N. 02520/2013REG.PROV.COLL. N. 09359/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9359 del 2010, proposto da: contro
per la riforma dell' ordinanza collegiale del T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 73 dd. 23 marzo 2010, resa tra le parti e concernente liquidazione spese di giudizio per perenzione di ricorso proposto avverso ingiunzione a demolire opere abusive. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Almenno San Salvatore; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Luigi Donadoni l’Avv. Ferruccio Orlandi e per l’appellato Comune di Almenno San Salvatore l’Avv. Francesco Crisci; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.1. L’esposizione della vicenda per cui è causa non può prescindere dall’illustrazione di taluni antefatti, alquanto risalenti nel tempo e che - nondimeno - risultano determinanti per la compiuta conoscenza della vicenda medesima. In data 20 giugno 1968, il Comune di Almenno San Salvatore (Bg) ha rilasciato all’attuale appellante, Sig. Luigi Donadoni, la licenza edilizia n. 457 Reg. Costr. avente ad oggetto la realizzazione in località Oppoli Sopra, su un terreno fortemente scosceso e ad oggi corrispondente al civico n. 15 di Via Repubblica, di un edificio che sarebbe dovuto essere di sette piani, verso il lato a valle, e di quattro sul versante opposto. I relativi lavori, iniziati il 5 novembre 1968 sono stati peraltro sospesi quasi subito con ordinanza del Pretore di Almenno San Salvatore emessa a’ sensi dell’art. 703 cod. proc. civ. a seguito di denuncia di nuova opera formulata dall’Opera Pia Rota a’ sensi dell’art. 1171 cod. civ., dante causa del medesimo Donadoni, la quale reclamava l’esercizio di una servitu altius non tollendi gravante sul fondo ceduto in proprietà all’attuale appellante. A seguito di tale provvedimento giudiziale, l’impresa costruttrice ha abbandonato il cantiere quando l’edificio era stato realizzato per 3 piani fuori terra, verso il lato di valle, e per un piano dalla parte opposta, sui lato strada. Il Donadoni riferisce, quindi, di aver completato l’edificio medesimo mediante lavori da lui eseguiti in economia, adibendo quindi il piano prospiciente alla strada provinciale (lato verso monte) a negozio: tutto ciò a motivo dell’intervenuta sua impugnazione del provvedimento pretorile di sospensione dei lavori, reso poi in effetti privo della sua efficacia interdittiva. Va comunque evidenziato che con sentenza n. 2435 dd. 10 ottobre 1980 la Sez. III civile della Corte di Cassazione ha accolto integralmente le ragioni fatte valere dall’Opera Pia Rota nei confronti del Donadoni. Il medesimo Donadoni riferisce quindi che il Sindaco di Almenno San Salvatore, a riscontro di una pregressa sua richiesta presentata in data 7 aprile 1970, ha rilasciato il certificato di agibilità limitatamente alla parte di edificio adibito a negozio. L’Amministrazione Comunale ha inoltre proceduto in data 21 dicembre 1972 ad un nuovo sopralluogo in cantiere, all’esito del quale è stato rilevato che, a parte il piano adibito a negozio, degli altre tre realizzati uno era stato completato al 90%, nel mentre gli altri due erano stati invece, completati per il 30% circa, mancando ancora a quella data le barriere, gli infissi, i pavimenti e gli impianti igienici. In dipendenza di ciò e su richiesta dello stesso Donadoni presentata il 26 marzo 1974, il Sindaco avrebbe prorogato sine die l’efficacia dell’originaria licenza edilizia del 1968. Il Donadoni riferisce quindi che i lavori sono stati ripresi e continuati sino alla data del 7 settembre 1977, allorquando il Sindaco di Almenno San Salvatore – a suo dire “inaspettatamente” e comunque nonostante la proroga della licenza edilizia disposta dal medio tempore sopravvenuto art. 18 della L. 28 gennaio 1977 n. 10 sino alla data del 30 gennaio 1981 – ha disposto la sospensione dei lavori “di completamento e di sopralzo dell’edificio esistente in località Oppoli Sopra”, in quanto eseguiti in assenza della “prescritta licenza”; a tale provvedimento ha fatto quindi seguito in data 23 novembre 1978 l’ordinanza di demolizione di quanto era stato ulteriormente realizzato in sopralzo, ossia gli ultimi tre piani. Va rilevato, peraltro, che a fondamento dell’ordinanza sindacale di sospensione dei lavori è stata pure addotta dallo stesso Comune l’entrata in vigore del nuovo P.R.G., adottato sin dal 1977 e per effetto del quale è stato introdotto per la zona B1, nella quale ricade l’immobile del Donadoni, un limite di altezza pari a 7,5 metri, non rispettato dal progetto che il medesimo Donadoni stava realizzando. Il Donadoni riferisce di aver presentato ricorso avverso il provvedimento di approvazione del nuovo strumento urbanistico, respinto dal T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia, con sentenza n. 542 del 1982. L’anzidetta ordinanza di demolizione è stata parimenti impugnata dal Donadoni innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia: ma con sentenza n. 46 dd. 2 febbraio 1982 tale ricorso è stato dichiarato perento a’ sensi dell’allora vigente art. 