Pubblicato il 31/08/2016

N. 03740/2016REG.PROV.COLL.

N. 07637/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7637 del 2015, proposto dal dottor Stefano Angelini, rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Zambelli C.F. ZMBFNC43A05D325J e Mario Ettore Verino C.F. VRNMTT39P03H501I, con domicilio eletto presso Mario Ettore Verino in Roma, via Barnaba Tortolini, 13

contro

Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Rossi C.F. RSSFNC61P26G224T, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
Segretario Generale P.T. della Programmazione della Regione Veneto

nei confronti di

Giuseppe Fasiol e Mariano Carraro

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Veneto, Sezione II, n. 484/2015


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Veneto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Mario Ettore Verino ed Enrico Minnei su delega dell'avv. Francesco Rossi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da un dirigente della Regione Veneto per la riforma della sentenza del T.A.R. del Veneto con cui è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso da lui proposto avverso gli atti con cui la Regione ha operato la ‘graduazione’ degli Uffici regionali anche al fine dell’attribuzione delle fasce rilevanti ai fini del trattamento economico

2. L’appello è infondato.

2.1. Il Collegio osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, gli atti con cui la Regione ha proceduto alla graduazione degli uffici regionali ai fini della corretta attribuzione del trattamento economico non vengono qui riguardati quali atti di macrorganizzazione.

Non si fa quindi questione di confermare o smentire l’orientamento (peraltro, più che consolidato) secondo cui ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego occorre distinguere tra gli atti di macro - organizzazione (concernenti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento degli incarichi dirigenziali), assoggettati a principi e regole pubblicistiche, e atti di micro - organizzazione, che si collocano al di sotto della soglia di configurazione degli uffici pubblici, regolati dalla disciplina privatistica (in tal senso- ex multis – Cons. Stato, V, 28 novembre 2013, n. 5684).

Ed infatti, sotto il profilo sostanziale, la pretesa vantata dall’appellante (volta, in ultima analisi al riconoscimento di una fascia economica ritenuta più adeguata alle caratteristiche dell’incarico conferito) ha ad oggetto diritti soggettivi in una materia che non rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., bensì nell’ambito della generale giurisdizione del G.O. in tema di atti paritetici che incidono sul rapporto di impiego pubblico privatizzato quale è quello dei dirigenti di amministrazioni pubbliche (articoli 5 e 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165).

2.2. Ne consegue che del tutto correttamente i primi Giudici hanno affermato che, nel caso in esame, la questione di giurisdizione debba essere risolta sulla base della consistenza della posizione giuridica azionata, da individuarsi in base al complesso delle richieste e dei fatti allegati (in tal senso –ex multis -: Cass. Civ., Sez. un., 31 marzo 2009, n. 7768)

Ma, riguardando la questione sotto il versante sostanziale, emerge che il ricorrente mira ad ottenere in giudizio il riconoscimento del proprio diritto soggettivo a godere del trattamento economico di prima fascia da lui ritenuto più consono alla tipologie delle funzioni svolte.

Egli non mira, quindi, ad ottenere una diversa configurazione dell’assetto macrorganizzativo dell’amministrazione di appartenenza, né a contestare l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza ovvero i modi di conferimento della titolarità dei medesimi (aspetti, questi ultimi, che in base al richiamato - e consolidato - orientamento sarebbero restati devoluti alla giurisdizione del Giudice amministrativo).

2.3. Né può ritenersi (contrariamente a quanto dedotto dal dottor Angelini alle pagine 7 e seguenti del ricorso in appello) che le conclusioni appena richiamate siano contrastanti con quanto statuito da questo Consiglio con la sentenza 20 dicembre 2011, n. 6705.

Vero è che in entrambi i casi si fa(ceva) questione dell’impugnativa di atti di graduazione degli uffici regionali ai fini della loro articolazione in fasce (anche ai fini dell’attribuzione del trattamento economico).

Tuttavia, nel richiamato precedente del 2011, questo Consiglio ha potuto affermare che la controversia avesse ad oggetto l’impugnativa dell’assetto di macrorganizzazione in base al rilievo che i ricorrenti mirassero “a sostenere il corretto inquadramento del proprio settore in una fascia di maggiore rilevanza [ragione per cui] l’effetto di tale domanda sul trattamento economico è solo indiretto”.

Al contrario – e per quanto riguarda la presente controversia – lo stesso appellante ha riconosciuto che la propria contestazione non ha ad oggetto i provvedimenti di conferimento dell’incarico dirigenziale (e i sottesi profili di macrorganizzazione – pagina 3 della memoria in data 12 maggio 2016).

Ne resta confermato che il proprium della contestazione qui riproposta consiste nella censura avverso la graduazione ai fini economici dell’ufficio conferito (contestazione che, in base alle disposizioni e agli orientamenti dinanzi richiamati, deve essere correttamente rivolta al Giudice ordinario).

2.4. Anche per tale ragioni l’appello in epigrafe deve essere respinto e deve essere confermata la carenza di giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo.

3. Ai sensi dei commi 1 e 2 dell’articolo 11 del cod. proc. amm. “1. Il giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione, indica, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito.

2. Quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato”.

3.1. Il presente giudizio deve quindi essere riassunto entro il richiamato termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza dinanzi al Tribunale civile territorialmente competente.

3.2. Il Collegio ritiene che sussistano giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge con gli effetti di cui ai punti 3 e 3.1 della motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Da Assegnare Magistrato, Consigliere

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
Claudio ContessaFrancesco Caringella
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO