Sunday 09 February 2014 08:42:46

Giurisprudenza  Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa

Il comando o il distacco di dipendenti di un'amministrazione ad un'altra non incide sullo stato giuridico del pubblico dipendente né comporta il sorgere di un nuovo rapporto di impiego con l'ente di destinazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

Per costante giurisprudenza amministrativa (ex aliis T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter Sent., 02-09-2008, n. 8008) “il comando o il distacco di dipendenti di un' amministrazione presso altra amministrazione non incide sullo stato giuridico del pubblico dipendente né comporta il sorgere di un nuovo rapporto di impiego con l'ente di destinazione, ma lascia inalterato quello originario alla cui disciplina il dipendente rimane sottoposto con la sola evidente eccezione concernente il rapporto gerarchico nel quale all'ente di appartenenza si sostituisce quello di destinazione”.L’articolo del Tu, come è agevole riscontrare dalla lettura del medesimo, fa riferimento unicamente al dato formale della “dipendenza”. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale *** del 2011, proposto da:

Fiorenza Schiratti, rappresentato e difeso dall'avv. Mariacarla Borghi, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24; Angelo Schiratti, Primo Medici, Nicola Medici, Giuseppe Schiratti;

 

contro

 

Comune di Guastalla, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Enrico Della Capanna, Elisabetta Esposito, con domicilio eletto presso Elisabetta Esposito in Roma, via Giusuè Borsi, 4;

Provincia di Reggio Emilia;

 

nei confronti di

Walter Brioni; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. dell’ EMILIA-ROMAGNA - SEZIONE STACCATA DI PARMA: SEZIONE I n.00088/2011, resa tra le parti, concernente della deliberazione 636 del 22/10/04 del comune di Guastalla concernente la realizzazione di pista ciclabile e conseguente decreto di occupazione d'urgenza

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Guastalla;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Manzi, in sostituzione dell'Avv. Borghi, e Esposito;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna– Sede di Parma - ha respinto il ricorso di primo grado, corredato da motivi aggiunti, proposto dalla parte odierna appellante e volto ad avversare tutti gli atti adottati dal comune di Guastalla in relazione ad una procedura espropriativa che coinvolgeva i terreni dagli stessi posseduti e con il quale era stato altresì richiesto il risarcimento dei danni arrecati a seguito dall’attività amministrativa asseritamente illegittima posta in essere dal comune.

Gli odierni appellanti avevano premesso di essere comproprietari di un complesso immobiliare sito nel Comune di Guastalla, composto da un fabbricato in cui si svolgeva l’attività di ristorante da loro stessi gestita ed un’area cortiliva (Foglio 4 mappale 37), che fungeva da parcheggio e da zona di carico e scarico merci a servizio dell’attività di ristorante.

Il Comune di Guastalla, già dal bilancio del 2001, aveva inserito nell’elenco annuale delle opere pubbliche la realizzazione di una pista pedonale ciclabile sul lato est di Viale Po tra Porta Po e il Ponte stabile sul Po (SP35), il cui progetto preliminare era stato approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. 1 del 10.01.2001 e la previsione dell’opera era stata successivamente confermata anche nel bilancio del 2002.

L’opera, sia pure a seguito di una modifica del progetto preliminare, era stata nuovamente inserita nel bilancio del 2003 e il progetto esecutivo è stato approvato con atto della Giunta Comunale n. 84 del 11.06.2003.

Gli appellanti avevano presentato il ricorso al Tar chiedendo l’annullamento, previa sospensione, della delibera della Giunta comunale n. 84 del 11.06.03 ma il T.A.R. aveva respinto l’istanza cautelare.

In conseguenza di ciò il Comune - avvedutosi, tra l’altro, di un errore catastale, che riguardava proprio la proprietà dei signori Schiratti, aveva approvato una perizia di variante al progetto esecutivo sopraindicato, proprio al fine di stralciare i lavori previsti su tale appezzamento

Era stato anche esperito un tentativo di pervenire ad un accordo bonario per la cessione dell’area, onde evitare l’esproprio delle aree di proprietà di parte appellante: con lettera del 13.01.2004 prot. n. 0000804 era stata comunicato ai proprietari l’adozione della variante al PRG per l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio per la realizzazione delle opere conseguenti alla realizzazione della pista ciclabile – 2° stralcio – ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 327/2001. La variante, in assenza di osservazioni da parte dei proprietari, era stata poi approvata in via definitiva con la delibera del Consiglio comunale n. 7 del 28.01.2004. L’Ufficio Espropri del Comune, con lettera del 04.08.2004, aveva comunicato gli estremi del progetto definitivo - esecutivo, ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 327/01, oltre a proporre l’indennità provvisoria.