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, non essendo stata depositata entro il termine dovuto la domanda di fissazione del ricorso medesimo. Il Donadoni riferisce inoltre che l’adozione dell’ordinanza di demolizione medesima era stata, tra l’altro, preceduta dalla richiesta preventiva di parere obbligatorio che il Sindaco aveva inoltrato alla Sezione Urbanistica della Regione Lombardia, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 32 della L. 17 agosto 1942 n. 1150, e che l’organo adito si era pronunciato in senso favorevole alla demolizione dei tre piani costruiti fino al forzato fermo dei lavori determinato dall’ordinanza di sospensione dei lavori dd. 7 settembre 1977. Il Donadoni afferma di aver quindi chiesto l’annullamento di tale parere con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto in data 3 ottobre 2001 a’ sensi dell’art. 8 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e di non conoscere a tutt’oggi l’esito di tale ulteriore impugnativa da lui proposta. Il Donadoni espone pure di aver chiesto al Comune in data 19 ottobre 1981 di essere autorizzato a proseguire i lavori di completamento dell’edificio sulla scorta della proroga della licenza edilizia conseguita nel 1974; non ricevendo risposta, egli afferma di aver più volte reiterato la domanda medesima, ricevendo soltanto in data 3 febbraio 1982 una prima risposta negativa su conforme parere reso dalla Commissione Edilizia comunale, secondo la quale egli non era più titolare del diritto di costruire in dipendenza non solo della pretesa dell’Opera Pia Rota al rispetto dell’anzidetta servitus altius non tollendi, ma anche per effetto della sopravvenuta disciplina contenuta nel P.R.G. che limitava l’altezza degli edifici ricadenti in quella zona del territorio comunale. In data 20 aprile 1982 il Comune ha reiterato tale diniego a seguito di ulteriore istanza del Donadoni, il quale a sua volta ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento con ulteriore ricorso proposto innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sezione di Brescia, dichiarato inammissibile con sentenza n. 702 dd. 31 agosto 1984, a sua volta confermata in appello con sentenza n. 670 dd. 16 gennaio 1996 resa da questa stessa Sezione. Nella sua esposizione dei fatti il Donadoni non sottace che la vicenda sin qui illustrata ha assunto pure risvolti penali, posto che il Pretore di Almenno San Salvatore ha disposto il sequestro dell’immobile in data 12 settembre 1983 nell’evenienza dell’esecuzione di opere - non assentite dal Comune - di tamponamento di alcuni dei muri perimetrali dell’edificio in corso di costruzione. Il procedimento penale che è da ciò conseguito à stato definito con sentenza della Corte di Cassazione, Sez. VI, penale n. 2751 dd. 23 ottobre 1990, recante conferma della sentenza di condanna n. 212 dd. 26 febbraio 1990 emessa dalla Corte d’Appello di Brescia, ad eccezione del capo di imputazione inerente la violazione degli artt. 334, comma 2, e 388 cod. pen. (rispettivamente: sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) per intervenuta amnistia. Il Donadoni riferisce quindi che l’immobile di cui trattasi è stato assoggettato a diversi provvedimenti giudiziali di sospensione dei lavori e di sequestro, segnatamente dal 3 ottobre 1977 fino al 15 dicembre 1983, ossia fino a quando il Pretore di Almenno San Salvatore ha disposto la revoca dell’anzidetto sequestro penale: circostanza, questa, che al di là della personale sua convinzione di essere comunque titolare di un legittimo e idoneo titolo edilizio che lo abilitava a completare l’edificio, gli avrebbe comunque materialmente impedito la spontanea ottemperanza all’ordinanza di demolizione degli ultimi tre piani dell’edificio medesimo emanata dal Sindaco in data 28 novembre 1978. Il Donadoni afferma pure che la stessa sentenza della Corte di Cassazione dianzi citata confermerebbe che, in forza delle proroghe normative contenute nelle disposizioni di cui alla L. 10 del 1977, l’attività edilizia che egli avrebbe potuto porre in essere fino a tutto il 31 dicembre 1984 sarebbe stata per certo legittima. L’attuale appellante riferisce inoltre che con deliberazione del Consiglio di amministrazione dd. 26 luglio 1984 l’Opera Pia Rota si era determinata a concludere con lui una transazione, comprendente la rinuncia a far valere la servitus altius non tollendi a fronte della corresponsione di una congrua somma quale corrispettivo al riguardo, e che peraltro la Sezione provinciale di Bergamo del Comitato Regionale di Controllo ha annullato con proprio provvedimento dd. 25 luglio1987. 1.2. Il Sindaco ha quindi emesso il provvedimento Prot. n. 4139 dd. 26 luglio 1991, recante un’ulteriore ingiunzione a demolire le parti abusive dell’edificio, dando contestualmente atto nella parte motiva di tale provvedimento che la demolizione stessa non era stata sino a quel momento possibile in dipendenza sia del sopradescritto contenzioso giudiziale penale ed amministrativo, sia delle misure di condono edilizio medio tempore intervenute. Anche tale provvedimento sindacale à stato impugnato dal Donadoni innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia, sub R.G. 1160 del 1991. 1.3. Con ordinanza n. 625 dd. 15 novembre 1991 l’adito giudice di primo grado ha respinto la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, avanzata dal Donadoni, il quale ha pure proposto appello al riguardo, respinto a sua volta da questa stessa Sezione con ordinanza n. 843 dd. 28 maggio 1993. 1.4. Tale procedimento è stato quindi definito con decreto presidenziale di perenzione n. 930 dd. 30 giugno 2003. 