N. 01907/2016REG.PROV.COLL. N. 03993/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3993 del 2013, proposto dalle società Monachina s.r.l., Bosco Marengo s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dagli avv. Federico Mannucci, Giovanni Valeri, con domicilio eletto presso Giovanni (St.Amministr.) Valeri in Roma, viale Mazzini, 11; contro Regione Lazio; per la riforma della sentenza del T.A.R. del LAZIO –Sede di ROMA - SEZIONE II BIS n. 09903/2012, resa tra le parti, concernente approvazione del nuovo piano regolatore generale del comune di Roma; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2016 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Stoppa (per delega Valeri) e Patriarca; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma - ha respinto il ricorso proposto dal Signor Tasco Giampiero, nella dichiarata qualità di procuratore speciale ad negotia dei signori Angela D’Orazio Rosati Colarieti, Giuseppe Rosati Colarieti, Pierpaolo Rosati Colarieti, Andrea Villani, Donatella D’Orazio, proprietari di un’area di superficie complessiva pari a circa 335.000 mq., sita in Roma, località Monachina, e distinta in catasto al Foglio 345, particella n. 27, 28, 29, 30, 31, 77, 80, 81 e 221. 2. Il ricorso di primo grado era teso ad ottenere l’annullamento del nuovo P.R.G. di Roma, e degli atti ad esso prodromici e consequenziali (siccome indicati nella epigrafe della decisione di primo grado, da intendersi integralmente richiamata e trascritta in parte qua) nella parte in cui aveva riconosciuto ai detti fondi una misura di edificabilità da considerarsi deteriore in termini qualitativi e quantitativi, prevedendone il trasferimento all’interno della Centralità Metropolitana “Massimina”; erano state articolate numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere. 3. Si era costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo la reiezione del ricorso di primo grado, ma l’atto di costituzione era stato dichiarato irrituale dal Tar per vizii di forma. 4.Con la sentenza impugnata il T.a.r. dopo avere riepilogato il contenuto delle censure proposte, e ricostruito le principali tappe della vicenda infraprocedimentale ha scrutinato partitamente le doglianze dedotte, e le ha respinte. 4.1. In particolare, la sentenza gravata: a)quanto alla prima censura, con la quale si era lamentato che la destinazione agricola dell’area, disposta con il Nuovo PRG, contrastasse con l’affidamento risultante dalla destinazione edificatoria prevista nel vecchio PRG, come pure nella del. di G.C. 3.12.2002, nonché - implicitamente - nel “Piano delle certezze” (che non aveva riguardato l’area in questione)ha escluso che ci si trovasse al cospetto di un affidamento meritevole di tutela, in quanto: I) veniva in rilievo una contestazione circa la destinazione di un’area determinata ma di non limitata estensione; II)il progetto attuativo presentato dai proprietarii dell’area non era mai stato approvato; b)ha poi respinto le ulteriori articolazioni della prima doglianza, evidenziando che: I)la dedotta presenza di edificazione spontanea circostante non integrava circostanza tale da determinare un affidamento (ravvisabile, eventualmente, nella ipotesi – non ravvisabile nel caso di specie- di presenza di una vera e propria interclusione derivante da edificazione legittima) e che la funzione della destinazione agricola non era solo quella di valorizzare l'attività agricola vera e propria ma anche quella di garantire ai cittadini l'equilibrio delle condizioni di vivibilità; II)inoltre, era inconferente l’argomento critico incentrato su una supposta disparità di trattamento, in quanto l’area in questione, rispetto all’area limitrofa su cui ricadeva l’ATO R32 – Via Aurelia Km 13, assunta quale area “di comparazione” presentava un particolare interesse paesaggistico e naturalistico ed era caratterizzata d’altra parte da una distanza superiore ai 500 mt dalle infrastrutture per la mobilità su ferro, il che deponeva per l’assenza di profili di illogicità nella disciplina impressa all’area; c)quanto all’asserita compressione delle garanzie partecipative nella fase relativa al trasferimento dei diritti edificatori all’interno della Centralità “La Massimina”, con conseguenti impossibilità di incidere sulla qualità e ubicazione delle aree: I)ha dichiarato inammissibili le censure relative alle modalità di svolgimento del procedimento di rilocalizzazione delle volumetrie all’interno della Centralità Urbana Massimina, i cui atti non erano stati impugnati innanzi al Tar; II)ha respinto nel merito le dette censure, nella parte in cui esse erano riferite al procedimento di adozione del Nuovo Piano Regolatore, in quanto ivi il contraddittorio era stato assicurato, tanto che gli originarii ricorrenti avevano presentato le osservazioni nelle forme di legge. 4.2. Nella seconda parte della impugnata sentenza sono state respinte le censure più direttamente riferibili al Piano regolatore, e contenute nel secondo e nel terzo motivo del ricorso di primo grado, laddove erano state contestate le modalità con cui il Prg aveva applicato l’istituto della compensazione urbanistica, (art. 19 N.T.A.), sopprimendo la pregressa edificabilità di alcuni comprensori e trasferendo la capacità edificatoria in altri ambiti edificabili. 4.2.1. In particolare, era stato dedotto dall’originaria parte ricorrente: - che l’area in questione, non essendo stata interessata dal Piano delle certezze, non avrebbe dovuto essere oggetto di trasferimento compensativo; - che detta riduzione ammontava da mc. 63.228 a mc. 45.008 in violazione dello stesso criterio di equivalenza di cui all’art. 19, comma 3 delle N.T.A. - che la quota di destinazione abitativa nel nuovo comprensorio fosse pari solo al 20%, mentre il precedente PRG riconosceva ben 57.480 mc. a tale titolo; - che le tipologie edilizie fossero diverse ( non più case con giardino, ma edifici di quattro piani ubicati su piastra commerciale, da edificare in subordine alla realizzazione delle infrastrutture ferroviarie). 4.2.2. La sentenza impugnata ha, in contrario senso, rilevato: a) che non era stato applicato direttamente l’art. 19 delle N.T.A. (che prevede che le compensazioni urbanistiche si applichino alle aree considerate nel Piano delle Certezze, nonché ai due casi specifici di Casal Giudeo e Tor Marancia), in quanto il trasferimento di diritti edificatori, nel caso di specie, era volto a prendere in considerazione le residue previsioni edificatorie private del PRG del 1962, inserendole nel nuovo contesto di trasformazione urbana in maniera coerente col sistema ambientale e col sistema delle infrastrutture per la mobilità; a1)che conseguentemente non erano ammissibili le censure dirette avverso l’art. 19 delle N.T.A. in sé considerato mentre per altro verso il sistema perequativo/compensativo su cui si basava il Nuovo PRG romano era stato ritenuto compatibile col principio di legalità dalla giurisprudenza; b) quanto allo specifico profilo della diminuzione di volumetria, con i connessi profili anche indennitari e di equivalenza di valore, anche sotto il profilo qualitativo e di composizione e regime giuridico ( terzo motivo) nella specie non v’ era stata ablazione in senso tecnico, in quanto l’area agricola era stata lasciata nella disponibilità dei proprietarii anche ai fini di ulteriori possibilità di sfruttamento (p.es. individuazione di ambiti di riserva per housing sociale ai fini del piano casa), e non acquisita dall’Amministrazione; c) quanto al profilo subordinato contenuto nelle dette censure, volto a fare estendere al caso di specie i criteri di compensazione urbanistica secondo una modalità maggiormente tesa a garantirne la pienezza e l’effettività in termini di equivalenza qualitativa e quantitativa dell’edificabilità “di partenza” e di quella “di arrivo”, anche esso è stato reputato inaccoglibile in quanto: I) gli interessati già beneficiavano di una previsione di piano assimilabile a una forma di compensazione urbanistica (della quale pur contestavano la misura e le caratteristiche qualitative); II)ciò dimostrava questo, che l’Amministrazione non aveva pretermesso - nell’esercizio del proprio potere discrezionale - la considerazione della posizione soggettiva degli interessati; III) l’applicazione dell’ istituto della compensazione urbanistica non poteva diventare una sorta di automatismo, con compressione della potestà pianificatoria ed introduzione di un regime assimilabile (sotto il profilo economico-funzionale) a una sorta di generale divieto di reformatio in pejus in ambito urbanistico; IV) ove si fosse sostenuto che ad ogni attribuzione - anche puramente e tipicamente conformativa - di una volumetria minore o di una destinazione di tipo agricolo dovesse corrispondere un obbligo di compensazione piena secondo un criterio di equivalenza qualitativa e quantitativa con la capacità edificatoria precedentemente riconosciuta, si sarebbe in realtà negata la possibilità stessa del potere conformativo; V) la sistemazione delle situazioni pendenti derivanti dalla vicenda del Piano delle Certezze costituiva legittima appendice di una scelta pianificatoria compiuta a monte, diretta ad affrontare lo specifico problema della realizzazione della messa in sicurezza del “sistema ambientale” con la realizzazione della “cintura verde” per la Città;tale scelta era stata avallata dalla giurisprudenza come forma pianificatoria a carattere eccezionale, esercitata una tantum; il PRG aveva impostato un sistema perequativo complessivo nuovo; VI) le due ulteriori eccezioni contenute nella Tabella A cui rinviava l’art. 19 delle N.T.A. (Casal Giudeo e Tor Marancia) rispondevano all’esigenza di risolvere situazioni controverse, con profili attinenti a vicende di transazione e permuta, in ordine alle quali non era possibile prospettare per ciò solo profili di disparità di trattamento, trattandosi di vicende specifiche e individuate; 4.3. Nell’ultima parte della sentenza è stata dichiarata inammissibile per difetto di interesse la quarta ed ultima censura prospettata in primo grado. 5. La società Monachina s.r.l. e la società Bosco Marengo s.r.l. successori a titolo particolare (in quanto resesi acquirenti nel 2009 delle aree di pertinenza delle originarie parti ricorrenti) hanno impugnato la detta decisione criticandola e sostenendone la erroneità e l’illegittimità ex art. 112 cpc in quanto non si sarebbe pronunciata su ulteriori censure dedotte nell’ambito dell’originario terzo motivo del ricorso di primo grado. Hanno pertanto riproposto, attualizzandole alla luce della motivazione della sentenza, le prime tre censure del ricorso di primo grado disattese dal T.a.r, sostenendo che: a)la destinazione ad area agricola impressa all’area era illogica ed irrazionale, e contrastava con l’affidamento dei proprietari :in base al Prg 1965/1979 l’area aveva destinazione G3 –case con giardino e tale destinazione era stata mantenuta anche con la variante denominata Piano delle Certezze (delibera regionale n. 856/2004); durante la fase di predisposizione del nuovo piano, con dec GC 3.12.2002 tale destinazione era stata confermata ed il comprensorio La Monachina era stato inserito nella Città nella trasformazione come ATO (ambito di trasformazione ordinario) denominato “R50 La Monachina”; i precedenti proprietarii avevano presentato un progetto unitario di attuazione, su cui l’amministrazione si era pronunciata favorevolmente subordinandone la realizzazione all’inserimento in uno dei Piani Attuativi in corso di approvazione; b)la sentenza aveva inammissibilmente integrato la motivazione degli atti amministrativi impugnati, allorchè aveva fatto presente che l’area in questione, rispetto all’area limitrofa su cui ricadeva l’ATO R32 – Via Aurelia Km 13, presentava un particolare interesse paesaggistico e naturalistico ed era caratterizzata d’altra parte da una distanza superiore ai 500 mt dalle infrastrutture per la mobilità su ferro; c)la statuizione di inammissibilità delle censure relative alle modalità di svolgimento del procedimento di rilocalizzazione delle volumetrie all’interno della Centralità Urbana Massimina, era errata, perché gli originarii ricorrenti non avevano avuto notizia di tale procedimento, ed avevano successivamente provveduto ad impugnare l’approvazione del Programma Urbanistico Massimina (ric. n. 3136/13 attualmente pendente innanzi al Tar del Lazio); d)anche la reiezione del secondo motivo di ricorso si appalesava errata: gli originarii ricorrenti avevano interesse a contestare la cubatura attribuitagli in sede di perequazione, ed all’uopo avevano contestato l’art. 19 delle Nta al Prg; i principi di compensazione urbanistica che costituivano l’impostazione generale del nuovo Prg erano stati mal governati nel caso di specie; e) il Tar aveva omesso di pronunciarsi su ulteriori censure prospettate nel terzo motivo e, pertanto, la sentenza era viziata ex art. 112 cpc; all’uopo ha riproposto le doglianze non esaminate; 6. In data 22.7.2013 il comune di Roma Capitale si è costituito depositando atto di stile. 