N. 03927/2013 REG.RIC.

N. 05422/2014REG.PROV.COLL.

N. 03927/2013 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3927 del 2013, proposto da:
Giorgio Gaetani, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Angiolini, Sergio Vacirca e Luca Formilan, con domicilio eletto presso l’avvocato Sergio Vacirca in Roma, via Flaminia 195;

contro

Comune di Monza, non costituito in questo grado di giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE IV n. 59/2013, resa tra le parti, concernente ingiunzione di restituzione in pristino dell'immobile di proprietà


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2014 il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e udito per l’appellante l’avvocato Vacirca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Il signor Giorgio Gaetani impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia 9 gennaio 2013 n. 59 che ha respinto il ricorso di primo grado dallo stesso proposto avverso il provvedimento di ingiunzione alla “restituzione in pristino” dell'immobile di sua proprietà, emesso in data 14 luglio 1996 dal Comune di Monza.

L'appellante censura la sentenza impugnata che, sulla base della lettura combinata dell'art. 2, comma 53, della l. 23 dicembre 1996, n. 662 e dell'art.9, comma1, della l. 28 febbraio 1985 n. 47, ha ritenuto legittima la citata ordinanza di riduzione in pristino, ritenuta sanzione legale tipica per i mutamenti di destinazione d'uso sine titulo, anche senza opere edilizie contestuali.

L'appellante deduce, al contrario, che alla fattispecie concreta non si sarebbe dovuto applicare l'art. 9 della legge n. 47 del 1985 sopra citata, non trattandosi di opere di ristrutturazione, e che, in ogni caso, non si sarebbe potuto applicare una legge posteriore (idest, la legge 23 dicembre 1996) a fatti occorsi e consolidatisi in epoca pregressa.

Insiste pertanto l’appellante per l’accoglimento dell’appello e per l’annullamento, in riforma della impugnata sentenza, del provvedimento demolitorio gravato in primo grado.

Il Comune di Monza non si è costituito in questo grado di giudizio.

All'udienza pubblica del 14 ottobre 2014 la causa è trattenuta per la sentenza.

2.-L'appello è fondato e va accolto.

La vicenda che ne occupa riguarda l'impugnazione da parte dell'odierno appellante del provvedimento, datato 14 giugno 1996, a mezzo del quale il Sindaco del Comune di Monza, a seguito di un sopralluogo in data 25 marzo 1996 da parte della Polizia Municipale, ha ingiunto la riduzione in pristino dei locali (di cui il signor Gaetani risulta comproprietario), in quanto interessati da un mutamento di destinazione d'uso (da residenziale a ufficio), posto in essere senza opere edilizie.

Le censure del ricorrente si appuntano sostanzialmente sull'erronea interpretazione e applicazione dell'art. 9, comma 1 della l. n. 47 del 1985, sulla base del disposto n.4 della Tabella allegata alla l. n. n.47 del 1985 e dell'art. 2, comma 53, della legge n. 662 del 1996.

3.- Con il primo motivo l'appellante lamenta, in particolare, l'errata interpretazione ed applicazione dell'art. 9 della legge sopra citata, sotto due profili, che al Collegio appaiono entrambi fondati e meritevoli di accoglimento.

4.- Il primo aspetto è legato al valore giuridico da attribuire al richiamo alla Tabella citata. Infatti, i giudici di primo grado hanno giudicato corretto il riferimento all'art. 9, nell’ambito del provvedimento impugnato, giustificando il suo utilizzo in base all'art. 2, comma 53 della legge n. 662 del 1996, che ha stabilito che gli abusi contemplati al n. 4 della Tabella allegata alla ridetta legge n. 47 del 1985 includano, ai fini dell'importo dell'oblazione, oltre alla ristrutturazione edilizia anche i mutamenti di destinazione d'uso.

Il Collegio ritiene che, conformemente a quanto rilevato da parte appellante, il fatto che l'illecita ristrutturazione edilizia e il mutamento d'uso senza opere siano equiparati ai fini dell'oblazione, non significa che tali ben distinti interventi debbano avere lo stesso regime giuridico ai fini della sanzione applicabile ( in particolare, per quel che rileva nella specie, della misura reale della riduzione in pristino).

5.- In ogni caso, anche a prescindere dal rilievo appena formulato, vale osservare che è fondato il motivo con cui, nel caso di specie, si censura l’applicazione retraottiva di una norma sanzionatorie. Infatti, appare assorbente rilevare come il provvedimento impugnato sia anteriore all'entrata in vigore dell'art.2, comma 53 della l. 23 dicembre 1996, n. 662 che infatti non è, né poteva esserlo, richiamato nello stesso provvedimento; erroneamente dunque la normativa citata è stata utilizzata dal Tar per ricondurre la fattispecie nell'ambito dell'articolo 9.