Per completare i lavori, garantendo la corretta e sicura transitabilità di Viale Po, erano state attivate le procedure di occupazione d’urgenza dell’area di proprietà catastale della ditta Schiratti, ai sensi del 1° comma dell’art. 22 bis del D.P.R. n. 327/2001, in tal modo disponendo l’occupazione del bene, l’immissione in possesso e la determinazione, per il periodo intercorrente tra la data di immissione in possesso e la data di corresponsione dell’indennità di espropriazione, dell’indennità di occupazione.

Avverso tutti i detti atti gli appellanti erano insorti prospettando numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere che il Tar ha analiticamente vagliato e respinto.

Quanto al primo motivo di ricorso (incentrato sulla circostanza il Comune avrebbe asseritamente comunicato solo a taluni dei soggetti interessati ricorrenti l’avvio del procedimento di apposizione del vincolo nonché l’avvenuta approvazione del progetto esecutivo e della variante, mentre invece avrebbe dovuto comunicare a tutti gli interessati, compresi gli eredi della signora Schiratti, deceduta, tutti gli atti del procedimento, dalla delibera di approvazione della variante a quella riguardante il progetto esecutivo) il Tar ne ha rilevato la infondatezza in punto di fatto.

Ciò in quanto, il Comune aveva comunicato ai proprietari in data 13.01.2004, con nota prot. n. 0000 804, l’adozione della variante al P.R.G. per l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio per la realizzazione delle opere conseguenti alla realizzazione della pista ciclabile – 2° stralcio – ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 327/2001 ( ciò in vista della sottoscrizione dell’accordo bonario della cessione dell’area in luogo dell’espropriazione).

Inoltre, il Comune di Guastalla aveva comunicato in data 4.08.2004 con la nota prot. n. 0016114, gli estremi del progetto definitivo - esecutivo e i contenuti della deliberazione della Giunta comunale n. 74 del 5.05.2004, oltre alla misura dell’indennità provvisoria proposta.

Non poteva pertanto ritenersi che essi non fossero stati posti in grado di interloquire con l’amministrazione comunale, anche in relazione alla circostanza che, al fine di completare i lavori e di garantire la sicurezza della circolazione stradale, l’ente aveva dovuto procedere con urgenza all’occupazione del compendio immobiliare.

Il primo giudice ha parimenti respinto la seconda censura con la quale ci si doleva che il provvedimento 636 del 22.10.2004 e il conseguente decreto di occupazione di urgenza 0021478 del 25.10.2004 nonché l’atto di avviso del 25.10.2004, erano stati emanati da soggetto incompetente, se non del tutto privo del relativo potere, in quanto avrebbero dovuto essere emanati, ai sensi dell’art. comma 5 del T.U., dal Dirigente e non dal funzionario, come, di fatto, è avvenuto.

Il Tar ha in proposito osservato che il Comune, con il provvedimento del 29/12/2001 aveva assegnato al segretario generale la reggenza ad interim degli interventi sul territorio e patrimonio sino alla copertura del posto vacante di Responsabile della medesima area, premettendo che il segretario generale avrebbe provveduto a delegare le rispettive competenze tra i due responsabili dell’area tecnica, (funzionari).

A avviso del Tar tale impostazione – Sindaco che assegna le funzioni al Segretario generale e quest’ultimo che delega ai singoli dipendenti funzionari dell’area - era conforme al disegno organizzativo disegnato dal legislatore pensando, in particolare, ai Comuni di non grandi dimensioni: l’art. 97 del d.lgs. 267/2000 comma 4 lettera d) prevedeva che potevano essere esercitate dal segretario comunale tutte le funzioni attribuitegli dal Sindaco (parimenti l’articolo 17 del d.lgs. 30/03/2001 n. 165 sanciva la facoltà per i dirigenti di delegare alcune delle competenze gestionali a loro attribuite ai dipendenti che ricoprivano le qualifiche funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati).

Alla luce di tali elementi, la circostanza che il comune si fosse dotato di un assetto organizzativo che prevedeva la delega delle funzioni inerenti l’area del territorio e del patrimonio da parte del Segretario generale a tre funzionari di categoria D 3 era conforme alle disposizioni ordina mentali: ne discendeva che il geometra comunale che aveva emanato gli atti relativi al procedimento di esproprio era perfettamente competente, nella sua veste di soggetto delegato dal segretario generale e di funzionario apicale cui erano state sostanzialmente riconosciute le funzioni dirigenziali.

Quanto agli altri profili della censura (assenza della indicazione della durata dell’occupazione d’urgenza, mancanza dei presupposti di urgenza necessari), anch’essi sono stati dichiarati infondati, in quanto la durata dell’occupazione d’urgenza era fissata nelle premesse del provvedimento in 12 mesi, mentre per quanto concerne i presupposti dell’urgenza essi si erano compendiati nel fatto che i lavori erano stati necessitati dalla messa in sicurezza della strada e dalla vicina presenza delle aree golenali.

