Monday 31 March 2014 18:12:21
Giurisprudenza Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V
L’art. 108 del c.p.a. ha allineato in linea di principio il processo amministrativo a quello civile, prevedendo alla stregua dell’art. 404 c.p.c., sia l’opposizione di terzo cd. ordinaria che quella cd. revocatoria. Allo stesso modo di quanto dispone l’art. 404 c.p.c., infatti, anche l’attuale formulazione dell’art. 108, comma 1, c.p.a., dopo le modifiche portate dal d.lgs. n. 195/2011, incentra la legittimazione a proporre opposizione: a) sulla mancata partecipazione al giudizio conclusosi con la sentenza opposta; b) sul pregiudizio che reca la sentenza ad una posizione giuridica di cui l’opponente risulti titolare. Quanto al primo dei due presupposti, va chiarito che la nozione di terzo va parametrata su quella di parte e – se si tratta di una sentenza che ha deciso su posizioni di interesse legittimo – deve tenere conto della nozione di parte in senso formale nel suo significato riguardante il giudizio amministrativo di legittimità. Quindi, ai fini dell’opposizione di terzo ordinaria, quale ‘terzo’ deve ritenersi il litisconsorte necessario pretermesso, ma non anche i successori delle parti a titolo universale o particolare (Cons. St., Sez. IV, 3 settembre 2008, n. 4109), ovvero i creditori o aventi causa, che possono, invece, utilizzare lo strumento della cd. opposizione revocatoria. Pertanto, il litisconsorte necessario pretermesso (dunque, il controinteressato cui non sia stato notificato il ricorso di primo grado) deriva la sua legittimazione a proporre l’opposizione di terzo direttamente dalla sua qualità soggettiva, a differenza degli altri soggetti ‘terzi’ (siano stati anch’essi legittimati ad impugnare il provvedimento e che vi abbiano fatto acquiescenza, ovvero che siano titolari posizioni di posizioni secondarie derivate, rispetto a quelle di cui siano titolari le parti necessarie del giudizio). Quanto alla delimitazione del secondo dei due presupposti, ossia quella del pregiudizio, mentre nel caso del litisconsorte necessario pretermesso la lesione della sua sfera giuridica deriva in re ipsa dal riconoscimento stesso della sua condizione processuale e dalla sentenza che abbia annullato l’atto per lui favorevole, la questione richiede maggiori indagini per il caso in cui una sentenza (o la sua esecuzione) arrechi un pregiudizio ad una posizione giuridica riferibile ad un soggetto non definibile quale controinteressato e dunque quale litisconsorte necessario pretermesso. Al riguardo, osserva la Sezione che, per la pacifica giurisprudenza, per ‘controinteressato’ si deve intendere quel soggetto titolare di un interesse alla conservazione dell’atto o alla mancata adozione dell’atto, che il ricorrente intende superare, individuato nell’atto stesso o facilmente individuabile (come chiarito da Cons. St., Ad. Plen., 8 maggio 1996, n. 2): ebbene, il controinteressato pretermesso nel caso di mancato coinvolgimento in giudizio assume la qualifica di litisconsorte necessario pretermesso e può agire con lo strumento di cui all’art. 108, comma 1, c.p.a. Accanto a quest’ultima figura, però, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – nella pronuncia n. 2 del 2007 – ha chiarito che esistono altre tipologie di controinteressato, individuandole nel controinteressato sopravvenuto e nel controinteressato occulto, ossia o in colui che abbia conseguito un titolo abilitativo, un beneficio o uno status da un provvedimento ulteriore conseguente alla conclusione di un procedimento autonomo rispetto a quello presupposto già impugnato, ovvero in colui che sia sostanzialmente un controinteressato (in quanto la sentenza di accoglimento del ricorso lederebbe in via immediata l’interesse che questi nutre alla conservazione del provvedimento amministrativo o alla sua mancata adozione), ma non sia facilmente individuabile dalla lettura dell’atto impugnato. Questi ultimi, per proporre l’opposizione di terzo e non