Pubblicato il 02/05/2017

N. 01979/2017REG.PROV.COLL.

N. 05594/2012 REG.RIC.

logo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5594 del 2012, proposto da:
Severn Trent Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Faustino De Palma, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Petrillo in Roma, via Mordini, n. 14;

contro

Comune di Alassio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Bormioli, Mariano Protto, con domicilio eletto presso lo studio Mariano Protto in Roma, via Maria Cristina, n. 2;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE II n. 00820/2012, resa tra le parti, concernente risarcimento danni - affidamento in concessione della realizzazione e gestione del depuratore comunale;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Alassio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Faustino De Palma, Giovanni Bormioli e, in sostituzione dell’avvocato Protto, Giovanni Corbyons;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe, il T.a.r. per la Liguria ha accolto in parte, limitatamente al risarcimento del danno commisurato al c.d. interesse negativo, il ricorso proposto dalla società Severn Trent Italia s.p.a. contro il Comune di Alassio.

La sentenza appellata ha ritenuto sussistente la responsabilità precontrattuale del Comune di Alassio nell’ambito della procedura di gara per la realizzazione in project financing del depuratore comunale.

L’amministrazione comunale, in particolare, dopo avere aggiudicato in via definitiva la gara alla società Severn Trent Italia, è rimasta inerte, nonostante le ripetute diffide ricevute, nella successiva fase ed ha di fatto omesso di stipulare il relativo contratto.

2. Il T.a.r. ha riconosciuto il risarcimento del danno nei limiti del c.d. interesse negativo ed ha liquidato alla società ricorrente il rimborso delle spese inutilmente sopportate in vista della conclusione del contratto (c.d. danno emergente), negando, invece, sia il danno correlato alla perdita delle ulteriori occasioni di stipula di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, sia il danno curriculare.

3. A titolo di danno emergente, il T.a.r. ha liquidato € 219.337,26 a titolo di spese di fideiussione, € 10.000, in via equitativa, a titolo di spese di progettazione e predisposizione dell’offerta; € 60.000 a titolo di spese di asseverazione. Su tali importi ha poi applicato una decurtazione del 25% a titolo di concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227, comma 2, c.c.; la colpa del danneggiato è stata ravvisata nel fatto che la società ricorrente avrebbe rinunciato a coltivare anche giudizialmente l’efficacia dell’aggiudicazione e la conclusione del contratto, concentrandosi esclusivamente sulla tutela risarcitoria per equivalente.

Il T.a.r., quindi, applicata la decurtazione per il riconosciuto concorso di colpa, ha liquidato un danno per complessivi € 217.002,945.

4. La sentenza in esame è stata appellata sia Severn Tern Italia s.p.a. con appello principale, sia dal Comune di Alassio, con appello incidentale.

5. La società appellante principale contesta la sentenza sia con riferimento alla individuazione delle voci di danno risarcibile, sia con riferimento alla quantificazione di esse.

In ordine al primo profilo (danni risarcibili), la società appellante assume che il T.a.r. avrebbe dovuto liquidare anche il danno da perdita di chance contrattuale alternativa e il danno curriculare.

In ordine al secondo profilo (quantificazione delle voci di danno), l’appellante reclama:

- a titolo di spese di progettazione e per la predisposizione dell’offerta l’importo di € 452.000 (a fronte dell’importo di € 10.000, liquidato dal T.a.r.);

- il riconoscimento, sulle somme riconosciute, oltre agli interessi, anche della rivalutazione monetaria, trattandosi di risarcimento del danno e, quindi, di credito c.d. di valore;

- contesta inoltre la decurtazione del 25% operata dal T.a.r. a titolo di concorso di colpa ex art. 1227, comma 2, c.c.