Del pari è stato disatteso il terzo motivo (ivi si era dedotto che le scelte amministrative erano state dettate dall’erroneo presupposto che le aree occorrenti per l’allargamento della sede stradale fossero di proprietà comunale, mentre nel corso della fase incidentale cautelare si era scoperto che parte delle aree era di proprietà degli originarii ricorrenti; nonostante ciò, il Comune non aveva motivato in punto di bilanciamento degli interessi, e non erano state prese in considerazione soluzioni alternative).

Il Tar, in contrario senso rispetto a quanto prospettato da parte appellante, ha fatto presente che il Comune, resosi conto che una parte di terreno su cui si sarebbero dovuti eseguire una parte dei lavori era di proprietà degli eredi della signora Mirca Schiratti, aveva approvato una perizia di variante al progetto esecutivo proprio per escludere quella parte del terreno dall’intervento da realizzare.

Posto che i tentativi tra le parti per cercare di arrivare ad una cessione dell’area con accordo bonario non avevano sortito effetto il Comune aveva deliberato l’occupazione d’urgenza e l’espropriazione delle aree in via d’urgenza, essendo nel frattempo trascorso del tempo ed essendo necessario procedere celermente in considerazione della vicinanza del fiume e della pericolosità della circolazione stradale in assenza del completamento definitivo dei lavori.

Il primo giudice ha poi saggiato la consistenza dell’eterogeneo quarto motivo con il quale si sosteneva che il progetto di pista ciclabile determinasse un peggioramento del livello di inquinamento atmosferico e acustico, non preso in considerazione da parte dell’Amministrazione, che non aveva predisposto la documentazione di impatto acustico prevista dall’art. 8 della legge 447/1995 e che il progetto non era stato sottoposto a valutazione di impatto ambientale ( cui, sarebbe stato necessario sottoporlo per l’ampliamento e la traslazione subita dalla strada verso la proprietà oggetto di contestazione).

A tal proposito il Tar ha osservato, da un canto, che non vi era l’obbligo di predisporre la documentazione di impatto acustico, prevista dall’articolo 8 della legge 447/1995 per la realizzazione, il potenziamento o la modifica di opere stradali perché il caso di specie non poteva essere ricompreso in nessuna delle tre ipotesi citate,( si trattava della realizzazione di una pista ciclabile ricavata in una parte della strada già esistente, cui si sommavano alcuni adeguamenti strutturali non annoverabili nell’ambito del concetto di “potenziamento” della strada): in punto di fatto, poi non si poteva determinare una situazione di aumentato impatto acustico in funzione della realizzazione della pista ciclabile.

Quanto alla supposta violazione dell’articolo 13 del Codice della Strada, d.lgs. n. 285/1992 (ove si prevede l’emanazione di norme per la costruzione, il controllo e il collaudo delle strade, dei relativi impianti e servizi, improntate alla sicurezza della circolazione di tutti gli utenti della strada) si trattava di disposizioni non di competenza degli enti locali, (ma del Ministero delle Infrastrutture sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Consiglio nazionale delle ricerche) di guisa che non risultava percepibile alcuna violazione.

Il Tar ha invece dichiarato inammissibile il quinto motivo con il quale si era contestata la determinazione dell’indennità di espropriazione offerta dal Comune poiché, al momento della proposizione del ricorso, non era ancora stato determinato il quantum in modo definitivo.

Peraltro, ove lo fosse stato vi sarebbe stato un difetto di giurisdizione, atteso, che ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. g), restava ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

Dall’infondatezza del ricorso discendeva che doveva essere respinta l’istanza di restituzione del reliquato stradale.

Quanto ai motivi aggiunti, è stata esclusa la veridicità della dedotta circostanza che alle operazioni di redazione dello stato di consistenza e di immissione in possesso non fossero stati presenti due testimoni non dipendenti del soggetto espropriante, ma due vigili urbani dipendenti del Comune.

Risultava invece, che i testimoni presenti alle operazioni fossero tre, di cui uno solo era dipendente del Comune di Guastalla (signor Alessandro Gandolfi), laddove gli altri due un vigile urbano dipendente di altro Comune (Reggiolo) ed il geometra dipendente dell’impresa Montresset Alfonso s.r.l. di Aosta.

Infine, il Tar aveva dato atto della circostanza che gli originarii ricorrenti avevano prospettano una soluzione alternativa rispetto a quella praticata dal Comune con l’espropriazione in parola, con passaggio del tracciato sul margine ovest dell’argine e su terreno già in disponibilità del Comune (sicchè non vi sarebbe stato più bisogno di espropriare il terreno), ma risultava che vi erano stati numerosi tentativi di accordo tra il Comune e gli interessati, con i quali erano state proposte - ma non accolte - soluzioni diverse da quella concretamente realizzata ma il comune aveva motivato anche in merito alla impossibilità di realizzare l’opera sull’argine golenale, essendo necessario effettuare la loro messa in sicurezza.

Il Tar, conclusivamente, ha integralmente respinto il mezzo.