avendo la qualità di controinteressato cui andava notificato il ricorso originario, devono risultare titolari di una posizione giuridica autonoma e incompatibile, come in tutte le altre ipotesi nelle quali un terzo pretenda di proporre opposizione. In una ben diversa situazione si trovano coloro che, come gli odierni opponenti, sono titolari di una posizione secondaria, e pertanto accessoria e riflessa, ad es. perché hanno stipulato un contratto con una delle parti necessarie (nella specie, con la società controinteressata in primo grado, ma il principio è ugualmente applicabile anche all’avente causa del ricorrente principale). L’ordinamento, per i titolari delle posizioni secondarie, accessorie e riflesse, non solo non ha previsto il conferimento della qualità di parte necessaria del processo (sicché risultano infondati i primi due motivi d’appello), ma, inoltre, non ha previsto alcun autonomo rimedio di impugnazione avverso la sentenza che sia sfavorevole al proprio dante causa, titolare della situazione primaria, autonoma e sostanziale. La situazione primaria, autonoma e sostanziale (a parte la posizione del ricorrente) è riferibile alla figura del controinteressato in senso stretto, al c.d. controinteressato sostanziale che sia beneficiario dell’atto impugnato (ma in esso non menzionato espressamente) ed a quella del beneficiario del provvedimento finale del procedimento, ovvero successivo e connesso a quello presupposto, originariamente impugnato. A differenza della parte necessaria pretermessa, il titolare della posizione secondaria, accessoria e riflessa (pur potendo intervenire nel giudizio, presentare la domanda di fissazione di udienza e proporre il regolamento preventivo di giurisdizione: Sez. IV, 31 luglio 1981, n. 891, Sez. VI, 15 marzo 1977, n. 239), non è una parte necessaria, si trova in una posizione processuale subordinata a quella della parte principale, non può ampliare in alcuna sede l’oggetto della controversia (o porre in essere atti che comportino la disponibilità del rapporto controverso) e non è legittimato a proporre opposizione avverso la sentenza (di primo o di secondo grado) lesiva per il titolare della posizione principale. Egli (sia o meno intervenuto nel corso del giudizio, anche in sede di appello) non è comunque legittimato a proporre l’opposizione di terzo ordinaria, proprio perché per la pacifica dottrina e giurisprudenza la relativa legittimazione va riconosciuta unicamente al litisconsorte necessario pretermesso ed al titolare di una posizione autonoma, incompatibile e prevalente (cfr. Sez. IV, 20 maggio 1996, n. 655). Infatti, la sussistenza di un interesse ad intervenire nel giudizio (di cui sia parte il dante causa, titolare della posizione giuridica oggetto di una controversia) non comporta che sussista anche la legittimazione ad impugnare la sentenza lesiva per il dante causa (Ad. Plen., 11 giugno 2001, n. 3). Al riguardo, va notato che, prima delle modifiche portate dal d.lgs. 195/2011, il comma 1 dell’art. 108 c.p.a. faceva riferimento esplicito al terzo “titolare di una posizione autonoma e incompatibile”, che nel testo vigente è venuta meno. Questa eliminazione non deve far ritenere, però, che sia stato esteso l’utilizzo dello strumento de quo anche ai soggetti titolari di una posizione derivata. La novella, infatti, ha voluto evitare che possa essere richiesto al litisconsorte pretermesso una prova diversa e più gravosa rispetto a quella della sua pretesa processuale alla non integrità del contraddittorio, che inficia la sentenza opposta. La diversità tra le due posizioni porta anche a valutare in modo differente gli strumenti a disposizione delle due categorie di soggetti, giacché, nel caso di litisconsorte pretermesso, la sua opposizione ha un marcato tratto rescindente, tendendo alla demolizione della sentenza ed alla ripetizione del giudizio; nel caso, invece, del terzo titolare di una posizione autonoma e incompatibile l’opposizione ha natura