6. Il Comune di Alassio nel suo appello incidentale contesta invece:

- la qualificazione data dal T.a.r. della responsabilità dell’Amministrazione in termini di responsabilità precontrattuale, deducendo che tale titolo di responsabilità non era stata invocato dalla società ricorrente, che aveva, invece, proposto una domanda risarcitoria in base all’art. 11, comma 9, del decreto legislativo n. 163/2006;

- la sussistenza della stessa responsabilità dell’Amministrazione, non risultando né l’elemento oggettivo della illegittimità, né quello soggettivo della colpa;

- la quantificazione del danno operata dal giudice per quanto riguarda in particolare le spese di asseverazione, le spese per la fideiussione e le spese, liquidate in via equitativa, per la progettazione e la partecipazione alla gara.

7. Alla pubblica udienza del 2 marzo 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.

8. Seguendo il naturale ordine logico delle questioni, occorre esaminare preliminarmente i motivi dell’appello incidentale del Comune di Alassio, con i quali si contesta sia la sussistenza della responsabilità, sia la qualificazione della stessa in termini di responsabilità precontrattuale.

9. I motivi sono infondati.

10. Il comportamento del Comune di Alassio che, dopo l’adozione dell’aggiudicazione definitiva, ha omesso di addivenire, senza offrire alcuna plausibile giustificazione, alla stipula del relativo contratto, integra un comportamento contrario ai generali doveri di correttezza e di buona fede, i quali, come riconosciuta da una giurisprudenza ormai pacifica, trovano applicazione, nonostante la loro derivazione privatistica (cfr. art. 1337 c.c.), anche nell’ambito del procedimento amministrativo, a maggior ragione se si tratta di un procedimento di evidenza pubblica finalizzato alla stipula di un contratto.

La responsabilità in esame è una responsabilità da comportamento (amministrativo) scorretto, non da provvedimento illegittimo: essa nasce dalla violazione di norme (come si è detto di derivazione privatistica) che hanno ad oggetto il comportamento della pubblica amministrazione, non l’invalidità del provvedimento. La responsabilità precontrattuale, pertanto, sussiste anche a prescindere dall’invalidità provvedimentale, perché il danno che il privato lamenta non discende dal provvedimento, ma dal comportamento tenuto dall’Amministrazione (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 633)

A differenza di quanto ritenuto dal Comune, la responsabilità precontrattuale non richiede, quindi, come presupposto l’illegittimità provvedimentale.

12. In ordine all’elemento soggettivo della colpa, deve, in primo luogo, rilevarsi come, secondo la tesi prevalente nella più recente giurisprudenza (da ultimo Cass. Civ., sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188), la responsabilità precontrattuale integra una ipotesi di responsabilità c.d. contrattuale da inadempimento di un’obbligazione di protezione (di lealtà e correttezza) che nasce, ex lege, in conseguenza del contatto sociale che si instaura tra le parti nel corso della trattativa precontrattuale.

Trattandosi di responsabilità di matrice contrattuale, l’onere della prova trova la sua disciplina nell’art. 1218 c.c. e non nell’art. 2043 c.c. Non è, quindi, il danneggiato a dovere fornire la prova della colpa del danneggiante, ma è quest’ultimo, debitore di un’obbligazione ex lege, a dover fornire la prova liberatoria indicata dall’art. 1218 c.c.

L’art. 1218 c.c., peraltro, prevede una prova liberatoria che non si esaurisce nella prova dell’assenza di colpa. La norma codicistica, al contrario, richiede al debitore uno sforzo probatorio maggiore, dovendo questi dimostrare che l’inadempimento è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da una causa (che lo stesso debitore ha l’onere di individuare, subendo il rischio della c.d. causa ignota) derivante da un fatto a lui non imputabile.

Dunque, solo dopo che è stata provata l’impossibilità – da intendersi in senso oggettivo (anche se non assoluto, perché il criterio per determinare fino a quando la prestazione è ancora possibile a sua volta risente del canone generale della buona fede, che impone di considerare impossibile quelle prestazioni che, sebbene ancora astrattamente realizzabili, richiederebbero da parte del debitore, in concreto, uno forzo che travalica il limite di quanto è esigibile in base alle regole della correttezza) – e solo dopo che è stata individuata la causa di tale impossibilità, la colpa assume un ruolo, potendo, solo in questo momento, il debitore dimostrare che non è imputabile a colpa il fatto che ha oggettivamente causato l’impossibilità della prestazione.