1.5. Il Donadoni ha proposto opposizione avverso tale provvedimento, notificata il 9 e il 14 gennaio 2004 e depositandola il 16 gennaio 2004. Nella propria impugnativa il medesimo Donadoni ha affermato che il termine di 60 giorni per la proposizione dell’opposizione stessa a’ sensi dell’allora vigente art. 26, comma 7, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 decorreva dal 25 novembre 2003, ossia dalla data di ricezione per e-mail della notizia della pronuncia predetta da parte dell’Ufficio relazioni con il pubblico della Sede di Brescia del T.A.R. per la Lombardia. Secondo lo stesso Donadoni, inoltre, il termine decennale ex art. 9, comma 2, della L. 21 luglio 2000 n. 205, in forza del cui decorso la perenzione era stata dichiarata, doveva essere prolungato al fine di considerare pure le medio tempore intervenute sospensione feriali di cui alla L. 7 ottobre 1969 n. 742 con la conseguenza che per il caso di specie la perenzione sarebbe intervenuta appena nel marzo del 2003 e che - comunque - né prima, né dopo tale data la Segreteria della Sezione presso la quale il ricorso pendeva gli avrebbe notificato l’invito a presentare entro 6 mesi la domanda di fissazione dell’udienza; senza sottacere, inoltre, che nel caso di specie la perdurante sussistenza di un proprio interesse alla definizione del ricorso nel merito era comprovato dall’avvenuta proposizione in data 26 luglio 2001 di motivi aggiunti di ricorso. 1.6. Con ordinanza collegiale n. 7 dd. 2 febbraio 2004 l’adito giudice di primo grado ha respinto l’opposizione del Donadoni, rilevando che: “la Segreteria della Sezione ha predisposto avviso di deposito del decreto di perenzione in data 30 giugno 2003, con invio per fax il giorno successivo. Peraltro il ricorrente era domiciliato presso la Segreteria della Sezione; la nota con l’invito a presentare istanza di fissazione di udienza è stata inviata dalla Segreteria della Sezione allo studio del legale del ricorrente con raccomandata A/R all’indirizzo di Bergamo, Via Masone 2, e risulta ricevuta in data 21 gennaio 2002. Anche al riguardo si deve comunque ribadire che il ricorrente era domiciliato presso la Segreteria della Sezione; il termine decennale si calcola senza sospensioni, in quanto tale periodo è preso in considerazione dalla norma come parametro legale della conservazione dell’interesse alla decisione e non al fine di sollecitare particolari adempimenti processuali; l’attività processuale svolta all’interno del termine decennale è irrilevante (Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2003 n. 213). La perenzione decennale, a differenza di quella ordinaria, non tende principalmente a sollecitare l’attività processuale delle parti ma a preservare l’utilità della pronuncia giudiziale, che dopo un lungo periodo di tempo potrebbe essere data inutilmente per le modifiche di fatto e di diritto intervenute nel frattempo; nel caso specifico, inoltre, i motivi aggiunti proposti dal ricorrente nel 2001 integrano censure contro il provvedimento impugnato con il ricorso originario senza introdurre un contenzioso strutturalmente autonomo nei confronti di altri atti”. 1.7. Avverso tale ordinanza il Donadoni ha proposto appello sub R.G. 2109 del 2004, deducendo al riguardo violazione dell’obbligo di regolare comunicazione a’ sensi dell’art. 9, comma 2 della L. 205 del 2000 dell’obbligo di regolare comunicazione, violazione dell’obbligo di rituale notizia di cui all’art. 6, ultimo comma, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, non risultando nella specie previsto l’utilizzo della posta elettronica, oltre a tutto non inviata al corretto indirizzo; erronei presupposti a’ sensi del medesimo art. 9 della L. 205 del 2000, nonché omessa astensione obbligatoria del presidente in seno al collegio giudicante, con conseguente violazione degli artt. 51 n. 4 e 669- terdecies cod. proc.civ.). La vertenza è passata in decisione sulle sole conclusioni del Donadoni, e con ordinanza collegiale n. 5784 dd. 7 settembre 2004 questa stessa Sezione ha respinto la sua impugnazione, “stante la sospensione legislativa in atto in materia di condono edilizio (art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 conv. in L. 24 novembre 2003 n. 326), efficace nei confronti dei provvedimenti impugnati in primo grado, come pure del decreto presidenziale n. 930 del 2003 e dell’ordinanza (collegiale) n. 7 dd. 2 febbraio 2004 del T.A.R. di Brescia, per legge da ritenersi tutti sospesi fino al 31 luglio 2004 (ed anche successivamente, in presenza di domanda di sanatoria). Pertanto, il ricorso in appello va respinto, mentre le spese di questa fase saranno liquidate al definitivo”. 1.8. A questo punto il procedimento di opposizione avverso il decreto presidenziale dichiarativo della perenzione n. 930 del 2003 è stato definitivamente concluso dal giudice adito in primo grado con ordinanza collegiale n. 73 dd. 23 marzo 2004. In tale ordinanza si legge, infatti – per quanto qui segnatamente interessa – che “il Comune ha depositato in data 22 febbraio 2010 l’ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5784 del 2004 al fine di ottenere la liquidazione delle spese di giudizio. La nota spese, depositata il 25 febbraio 2010, non si limita al giudizio di opposizione alla perenzione ma riguarda l’intero ricorso n. 1160 del 1991, conn una richiesta complessiva pari ad € 10.879,56.