rescindente e rescissoria, poiché mira anche all’accertamento di una pretesa in conflitto con quella accertata giudizialmente. Resta a questo punto da chiarire cosa debba intendersi per posizione giuridica autonoma e incompatibile. Innanzitutto, l’interesse fatto valere non deve essere un interesse di mero fatto, ma una situazione giuridica soggettiva. Inoltre, la situazione giuridica in questione deve essere autonoma, ossia non deve essere direttamente incisa dalla sentenza opposta, né deve risultare in posizione di derivazione o dipendenza rispetto a quella oggetto di accertamento giudiziale. Come rilevato da Cons. St., sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451, “la legittimazione a proporre opposizione di terzo nei confronti della decisione del giudice amministrativo resa tra altri soggetti va riconosciuta: a) ai controinteressati pretermessi; b) ai controinteressati sopravvenuti; c) ai controinteressati non facilmente identificabili; d) in generale, ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma e incompatibile, rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione, con esclusione, di conseguenza, dei titolari di un diritto dipendente, ovvero di soggetti interessati di riflesso, non sussistendo per questi, per definizione, il requisito dell'autonomia della loro posizione soggettiva”. Infine, la situazione giuridica deve essere incompatibile, nel senso che l’accertamento giudiziale deve aver prodotto la contemporanea esistenza di poteri e facoltà su di un bene della vita che non possono coesistere, sotto forma di convergenza di interessi ovvero di divergenza di interessi (Cons., St., sez. V, 28 settembre 2011, n. 5391; Cass., Sez. Un., 11 febbraio 2003, n. 1997).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale * del 2013, proposto da:
Igroup Immobiliare S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Fabio Pantaloni e Paolo Mazzotta, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Tibullo, 11;
Igroup Fashion Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Paolo Mazzotta e Fabio Pantaloni, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Tibullo, 11;
contro
Tod'S Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Mastri e Andrea Del Vecchio, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, viale Giulio Cesare, 71;
Il Castagno Srl Agricola Forestale;
Comune di Sant'Elpidio a Mare;
Luigi Bracalente;
per la riforma (previa opposizione)
della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. V n. 4048/2013, resa tra le parti, concernente autorizzazione all'apertura di un centro commerciale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Tod'S Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Paolo Mazzotta e Antonio Mastri;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1. L’odierno ricorso per opposizione di terzo è proposto – ai sensi dell’art. 108, comma 1, del codice del processo amministrativo - da alcuni esercenti l’attività di commercio al dettaglio all’interno del centro commerciale denominato “Il Castagno”, sito nel Comune di Sant’Elpidio al Mare ed ha ad oggetto la sentenza n. 4048 del 2013 resa da questa Sezione.
Con la pronuncia citata, il Consiglio di Stato ha confermato – previa riunione dell’appello n. 8377 del 2011 (proposto dalla s.p.a. Tod’s) e dell’appello n. 4888 del 2011 (proposto in via principale dalla s.r.l. agricola forestale Il Castagno e in via incidentale dal Comune e dalla s.p.a. Tod’s) - le sentenze nn. 319/2011 e 325/2011 del TAR per le Marche.
La prima sentenza (n. 319 del 2011) ha rigettato il ricorso proposto dalla s.p.a. Tod’S per l’annullamento del piano di lottizzazione approvato con la delibera del consiglio comunale n. 23 del 25 maggio 2004, del permesso di costruire n. 66 del 5 giugno 2007 rilasciato a favore della ditta “Il Castagno s.r.l. Agricola Forestale” e delle successive varianti a detto permesso del 29 novembre 2007 e del 10 dicembre 2008, ritenendolo irricevibile perché tardivo.