13. Nel caso di specie, il Comune non ha fornito questa articolata prova liberatoria, limitandosi ad invocare una, peraltro indimostrata, assenza di colpa.

14. Non hanno pregio nemmeno le censure con cui si lamenta che il T.a.r. avrebbe mutato la qualificazione giuridica del titolo della responsabilità, ritenendola precontrattuale, ancorché la domanda risarcitoria non invocasse la responsabilità precontrattuale.

Sotto tale profilo, deve richiamarsi il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui spetta al giudice la qualificazione giuridica della fattispecie, ben potendo, quindi, il giudice ritenere la natura precontrattuale della responsabilità, ancorché tale qualificazione giuridica non sia stata formalmente dedotta nella domanda introduttiva, specie nel caso, che è quello che ricorre nel presente giudizio, in cui la ricorrente ha sin dall’inizio fatto valere la scorrettezza comportamentale nella fase successiva all’aggiudicazione come titolo di responsabilità.

15. Risulta, quindi, accertato l’an della responsabilità.

16. In ordine al quantum del danno riconosciuto, le reciproche censure (formulate nell’appello principale ed incidentale) possono essere esaminate congiuntamente.

Esse sono infondate, fatta eccezione per il motivo dell’appello principale diretto a lamentare il mancato riconoscimento della rivalutazione.

17. Il danno è stato infatti correttamente riconosciuto nei limiti del c.d. interesse negativo, in coerenza con la natura precontrattuale della responsabilità.

18. Esula dall’interesse negativo il c.d. danno curriculare, che, invece, è strettamente correlato al c.d. interesse positivo: esso deriva, infatti, dalla mancata esecuzione (e, quindi, dall’impossibilitò di indicare nel curriculum professionale dell’impresa, con conseguimento mancato rafforzamento della sua immagine professionale) di un contratto che si avrebbe avuto titolo ad eseguire. Esso, quindi, presuppone che l’impresa rivendichi l’aggiudicazione dell’appalto, mentre nel caso di specie l’odierna appellante si duole, facendo valere la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, dell’inutilità della “trattativa” (svoltasi nell’ambito della, a sua volta, inutile, procedura di evidenza pubblica), che non ha portato, per la scorrettezza del Comune, ad alcun contratto.

19. Il danno da perdita della chance contrattuale alternativa, invece, rientrerebbe, in astratto nell’ambito del c.d. interesse negativo, ma nel caso di specie, non può essere riconosciuta, perché non supportato da alcuna prova.

20. Per quanto concerne la liquidazione delle singole voci di danno, i reciproci motivi di appello sono infondati alla luce delle seguenti considerazioni.

21. Vanno, anzitutto, richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di prova del danno: a) spetta all'impresa danneggiata offrire la prova dell'utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest'ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra Amministrazione e privato la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, primo comma, c.c.;

b) la valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno;

c) le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente tecnico d'ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta "percipiente", che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l'accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti;

d) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della «inferenza necessaria»), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'«id quod plerumque accidit » (in virtù della regola della «inferenza probabilistica»), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici.

22. Ciò premesso, venendo alle singole voci di danno, la Sezione osserva che, per quanto riguarda le spese di asseverazione, le fatture prodotte dalla società appellante integrano, in assenza di una puntuale prova contraria (che il Comune non ha fornito limitandosi ad allegare la possibilità che esse non siano state pagate e a sollevare dubbi sulla stessa efficacia probatoria delle scritture private se non supportate da ulteriori elementi prova), un indizio grave, preciso e univoco, idoneo a fondare una presunzione semplice (la quale costituisce a tutti gli effetti un mezzo di prova) che consente di ritenere provato il danno nella misura indicata dai primi giudici.