L’odierna parte appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendone la riforma e sostanzialmente riproponendo, mediante otto censure, gli argomenti contenuti nel mezzo di primo grado disatteso dal Tribunale amministrativo.

In particolare parte appellante ha ripercorso le vicende sottese alla approvazione degli atti della procedura espropriativa, ed ha ribadito che –in ordine alla censura relativa all’omesso inoltro dell’avvio del procedimento espropriativo – il Tar aveva svolto un ragionamento cumulativo obliando che taluni atti (quelli indicati nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado) non erano stati notificati a tutti gli interessati (segnatamente gli eredi della Signora Schiratti, deceduta nel 2003) e, per altro verso, neppure erano stati rispettati i termini: il contraddittorio era stato violato.

Con la seconda censura si è contestato che il Segretario comunale, -neppure organo dell’Amministrazione comunale, e privo di rilevanza esterna - potesse delegare alcunché (neanche con atto scritto, peraltro) al tecnico comunale.

Quanto all’occupazione di urgenza, mancava il detto presupposto –soltanto genericamente enunciato con riferimento ad improbabili “esigenze di sicurezza”: i termini dell’occupazione, poi, erano stati indicati nella premessa, ma non nella parte dispositiva.

 

 

Contrariamente a quanto ritenuto dal Tar (quarta censura) non era stato effettuato alcun bilanciamento di interessi, soprattutto con riguardo ai percorsi alternativi ipotizzati da parte appellante.

L’ampliamento della strada avrebbe importato un surplus di inquinamento acustico e sarebbe stato necessario esperire la Via.

Sono state anche ribadite le censure relative alla questificazione dell’indennità e si è sostenuto che l’area sarebbe stata restituibile.

In ultimo alla redazione dello stato di consistenza non aveva assistito il numero di testimoni “terzi” prescritti ex lege.

L’appellante ha poi riproposto tutti i motivi di censura già proposti in primo grado ad integrazione delle doglianze contenute nell’appello.

Con una articolata memoria ha ribadito e puntualizzato le suindicate censure.

L’amministrazione comunale appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la declaratoria di inammissibilità del mezzo di primo grado in quanto carente di alcuna critica all’iter argomentativo contenuto nella sentenza gravata.

Nel merito, ha confutato comunque analiticamente le deduzioni appellatorie ed ha chiesto la reiezione del gravame.

Alla pubblica udienza del 9 gennaio 2014la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello è quasi integralmente inammissibile in quanto è ivi carente ogni critica alla motivazione della impugnata decisione (ex multis: “nel giudizio amministrativo di appello la mera riproposizione dei motivi proposti davanti al T.A.R., senza alcuna censura relativamente alle statuizioni della sentenza impugnata, ma mediante un mero rinvio, comporta la non ritualità processuale dell'atto di appello”- Cons. Stato Sez. IV, 29-12-2011, n. 6988-;) ad eccezione della critica articolata con la sesta censura.

Sol che si legga il contenuto dell’atto di appello, infatti, è evidente che, come segnalato dall’appellato comune, ivi parte appellante si è limitata a ribadire, sintetizzandolo, il contenuto delle già proposte censure; ha poi riprodotto integralmente i motivi del ricorso di prime cure.

Anche a volere “saldare” dette due porzioni dell’appello (il che comunque comporterebbe un inammissibile “soccorso” ad una delle parti processuali incorsa in una evidente causa di inammissibilità) ugualmente non si riesce ad enucleare alcuna critica alla motivazione della sentenza di primo grado (ad eccezione, appunto, della sesta censura).

1.1.Senza alcun recesso dalla superiore prospettazione rimarca il Collegio che, comunque –ad eccezione della sesta censura proposta- l’appello è assolutamente infondato nel merito (e ciò proprio fatta eccezione della sesta censura, per quanto di seguito si chiarirà).

Quest’ultima è fondata e va accolta, con conseguente riforma della gravata decisione,e, in accoglimento del mezzo di primo grado, declaratoria dell’obbligo di restituzione dell’area meglio precisata di seguito a parte appellante (cui consegue in via di principio l’obbligo di corresponsione della relativa indennità di occupazione, la cui determinazione quantificazione comunque, peraltro neppure richiesta nell’odierno giudizio esulerebbe dalla giurisdizione di questo plesso giurisdizionale – ex aliis, ancora di recente, si veda T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, 06-06-2013, n. 336: “in riferimento all'espropriazione per pubblica utilità rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa alla quantificazione dell' indennità dovuta dal Comune per il periodo di occupazione legittima.”)

1.2. Quanto al primo motivo, esso è –oltre che generico- del tutto carente di prova. L’appellante, già in primo grado, avrebbe dovuto specificare quale degli aventi diritto, a che titolo, ed in relazione a quale singolo atto, non ha ricevuto il prescritto avviso dell’avvio della procedura espopriativa.

Nulla di tutto ciò è stato fatto, e men che meno tale lacuna (comunque non integrabile in appello: si veda il regime del divieto dei “nova” ex art. 345 cpc) è stata colmata successivamente.