- , oltre ad IVA e CPA. … In effetti, considerato che questo T.A.R. si è già pronunciato sull’opposizione alla perenzione con l’ordinanza n. 7 del 2004, e tenuto conto delle valutazioni svolte nella sentenza n. 2565 dd. 14 dicembre 2009” (emessa sempre dal giudice di primo grado in reiezione dell’ulteriore ricorso ivi proposto sub R.G. 54 del 1993 dallo stesso Donadoni avverso il susseguente provvedimento del Sindaco di Almenno San Salvatore Prot. n. 5280 del 4 novembre 1992, recante l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli ultimi tre piani abusivi fuori terra dell’edificio in questione), l’unica questione che rimane ancora aperta è quella relativa alle spese. … Al riguardo si osserva che la richiesta del Comune deve essere accolta per la parte riferibile al giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 26, comma 7, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, il quale prevede che nel caso di rigetto le spese siano poste a carico dell’opponente senza possibilità di compensazione anche parziale. La nota spese interessa solo la fase dell’opposizione che si è tenuta davanti al T.A.R. Del resto il Comune non ha partecipato al giudizio di appello. …Non può invece essere liquidata alcuna somma per l’attività Il decreto presidenziale n. 930 del 2003 utilizzando la formula “nulla per le spese” ha evidentemente fatto applicazione dell’art. 45 comma 2 del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, il quale stabilisce che nel caso di perenzione ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio perento. Tale norma (coerente con il principio di cui all’art. 310 comma 4, cod. proc. civ. in materia di estinzione del processo) può essere estesa alla perenzione decennale (ora quinquennale). In effetti, pur essendo quest’ultima uno strumento che a differenza della perenzione ordinaria non sanziona l’inattività delle parti ma previene piuttosto l’inutile esame nel merito di ricorsi non più attuali a causa del tempo trascorso, l’effetto estintivo è in entrambi i casi la conseguenza automatica del verificarsi di un presupposto previsto dalla legge. Manca quindi un espresso atto di rinuncia al quale si possa ricollegare l’obbligo di rimborsare le spese (v. art. 46, comma 2, del R.D. 642 del 1907; art. 306, comma 4, cod. proc. civ.). … Nello specifico le spese del giudizio di opposizione, tenuto conto della natura della controversia e della limitata attività processuale, possono essere liquidate nell’importo complessivo di € 760 oltre a IVA e CPA”. 2.1. Tutto ciò premesso, con l’appello in epigrafe il Donadoni chiede la riforma sia dell’anzidetta ordinanza collegiale n. 7 del 2004 resa in primo grado dalla Sezione staccata di Brescia del T.A.R. per la Lombardia, sia dell’ordinanza collegiale n. 16 del 2010 resa dal medesimo giudice. Il Donadoni premette al riguardo che il proprio interesse alla definizione del giudizio relativo ai rapporti definiti in tal modo dal giudice di primo si fonda sull’esigenza di riattivare il giudizio da lui proposto sulla legittimità dell’ingiunzione a demolire Prot.n. 4139 dd. 26 luglio 1991 gli anzidetti tre piani dell’immobile da lui realizzato, ottenendo in tal modo una definizione di tale causa nel merito. Il Donadoni reputa inoltre, con riguardo all’art. 43 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, di poter essere rimesso in termini per chiedere a’ sensi dell’art. 32 del D.L. 269 del 2003 convertito in L. 326 del 2003 il condono edilizio per le opere abusive da lui realizzate: e ciò per effetto di un’eventuale accoglimento sia del presente appello, sia di quello concomitantemente da lui proposto sub R.G. 3503 del 2010 avverso l’anzidetta sentenza n. 2565 dd. 14 dicembre 2009 resa sempre dalla Sezione di Brescia del T.A.R. per la Lombardia, e parimenti chiamato in discussione all’odierna pubblica udienza. Il Donadoni evidenzia che l’ordinanza n. 5784 dd. 7 settembre 2004 emessa sub R.G. 2109 del 2004 non si configura quale provvedimento giudiziale definitivo del relativo procedimento, avendo di fatto soltanto precisato che nei riguardi dei provvedimenti impugnati in primo grado, come pure del decreto presidenziale n. 930 del 2003 e dell’ordinanza (collegiale) n. 7 dd. 2 febbraio 2004 emessi dalla Sezione di Brescia del T.A.R. per la Lombardia era a quel tempo operante la sospensione dei procedimenti in atto in materia di condono edilizio fino al 31 luglio 2004 “ed anche successivamente, in presenza di domanda di sanatoria”: assunto, questo, che – per l’appunto –ex se non definiva, né definisce il giudizio da lui instaurato, ma soltanto lo sospende e che renderebbe quindi del tutto illogica l’affermazione dello stesso giudice, che pur contestualmente si rinviene nell’ordinanza stessa e secondo la quale “il ricorso in appello va respinto, mentre le spese di questa fase saranno liquidate al definitivo”. Il Donadoni premette inoltre che in dipendenza di tutto ciò la definizione del giudizio di perenzione si è nella specie completata in primo grado soltanto mediante l’ordinanza collegiale n. 16 del 2010 recante la pronuncia sulle spese del giudizio e che, comunque, la definizione del giudizio medesima si fonda su di una lettura correlata dell’ordinanza medesima con quella n. 7 del 2004 precedentemente emessa dallo stesso giudice. Il Donadoni reputa pertanto illegittimo quest’ultimo provvedimento giudiziale laddove il giudice di primo grado ha respinto in sede di opposizione al decreto di perenzione la censura con la quale era stata dedotta l’irrituale comunicazione del decreto stesso, in quanto avvenuta presso un domicilio diverso da quello eletto dal ricorrente. 2.2. Si è costituito nel presente grado di giudizio il Comune di Almenno San Salvatore, concludendo per la reiezione dell’appello. 