Dallo stesso provvedimento impugnato, si evince, d’altronde, che anche il sopralluogo della polizia municipale, avvenuto in data 25 marzo 1996, è anteriore all’entrata in vigore della legge n.662 del 1996.

Come è noto, nella materia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 196 del 4 giugno 2010, ha ricordato come “dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare sull'interpretazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, si ricava il principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto; l'assimilazione tra penale e sanzionatorio amministrativo è desumibile dall'art. 25 c. 2 Cost. Il quale data l'ampiezza della sua formulazione (“Nessuno può essere punito...”) può essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale, è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato”.

Nello stesso senso si è espressa anche l'Adunanza plenaria n. 23 del 16 ottobre 2013 di questo Consiglio di Stato che ha sottolineato come nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione debba essere salvaguardato il principio di chiarezza e di conseguenza non possano esserci nel rapporto effetti ulteriori rispetto a quelli preventivabili ex ante.

Pacifico, dunque, in giurisprudenza che “in materia di sanzioni amministrative vige il principio di legalità, secondo cui (art. 1 della legge n.689 del 1981) nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione” ed anche a voler interpretare in maniera restrittiva, come generalmente riconosciuto, l'art. 25 Cost., nel senso che esso si riferisca alle sole norme penali, “ciò non toglie che per le sanzioni amministrative debba pur sempre valere il generale canone di irretroattività posto dall'art. 11 disp. prel. cod. civ.” (cfr. Cons. di Stato, V, 15.7.2013, n. 3847 e nello stesso senso Cons. di Stato, V, 11.04.2013, n. 1973).

6.- Pertanto, in applicazione dei suindicati principi, poiché secondo le norme vigenti all'epoca dei fatti, vi era giurisprudenza unanime che riteneva il mutamento di destinazione d'uso senza opere edilizie non assoggettabile a concessione edilizia e, più in generale, urbanisticamente rilevante, in assenza di specifica legge regionale che ne prevedesse l'autorizzazione, non vi era spazio nella specie per assoggettare a sanzione reale demolitoria l’intervento realizzato dall’odierno appellante. Per vero, la legge regionale vigente in Lombardia era la legge regionale n. 19 del 1992, che non richiamava l'art. 9 della legge n.47 del 1985, ma stabiliva nei termini di cui appresso la destinazione d'uso rilevante ai fini dell'applicazione degli artt. 7 e 8 della legge n.47/85: “E' da intendersi destinazione d'uso di un'area o di un edificio il complesso di funzioni ammesse dallo strumento urbanistico per l'area o per l'edificio. Si dice principale la destinazione d'uso qualificante; complementare od accessoria o compatibile, la o le destinazioni d'uso che integrano o rendono possibile la destinazione d'uso principale”.

E pertanto, quand'anche l'uso professionale di parte dell'edificio residenziale rientrasse nell'art. 2 della legge regionale, sicuramente non sarebbe applicabile l'art. 9, né potrebbero essere applicabili gli artt. 7 e 8 della L. n. 47/85.

Infatti, è noto come l'art. 8 sia applicabile a “opere” con variazioni essenziali -e, come tali abusive e suscettibili di demolizione su ordine del sindaco ex art. 7 della medesima legge-, il che lascia intendere che, in mancanza di opere, non vi potesse essere abusiva modifica di destinazione d'uso (cfr. Corte Cost., 11 febbraio 1991, n. 73).

E lo stesso vale per l'art. 9, che fa comunque riferimento ad “opere” di ristrutturazione edilizia, conformemente alla giurisprudenza della Corte Costituzionale ( cfr., in particolare, la sentenza n.498 del 1993), che ha stabilito come debba “ritenersi esclusa dal regime della concessione ogni ipotesi di mutamento di destinazione non connessa con modifiche strutturali dell'immobile”.

7.- Da quanto detto deriva pertanto l'accoglimento dell’appello, con il conseguente assorbimento dei restanti motivi. In riforma della gravata sentenza ed in accoglimento del ricorso in primo grado, va pertanto disposto l'annullamento dell'atto impugnato in primo grado.

8.-Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello (RG n. 3927/13), come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l'effetto, in riforma della impugnata sentenza ed in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla l'atto ivi impugnato.

Condanna il Comune di Monza al pagamento, in favore del signor Giorgio Gaetani, delle spese dei due gradi di giudizio, che si liquidano in euro 3000,00 (tremila), oltre agli accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente FF

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/11/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)