La seconda sentenza (n. 325 del 2011), invece, ha accolto in parte qua un altro ricorso proposto dalla s.p.a. TOD’S, annullando le licenze commerciali nn. 7047 e 7048 del 30 marzo 2009 e n. 29671 del 23 dicembre 2008, rilasciate dal Comune di Sant’Elpidio al Mare alla società “Il Castagno”, per l’apertura di tre esercizi commerciali negli edifici A, B e C-D.
Avverso le suddette sentenze del TAR venivano interposti appelli sia da parte della originaria ricorrente s.p.a. TOD’S, che da parte dell’originario controinteressato Castagno S.r.l. Agricola Forestale.
Gli appelli, previa loro riunione, sono stati respinti da questa Sezione, con la sentenza in questa sede oggetto del ricorso in opposizione.
In sostanza, e per quanto rileva in questa fase del giudizio, la sentenza resa in appello da questa Sezione:
- ha confermato la statuizione del TAR di annullamento delle autorizzazioni commerciali nn. 7047 e 7048 del 2009 e n. 29671 del 2008 rilasciate alla società “Il Castagno”;
- ha rilevato che la s.p.a. TOD’S, con il suo ricorso di primo grado, non doveva anche impugnare le autorizzazioni commerciali rilasciate in favore degli attuali opponenti, poiché a tali provvedimenti va riconosciuto un carattere derivato, subordinato e meramente consequenziale rispetto all’efficacia di quelle rilasciate illegittimamente alla società “Il Castagno” (con la inevitabile conseguenza per cui l’annullamento delle autorizzazioni rilasciate nel 2008 e 2009 non può che comportare la caducazione degli effetti delle autorizzazioni rilasciate agli opponenti).
2. Gli odierni opponenti hanno lamentato:
a) la violazione dei principi di effettività della tutela giurisdizionale, di parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo sotto vari profili;
b) la violazione degli artt. 24 e 111 Cost e degli artt. 1, 2 e 105 c.p.a.;
c) l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione.
3. Costituitasi in giudizio, la s.p.a. TOD’S eccepisce:
a) l’inesistenza della notifica dell’opposizione, perché fatta presso lo studio dell’avvocato Sergio Del Vecchio, che nel ricorso al Consiglio di Stato non risultava domiciliatario;
b) la tardività dell’opposizione, perché gli opponenti erano a conoscenza della vicenda processuale; c) l’inammissibilità dell’opposizione che dovrebbe essere introdotta con ricorso per ottemperanza;
d) l’infondatezza nel merito dei motivi di opposizione.
4. Ritiene la Sezione che il ricorso in esame - per opposizione di terzo – vada dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione degli odierni opponenti, considerazione quest’ultima che consente di ritenere assorbite tutte le altre eccezioni proposte dalla s.p.a. TOD’S.
Tale statuizione di inammissibilità è strettamente connessa alla constatazione della infondatezza dei primi due motivi del ricorso in esame, con cui è dedotto che la sentenza di questo Consiglio n. 4048 del 2013 sarebbe stata pronunciata in violazione del principio del contraddittorio, perché non sono risultati parti del giudizio gli attuali opponenti.
4.1. L’opposizione di terzo cd. ordinaria, introdotta nell’ordinamento processuale amministrativo con la sentenza n. 177 del 17 maggio 1995 della Corte costituzionale, è stata disciplinata dall’art. 108, comma 1, c.p.a., secondo il quale: “Un terzo può fare opposizione contro una sentenza del tribunale amministrativo regionale o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorché passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi”.
Prima della citata sentenza della Corte Costituzionale, la tutela del terzo, che avesse subito un pregiudizio diretto dalla sentenza amministrativa, veniva assicurata attraverso vari strumenti processuali, affinati in via interpretativa dalla giurisprudenza di questo Consiglio, prevedendosi: - una nozione estesa della legittimazione ad appellare; - un’ampia possibilità di intervento nel giudizio di secondo grado; - la teorizzata possibilità di introdurre nel giudizio amministrativo la chiamata di terzo jussu judicis.