3.1. La causa è stata per la prima volta chiamata per la sua definizione nel merito, alla pubblica udienza del 4 maggio 2012. In tale evenienza su accordo e istanza delle parti la trattazione della causa è stata rinviata la discussione alla udienza del 27 novembre 2012 per consentirne l’abbinamento con il ricorso R.G. 3503 del 2010, previa emissione di avvisi di udienza 3.2. Con memoria dd. 10 0ttobre 2012 il patrocinio del Donadoni ha fatto presente di aver pure chiesto l’abbinamento del presente ricorso con quello pendente sub R.G. 2109 del 2004, ma che la relativa istanza “non è stata accettata dalla Segreteria della Sezione, in quanto il ricorso sarebbe ormai esaurito a seguito dell’ordinanza 7 settembre 2004 n. 5784”; assunto, questo, che il patrocinio medesimo decisamente contesta, rilevando che l’ordinanza testè riferita “appare estremamente anomala, in quanto”respinge il ricorso in appello”, ma “rinvia al definitivo la liquidazione delle spese della presente fase””. In dipendenza di ciò, quindi, il patrocinio del Donadoni “chiede che vengano in proposito adottate le relative determinazioni”. 3.3. Alla pubblica udienza del 27 novembre 2012 la causa è stata quindi trattenuta per la decisione. 4.1. Il Collegio, stante l’espressa richiesta formulata al riguardo dal patrocinio del Donadoni, deve innanzitutto farsi carico di chiarire la sorte dell’appello proposto dal Donadoni sub R.G. 2109 del 2004, con il quale è stato parimenti chiesta la riforma dell’anzidetta ordinanza collegiale n. 7 del 2004 e in ordine alla quale è stata peraltro già pronunciata da questa Sezione la surriportata ordinanza collegiale n. 5784 del 2004. Secondo l’allora vigente art. 26, ultimo comma, della L. 1034 del 1971 come sostituito dall’art. 9, comma 1, della L. 21 luglio 2000 n. 205, la perenzione era pronunciata con decreto dal Presidente della sezione competente o da un magistrato da lui delegato. Il decreto era quindi depositato in Segreteria, che ne dava formale comunicazione alle parti costituite. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite poteva proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti e depositato presso la Segreteria del giudice adito entro dieci giorni dall’ultima notifica. Nei trenta giorni successivi il collegio decideva sull’opposizione in camera di consiglio, sentite le parti che ne avessero fatto richiesta, con ordinanza che, in caso di accoglimento della opposizione, disponeva le reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario. Nel caso di rigetto le spese dovevano essere poste a carico dell’opponente e venivano liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, “esclusa la possibilità di compensazione anche parziale”. L’ordinanza era depositata in Segreteria, che ne dava comunicazione alle parti costituite. Avverso l’ordinanza che decideva sull’opposizione poteva essere proposto ricorso in appello, il quale “procede (va) secondo le regole ordinarie, ridotti alla metà tutti i termini processuali”. 4.2. Ciò posto, va innanzitutto rimarcato che il giudice di primo grado ha invero pronunciato l’ordinanza collegiale n. 7 del 2004 di reiezione dell’opposizione al decreto di perenzione, riportata nelle sue considerazioni motive al § 1.6 della presente sentenza, astenendosi peraltro dallo statuire sulle spese del giudizio di opposizione medesimo, come viceversa espressamente previsto dalla disciplina processuale all’epoca in vigore. In dipendenza di ciò il giudizio d’appello proposto dal Donadoni sub R.G. 2109 del 2004 non si è potuto concludere, ma è stata correttamente pronunciata da questa Sezione l’ordinanza collegiale n. 7 del 2004 con la quale è stato dato atto della sospensione dei procedimenti sanzionatori degli abusivismi edilizi conseguente alla riattivazione dell’istituto di cui all’art. 44 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 medio tempore intervenuta per effetto dell’art. 32 del D.L. 269 del 2003 convertito con modificazioni in L. 326 del 2003 e a fortiori applicabile anche ai processi pendenti innanzi al giudice amministrativo e aventi a loro volta ad oggetto - per l’appunto - gli anzidetti procedimenti deputati all’irrogazione delle sanzioni urbanistico-edilizie. Il giudice di primo grado, non appena il periodo di sospensione del processo è venuto meno, con ulteriore ordinanza collegiale n. 16 del 2010 si è quindi pronunciato sulle spese del procedimento di opposizione al decreto di perenzione, definendo così integralmente il procedimento giudiziale di propria competenza; e il Donadoni, proponendo ora appello avverso tale ulteriore statuizione con la contestuale riproposizione dell’impugnazione dell’anzidetta ordinanza collegiale n. 7 del 2004 ha in tal modo ridevoluto a questo giudice la plena cognitio della fattispecie, tra l’altro ora nella vigenza dello ius novum desunto dal combinato disposto degli artt. 35, 85 e 87, comma 3, cod. proc. amm. in parte riproduttivo della disciplina previgente. Corre pertanto la necessità di precisare che, in tale contesto, risulta in effetti di per sé anomala la statuizione contenuta nella predetta ordinanza collegiale n. 5784 del 2004, in forza della quale, come si legge sia nella parte motiva del provvedimento medesimo, sia nel suo dispositivo, si “respinge il ricorso in appello” e si “rinvia al definitivo la liquidazione delle spese della presente fase” , posto che in realtà il giudicante ha avuto – come detto innanzi – esclusivo riguardo alla sussistenza di una causa di sospensione del procedimento, sia amministrativo che giurisdizionale, astenendosi in tal modo da qualsivoglia valutazione in ordine ai motivi di impugnazione dedotti dal Donadoni avverso la pronuncia con la quale il giudice di primo grado aveva