7. In data 21.3.2016 il comune di Roma Capitale ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato, riproponendo le argomentazioni già contenute nella memoria di replica depositate in primo grado in vista della udienza del 10 maggio 20127. 8.In data 21.3.2016 le appellanti società Monachina s.r.l. e Bosco Marengo s.r.l. hanno depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese. 9. In data 31. 3. 2016 il comune di Roma Capitale e le appellanti società Monachina s.r.l. e Bosco Marengo s.r.l. hanno depositato memorie di replica insistendo nelle rispettive difese. 9. Alla odierna udienza pubblica del 21 aprile 2016 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.L’appello è infondato e va respinto. 2. Quanto alla prima censura, il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dal costante principio (Consiglio di Stato, sez. IV, 25/06/2013, n. 3476) secondo cui In sede di pianificazione generale del territorio la discrezionalità, di cui l'Amministrazione dispone per quanto riguarda le scelte in ordine alle destinazioni dei suoli, è talmente ampia da non richiedere una particolare motivazione al di là di quella ricavabile dai criteri e principi generali che ispirano il piano regolatore generale, potendosi derogare a tale regola solo in presenza di specifiche situazioni di affidamento qualificato del privato a una specifica destinazione del suolo. 2.1. Lo specifico affidamento è stato ravvisato in varie fattispecie (e certamente non nel caso di “semplice” precedente diversa destinazione) quali ad esempio al ricorrere convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, ovvero in presenza di aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (ex aliis. Consiglio di Stato, sez. IV, 14/05/2015, n. 2453). 2.2. Nel caso di specie, non v’è interclusione, e non v’era alcun piano attuativo approvato od altro elemento che possa far propendere per la sussistenza di un qualificato affidamento sul mantenimento della precedente destinazione edificabile (in parte G3 ed in parte H): la diffida inviata da parte appellante nel febbraio del 1998 rimase senza esito in quanto l’area non risultava inserita nel II PPA approvato (la circostanza non è contestata). Ne consegue che la tesi relativa alla necessità di specifica e “rafforzata” motivazione è destituita di fondamento. 2.3. E’ poi errata ed anche ingenerosa la censura (pagg. 9 e 10 del ricorso in appello). incentrata su una supposta “integrazione della motivazione dell’atto amministrativo” asseritamente posta in essere dal Tar. E’ vero semmai il contrario: l’originaria ricorrente aveva lamentato la sussistenza del vizio di disparità di trattamento rispetto alla destinazione impressa dall’Amministrazione alla vicina area su cui ricadeva l’ATO R32 – Via Aurelia Km 13. A fronte di tale doglianza, il Tar, correttamente, ha posto a raffronto le caratteristiche dei comprensori in comparazione escludendo la sussistenza del lamentato vizio alla stregua dei consistenti elementi differenziali riscontrabili. E non pare superfluo evidenziare che, in punto di fatto, non è stato negato né smentito che l’area di pertinenza delle società appellanti presenti un particolare interesse paesaggistico e naturalistico e sia caratterizzata d’altra parte da una distanza superiore ai 500 mt dalle infrastrutture per la mobilità su ferro. Ne consegue che la critica alla sentenza –e la riproposta censura di disparità di trattamento- vadano senza dubbio disattese, come per quel che si è prima chiarito va disattesa la tesi secondo la quale non sarebbe stata data rilevanza ad un precedente qualificato affidamento circa la destinazione edificatoria dell’area. 3. Va del pari respinta la censura mossa alla statuizione di inammissibilità delle doglianze di primo grado incentrate sulle modalità di svolgimento del procedimento di rilocalizzazione