23. Non rileva nemmeno la circostanza che la società C.L.D. non abbia svolto attività di asseverazione in senso proprio, ma attività di assistenza e di consulenza per la formulazione della proposta, atteso che, comunque, anche questi costi rientrano nel danno emergente che la ricorrente ha subito per la inutile partecipazione alla gara.

24. Risultano altresì adeguatamente provate e documentate le spese sostenute per la fideiussione, la cui operativa oltre il termine previsto è oggettivamente imputabile (alla luce delle considerazioni già svolte), alla scorrettezza precontrattuale del Comune,

25. Non meritano ugualmente accoglimento le doglianze dell’appellante principale in ordine alla liquidazione, compiuta dal T.a.r. in via equitativa, delle spese di progettazione e di predisposizione dell’offerta.

26. L’appellante principale lamenta che il T.a.r. avrebbe dovuto riconoscerle la somma di € 452.000, pari al 2,5 % dell’investimento previsto, alla luce di quanto prevede l’art. 153, comma 9, del d.lgs. n. 163/2006.

La tesi non ha pregio in quanto quella percentuale è contemplata dalla legge a carico dell’aggiudicatario esclusivamente a favore del promotore, nel caso in cui esso non risulti aggiudicatario e rappresenta un indennizzo a fronte delle spese sostenute dal medesimo per la predisposizione della proposta originale di project financing.

Nel caso di specie, invece, Severn Trent non ha elaborato la proposta ma si è limitata a modificare un progetto già esistente, in quanto predisposto dal promotore Acqua Azzurra; risulta pertanto condivisibile la liquidazione equitativa operata dalla sentenza impugnata.

27. Anche la decurtazione del 25% del danno a titolo di concorso di colpa risulta condivisibile.

Non vi è dubbio, infatti, che l’aggiudicataria, già titolare dell’aggiudicazione definitiva avrebbe potuto scongiurare l’esito vano della procedura utilizzando gli strumenti di tutela finalizzati ad ottenere giudizialmente la conclusione del contratto. Essa ha, invece, sostanzialmente rinunciato ad attivare gli strumenti di tutela volti alla conclusione del contratto, contribuendo, quindi, con il suo comportamento sostanzialmente rinunciatario, all’esito negativo che la gara ha avuto.

28. Risulta, invece, fondato, come si è anticipato, il motivo di appello diretto ad ottenere la rivalutazione monetaria sulla somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno. Il credito risarcitorio è, infatti, un credito di valore, non di valuta: il riconoscimento della rivalutazione monetaria rappresenta, quindi, una componente necessaria del c.d. danno emergente, nel senso che, come riconosce una giurisprudenza del tutto pacifica, in assenza dell’attualizzazione dei valori monetari, il danneggiato non vedrebbe interamente reintegrata la perdita che ha subito (cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. III, 10 giugno 2016, n. 11893 secondo cui: “Ai fini dell'integrale risarcimento del danno conseguente a fatto illecito sono dovuti sia la rivalutazione della somma liquidata ai valori attuali, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, che deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale, sia gli interessi compensativi sulla predetta somma, che sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito”.

Sull’importo liquidato deve, dunque, essere riconosciuta anche la rivalutazione dalla data dell’aggiudicazione (che segna l’inizio del comportamento omissivo illecito dell’Amministrazione) sino alla pubblicazione della presente sentenza, utilizzando a tal fine gli indici nazionali dei prezzi al consumo elaborati dall’Istat. Di conseguenza, gli interessi (compensativi) già riconosciuti dal T.a.r. andranno computati sulla somma anno per anno rivalutata.

29. La complessità delle questioni esaminate e l’accoglimento dell’appello principale, limitato ad un solo motivo, giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di appello, come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie in parte, nei sensi specificati in motivazione, l’appello principale; respinge l’appello incidentale.

Compensa per metà le spese del presente grado di giudizio, che liquida, per l’altra metà, in €. 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2017 con l'intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
Roberto GiovagnoliCarlo Saltelli
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO