tesi del primo Giudice secondo cui l’aspetto formale del mancato richiamo alla precedente concessione del 28.9.1991 contenuto nella determinazione dirigenziale impugnata, che indicava solo la concessione edilizia del 21.4.1994, di variante alla suddetta, era inidoneo a comportarne l’annullamento per vizi attinenti alla tutela degli interessi legittimi, non essendo stato, peraltro, dimostrato dalla parte appellante che le somme richieste non fossero pertinenti con le opere concretamente realizzate.

Le censure in esame non possono quindi essere oggetto di condivisione.

3.- Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che il T.A.R. ha respinto la censura relativa alla illegittimità della pretesa dell’Amministrazione, per violazione dei principi sull’affidamento dalla stessa ingenerato circa l’esenzione dal pagamento degli oneri per il rilascio della concessione edilizia per tutte le costruzioni realizzate nella zona accordata per un ventennio (per favorire le iniziative imprenditoriali nella zona), innanzi tutto nel rilievo che l’obbligazione debitoria viene meno solo per prescrizione e non per tardiva richiesta del credito.

Ma quando, secondo l’appellante, l’inerzia è corroborata, come nel caso di specie (in cui essa si è protratta per venti anni fino al rilascio della concessione in variante) da elementi che rendono comunque ragionevole l’ipotesi che il diritto non sarà in futuro esercitato, la successiva pretesa di far valere il diritto sarebbe paralizzata dall’”exceptio doli”, non potendosi ritenere ammessa la ritrattazione dopo che la società aveva basato sul comportamento dell’Amministrazione i suoi impegni, in particolare quelli relativi alla determinazione del prezzo di vendita degli edifici realizzati, influenzato, oltre che dai costi di produzione, dagli oneri finanziari connessi al rilascio delle concessioni edilizie.

La regola enunciata dal T.A.R. troverebbe infatti il suo limite nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 del c.c., rilevanti con riguardo a rapporti, come quello in questione, caratterizzati da elementi di corrispettività, che non si arrestano al dovere del “neminem laedere” ma costituiscono fonte autonoma di doveri del debitore e del creditore rispetto a quelli previsti dal contratto.

L’affidamento inizialmente dato e poi ritrattato costituirebbe quindi violazione del dovere di correttezza dell’esercizio della attività amministrativa e sarebbe idoneo a fondare un giudizio di responsabilità dell’Amministrazione e dei suoi dirigenti, con pregiudizio corrispondente alle somme che è impossibile recuperare, non potendo ormai più essere messi in discussione i prezzi delle unità immobiliari vendute.

Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, esisteva un atto (di cui è chiesto che venga consentita l’ammissione, non riguardando il divieto dello “ius novorum” in appello le prove costituite, la cui mancata produzione in primo grado non è dipesa da colpa della parte ricorrente ed essendo indispensabile ai fini del decidere), da cui dedurre che l’esonero era stato previsto, costituito da una nota del 9.7.1985, sottoscritta dal Sindaco e diretta all’Ingegnere capo e all’Assessore all’urbanistica, in cui era affermato che le opere o impianti da realizzarsi in zona industriale e da destinare ad attività commerciali e ad esse equiparabili, in quanto prestatrici di servizi non erano soggette al contributo sul costo di costruzione.

3.1.- Osserva la Sezione in generale che le situazioni consolidate possono essere tutelate quando sulla loro legittimità l'interessato abbia fatto in buona fede affidamento, ma la sussistenza di esso deve escludersi a priori allorché esse siano, come nel caso di specie, dovute ad inerzia dell’Amministrazione nel richiedere il pagamento di somme dovute in base a disposizioni di cui anche l’interessato sia a conoscenza; in siffatto contesto è chiaro che ciò su cui l'interessato fa affidamento non è la legittimità della situazione venutasi a creare, bensì l'inerzia dell'Amministrazione nell'adozione di atti comunque dovuti.