delle volumetrie all’interno della Centralità Urbana Massimina. Il Tar null’ altro poteva disporre, una volta constatato che i relativi atti non erano stati impugnati ed erano processualmente estranei al thema decidendum; con il ricorso in appello le appellanti società finiscono con il confermare vieppiù la correttezza di tale statuizione, facendo presente che esse avevano successivamente provveduto ad impugnare l’approvazione del Programma Urbanistico Massimina (ric. n. 3136/13 depositato il 5.4.2013 ed attualmente pendente innanzi al Tar del Lazio). Sfugge, a questo punto, il senso della doglianza, in quanto: a)la sentenza impugnata fu assunta in decisione alla pubblica udienza del 10 maggio 2012 e depositata il 29/11/2012; b)nessuna censura era stata proposta direttamente nel processo avverso atti relativi alla rilocalizzazione delle volumetrie all’interno della Centralità Urbana Massimina; c)successivamente al deposito della sentenza oggetto della odierna impugnazione parte appellante propose il ricorso n. 3136/13; d)essa neppure in questa sede ha chiesto la sospensione dell’odierno processo in attesa della decisione della predetta impugnazione proposta innanzi al Tar; e)non si vede in qual modo il Tar (o anche questo Collegio d’appello) avrebbe potuto conoscere di tali supposti vizi e pronunciarsi sui medesimi (e/o anche soltanto sulla asserita refluenza degli stessi sull’odierno procedimento). 4. Quanto al secondo complesso motivo di censura, pare al Collegio che l’appellante abbia almeno in parte “rimodulato” le proprie censure (soprattutto avuto riguardo al contenuto della memoria depositata il 21.3.2016) ma che le stesse non appaiano in grado di “superare” le considerazioni reiettive espresse nell’impugnata sentenza. 4.1. Va innanzitutto rammentato quale sia stato, in punto di fatto, il dipanarsi della vicenda procedimentale: a) le aree di parte appellante erano, in origine, classificate in parte G3 ed in parte H; b)con decisione G.C. n. 67 del 18.6.2002 i diritti edificatorii del comprensorio “La Monachina” (ma anche del comprensorio “Via Aurelia km 13” e “Tenuta di S Maria”) furono trasferiti all’interno della centralità metropolitana “Massimina”; c)il 3.12.2002 la decisione G.C. n. 67 del 18.6.2002 venne modificata e i due comprensori “Via Aurelia km 13” e “La Monachina” vennero ripristinati nella collocazione originaria “Ato R50 La Monachina” e “Ato R32 Via Aurelia km 13”; d)con emendamento del 7.2.2003 l’“Ato R50 La Monachina” venne eliminato e con la delibera di adozione del PRG n. 20 del 19/20.3.2003 i terreni di pertinenza di parte appellante vennero destinati ad area agricola; e)il 29.10.2003 i proprietarii presentarono osservazioni, e con delibera di CC n.64 del 21/22.3. 2006 le accolse soltanto in parte disponendo nella delibera di controdeduzioni poi recepita nel nuovo PRG approvato che il diritto edificatorio potesse essere esercitato all’interno della Centralità Metropolitana “Massimina”. 4.2. Se si pone mente locale alla circostanza che nella delibera di adozione del PRG l’area era stata classificata qual agricola, appare evidente che il nuovo PRG, nella parte in cui ha recepito le indicazioni contenute nella delibera di controdeduzioni sia per parte appellante migliorativo. 4.3.Ciò premesso, le censure articolate avverso la statuizione con cui è stato prescritto che il diritto edificatorio potesse essere esercitato all’interno della Centralità Metropolitana “Massimina” e quelle con cui ci si duole della disomogeneità di tale diritto edificatorio riconosciuto, in quanto (in tesi) “minor” rispetto a quello spettante, non persuadono. 4.4. Della insussistenza del vizio di disparità di trattamento si è già detto; e parimenti è stata confermata la statuizione di inammissibilità contenuta nella impugnata decisione. Parte appellante ha riproposto (genericamente) la censura incentrata sui vizii partecipativi, ma – come si è chiarito- ciò non riguarda il procedimento di approvazione del PRG (essi hanno controdedotto alla delibera di adozione, ed addirittura le loro controdeduzioni sono state in parte accolte) ma semmai l’altro e distinto procedimento di rilocalizzazione delle volumetrie all’interno della Centralità Urbana Massimina. 