4.2. L’art. 108 del c.p.a. ha allineato in linea di principio il processo amministrativo a quello civile, prevedendo alla stregua dell’art. 404 c.p.c., sia l’opposizione di terzo cd. ordinaria che quella cd. revocatoria.
Allo stesso modo di quanto dispone l’art. 404 c.p.c., infatti, anche l’attuale formulazione dell’art. 108, comma 1, c.p.a., dopo le modifiche portate dal d.lgs. n. 195/2011, incentra la legittimazione a proporre opposizione: a) sulla mancata partecipazione al giudizio conclusosi con la sentenza opposta; b) sul pregiudizio che reca la sentenza ad una posizione giuridica di cui l’opponente risulti titolare.
4.3. Quanto al primo dei due presupposti, va chiarito che la nozione di terzo va parametrata su quella di parte e – se si tratta di una sentenza che ha deciso su posizioni di interesse legittimo – deve tenere conto della nozione di parte in senso formale nel suo significato riguardante il giudizio amministrativo di legittimità.
Quindi, ai fini dell’opposizione di terzo ordinaria, quale ‘terzo’ deve ritenersi il litisconsorte necessario pretermesso, ma non anche i successori delle parti a titolo universale o particolare (Cons. St., Sez. IV, 3 settembre 2008, n. 4109), ovvero i creditori o aventi causa, che possono, invece, utilizzare lo strumento della cd. opposizione revocatoria.
Pertanto, il litisconsorte necessario pretermesso (dunque, il controinteressato cui non sia stato notificato il ricorso di primo grado) deriva la sua legittimazione a proporre l’opposizione di terzo direttamente dalla sua qualità soggettiva, a differenza degli altri soggetti ‘terzi’ (siano stati anch’essi legittimati ad impugnare il provvedimento e che vi abbiano fatto acquiescenza, ovvero che siano titolari posizioni di posizioni secondarie derivate, rispetto a quelle di cui siano titolari le parti necessarie del giudizio).
4.4. Quanto alla delimitazione del secondo dei due presupposti, ossia quella del pregiudizio, mentre nel caso del litisconsorte necessario pretermesso la lesione della sua sfera giuridica deriva in re ipsa dal riconoscimento stesso della sua condizione processuale e dalla sentenza che abbia annullato l’atto per lui favorevole, la questione richiede maggiori indagini per il caso in cui una sentenza (o la sua esecuzione) arrechi un pregiudizio ad una posizione giuridica riferibile ad un soggetto non definibile quale controinteressato e dunque quale litisconsorte necessario pretermesso.
Al riguardo, osserva la Sezione che, per la pacifica giurisprudenza, per ‘controinteressato’ si deve intendere quel soggetto titolare di un interesse alla conservazione dell’atto o alla mancata adozione dell’atto, che il ricorrente intende superare, individuato nell’atto stesso o facilmente individuabile (come chiarito da Cons. St., Ad. Plen., 8 maggio 1996, n. 2): ebbene, il controinteressato pretermesso nel caso di mancato coinvolgimento in giudizio assume la qualifica di litisconsorte necessario pretermesso e può agire con lo strumento di cui all’art. 108, comma 1, c.p.a.
Accanto a quest’ultima figura, però, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – nella pronuncia n. 2 del 2007 – ha chiarito che esistono altre tipologie di controinteressato, individuandole nel controinteressato sopravvenuto e nel controinteressato occulto, ossia o in colui che abbia conseguito un titolo abilitativo, un beneficio o uno status da un provvedimento ulteriore conseguente alla conclusione di un procedimento autonomo rispetto a quello presupposto già impugnato, ovvero in colui che sia sostanzialmente un controinteressato (in quanto la sentenza di accoglimento del ricorso lederebbe in via immediata l’interesse che questi nutre alla conservazione del provvedimento amministrativo o alla sua mancata adozione), ma non sia facilmente individuabile dalla lettura dell’atto impugnato.
