N. 04819/2004 REG.RIC.

N. 05916/2014REG.PROV.COLL.

N. 04819/2004 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4819 del 2004, proposto da:
Di Nardo Antonino, rappresentato e difeso dagli avvocati Chiara Capobianco e Lucio Mario Epifanio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giacomo Delli Colli, in Roma, via Lima, n. 18;

contro

Comune di Venafro, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Colalillo e Anna Ferreri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Clementino Palmiero, in Roma, via Albalonga, n. 7;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Molise - Campobasso n. 476/2003, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto per la declaratoria della sussistenza di un rapporto di impiego a tempo determinato tra il ricorrente ed il Comune di Venafro e per la conseguente condanna del Comune al pagamento di tutte le somme a qualunque titolo dovute, oltre ad interessi e danno da svalutazione monetaria;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venafro;

Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Barbara Del Duca, su delega dell'avvocato Chiara Capobianco, e Stefano Scarano, su delega dell’avvocato Vincenzo Colalillo;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso al T.A.R. Molise il signor Antonino Di Nardo ha dedotto di aver avuto, a più riprese, incarichi per rapporti di lavoro a decorrere dalla data del “01.01.88” con il Comune di Venafro e che, in particolare, con deliberazione n. 115 del 10 marzo 1988, la Giunta comunale gli aveva affidato l’appalto di pulizia di alcune strade, con contratto che veniva rinnovato ogni tre mesi, o comunque alla scadenza, fino all’anno 1990.

Detta attività, secondo quanto affermato in ricorso, sarebbe stata svolta in realtà alle dipendenze del Comune, che forniva mezzi e materiali, mascherando con contratti d’opera il rapporto di lavoro subordinato perché il deducente in effetti svolgeva le sue mansioni lavorando, in modo continuativo e con orario prestabilito dall’Ente, per sei ore di lavoro giornaliere.

2.- Con la sentenza in epigrafe indicata detto T.A.R., premesso che non è configurabile rapporto di pubblico impiego quando nel provvedimento con il quale un soggetto viene incaricato da una pubblica Amministrazione della effettuazione di una attività lavorativa non sia indicato alcun orario di inizio e termine dell’attività stessa, ha respinto il ricorso in primo luogo nell’assunto che nel caso di specie risultava che il ricorrente aveva intrattenuto rapporti con il Comune intimato in virtù di numerosi contratti d’opera, disciplinati volta per volta da apposite convenzioni deliberate e stipulate dal Comune stesso, con pagamenti disposti dietro presentazione di fattura, previa iscrizione al registro ditte della Camera di Commercio e possesso della partita I.V.A.; in secondo luogo nel rilievo che all’interessato non erano mai stati impartiti ordini di servizio, né era stato mai fissato un orario di inizio e termine dell’attività lavorativa, non sussistendo esclusività, ovvero prevalenza della detta attività lavorativa; in terzo luogo in quanto i servizi erano stati svolti dal ricorrente a sua cura e spese, nei modi e durante i periodi ritenuti più opportuni, restando a suo carico tutto quanto necessario per l’espletamento degli stessi, sicché il lavoratore non era stato mai inserito nell’apparato organizzativo del Comune.

3.- Con il ricorso in appello in esame il signor Di Nardo ha chiesto l’annullamento di detta sentenza deducendo i seguenti motivi:

Sostanziale ingiustizia della sentenza nel merito. Violazione e falsa applicazione della legge sul pubblico impiego.

Il rapporto in questione sarebbe sorto con un’impostazione formale impropria, ambigua o contraddittoria, che ha assunto le forme di un rapporto diverso ma che sarebbe stata qualificabile come di pubblico impiego, anche in mancanza di un formale procedimento di nomina e di assunzione, sussistendo gli indici rivelatori di un tale rapporto, surrettiziamente modellato sugli schemi del contratto d’opera o dell’appalto di servizi.

Quanto all’inerenza delle mansioni svolte dal ricorrente ai fini istituzionali dell’Ente e al suo inserimento nell’organizzazione dello stesso, rileverebbe, secondo il signor Di Nardo, che, come risultante dalle premesse degli atti deliberativi del rapporto, esso era stato assunto proprio per consentire al Comune di svolgere i propri compiti istituzionali, in quanto, a parte l’obiettiva natura delle mansioni di pulizia stradale assegnategli, era espressamente evidenziato nelle delibere che si trattava di compiti necessari per i quali il Comune aveva l’obbligo di provvedere.