E’ ben nota al Collegio, che la ribadisce, l’importanza – anche a fini di rispetto delle prescrizioni ex art. 6 Cedu- del rispetto della prescrizione di cui di cui all'art. 11 D.P.R. n. 327/2001.

Tanto che, in ossequio al principio di effettività, è stato in passato affermato che (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 09-02-2012, n. 691) “in tema di espropriazione per pubblica utilità l'avviso di cui all'art. 11 D.P.R. n. 327/2001 (T.U. Espropriazione per p.u.) deve contenere, per essere legittimo, l'indicazione delle particelle e dei nominativi, quali indefettibili elementi diretti ad individuare i soggetti espropriandi ed i beni oggetto del procedimento amministrativo, e ciò sia che la comunicazione avvenga personalmente, sia che essa avvenga in forma collettiva mediante avviso pubblico. E' evidente che le modalità di comunicazione, seppur semplificate nella forma e nel numero, devono in ogni caso essere idonee a raggiungere lo scopo della effettiva conoscenza, di guisa che il proprietario inciso sia posto in grado di optare o meno per la partecipazione procedimentale in chiave difensiva.”.

Senonchè, come già osservato dal primo giudice, risulta dagli atti di causa che in data 13.01.2004, con nota prot. n. 0000 804, venne comunicata l’adozione della variante al P.R.G. per l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio per la realizzazione delle opere conseguenti alla realizzazione della pista ciclabile – 2° stralcio – ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 327/2001, ciò in vista della sottoscrizione dell’accordo bonario della cessione dell’area in luogo dell’espropriazione.

Inoltre, il Comune di Guastalla ha comunicato in data 4.08.2004 con la nota prot. n. 0016114, gli estremi del progetto definitivo - esecutivo e i contenuti della deliberazione della Giunta comunale n. 74 del 5.05.2004, oltre alla misura dell’indennità provvisoria proposta.

2.Quanto alla censura di incompetenza, si osserva che: il Tuel (d. Lvo. 267/2000, all’art. 97 comma 4) prevede che “Il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, salvo quando ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 il sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore generale. Il segretario inoltre:

a) partecipa con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione;

b) esprime il parere di cui all'articolo 49, in relazione alle sue competenze, nel caso in cui l'ente non abbia responsabili dei servizi;

c) può rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente;

d) esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia;

e) esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista dall'articolo 108 comma 4.2.”

La lett. d distingue tra funzioni “originarie” e “conferitegli”.

E’ ben noto al Collegio l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in applicazione dell'art. 97 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, al segretario comunale sono affidati compiti di coordinamento dell'attività dei dirigenti e degli uffici cui questi ultimi sono preposti, nonché di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni, senza che, però, detti dirigenti - cui è assegnata una sfera di attribuzioni derogabile solo con norma primaria - assumano diretta responsabilità nei confronti del segretario. Pertanto, l'attribuzione al segretario comunale dei detti compiti di sovrintendenza e di coordinamento non può essere intesa nel senso che allo stesso sia concesso un potere di sostituzione dei dirigenti nell'emanazione dei provvedimenti amministrativi di loro competenza (Cass. Civ.Sez. lavoro, Sent. n. 13708 del 12-06-2007).

Senonchè, va rammentato che le funzioni “conferite” al Segretario Generale sono quelle spettanti ai Dirigenti e che, quanto a questi ultimi, l’art. 17 del Tu n. 165/2001 prevede la delegabilità delle funzioni (“I dirigenti, nell'ambito di quanto stabilito dall'articolo 4 esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:

a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;

b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;

c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;

d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia;

d-bis) concorrono all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4;

e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici, anche ai sensi di quanto previsto all'articolo 16, comma 1, lettera l-bis;

e-bis) effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti.

1-bis. I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile. (49) ”).

Orbene, nei limiti in cui è prevista la delega al Segretario generale di funzioni dirigenziali (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, 12-03-2002, n. 571: “nel nuovo ordinamento degli enti locali, il segretario comunale non rientra più nel novero dei dirigenti dell'amministrazione locale e tale costruzione è ulteriormente confermata dall'art. 97 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, laddove al comma 4 lett. d) ipotizza l'affidamento al segretario comunale di competenze dirigenziali limitate e pur sempre legate ad esigenze eccezionali e transeunti.”) costituisce vizio prospettico rilevante ritenere che esse non possano essere a propria volta delegate a funzionari.

Invero, posto che l’appello non censura il primo “passaggio” (dal Sindaco al Segretario), non è validamente contestabile il secondo (dal Segretario al funzionario), operando il consolidato principio per cui (Cons. Stato Sez. V, 01-12-2006, n. 7081) “qualora in un Comune non vi siano figure dirigenziali , solo con un atto sindacale di attribuzione di dette funzioni le stesse possono essere esercitate da funzionari non dirigenti rimanendo riservate al Sindaco in assenza di tale atto di delega”.