4.5. Parte appellante ha poi rimodulato (ed anche ampliato, per il vero) il secondo motivo del ricorso di primo grado (vedasi censure di cui alle pagg.10 e 13 del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado). 4.5.1. Ivi si era lamentata la contraddittorietà rispetto ai principi di cui all’art. 42 della Costituzione delle previsioni contenute agli artt. 17 e segg del PRG, e l’assenza di indennizzo; ed era stato censurato che non era stato rispettato il principio (art. 19 comma 2 delle NTA al Prg) della equivalenza del valore immobiliare rispetto alla edificabilità da compensare. 4.5.2. Così inquadrato il thema decidendi (poi ulteriormente specificato dalle appellanti società nel terzo motivo del ricorso di primo grado) la censura non può essere accolta. 4.6.Osta, all’accoglimento della doglianza, innanzitutto una circostanza di fatto: le aree di parte appellante non furono destinatarie della disposizione di cui all’art. 19 Nta. I diritti edificatorii relativi al comprensorio Tor Marancia furono trasferiti nella centralità Massimina ex art. 19 delle Nta. Quelli riguardanti le aree di parte appellante furono trasferite nella stessa area (centralità Massimina) ma non in base all’art. 19 delle Nta (così come esattamente colto dal Tar). Da una circostanza di fatto (id est: il trasferimento dei diritti edificatori nella stessa area -centralità Massimina- dove furono trasferiti ex art. 19 i diritti edificatori relativi al comprensorio Tor Marancia) l’appellante pretende di fare discendere un effetto giuridico (la applicabilità alla stessa dei principi contenuti sub art. 19 delle Nta) sebbene sia rimasto incontestato: a)che l’art. 19 delle NTA a più riprese citato non si applicasse direttamente alle aree di propria pertinenza; b)che essa non ha impugnato il disposto di cui al predetto art. 19 delle NTA nella parte in cui non era applicabile alle proprie aree. 4.6.1. Più radicalmente osta, all’accoglimento della censura, una circostanza “di diritto” che vale parimenti a respingere la tesi incentrata sulla “differenza qualitativa” dei diritti edificatori riconosciuti all’interno dell’area Centralità Massimina, rispetto a quelli, in tesi, spettanti. 4.6.2.Il punto da quale occorre muovere è quello per cui il procedimento di compensazione urbanistica si compone di più fasi, e si struttura, essenzialmente, attraverso un complesso procedimento nell’ambito del quale: -si attribuisce un valore edificatorio omogeneo a tutte le aree rientranti in un ambito interessato da un intervento di trasformazione urbanistica; - si prevede un’area ristretta nella quale dovrà concentrarsi l’edificazione e sulla quale verranno trasferiti tutti i diritti edificatori delle aree rientranti nell’ambito; - si stabilisce che al Comune vengano trasferite gratuitamente (o al valore agricolo) le aree destinate a servizi. Se così è, è agevole riscontrare che nel caso in esame si è al di fuori della “canonica” applicazione dell’istituto (definito da qualificata dottrina “cessione gratuita al Comune di parte dell'area "edificabile" contro possibilità di edificazione sul residuo”). E ciò, a cagione di una fondamentale “deviazione” dallo schema-base dell’istituto perequativo ben colta dal Tar, ma che l’appellante tende complessivamente a svalutare: nel caso di specie, infatti, le aree di pertinenza dell’appellante rimangono in proprietà della medesima, e non è stata prevista alcuna gratuita cessione delle stesse al Comune. Se soltanto si pone mente a tale circostanza, correttamente il Tar ha escluso la diretta applicabilità dell’art. 19 delle Nta, ed appare evocato anche a sproposito il disposto dell’art. 37 del d.P.R. n. 37/2001. 