Le prestazioni sarebbero state peraltro rese con carattere di continuità nel tempo e con intensità di impiego nell’arco della giornata idonea a dimostrare il carattere professionale dell’impegno.

Anche se negli atti di conferimento dell’incarico non erano contenute prescrizioni circa le modalità di lavoro, questo si sarebbe svolto nell’arco dell’intera giornata e gli orari di inizio e conclusione delle singole prestazioni sarebbero stabiliti dal Comune, sicché sarebbe inconfutabile la sussistenza anche del carattere dell’esclusività della prestazione lavorativa a favore dell’Ente, in quanto sarebbero state messe a disposizione del Comune tutte le energie lavorative e non solo il risultato finale.

Inoltre il signor Di Nardo avrebbe ricevuto precise direttive circa lo svolgimento del suo lavoro (anche se veniva abitualmente impiegato come “spazzino”), che sarebbe stato caratterizzato anche dal carattere della continuità.

Il rapporto in questione, secondo l’appellante, presentava quindi tutte le caratteristiche del rapporto di pubblico impiego, con conseguente diritto all’accoglimento delle domande di carattere economico formulate, con riferimento alle eventuali differenze retributive commisurate a quelle dei dipendenti di ruolo di pari livello, oltre ad interessi e rivalutazione.

4.- Con atto depositato il 21 agosto 2004 si è costituito in giudizio il Comune di Venafro, che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione nei termini dei provvedimenti costitutivi del rapporto e degli atti di proroga, ha ribadito l’eccezione di prescrizione quinquennale (il rapporto tra le parti si era concluso nell’anno 1989 ed il ricorso è stato notificato nell’anno 1997), nonché ne ha dedotto l’infondatezza, sia perché il ricorrente stesso aveva chiesto di effettuare il servizio come contratto d’opera ex art. 2222 del c.c. ed era titolare di partita I.V.A., sia perché non sussisteva subordinazione (non avendo mai gli uffici impartito alcun ordine al suddetto) e sia perché il contenuto del contratto di convenzione sottoscritto tra le parti dimostrerebbe la sussistenza di un servizio di appalto, con acquiescenza e conseguente inammissibilità del gravame anche sotto tale angolazione. Il Comune ha quindi concluso per la reiezione dell’appello.

5.- Con memoria depositata il 22 luglio 2014 la parte resistente ha ribadito le già formulate deduzioni e domande.

6.- Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

7.- La Sezione valuta l’appello infondato. Tanto consente di prescindere dalla verifica della fondatezza delle eccezioni del Comune di Venafro, di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione nei termini dei provvedimenti costitutivi del rapporto e degli atti di proroga, nonché di prescrizione quinquennale e di acquiescenza.

8.- Osserva il Collegio, in via generale, che è ormai consolidato in giurisprudenza il principio che il rapporto di lavoro instaurato con gli Enti locali, in contrasto con norme che sanciscono la nullità di assunzioni al di fuori dei casi da esse disciplinate (sia esso rapporto a termine o a tempo indeterminato), nasce e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale gli indici rivelatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di astratta qualificazione al fine della determinazione della giurisdizione e della disciplina economica e previdenziale relativa alle prestazioni lavorative; ciò in quanto la sanzione della nullità, comminata per i provvedimenti di assunzione contra legem, utilizza la nozione di nullità in senso proprio, con la conseguenza di rendere tale vizio, oltre che rilevabile da chiunque e d'ufficio, imprescrittibile e insanabile (Consiglio di Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2270).

In caso di non configurabilità del rapporto di pubblico impiego, ma in presenza di assunzioni effettuate in violazione di legge, può comunque ricorrere il diritto degli interessati ad ottenere differenze retributive, nonché prestazioni contributive e previdenziali, quando sia provata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di fatto, rispetto al quale gli indici rivelatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di astratta qualificazione, ai fini della determinazione della disciplina economica e previdenziale relativa alle prestazioni lavorative in essere (Consiglio di Stato, sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5878).

In tema di qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, gli indici sostanziali che possono considerarsi come rivelatori di un vero e proprio rapporto di pubblico impiego consistono nella natura pubblica dell'Ente datore di lavoro, nella diretta correlazione dell'attività lavorativa prestata con i fini istituzionali, nell'effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'ente, nell'orario predeterminato e assoggettato a controllo, nella retribuzione prefissata ed a cadenza mensile e nel carattere continuativo, professionale e in via prevalente, se non esclusiva, delle prestazioni lavorative effettuate (Consiglio di Stato, sez. VI, 5 dicembre 2013, n. 5799).

In relazione a detti indici rivelatori del rapporto di pubblico impiego incombe, peraltro, su chi ne invoca la sussistenza, l'onere di fornire almeno principi di prova al riguardo (Consiglio di Stato, sez. VI, 5 dicembre 2013, n. 5799).

8.1.- Nel caso di specie il rapporto di lavoro intercorso tra il signor Di Nardo ed il Comune di Venafro non aveva le caratteristiche del pubblico impiego, né i requisiti sostanziali del lavoro subordinato, quali il rispetto di un vero e proprio orario di servizio, l'inserimento in una struttura gerarchico-funzionale, il carattere continuativo ed esclusivo, ma era qualificabile come lavoro autonomo perché la prestazione d'opera si è svolta con un rischio limitato (nella specie, solo la perdita di compenso nell'ipotesi di impossibilità di espletamento delle prestazioni) e ha goduto di autonomia circa le modalità di svolgimento del servizio e l'impiego delle energie lavorative.

Invero al signor Di Nardo, che aveva chiesto con nota del 24 febbraio 1983 al Sindaco del Comune di Venafro di prestare la sua opera come operaio netturbino, con contratto d’opera, è stato affidato dal Comune, con deliberazione della G. M. n. 92 del 1983, il servizio di pulizia di alcune strade in appalto, per un primo periodo, poi prorogato, e successivamente, con apposita convenzione, il rapporto è stato assimilato ad un contratto d’opera ex art. 2222 del c.c..

I pagamenti sono stati disposti a seguito di presentazione di fatture da parte del lavoratore in questione, che era stato previsto che fosse iscritto alla Camera di Commercio e che fosse in possesso di partita I.V.A.. Inoltre non risulta adeguatamente provato che al suddetto siano stati rivolti veri e propri ordini di sevizio e che fosse sottoposto a vincolo gerarchico con riguardo ad organi del Comune.

Non sussistevano quindi tutti gli indici rivelatori del pubblico impiego necessari per il riconoscimento del diritto dell’interessato ad ottenere le richieste differenze retributive, essendo insufficiente al riconoscimento della sussistenza di detti indici l’avvenuto svolgimento di servizi necessari alla comunità con carattere di continuità, a seguito di direttive comunali, e non essendo sufficientemente provato che lo svolgimento dell’attività lavorativa da parte dell’istante avesse caratteristiche tali da configurare esclusività del lavoro svolto a favore del Comune.

In sede di verifica dell'effettiva esistenza di un rapporto di impiego pubblico è stata invero ritenuta dalla giurisprudenza irrilevante la circostanza che per lo svolgimento del servizio il dipendente fosse tenuto al rispetto di orario di lavoro fisso e anche all'obbligo di firma dei fogli di presenza, atteso che tali adempimenti sono garanzie rivolte a provare l'effettiva ed adeguata prestazione dei servizi a lui affidati, all'interno del contenuto naturale delle modalità esecutive connesse al tipo di contratto tra le parti, compatibili, cioè, anche quanto ai connessi poteri di verifica dell'adempimento, con l'esecuzione di un appalto o prestazione d'opera (Consiglio di Stato sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5878).

Il semplice inserimento nella struttura pubblica per il conseguimento dei fini propri dell'Ente, ed anche la predeterminazione di un orario complessivo di lavoro mensile, l'erogazione del compenso per un ammontare fisso da corrispondere con cadenza mensile, non sono infatti sufficienti alla dimostrazione della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, rappresentando elementi comuni anche al contratto d'opera ex art. 2222 ss. c.c. e in assenza, come nel caso di specie, dell'inserimento del lavoratore nella struttura dell'Ente con rapporto di subordinazione gerarchica.

8.2.- Le censure formulate con l’appello in esame non sono quindi suscettibili di positiva valutazione.

9.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

10.- Nella particolarità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame.

Compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Doris Durante, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/12/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)