Negare tale sviluppo significherebbe perseguire due inaccettabili opzioni ermeneutiche: la prima, diretta a negare applicazione pratica alla prescrizione surriportata ex art. 97 comma 4 lett.d) del Tuel; ovvero, in subordine, prevedere la traslazione diretta ed obbligatoria sul segretario generale, senza che questi possa avvalersi dei funzionari.

In entrambi i casi, un risultato inaccettabile che paralizzerebbe i piccoli comuni privi (come lo era illo tempore l’appellata amministrazione comunale) di un dirigente preposto all’area tecnica.

Ad abundantiam, si rileva che ai sensi del co. V dell’art. 6 del dPR n. 327/2001 (“1. L'autorità competente alla realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità è anche competente all'emanazione degli atti del procedimento espropriativo che si renda necessario.

2. Le amministrazioni statali, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti pubblici individuano ed organizzano l'ufficio per le espropriazioni, ovvero attribuiscono i relativi poteri ad un ufficio già esistente.

3. Le Regioni a statuto speciale o a statuto ordinario e le Province autonome di Trento e di Bolzano emanano tutti gli atti dei procedimenti espropriativi strumentali alla cura degli interessi da esse gestiti, anche nel caso di delega di funzioni statali.

4. Gli enti locali possono istituire un ufficio comune per le espropriazioni e possono costituirsi in consorzio o in un'altra forma associativa prevista dalla legge.

5. All'ufficio per le espropriazioni è preposto un dirigente o, in sua mancanza, il dipendente con la qualifica più elevata.

6. Per ciascun procedimento, è designato un responsabile che dirige, coordina e cura tutte le operazioni e gli atti del procedimento, anche avvalendosi dell'ausilio di tecnici.

7. Il dirigente dell'ufficio per le espropriazioni emana ogni provvedimento conclusivo del procedimento o di singole fasi di esso, anche se non predisposto dal responsabile del procedimento.

8. Se l'opera pubblica o di pubblica utilità va realizzata da un concessionario o contraente generale, l'amministrazione titolare del potere espropriativo può delegare, in tutto o in parte, l'esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente l'ambito della delega nella concessione o nell'atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in ogni atto del procedimento espropriativo. A questo scopo i soggetti privati cui sono attribuiti per legge o per delega poteri espropriativi, possono avvalersi di società controllata. I soggetti privati possono altresì avvalersi di società di servizi ai fini delle attività preparatorie.

9. Per le espropriazioni finalizzate alla realizzazione di opere private, l'autorità espropriante è l'Ente che emana il provvedimento dal quale deriva la dichiarazione di pubblica utilità. ”) è ben possibile che un funzionario, in carenza di figura dirigenziale, sia preposto all’Ufficio per le espropriazioni, di guisa che la censura appare del tutto priva di spessore.

2.1. L’appellante reitera infondatamente anche la terza censura: come già osservato dal primo giudice - con affermazione che il Collegio condivide e fa propria - la indicazione della durata della occupazione, seppur indicata in premessa, assolve i requisiti di forma e sostanza.

Non si vede francamente come la omessa ripetizione di essa nella parte dispositiva (e non l’assoluta mancanza della medesima) possa produrre l’invocato effetto invalidante: per il resto,come esattamente rilevato dal Tar i presupposti dell’urgenza erano stati puntualmente esposti (i lavori sono stati necessitati dalla messa in sicurezza della strada e dalla vicina presenza delle aree golenali) e l’appellante si limita a richiedere una –inammissibile- censura attingente il merito reiterando considerazioni assertive sulla carenza del requisito dell’urgenza, senza negare i fatti storici dedotti dal Comune: la doglianza è platealmente infondata e a monte, inammissibile, laddove neppure critica l’iter logico della sentenza e tale statuizione va estesa al corrispondente motivo di appello riproduttivo dei motivi aggiunti: la impossibilità di realizzare l’opera sull’argine golenale, si rendeva doverosa essendo necessario effettuare la loro messa in sicurezza, il che implica la reiezione della insistita doglianza secondo la quale non sarebbero stati presi immotivatamente in considerazione le possibili opzioni realizzative alternative prospettate da parte appellante.

2.2. Non miglior sorte merita la censura relativa alla omessa ponderazione degli interessi. E’ ben vero che solo successivamente all’avvio il Comune si rese conto (una volta emerso l’errore catastale ampiamente descritto nella parte in fatto della presente decisione) che una piccola porzione dell’area destinata all’opera apparteneva alla odierna parte appellante.

E’ altresì vero però: che il comune cercò immediatamente di addivenire (invano) ad un componimento bonario (il che implica che le esigenze dei predetti siano stati tenuti in conto); l’opera doveva essere ultimata, pena la sua incompletezza ed inutilità, ed è ben ovvio che tale interesse sia prioritario rispetto alle recessive esigenze privatistiche (che peraltro neppure avevano acquisito distinte aspettative edificatorie sulla medesima) e che men che meno potessero essere considerate prevalenti le problematiche emerse relative alla aspettative di divisione del fondo tra gli eredi.

