N. 01906/2016REG.PROV.COLL. N. 03924/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3924 del 2009, proposto da: contro Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge; per la riforma: a)della sentenza del T.A.R. dell’ABRUZZO – Sede di L'AQUILA- n.75/2008; b)della sentenza del T.A.R. dell’ABRUZZO – Sede di L'AQUILA- n. 67/2008; rese tra le parti, concernenti sanzione della perdita del grado per rimozione; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2016 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ avvocato Renato Lioi (per dichiarata delega Lioi Michele) e l'Avvocato dello Stato Collaboletta; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 75/2008 (resa sul ricorso n. 686 del 2003) il Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo –Sede di L’Aquila - ha respinto il ricorso, proposto dalla odierna parte appellante -OMISSIS-, teso ad ottenere l’annullamento del provvedimento del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare in data 26 agosto 2003, con cui era stata disposta, nei confronti del predetto, la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi dell’art. 12, lettera f) della legge 18 ottobre 1961, n. 1168, con conseguente cessazione dal servizio permanente, e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compreso il rapporto finale dell’accertamento disciplinare n. 192/13 del 9.7.2003. 1.1.L’odierno appellante aveva prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere. 1.2. Il Ministero della difesa, in persona del Ministro ed il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, si erano costituiti chiedendo la reiezione del ricorso. 2. Il T.a.r. ha esaminato le censure di violazione di legge ed eccesso di potere prospettate dall’odierno appellante, e ne ha escluso la fondatezza, in quanto: a) l’odierno appellante era stato indagato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila per il reato di cui all’art. 328 c.p., sia per aver omesso di procedere all’arresto di un latitante, sia per non aver fornito ai suoi superiori informazioni utili alla relativa cattura, sia, infine, per aver aiutato quest’ultimo a sottrarsi alle ricerche degli organi di Polizia fino alla data del 24.6.1992, e per tali fatti aveva subito una condanna - applicata su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444, c.p.p. - con sentenza del Tribunale penale n. 37/2003 (divenuta irrevocabile il 12.4.2003) a mesi 11 di reclusione, con sospensione condizionale della pena; b) la Commissione di disciplina, in data 1.8.2003, si era espressa in senso favorevole all’applicazione della sanzione successivamente inflitta con il provvedimento impugnato; c) dal tenore del provvedimento era dato, percepire l’iter logico e giuridico sotteso all’adozione della misura disciplinare inflitta, per cui non sussisteva alcun vizio di difetto di motivazione, né di istruttoria; d) non poteva escludersi ogni rilevanza disciplinare della pena cd. patteggiata ex art. 444 c.p.p., giacché questa si fondava sempre sulla ritenuta imputabilità di un reato ad un soggetto ad opera di un giudice competente; e)i fatti erano molto gravi e la sanzione applicata era scevra da irragionevolezza, irrazionalità ed illogicità; 3. Alla medesima camera di consiglio del giorno 28/11/2007 il Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo –Sede di L’Aquila – con la sentenza n. 67/2008 (resa sul ricorso n. 687 del 2003) ha respinto il ricorso, proposto dalla odierna parte appellante -OMISSIS-, teso ad ottenere l’annullamento della determina del Ministero della difesa, notificata in data 5.11.2003, con la quale era stata disposta nei riguardi del predetto la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compreso il rapporto finale dell’accertamento disciplinare n. 192/13 del 9.7.2003. 4. Il T.a.r. ha esaminato le censure di violazione di legge ed eccesso di potere prospettate dall’odierno appellante, e ne ha escluso la fondatezza, con motivazione identica a quella sottesa alla sentenza n. 75/2008. 