La convinzione che il passare del tempo riduca o limiti, sino ad annullare, il dovere dell'Amministrazione di esercitare prerogative cui è tenuta per legge non può trovare fondamento nei principi generali dell'affidamento né in quelli di efficacia e buon andamento dell'Amministrazione, necessitando invece di una apposita previsione normativa che, agendo sulla patologia dell'inerzia, la sanzioni con l'estinzione o con il mutamento del potere amministrativo esercitabile.

Nel caso di specie l’inerzia dell’Amministrazione nel richiedere il pagamento degli oneri di cui trattasi poteva comportare il venir meno del potere di esercitare il diritto alla riscossione del credito, come condivisibilmente ritenuto dal primo Giudice, solo a seguito del decorrere della prescrizione.

L'affidamento del privato non potrebbe quindi derivare dalla mera inerzia dell'Ente pubblico nell’adottare atti dovuti, ma solo da un suo eventuale comportamento positivo tale da configurare una qualche responsabilità da contatto.

E’ peraltro incondivisibile la tesi dell’appellante che il comportamento del Comune avesse comportato l’insorgere in capo ad essa della ragionevole convinzione che il diritto non sarebbe stato in futuro esercitato, sicché la successiva pretesa di far valere il diritto sarebbe paralizzata dall’”exceptio doli”.

Va osservato in proposito che la convinzione che il diritto in questione non sarebbe stato esercitato dal Comune nei termini di prescrizione innanzi tutto non poteva insorgere in maniera sufficientemente plausibile perché la parte che si sarebbe avvantaggiata da un tale comportamento non poteva non sapere che, essendo la pretesa del pagamento di detti crediti atto dovuto, tanto avrebbe comportato violazione di legge e responsabilità contabile; su tale ipotesi non poteva fondarsi quindi ragionevole affidamento della attuale appellante nel valutare il prezzo da richiedere per la vendita dei beni interessati.

Quanto alla "exceptio doli specialis seu preteriti", essa indica il dolo commesso al tempo della conclusione dell’atto, ed è diretta a far valere (in via di azione o eccezione) l’esistenza di raggiri impiegati per indurre un soggetto a porre in essere un determinato negozio, al fine di ottenerne l’annullamento, ovvero a denunziare la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, la quale assume rilievo, a titolo di dolo incidente, nel caso in cui l’attività ingannatrice abbia influito su modalità del negozio che la parte non avrebbe accettato, se non fosse stata fuorviata dal raggiro. Detta eccezione non comporta l’invalidità del contratto, ma la responsabilità del contraente in mala fede per i danni arrecati dal suo comportamento illecito, i quali vanno commisurati al minor vantaggio e al maggior aggravio economico subiti dalla parte che ne è rimasta vittima.

Al riguardo deve ritenersi innanzi tutto che l’istituto è applicabile in materia negoziale e non nel caso di specie in cui la pretesa della Amministrazione costituiva atto non meramente sinallagmatico, ma dovuto per legge.

In secondo luogo deve escludersi che la parte appellante abbia sufficientemente dimostrato la dedotta mala fede del Comune, che avrebbe dovuto concretizzarsi nella predisposizione di un finto esonero dal pagamento degli oneri di cui trattasi, al surrettizio fine di indurre imprenditori a realizzare strutture nella zona commerciale, per poi, una volta realizzate le strutture, incamerare le somme invece dovute.

A tanto sarebbe comunque inidonea, a prescindere dalla ammissibilità della sua produzione solo in grado di appello, la nota del 9.7.1985 sottoscritta dal Sindaco e diretta all’ingegnere capo e all’assessore all’urbanistica, in cui secondo l’appellante era affermato che la G.M. nella seduta del 2.7.1985 avrebbe confermato l’interpretazione dell’Ufficio che le opere o impianti da realizzarsi in zona industriale e da destinare ad attività commerciali e ad esse equiparabili, in quanto prestatrici di servizi, non erano soggette al contributo sul costo di costruzione (senza nulla affermare con riguardo agli oneri di urbanizzazione), anche perché non è stato provato che detti atti siano stati adottati da organi competenti a disporre l’esonero in questione e che siano stati oggetto di pubblicità legale idonea a comportarne la conoscenza da parte degli imprenditori interessati a realizzare strutture nella zona de qua. Ciò tenuto conto che l’obbligo di contribuire al pagamento del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione derivavano direttamente dalla l. n. 10/1977, non essendo compresa la tipologia di immobile di cui trattasi tra quelle oggetto di esenzione.

