Pubblicato il 31/08/2016 N. 03736/2016REG.PROV.COLL. N. 04932/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comando Interregionale dell'Italia Meridionale della Guardia di Finanza, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; per la riforma della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VI n. 05596/2015; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Comando Interregionale dell'Italia Meridionale della Guardia di Finanza; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 agosto 2016 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l’avvocato Domenico Bonaiuti e l'avvocato dello Stato Capolupo; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Con determina in data 23 luglio 2013 al signor -OMISSIS-, appuntato scelto di mare appartenente alla Guardia di finanza, è stata inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione con iscrizione senza alcun grado nel ruolo dei militari di truppa della Marina militare: a) per essere stato sorpreso, da militari dell’Arma dei carabinieri, in compagnia di un pregiudicato nell’atto di acquistare sostanze stupefacenti pagandone il prezzo; b) per avere cercato di indurre i militari dell’Arma a desistere dal controllo mostrando il tesserino del Corpo; c) per avere tardivamente informato dell’accaduto il proprio comandante di Reparto. 2. Il signor -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento espulsivo, contrapponendo una propria diversa versione dei fatti a quella contenuta nella motivazione dell’atto gravato e censurando una pretesa violazione del principio di proporzionalità fra addebito disciplinare e sanzione. 3. Con sentenza 3 dicembre 2015, n. 5596, il T.A.R. per la Campania, sez., VI, ha respinto il ricorso. 4. Il signor -OMISSIS- ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva. 5. L’Amministrazione si è costituita in giudizio per resistere all’appello. 6. Alla camera di consiglio del 30 agosto 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione. 7. Nella sussistenza dei requisiti di legge e avendone informato le parti presenti in camera di consiglio, il Collegio è dell’avviso di poter definire l’incidente cautelare nel merito con una sentenza in forma semplificata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a. L’opposizione alla decisione breve, mossa in camera di consiglio dalla parte privata, si fonda su una pretesa incompletezza del quadro probatorio e istruttorio che il Collegio, anche in mancanza di deduzioni o elementi nuovi rispetto a quelli introdotti in primo grado, ritiene invece esauriente (sul punto, cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 813). 8. L’appello è infondato. 8.1. La parte privata insiste molto sulla sproporzione fra addebito contestato e sanzione, che vizierebbe di illegittimità il provvedimento impugnato. 8.2. Senonché, in primo luogo non è lecito contestare ulteriormente la ricostruzione dei fatti posta a fondamento della destituzione, essendo stato il punto dettagliatamente vagliato dal primo giudice e deciso con argomentazioni che meritano piena condivisione, alle quali è sufficiente rinviare. 8.3. E’ dunque indiscusso che il signor -OMISSIS- sia stato in strettissimo contatto con persone e ambienti dediti allo spaccio di stupefacenti. 8.4. Egli non può dolersi di alcuna possibile lesione del criterio della proporzionalità, posto che vale senza dubbio al riguardo quella giurisprudenza - elaborata da questa Consiglio di Stato con riguardo a finanzieri (e più in generale militari) dediti all’uso anche occasionale di droghe, ma evidentemente espressiva di un principio generale - secondo cui: a) la potestà disciplinare, nelle sue forme proprie, opera in sfera diversa da quella che inerisce al magistero penale; b) la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente, in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che per violazione delle norme procedurali o in alcune ipotesi-limite di eccesso di potere, sotto il profilo della abnormità e del travisamento dei fatti (fattispecie che qui non ricorrono); c) il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto che, anche dopo la sua espressa codificazione a livello comunitario sulle suggestioni del diritto tedesco (art. 5, ultimo comma, del Trattato C.E., e ora art. 5, comma 4, del Trattato U.E.), non consente di controllare il merito dell’azione amministrativa; inizialmente delineato in sede di verifica degli atti adottati dagli organismi comunitari, il principio è stato successivamente utilizzato dalla Corte di giustizia anche per l’esame della legittimità della normativa di recepimento degli atti comunitari emanata dagli Stati membri (cfr. Corte giust. 18 maggio 1993, causa C-126/91); la rilevanza assunta dal controllo di proporzionalità nella giurisprudenza comunitaria ha posto il problema dei limiti entro i quali tale esame possa esercitarsi; a tale proposito, la Corte ha rilevato che il riscontro di proporzionalità riguardi «solo il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di un siffatto provvedimento» (cfr. Corte giust. 16 dicembre 1999, causa C-101/98,); ciò significa che il sindacato giurisdizionale non può spingersi ad un punto tale da sostituire l’apprezzamento dell’organo competente con quello del giudice, valutando l’opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente le misure (per queste considerazioni, si veda puntualmente Cons. Stato, sez. IV, 9 ottobre 2010, n. 7383); d) ciò premesso, non è né illogica, irragionevole o sproporzionata la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti colluso con ambienti dediti al commercio illegale di sostanze stupefacenti, tenuto conto in primo luogo che l’appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto – fra l’altro – al contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti impone di valutare la condotta ascritta all’appellante con la dovuta severità (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2010, n. 2927; sez IV, 4 maggio 2010, n. 2548; sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2927; sez. IV, 26 ottobre 2010, n. 8352; sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8352; sez. IV 18 novembre 2011, n. 6096 e n. 6099; sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6540; sez. IV, 11 marzo 2013, n. 1474; sez. IV, ord. 16 giugno 2016, n. 2239); e) infatti la condotta rimproverata è del tutto inammissibile per un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza perché, ponendosi in conflitto con uno specifico dovere istituzionale, costituisce una violazione degli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa l’irrilevanza penale del fatto, l’asserita mancanza di ripercussione sociale, i positivi precedenti dell’incolpato, ma giustifica la sanzione espulsiva ai sensi dell’art. 40, n. 6, della legge 3 agosto 1961, n. 833, a detta del quale il militare di truppa incorre nella perdita del grado quando è stato rimosso “per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina”; f) né può ritenersi che la gravità del comportamento del militare incolpato debba o possa influire sulla misura della sanzione in essa contemplata. Come ha più volte affermato il Consiglio di Stato, la perdita del grado è infatti “sanzione unica ed indivisibile”, non essendo suscettibile di essere regolata tra un minimo e un massimo entro i quali all’Amministrazione spetti di esercitare il potere sanzionatorio. 9. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado e dei provvedimenti impugnati. 10. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso. 11. Alle spese di lite, che seguono la regola della soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo i parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55, va aggiunta - tenuto conto delle caratteristiche del fatto e del tenore delle argomentazioni difensive - la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 26, comma 2, c.p.a. alla stregua dei principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4812, cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.). P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando sull’appello, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese processuali del presente grado, che liquida nell’importo di euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre agli accessori di legge. Condanna inoltre la medesima parte al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 26, comma 2, c.p.a., che liquida nell’importo di euro 1.000,00 (mille/00). Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare …………. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 agosto 2016 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente Fabio Taormina, Consigliere Andrea Migliozzi, Consigliere Leonardo Spagnoletti, Consigliere Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati. |