Questi ultimi, per proporre l’opposizione di terzo e non avendo la qualità di controinteressato cui andava notificato il ricorso originario, devono risultare titolari di una posizione giuridica autonoma e incompatibile, come in tutte le altre ipotesi nelle quali un terzo pretenda di proporre opposizione.
4.5. In una ben diversa situazione si trovano coloro che, come gli odierni opponenti, sono titolari di una posizione secondaria, e pertanto accessoria e riflessa, ad es. perché hanno stipulato un contratto con una delle parti necessarie (nella specie, con la società controinteressata in primo grado, ma il principio è ugualmente applicabile anche all’avente causa del ricorrente principale).
L’ordinamento, per i titolari delle posizioni secondarie, accessorie e riflesse, non solo non ha previsto il conferimento della qualità di parte necessaria del processo (sicché risultano infondati i primi due motivi d’appello), ma, inoltre, non ha previsto alcun autonomo rimedio di impugnazione avverso la sentenza che sia sfavorevole al proprio dante causa, titolare della situazione primaria, autonoma e sostanziale.
La situazione primaria, autonoma e sostanziale (a parte la posizione del ricorrente) è riferibile alla figura del controinteressato in senso stretto, al c.d. controinteressato sostanziale che sia beneficiario dell’atto impugnato (ma in esso non menzionato espressamente) ed a quella del beneficiario del provvedimento finale del procedimento, ovvero successivo e connesso a quello presupposto, originariamente impugnato.
A differenza della parte necessaria pretermessa, il titolare della posizione secondaria, accessoria e riflessa (pur potendo intervenire nel giudizio, presentare la domanda di fissazione di udienza e proporre il regolamento preventivo di giurisdizione: Sez. IV, 31 luglio 1981, n. 891, Sez. VI, 15 marzo 1977, n. 239), non è una parte necessaria, si trova in una posizione processuale subordinata a quella della parte principale, non può ampliare in alcuna sede l’oggetto della controversia (o porre in essere atti che comportino la disponibilità del rapporto controverso) e non è legittimato a proporre opposizione avverso la sentenza (di primo o di secondo grado) lesiva per il titolare della posizione principale.
Egli (sia o meno intervenuto nel corso del giudizio, anche in sede di appello) non è comunque legittimato a proporre l’opposizione di terzo ordinaria, proprio perché per la pacifica dottrina e giurisprudenza la relativa legittimazione va riconosciuta unicamente al litisconsorte necessario pretermesso ed al titolare di una posizione autonoma, incompatibile e prevalente (cfr. Sez. IV, 20 maggio 1996, n. 655).
Infatti, la sussistenza di un interesse ad intervenire nel giudizio (di cui sia parte il dante causa, titolare della posizione giuridica oggetto di una controversia) non comporta che sussista anche la legittimazione ad impugnare la sentenza lesiva per il dante causa (Ad. Plen., 11 giugno 2001, n. 3).
4.6. Al riguardo, va notato che, prima delle modifiche portate dal d.lgs. 195/2011, il comma 1 dell’art. 108 c.p.a. faceva riferimento esplicito al terzo “titolare di una posizione autonoma e incompatibile”, che nel testo vigente è venuta meno.
Questa eliminazione non deve far ritenere, però, che sia stato esteso l’utilizzo dello strumento de quo anche ai soggetti titolari di una posizione derivata.
La novella, infatti, ha voluto evitare che possa essere richiesto al litisconsorte pretermesso una prova diversa e più gravosa rispetto a quella della sua pretesa processuale alla non integrità del contraddittorio, che inficia la sentenza opposta.
4.7. La diversità tra le due posizioni porta anche a valutare in modo differente gli strumenti a disposizione delle due categorie di soggetti, giacché, nel caso di litisconsorte pretermesso, la sua opposizione ha un marcato tratto rescindente, tendendo alla demolizione della sentenza ed alla ripetizione del giudizio; nel caso, invece, del terzo titolare di una posizione autonoma e incompatibile l’opposizione ha natura rescindente e rescissoria, poiché mira anche all’accertamento di una pretesa in conflitto con quella accertata giudizialmente.
4.8. Resta a questo punto da chiarire cosa debba intendersi per posizione giuridica autonoma e incompatibile.
Innanzitutto, l’interesse fatto valere non deve essere un interesse di mero fatto, ma una situazione giuridica soggettiva. Inoltre, la situazione giuridica in questione deve essere autonoma, ossia non deve essere direttamente incisa dalla sentenza opposta, né deve risultare in posizione di derivazione o dipendenza rispetto a quella oggetto di accertamento giudiziale.
Come rilevato da Cons. St., sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451, “la legittimazione a proporre opposizione di terzo nei confronti della decisione del giudice amministrativo resa tra altri soggetti va riconosciuta: a) ai controinteressati pretermessi; b) ai controinteressati sopravvenuti; c) ai controinteressati non facilmente identificabili; d) in generale, ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma e incompatibile, rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione, con esclusione, di conseguenza, dei titolari di un diritto dipendente, ovvero di soggetti interessati di riflesso, non sussistendo per questi, per definizione, il requisito dell'autonomia della loro posizione soggettiva”.
Infine, la situazione giuridica deve essere incompatibile, nel senso che l’accertamento giudiziale deve aver prodotto la contemporanea esistenza di poteri e facoltà su di un bene della vita che non possono coesistere, sotto forma di convergenza di interessi ovvero di divergenza di interessi (Cons., St., sez. V, 28 settembre 2011, n. 5391; Cass., Sez. Un., 11 febbraio 2003, n. 1997).
5. Tanto premesso, ritiene il Collegio che nella fattispecie in esame gli opponenti sono titolari di una posizione giuridica derivata rispetto a quella che è stata oggetto dell’accertamento giudiziale con la sentenza di questa Sezione n. 4048 del 2013, nella misura in cui la sussistenza della titolarità delle loro licenze commerciali dipende dalla validità e dalla efficacia dei provvedimenti amministrativi del Comune di Sant’Elpidio a Mare di rilascio delle licenze commerciali nn. 7047 e 7048 del 30 marzo 2009 e n. 29671 del 23 dicembre 2008, alla società “Il Castagno” e non sono, invece, titolari di una posizione giuridica autonoma e incompatibile rispetto alla conservazione delle licenze commerciali il cui annullamento, già statuito dal TAR per le Marche con le sentenze sopra citate, è stato poi confermato con la sentenza opposta.
Il bene della vita conteso tra le parti oggetto del giudizio che si è concluso con la sentenza opposta è diverso, infatti, da quello vantato dagli opponenti, e rispetto a questo presenta evidenti tratti di derivazione, poiché le licenze commerciali di quest’ultimi poggiano su quelle annullate.
Argomenti a favore della tesi degli opponenti non derivano dal fatto che, a seguito della pubblicazione della sentenza di questo Consiglio n. 4048 del 2013, il Comune abbia trasmesso anche alle opponenti l’avviso di avvio del procedimento, volto ad emanare i provvedimenti amministrativi consentiti dal sistema e che siano coerenti con la medesima sentenza, poiché è del tutto ragionevole che l’Amministrazione soccombente, per valutare le ulteriori determinazioni da decidere, coinvolga tutti gli interessati – da intendere in senso lato – per una adeguata valutazione degli interessi in conflitto.
6. In definitiva nessuno degli opponenti risulta legittimato a proporre l’opposizione in esame che deve essere conseguentemente dichiarata inammissibile.
7. Nella particolare complessità delle questioni giuridiche proposte si ravvisano eccezionali ragioni per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Compensate le spese della presente fase del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il **/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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