Si deve peraltro tenere presente una circostanza: il vaglio sulla possibilità di realizzare percorsi alternativi precedette l’avvio dell’opera; l’esito negativo dello stesso non avrebbe potuto mutare a cagione della esigenza di sottoporre ad esproprio una piccola porzione appartenente a privati (seppur tale circostanza sia successivamente emersa).

L’alternativa era di lasciare incompleta (ed inutile) l’opera avviata, o completarla: le esigenze private, in simili ipotesi, sono recessive per tabulas, tanto più che i percorsi alternativi prospettati (argine) erano stati già giudicati impossibili da realizzare e che su tal ultimo segmento procedimentale v’era stato approndito confronto con gli abitanti dell’area.

La doglianza non è favorevolmente delibale.

2.3. Quanto alla quarta censura, l’asserita violazione dell’art. 13 del Cds, appare incomprensibilmente contestata al Comune. Nell’invocata norma si prevede (“Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici ed il Consiglio nazionale delle ricerche, emana entro un anno dalla entrata in vigore del presente codice, sulla base della classificazione di cui all'art. 2, le norme funzionali e geometriche per la costruzione, il controllo e il collaudo delle strade, dei relativi impianti e servizi. Le norme devono essere improntate alla sicurezza della circolazione di tutti gli utenti della strada, alla riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico per la salvaguardia degli occupanti gli edifici adiacenti le strade ed al rispetto dell'ambiente e di immobili di notevole pregio architettonico o storico. Le norme che riguardano la riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico sono emanate nel rispetto delle direttive e degli atti di indirizzo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, che viene richiesto di specifico concerto nei casi previsti dalla legge.

2. La deroga alle norme di cui al comma 1 è consentita solo per specifiche situazioni allorquando particolari condizioni locali, ambientali, paesaggistiche, archeologiche ed economiche non ne consentono il rispetto, sempre che sia assicurata la sicurezza stradale e siano comunque evitati inquinamenti.

3. Le norme di cui al comma 1 sono aggiornate ogni tre anni.

4. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro due anni dalla entrata in vigore del presente codice, emana, con i criteri e le modalità di cui al comma 1, le norme per la classificazione delle strade esistenti in base alle caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali di cui all'art. 2, comma 2 .

4-bis. Le strade di nuova costruzione classificate ai sensi delle lettere C, D, E ed F del comma 2 dell'articolo 2 devono avere, per l'intero sviluppo, una pista ciclabile adiacente purché realizzata in conformità ai programmi pluriennali degli enti locali, salvo comprovati problemi di sicurezza.

5. Gli enti proprietari delle strade devono classificare la loro rete entro un anno dalla emanazione delle norme di cui al comma 4. Gli stessi enti proprietari provvedono alla declassificazione delle strade di loro competenza, quando le stesse non possiedono più le caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali di cui all'art. 2, comma 2 .

6. Gli enti proprietari delle strade sono obbligati ad istituire e tenere aggiornati la cartografia, il catasto delle strade e le loro pertinenze secondo le modalità stabilite con apposito decreto che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti emana sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Consiglio nazionale delle ricerche. Nel catasto dovranno essere compresi anche gli impianti e i servizi permanenti connessi alle esigenze della circolazione stradale.

7. Gli enti proprietari delle strade sono tenuti ad effettuare rilevazioni del traffico per l'acquisizione di dati che abbiano validità temporale riferita all'anno nonché per adempiere agli obblighi assunti dall'Italia in sede internazionale.

8. Ai fini dell'attuazione delle incombenze di cui al presente articolo, l'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale, di cui all'art. 35, comma 3, ha il compito di acquisire i dati dell'intero territorio nazionale, elaborarli e pubblicizzarli annualmente, nonché comunicarli agli organismi internazionali. Detta struttura cura altresì che i vari enti ottemperino alle direttive, norme e tempi fissati nel presente articolo e nei relativi decreti.”) unicamente l’adozione di atti di competenza ministeriale.

L’omessa emanazione degli stessi (chè questo pare essere il senso della censura, non essendo stato contestato l’omesso rispetto da parte del Comune di alcuna delle prescrizioni dettate dal Ministero) non ha certo l’effetto di poter paralizzare la realizzazione delle opere: queste ultime saranno infatti realizzate sulla scorta delle ente vigenti disposizioni, in attesa che il quadro normativo venga innovato.

Posto che nessuna violazione si contesta al Comune in tal senso, e che il Ministero non è stato neppure evocato, non si comprende il senso della censura.

Quanto alla seconda articolazione della doglianza, esattamente il primo giudice ha osservato che non fosse accoglibile la supposta violazione dell’articolo 8 della legge 447/1995 (“Disposizioni in materia di impatto acustico.