respinto l’opposizione ivi proposta dal Donadoni avverso il decreto presidenziale di perenzione. Né va sottaciuto che a tale anomalia giuridica si è concomitantemente accompagnata pure un’anomalia di tipo informatico che ha impedito alla Segreteria della Sezione di provvedere alla reiscrizione del procedimento d’appello R.G. 2109 del 2004 nel ruolo delle cause da trattare all’odierna pubblica udienza. Informaticamente – ma erroneamente - l’ordinanza collegiale è stata trattata infatti dal NSIGA (acronimo di “Nuovo sistema informatico della giustizia amministrativa”) quale sentenza che ha integralmente definito il giudizio in secondo grado, e ciò nonostante la contestuale riserva di ulteriore pronuncia sulle spese in essa contenuta; e anche il deposito del ricorso del Donadoni da cui è conseguita l’ordinanza collegiale n. 5784 dd. 7 settembre 2004 resa da questa stessa Sezione risulta nel protocollo informatico inverosimilmente avvenuto nella sola versione cartacea in data ben successiva, ossia il 26 ottobre 2012 (cfr. protocollo 2012054854 e protocollo CNIPA 20120065492) e considerato ivi impropriamente quale “memoria di costituzione”. Nondimeno, e per quanto detto innanzi, la circostanza che nella specie è stata - per l’appunto - emessa nella forma e nella sostanza giuridica un’ordinanza collegiale, sia pure avente contenuto dispositivo perplesso, e che la circostanza medesima ha consentito sia al giudice di primo grado di concludere a sua volta l’attività processuale di sua competenza e all’attuale appellante di complessivamente reimpugnare entrambe le ordinanze collegiali mediante il procedimento d’appello oggi trattenuto in decisione, fa sì che il Collegio possa ora pronunciarsi nel contesto del presente procedimento sull’intera controversia. 5. Tutto ciò doverosamente premesso, l’appello proposto dal Donadoni – così come ora complessivamente descritto nel suo oggetto – va respinto, per quanto qui appresso specificato. 1) Avuto riguardo alla disciplina all’epoca vigente, la sospensione dei termini nel periodo feriale prevista dall’art. 1 della L.. 7 ottobre 1969 n. 742 trovava applicazione anche al termine di perenzione ordinario biennale del ricorso previsto dall’art. 23, comma 1 e dall’art. 25 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, 15 settembre 2003 n. 5114), derivanti dall’omologa disciplina contenuta nell’art. 40 del T.U. approvato con R.D. 26 giugno 1924 n. 1054. Ad una conclusione diversa si perviene avuto riguardo alla ben diversa perenzione disciplinata dall’art. 9, comma 2, della L. 21 luglio 2000 n. 205. Ivi infatti si affermava – sempre con riguardo alla disciplina vigente all’epoca dei fatti di causa e, quindi, senza considerare le modifiche apportate susseguentemente al testo della disciplina in esame dia, dapprima, per effetto dell’art. 54, comma 1, del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni in L. 6 agosto 2008 n. 133 e, poi, per effetto dell’art. 57, comma 1, della L. 18 giugno 2009 n. 69 - che “a cura della Segreteria è notificato alle parti costituite, dopo il decorso di dieci anni dalla data di deposito dei ricorsiapposito avviso in virtù del quale è fatto onere alle parti ricorrenti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di notifica dell'avviso medesimo. I ricorsi per i quali non sia stata presentata nuova domanda di fissazione vengono, dopo il decorso infruttuoso del termine assegnato, dichiarati perenti con le modalità di cui all’ultimo comma dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dal comma 1 del presente articolo”. La perenzione decennale testè descritta nella sua disciplina , a differenza di quella ordinaria, non tende principalmente a sollecitare l’attività processuale delle parti ma a preservare l’utilità della pronuncia giudiziale, la quale dopo un lungo periodo di tempo potrebbe essere data inutilmente per le modifiche di fatto e di diritto intervenute nel frattempo: dimodochè la disciplina medesima costituisce norma speciale, in parte derogatoria dell’ordinario regime della perenzione scaturente dall’art. 40 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 e dagli artt. 23 commi e 25, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, secondo i quali era – per contro - sufficiente che la discussione del ricorso, ovvero che la fissazione della pubblica udienza di discussione fossero chieste da qualunque delle parti costituite sia il ricorrente, sia l’Amministrazione, sia le altre parti, pubbliche o private entro il termine perentorio di due anni dal deposito del ricorso, oppure dall’eseguita istruttoria, o – ancora - dal compimento di ogni altro atto della procedura che esauriva gli effetti della domanda di fissazione della pubblica udienza. Per tutto quanto testè rilevato, deve dunque concludersi nel senso che mentre la perenzione ordinaria biennale va configurata quale presunzione assoluta di abbandono del giudizio conseguente ad un comportamento inerte delle parti le quali, per un periodo di oltre due anni, non hanno avuto cura di compulsare la fissazione dell’udienza di merito, presentando la relativa domanda, la perenzione di cui all’art. 9 comma 2, della L. 205 del 2000, proprio in quanto impone alla parte ricorrente – e ad essa soltanto - l’onere di rinnovare l’interesse alla decisione pur in presenza di una già rituale presentazione della domanda di fissazione d’udienza, persegue il diverso obiettivo di introdurre da un lato un meccanismo generalizzato di verifica della sussistenza di un interesse alla decisione