In terzo luogo va osservato che non è stato sufficientemente provato che l’esonero che sarebbe stato fatto supporre come sussistente fosse talmente rilevante dal punto di vista economico dall’avere indotto di per sé la parte appellante a realizzare l’immobile in questione nella zona di cui trattasi, considerato che, come dedotto dal Comune resistente, esso avrebbe comportato solo un risparmio di circa £ 50.000 al metro quadrato; neppure è stata fornita idonea prova della circostanza che i costi in questione non siano stati computati nella quantificazione del prezzo di vendita dei manufatti venduti a terzi (peraltro, come da documentazione prodotta in giudizio, in misura non corrispondente a tutto il complesso edilizio edificato).

Le censure in esame, considerato anche che comunque la tardiva richiesta del pagamento in questione ha comportato alla appellante vantaggi in relazione al mancato pagamento degli interessi che sulle somme dovute sono nel tempo venuti a maturarsi, non possono quindi essere favorevolmente apprezzate.

4.- Con il terzo motivo di appello è stato dedotto che erroneamente non sono state prese in considerazione prove offerte dalla ricorrente ed è stato chiesto che sia disposta l’acquisizione degli atti richiamati nella nota sindacale del 9.7.1985, nonché che sia accertato il numero e l’ammontare dei crediti relativi ai contributi in questione prescritti ed il comportamento degli Uffici nel fornire notizie relative alla pratica edilizia in questione.

4.1.- Osserva in proposito la Sezione che, premesso che con riguardo alla richiesta di acquisizione di detti atti è stata disposta istruttoria, cui è stato dato negativo riscontro con nota del Servizio Edilizia Privata del Comune di Sassari n. 26694 del 21.5.2002, la richiesta di acquisizione delle ulteriori notizie sopra accennate non può essere oggetto di favorevole responso, atteso che comunque la adozione del provvedimento impugnato costituiva atto dovuto ed il comportamento dell’Amministrazione con riguardo a diverse situazioni o notizie informali di dipendenti comunali non sarebbe comunque idoneo a far venir meno la legittimità della richiesta di pagamento infine adottata.

5.- Non può essere, infine, accolta la subordinata richiesta di condanna dell’intimato Comune al risarcimento dei danni causati alla società appellante con il comportamento da esso tenuto, in misura pari all’ammontare degli oneri ex l. n. 10/1977 che dovesse essere riconosciuto, ovvero alla minor somma liquidata in via equitativa.

Ciò in quanto va osservato che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dell'onere della prova, contenuto nell'art. 2697 c.c., in base al quale chi vuole far valere in giudizio un diritto deve indicare e provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, come del resto ora chiaramente disposto dall'art. 64 c.p.a.. Grava, conseguentemente, sul danneggiato il preciso onere di allegare e provare i citati elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito.

Quindi, in base alle regole della responsabilità extracontrattuale, ai fini della valutazione circa l'esistenza di un danno risarcibile, la parte appellante avrebbe dovuto provare, sotto il profilo oggettivo, l'esistenza di una condotta antigiuridica, di un danno ingiusto opportunamente provato e del nesso di causalità che deve legarli.

Nel caso di specie è stato già affermato che non è stato dimostrato che il comportamento del Comune avesse ingenerato nell’appellante il convincimento giuridicamente tutelabile che gli oneri di cui trattasi non sarebbero stati escussi e che possa quindi essere qualificato come antigiuridico e abbia causato un danno ingiusto.

Tanto esclude la necessità di verificare la fondatezza della eccezione formulata dal Comune resistente circa la mancata impugnazione della parte di sentenza con la quale è stata assuntamente respinta la domanda di risarcimento danni.

6.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

7.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il Collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio. Nulla è dovuto per le spese nei confronti dell’appellato non costituito.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame.

Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Nulla per le spese nei confronti dell’appellato non costituito.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Carmine Volpe, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Nicola Gaviano, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/10/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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