5. L’originario ricorrente rimasto soccombente, ha impugnato con l’odierno ricorso in appello entrambe le dette decisioni criticandole sotto ogni angolo prospettico, e dopo avere rivisitato le principali tappe del contenzioso infraprocedimentale e giurisdizionale di primo grado ha dedotto che: a)egli era stato sempre riconosciuto come un militare di eccezionale valore il cui stato matricolare e profilo professionale era sempre stato stimato eccellente, aveva riportato numerosi encomi ed ottenuto risultati investigativi ottimi; b)allorchè nei suoi confronti era stata elevata in sede penale la imputazione da cui traggono le mosse i provvedimenti impugnati, egli –pur certamente innocente- aveva patteggiato la pena, al solo fine di evitare che la propria famiglia venisse a conoscenza della circostanza che aveva intrattenuto una relazione con una persona (all’epoca collaboratrice di giustizia) germana di alcuni pregiudicati (con i quali egli era entrato in contatto) al solo fine di acquisire notizie utili per la repressione di reati; c)egli non sapeva che un terzo fratello della predetta era latitante, né aveva giammai voluto proteggerlo; d)seppur innocente aveva patteggiato la condanna ai (soli) fini prima chiariti, ma la sanzione disciplinare non avrebbe dovuto esclusivamente fondarsi sulla sentenza ex art. 444 cpp; e)i provvedimenti impugnati erano privi di motivazione autonoma e di autonomo vaglio sulle circostanze sottese all’imputazione, e ciò non era consentito in ipotesi di patteggiamento della pena ex art. 444 cpp; f)le impugnate sentenze avevano avallato tale illegittimità, obliando che agli atti era sussistente la prova “logica” della propria innocenza; 6. In data 4.8.2014 l’appellata amministrazione si è costituita depositando atto di stile. 7. Alla odierna udienza pubblica del 21 aprile 2016 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. L’appello è infondato e va respinto. 1.1. Per il vero esso avrebbe potuto essere dichiarato inammissibile: invero – come sommariamente esposto nella parte in fatto della presente decisione- con un unico atto di appello sono state impugnate due sentenze (n. 75/2008 e n. 67/2008) rese dal T.a.r. alla medesima all'udienza pubblica del giorno 28/11/2007 su due distinti e connessi procedimenti, che (pur riferibili alla stessa vicenda amministrativa: la rimozione dal servizio dell’appellante) il Tar non aveva ritenuto di riunire. E si rammenta in proposito che la costante giurisprudenza amministrativa (ex aliis. Cons di Stato, sez. V, 18/10/2011, n. 5554; Cons di Stato, sez. VI, 01/12/2010, n. 8390 ) stabilisce che è esclusa l'ammissibilità dell'impugnativa con un unico atto di più sentenze emesse in procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti, ancorché pronunciate tra le stesse parti. Ciò in quanto l'art. 70 c.p.a. conferisce al giudice amministrativo il generale potere discrezionale di disporre la riunione di ricorsi connessi con la conseguenza che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al giudice amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati; è quindi una riunione a posteriori adottata insieme con la decisione definitiva o in vista di un'uniforme decisione definitiva delle cause e quando le parti hanno ormai definito le loro posizioni; è invece inammissibile l'iniziativa posta in essere a priori dall'appellante, intesa a riunire cause diverse mediante unico appello contro più sentenze, in violazione dell'art. 101, c.p.a., che qualifica l'appello come ricorso proposto avverso la sola sentenza che definisce il giudizio, atteso che essa sottrarrebbe al giudice il governo dei giudizi e porrebbe le premesse per la creazione di situazioni processuali confuse o inestricabili. 2. A prescindere dalle superiori considerazioni in rito, comunque l’appello è infondato e va disatteso. 2.1. Le emergenze processuali versate in atti sono le seguenti: a)l’ odierno appellante è stato processato per il reato di cui all’art. 328 c.p. e gli è stata applicata ai sensi dell'art. 444, c.p.p. - con sentenza del Tribunale penale n. 37/2003 (divenuta irrevocabile il 12.4.2003) la pena di mesi 11 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena; b)l’Amministrazione ha vagliato tale vicenda, ha preso atto che la scaturigine causale della stessa si inquadrava nei compiti d’ufficio affidati all’appellante, (deputato a compiti di protezione nei confronti della germana del latitante, allorchè essa era collaboratrice di giustizia); c)è stata applicata la sanzione disciplinare maggiormente afflittiva in relazione a tali circostanze. 2.2. L’appellante contesta l’iniziativa dell’Amministrazione, e ne sostiene la illegittimità: ma sostanzialmente esprime tali critiche prospettando una ricostruzione dei fatti impossibile da accertare in questa sede e soprattutto sfornita di qualsivoglia supporto indiziario. E’ agevole riscontrare dalla compulsazione dell’atto di appello che la critica dell’appellante si fonda sulla tesi per cui egli era innocente (in quanto non sapeva dello stato di latitanza del germano della predetta signora -all’epoca collaboratrice di giustizia- alla cui protezione era deputato, e con la quale intratteneva una “relazione sentimentale”); dalla asserita assenza dell’elemento psicologico del delitto di omissione di atti d’ufficio, l’appellante fa discendere la circostanza che egli non avrebbe meritato di subire la sanzione applicatagli e, (anche in questo caso in assenza di qualsivoglia elemento di possibile “conferma”) sostiene che si sarebbe risolto ad accettare di “patteggiare” la condanna per ragioni esclusivamente personali. 2.3. Osserva in proposito il Collegio, che al di là di tali affermazioni – che nella sostanza sono rivolte ad ottenere una specie di (impossibile) rivisitazione critica, “a posteriori” della sentenza penale, e perdipiù sotto il delicatissimo profilo della sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestatogli – non sono stati dedotti vizii specifici e rilevanti in ordine alla sanzione applicata dall’Amministrazione, in quanto: a)i precedenti di servizio dell’appellante sono stati vagliati e tenuti in considerazione dall’Amministrazione, in quanto ad essa noti, e non è superfluo rilevare che lo stesso appellante da atto della circostanza (pag. 5 dell’atto di appello) che al medesimo fosse stata inflitta la sanzione disciplinare di nove giorni di consegna di rigore in relazione ai rapporti intrattenuti con la Signora all’epoca collaboratrice di giustizia; b)la memoria dell’appellante prodotta in quella sede, proponeva tematiche tese (anche in detta occasione) a “rivisitare” le circostanze oggetto di giudizio penale. E l’unico elemento specifico prospettato (la data di una fotografia che ritraeva l’appellante con il latitante in oggetto) non fornisce alcun decisivo sostegno alla posizione dell’appellante, non foss’altro perché questi non indica la data (a suo dire) “corretta” in cui sarebbe stata scattata; b1)il realtà, le circostanze fattuali (rappporti con la sorella del latitante, grande confidenza con quest’ultima, conoscenza del predetto latitante, etc) non sono state contestate: l’unico di contestazione riposa nella conoscenza dello stato di latitanza del detto germano della collaboratrice di giustizia; c)le resultanze processuali sottese alla sentenza resa ex art. 444 cpp sono state prese in esame, e vagliate dall’Amministrazione: certamente l’Amministrazione non ha “ricelebrato” il processo, né ciò sarebbe stato possibile: è pur vero però, che l’accertamento autonomo vi fu, e che in nessun caso l’appellante ha allegato elementi decisivi a dimostrazione della tesi della propria innocenza (come del resto, ex art. 444 comma II cpp ciò non era accaduto in sede penale, in quanto il presupposto per la operatività dell’istituto previsto dagli artt. 444-448 cpp è quello della assenza in atti di elementi dai quali risulti che debba “essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129”: si veda Consiglio di Stato, sez. VI, 08/08/2014, n. 4232:”la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex artt. 444 e 445 c.p.p., implica l'accertamento della responsabilità penale dell'imputato — in quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti, non può emettere la pronuncia di patteggiamento, se ritiene che ricorrano le condizioni per il proscioglimento”) d)non possono considerarsi “discolpe decisive” gli