e, dall'altro, persegue il contestuale smaltimento dell'arretrato (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2011 n. 6848 e Sez. IV, 31 maggio 2007 n. 2881): e, in tal senso, è indubitabile il rilievo che nella perenzione “speciale” di cui all’art. 9, comma 1, della L. 205 del 2000 assume la circostanza che la domanda di fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso deve essere sottoscritta dalla parte sostanziale, la quale solitamente non firma gli atti del processo, posto che in tal modo il legislatore si è assicurato che proprio la persona che fisicamente dispone dell’interesse dedotto in giudizio valuti l’attuale utilità della statuizione giudiziale, dichiarando direttamente la permanenza del relativo interesse. Va opportunamente segnalato che si rinviene in talune riviste un’errata massimazione di Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2003 n. 5114, secondo la quale “anche ai termini previsti per la perenzione, compresa quella decennale di cui all’ art. 9 della L. 205 del 2000, si applica la c.d. sospensione feriale”: ma dalla lettura del testo integrale della sentenza stessa si evince che la fattispecie ivi segnatamente considerata attiene ad un’ipotesi di perenzione biennale ordinaria, e non già di perenzione speciale decennale. 2) Come correttamente rilevato dallo stesso giudice di primo grado, dinanzi a tale indubbio rilievo dato alla richiesta espressione della permanenza dell’utilità della statuizione giudiziale da parte del personale titolare del relativo interesse e non già da parte del suo patrocinante, l’attività processuale svolta all’interno del termine decennale non può che essere irrilevante (cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2003 n. 213, citata nella stessa sentenza impugnata; cfr., peraltro,anche Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2006 n. 1200 che afferma l’irrilevanza in senso contrario di qualsiasi pregresso contegno processuale infradecennale che costituisca espressione della parte ricorrente di una volontà di coltivazione del giudizio; cfr., altresì, Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2003 n. 5116, secondo la quale il deposito, a’ sensi dell’art. 9, comma 2, della L. 205 del 2000 di una domanda di fissazione di udienza sottoscritta dal patrocinate del ricorrente ma priva della sottoscrizione della parte sostanziale non può per certo conseguire effetto ai fini della perenzione decennale, nel mentre va riguardata come atto utile al fine dell’interruzione della perenzione biennale); né va sottaciuto che – come parimenti ha bene evidenziato il giudice di primo grado – che i motivi aggiunti nella specie proposti dal Donadoni nel 2001 integravano censure contro il provvedimento impugnato con il ricorso originario senza introdurre un contenzioso strutturalmente autonomo nei confronti di altri atti. 3) Sotto il profilo fattuale, consta che nella specie il Donadoni era domiciliato presso la Segreteria della Sezione staccata di Brescia del T.A.R. per la Lombardia. Ciò posto, la nota a lui diretta recante l’invito a presentare l’istanza di fissazione dell’udienza è stata inviata dalla Segreteria medesima allo studio dell’Avv. Marco Regazzoni, allora legale patrocinante il Donadoni, mediante raccomandata A/R al suo indirizzo di Bergamo, Via Masone 2, desunto probatamente dall’elenco degli iscritti all’albo degli Avvocati ivi costituito. Questa raccomandata è stata regolarmente ricevuta in data 21 gennaio 2002, e tale inoppugnabile circostanza supera ex se - a’ sensi del generale e ben noto principio di cui all’art. 156, comma 3, cod. proc. civ. - la questione sollevata nel giudizio d’appello dal medesimo Donadoni in ordine alla circostanza che l’Avv. Marco Regazzoni avesse avuto in realtà lo studio a Sorisole, frazione Petosino, ovvero in ordine ad un possibile cambio di indirizzo del medesimo professionista medio tempore intervenuto. Del resto, la stessa giurisprudenza citata dall’attuale patrocinio del Donadoni a sostegno della tesi dell’appellante afferma recisamente che è irrilevante, ai fini della formalità di cui all’art. 9, comma 2, della L. 205 del 2000 inerente l’inoltro da parte della Segreteria del giudice della raccomandata indirizzata – giova ribadire – alla parte sostanziale del processo, il trasferimento dello studio del difensore (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 settembre 2006 n. 5564), a meno che la relativa circostanza non sia stata previamente comunicata dal difensore stesso alla Segreteria del giudice: il che, nella specie, non consta, come non consta l’esistenza di omonimi dell’Avv. Marco Regazzoni, perlomeno all’epoca dei fatti di causa. Più in generale, non può essere accettata la tesi dell’appellante secondo la quale sarebbe stata nella specie violata la regola che vuole siano notificati tutti gli atti processuali presso la sede eletta dalla parte loro destinataria ovvero presso la sede reputata eletta ex lege (cfr. al riguardo, a quel tempo, l’art. 35, secondo comma, del T.U. approvato con R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 in correlazione all’art. 19, primo comma, della L. 6 dicembre 1971 n. 1934 e – ora – l’art. 25 cod. proc. amm.), ossia nel presente caso la Segreteria della Sezione staccata di Brescia del T.A.R. per la Lombardia: e ciò proprio stante la già dianzi rilevata specialità della disciplina contenuta nell’art. 9, comma 2, della L. 205 del 2000 laddove obbliga di raggiungere comunque la parte sostanziale del processo. Risulta in tal