4.6.4. Cadono quindi, sia le censure “quantitative”, che quelle “qualitative” (terza censura) incentrate sulla necessità della equivalenza tra i diritti edificatorii in passato spettanti sul comprensorio la Monachina e quelli trasferiti sull’area “Centralità Massimina”: la sentenza sebbene si sia maggiormente soffermata sul profilo “quantitativo” piuttosto che su quello “qualitativo” (sviluppato maggiormente nell’originario terzo motivo del ricorso di primo grado) non è affatto viziata ex art. 112 cpc. La sentenza ha preso atto della circostanza che non ci si trovava al cospetto di un procedimento perequativo classico, in quanto l’area di partenza rimaneva nella titolarità di parte appellante; l’amministrazione appellata ha quindi ravvisato la necessità di “depurare” i diritti edificatori trasferiti sull’area Massimina, da detto plus-valore, rappresentato dal mantenimento in capo agli originarii ricorrenti dello status proprietario, ed ha tratto le logiche conseguenze dalla circostanza che neppure embrionalmente era stato affermato che, anche tenendo conto della circostanza che essi avevano mantenuto il diritto di proprietà sulle aree, comunque la percentuale di diritti edificatorii era deteriore. Per altro verso, e quanto alle censure “qualitative” di cui all’originario terzo motivo di ricorso, si osserva che in nessun caso gli istituti perequativi si risolvono nell’attribuire all’originario proprietario un “diritto edificatorio” identico a quello spettante sul fondo di partenza: e ciò per la semplice ragione che così operando il meccanismo perequativo non potrebbe dispiegarsi mai, o assai raramente, essendo di ben difficile verificazione la perfetta coincidenza (anche con riguardo alla tipologia di edifici da realizzare) tra assetto urbanistico dell’area “di partenza” ed assetto dell’area “di arrivo” del diritto edificatorio. 4.7. Parte appellante, anche nell’ultima memoria depositata il 31. 3. 2016, contesta tale circostanza, e nega l’applicabilità alla fattispecie della delibera n. 811/2000 (della quale invece, in altro contesto, aveva prima invocato l’applicazione). Senonchè, non si tratta nel caso di specie di applicare una specifica delibera, quanto di dare atto della circostanza che il terreno su cui sono state poi effettuate le compensazioni non è stato ceduo all’Amministrazione, e rimane saldamente in proprietà dell’appellante che, peraltro, nel ricorso di primo grado non ha mai contestato che il valore agricolo residuo dello stesso fosse stato malamente computato dall’Amministrazione a vantaggio di quest’ultima. 4.8. Quanto sopra, vale a respingere anche gli ultimi due motivi di ricorso, in quanto essi traggono le mosse dal principio di “corrispondenza” tra cubature che non può, e non potrebbe trovare applicazione nella presente vicenda processuale in quanto della perequazione urbanistica “classica” manca il presupposto fondamentale riposante nella cessione gratuita dell’area al comune (si veda, ancora di recente, la definizione datane da Corte Cost. 15 aprile 2016 n. 67, ove è dato leggere: “si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo riconducibile al sistema della cosiddetta “perequazione urbanistica”, inteso a combinare, in contesti procedimentali di “urbanistica contrattata”, il mancato onere per l’amministrazione comunale, connesso allo svolgersi di procedure ablatorie, con la corrispondente incentivazione al recupero, eventualmente anche migliorativo, da parte dei proprietari, del patrimonio immobiliare esistente: il tutto in linea con l’esplicito intento legislativo di promuovere la ripresa del settore edilizio senza, tra l’altro, aumentare, e anzi riducendo, il «consumo di suolo».”). 5. Conclusivamente l’appello va respinto e la sentenza va conseguentemente confermata. 5.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). 5.2. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 6. Le spese processuali del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e pertanto le appellanti società devono essere condannate in solido al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione comunale, nella misura che appare equo determinare in complessivi Euro tremila (€ 3000//00) oltre oneri accessori,se dovuti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna le appellanti società in solido al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio in favore dell’appellata amministrazione comunale nella misura di complessivi Euro tremila (€ 3000//00) oltre oneri accessori, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente Nicola Russo, Consigliere Fabio Taormina, Consigliere, Estensore Andrea Migliozzi, Consigliere Carlo Schilardi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 12/05/2016 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) |