elementi prospettati dall’appellante, sempre di natura logica e deduttiva (es: in un contesto omertoso non è credibile che all’appellante, carabiniere di nota intransigenza, venisse fatto sapere che il germano della collaboratrice di giustizia era latitante) e giammai fondati su resultanze fattuali ed univoche: ne discende che tacciare di difetto di motivazione i provvedimenti gravati e quelli (valutazioni della Commissione di disciplina) sottesi appare quantomeno ingeneroso; e)la sanzione applicata, appare proporzionata ai fatti contestati: non appare scevra da gravità assoluta infatti, la condotta dell’appartenente alle Forze dell’ordine che, ove venuto a conoscenza di una condizione di latitanza di un soggetto quantomeno non la comunichi ai propri superiori al fine di consentire che costoro intraprendano le doverose iniziative; e1)anche sotto tale profilo in ultimo evidenziato, la tesi dell’appellante muove dall’indimostrato presupposto della propria innocenza; ma rimasto indimostrato tale elemento, la sanzione applicata appare proporzionata e non abnorme, tenuto conto della circostanza che –nell’ottica accusatoria, ovviamente- l’appellante sarebbe venuto a conoscenza della latitanza del germano della collaboratrice di giustizia, mentre svolgeva compiti d’ufficio. 3. Conclusivamente, pare al Collegio che: a)l’amministrazione appellata abbia rispettato il precetto che postula una autonoma valutazione della sentenza ex art. 444 cpp (ex aliis Consiglio di Stato, sez. IV, 21/08/2006, n. 4841) e che la sentenza penale patteggiata non abbia costituito presupposto unico per l'applicazione del provvedimento sanzionatorio; b) ciò armonicamente con il consolidato orientamento (formatosi dopo la “novella” di cui all'art. 1 della legge 27 marzo 2001, n. 97) secondo il quale la sentenza di patteggiamento (ex art. 415 c.p.p.) è da ritenersi equiparata alla sentenza penale di condanna, e che opera pertanto l'art. 653, co. l bis, c.p.p. (introdotto proprio dalla citata legge n. 97/2001) che stabilisce che "La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso"; c)non sussistano i denunciati vizi di motivazione, né quanto ai provvedimenti impugnati in primo grado, che in relazione alle sentenze impugnate che, seppur con motivazione concisa danno atto del convincimento giudiziale e dell’iter logico seguito, dovendosi in proposito tenere conto dell’uniforme e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo il quale (ex aliis si veda nuovamente Consiglio di Stato, sez. VI, 08/08/2014, n. 4232) “l'Amministrazione può fare legittimo riferimento alla condanna patteggiata per ritenere accertati, in sede disciplinare, i fatti emersi nel corso del procedimento penale, che appaiano fondatamente ascrivibili al dipendente, sulla base di un ragionevole apprezzamento” ; d)neppure siano sussistenti (nell’ambito del ristretto sindacato di legittimità affidato a questo Collegio) i vizi di abnormità, o difetto di proporzionalità denunciati (ex aliis, di recente: Consiglio di Stato, sez. IV, 14/05/2015, n. 2418 “non possono valere … i richiami, ai positivi precedenti di servizio del militare, rientrando nella discrezionalità dell'amministrazione, sindacabile com'è noto solo in presenza di manifesta illogicità, la valutazione della loro inidoneità ad escludere la sanzione disciplinare più grave ovvero ad infliggerne altra di tipo diverso.”). 4.L’appello va pertanto respinto. 4.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). 4.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 5. Quanto alle spese processuali del grado, tuttavia, esse possono essere compensate tra le parti, a cagione della particolarità della controversia, ed anche della circostanza che la difesa erariale non ha spiegato difese scritte. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese processuali del grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente Nicola Russo, Consigliere Fabio Taormina, Consigliere, Estensore Andrea Migliozzi, Consigliere Carlo Schilardi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 12/05/2016 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati. |