senso intuitivo che se la raccomandata fosse stata spedita al Donadoni presso la Segreteria della stessa Sezione il relativo plico sarebbe rimasto ivi a lungo inesitato, nel mentre l’avvenuto suo inoltro presso lo studio del patrocinante consentiva comunque di utilmente raggiungere per il tramite di quest’ultimo – comunque tenuto alla consegna del relativo plico al suo destinatario – la persona chiamata a direttamente ed infungibilmente dichiarare la permanenza dell’utilità nei suoi confronti della decisione giudiziale. Il deposito del decreto di perenzione è ritualmente avvenuto, a sua volta, presso la Segreteria della Sezione anzidetta in data 30 giugno 2003, che ne ha dato avviso al patrocinante predetto mediante fax il giorno susseguente. Tale adempimento della Segreteria risulta del tutto corretto, posto che non risulta di per sé inibito comunicare a mezzo fax al patrocinante della parte che risulta domiciliata presso la Segreteria medesima la circostanza che sono stati depositati atti che riguardano la parte stessa. Nel caso di tale particolare domiciliazione, il valore di tale comunicazione ha ovviamente natura ufficiosa, come potrebbe averla anche una comunicazione per posta elettronica, ancorchè certificata. 4) Né può sostenersi, da ultimo, che il Presidente del Collegio che ha dichiarato la perenzione in primo grado doveva astenersi dal giudizio, a’ sensi degli artt. 51 n. 4 e 669- terdecies cod. proc.civ., stante la circostanza che questi si sarebbe già espresso al riguardo risultando incluso nel collegio che precedentemente si era pronunciato in sede cautelare nel medesimo affare. Orbene, a tale riguardo risulterebbe ex se assorbente la notazione di principio secondo la quale l’eventuale inosservanza dell’obbligo di astensione non incide sulla validità della sentenza ove le parti non abbiano proposto nei prescritti termini e forme apposita istanza di ricusazione, e posto che – quindi - ove le parti medesime non abbiano inteso avvalersi di tale rimedio, esse non possono poi dedurre la nullità della sentenza richiamandosi alla predetta irregolarità processuale (cfr. sul punto, ad es., Cass. Civile, Sez. I, 16 aprile 2004 n. 7252; cfr, per l’applicazione del medesimo principio al processo amministrativo, Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 1982 n. 622). Comunque sia, relativamente al processo amministrativo, è inconfigurabile una situazione di incompatibilità nei confronti del giudice della fase cautelare chiamato a partecipare anche alla decisione di merito della controversia. Tale conclusione ha a suo tempo trovato il suo immediato presupposto nella declaratoria di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede l’obbligo di astensione nella causa di merito per il giudice civile che abbia concesso una misura cautelare ante causam, in riferimento all’art. 24 Cost. (cfr. Corte Cost., 18 marzo 2004 n. 101), affermandosi quindi che nel nostro sistema il giudice che conosce un diritto ovvero un interesse giuridicamente protetto nella fase cautelare è incompatibile a decidere nel merito solo se il processo è penale, nel mentre resta compatibile a decidere nel merito se il processo è civile o amministrativo, posto che l’indirizzo di fondo che ispira il giudice delle leggi sembra nel senso di escludere l’estensione, ai processi diversi da quello penale, di taluni principi sull’incompatibilità del giudice già elaborati con riferimento al dibattimento penale (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2008 n. 1660). La conclusione non muta – a ben vedere – con riferimento al sopravvenuto art. 669-terdecies cod. proc. civ., valorizzato ora dal Donadoni a sostegno della propria tesi. Ferma restando infatti l’inapplicabilità al processo amministrativo – anche in via analogica – di tale disciplina processuale, nel giudizio amministrativo la diversità di esito del giudizio di merito rispetto a quello cautelare, che l’ha preceduto, costituisce un’evenienza del tutto fisiologica in un sistema in cui la funzione giurisdizionale viene esercitata, nelle due sedi processuali, alla luce di parametri ed agendo su piani ben differenti tra loro, e diversi al punto che il giudice del merito può ben essere anche la stessa persona fisica del giudicante già pronunciatosi nella fase cautelare senza che sia gravato da alcun obbligo di astensione in dipendenza della sua partecipazione alla relativa prima decisione. E – semmai – va pure considerata nella specie in esame l’intrinseca diversità del giudizio che deve essere reso in sede di opposizione al decreto di perenzione, il quale richiede una verifica di taluni limitati presupposti fattuali rilevanti al solo fine di un determinato esito del giudizio in chiave strettamente processuale, rispetto sia alla considerazione dell’obiettivo merito di causa che attiene invece alla definizione del procedimento, sia alla considerazione del pregiudizio della parte proprio della statuizione cautelare. 6. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti. Va peraltro dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche corrisposto per il presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio. Dichiara irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche corrisposto per il presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente FF Diego Sabatino, Consigliere Raffaele Potenza, Consigliere Andrea Migliozzi, Consigliere Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 09/05/2013 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) |