1. I progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale ai sensi dell'articolo 6 della L. 8 luglio 1986, n. 349 , ferme restando le prescrizioni di cui ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 1988, n. 377 , e successive modificazioni, e 27 dicembre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1989, devono essere redatti in conformità alle esigenze di tutela dall'inquinamento acustico delle popolazioni interessate.

2. Nell'ambito delle procedure di cui al comma 1, ovvero su richiesta dei comuni, i competenti soggetti titolari dei progetti o delle opere predispongono una documentazione di impatto acustico relativa alla realizzazione, alla modifica o al potenziamento delle seguenti opere:

a) aeroporti, aviosuperfici, eliporti;

b) strade di tipo A (autostrade), B (strade extraurbane principali), C (strade extraurbane secondarie), D (strade urbane di scorrimento), E (strade urbane di quartiere) e F (strade locali), secondo la classificazione di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 , e successive modificazioni;

c) discoteche;

d) circoli privati e pubblici esercizi ove sono installati macchinari o impianti rumorosi;

e) impianti sportivi e ricreativi;

f) ferrovie ed altri sistemi di trasporto collettivo su rotaia.

3. È fatto obbligo di produrre una valutazione previsionale del clima acustico delle aree interessate alla realizzazione delle seguenti tipologie di insediamenti:

a) scuole e asili nido;

b) ospedali;

c) case di cura e di riposo;

d) parchi pubblici urbani ed extraurbani;

e) nuovi insediamenti residenziali prossimi alle opere di cui al comma 2 .

3-bis. Nei comuni che hanno proceduto al coordinamento degli strumenti urbanistici di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 6, per gli edifici adibiti a civile abitazione, ai fini dell’esercizio dell’attività edilizia ovvero del rilascio del permesso di costruire, la relazione acustica è sostituita da una autocertificazione del tecnico abilitato che attesti il rispetto dei requisiti di protezione acustica in relazione alla zonizzazione acustica di riferimento .

4. Le domande per il rilascio di concessioni edilizie relative a nuovi impianti ed infrastrutture adibiti ad attività produttive, sportive e ricreative e a postazioni di servizi commerciali polifunzionali, dei provvedimenti comunali che abilitano alla utilizzazione dei medesimi immobili ed infrastrutture, nonché le domande di licenza o di autorizzazione all'esercizio di attività produttive devono contenere una documentazione di previsione di impatto acustico.

5. La documentazione di cui ai commi 2, 3 e 4 del presente articolo è resa, sulla base dei criteri stabiliti ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera l), della presente legge, con le modalità di cui all'articolo 4 della L. 4 gennaio 1968, n. 15 .

6. La domanda di licenza o di autorizzazione all'esercizio delle attività di cui al comma 4 del presente articolo, che si prevede possano produrre valori di emissione superiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), deve contenere l'indicazione delle misure previste per ridurre o eliminare le emissioni sonore causate dall'attività o dagli impianti. La relativa documentazione deve essere inviata all'ufficio competente per l'ambiente del comune ai fini del rilascio del relativo nulla-osta.”).

Se –come incontestato – la pista ciclabile viene realizzata ritagliando una porzione di strada, e quest’ultima non subisce un ampliamento significativo, è ben ovvio che soltanto ricorrendo ad una inammissibile forzatura si potrebbe ritenere trovarsi al cospetto di un “potenziamento” della strada, in se e per se considerata, che avrebbe reso necessaria la predisposizione dello studio acustico.

2.4. Mentre la quinta censura esula del tutto dalla giurisdizione di questo plesso giurisdizionale, trattandosi di un petitum relativo alla determinazione dell’indennità di espropriazione (ex aliis Cons. Giust. Amm. Sic., 29-04-2013, n. 418, Cass. civ. Sez. Unite Ordinanza, 05-04-2013, n. 8361) offerta dal Comune resistente (neppure definitivamente determinata al tempo di proposizione del ricorso, comunque) maggior approfondimento merita la sesta doglianza.

Ivi si richiede la restituzione di un terreno non interessato alla procedura espropriativa e mai oggetto di decreto di esproprio (anzi, detenuto dal comune a seguito di cessione bonaria, finalizzato a realizzare ivi la pista ciclabile, e poi, all’evidenza, ritenuto non utile proprio a cagione del previsto utilizzo della particella per cui è causa).

 

 

2.4.1. Il Collegio, nell’incipit della presente motivazione, ha ritenuto (pur soffermandosi poi, per completezza, sul merito dell’appello) che l’intero gravame fosse inammissibile, ad eccezione proprio della sesta censura. Ciò in quanto il capo di decisione reiettivo della doglianza articolato dal Tar appare talmente sibillino (“alla luce dell’infondatezza del ricorso deve essere respinta l’istanza di restituzione del reliquato stradale proposta dai ricorrenti”) da far dubitare che il primo giudice avesse compiutamente colto che il petitum restitutorio comprendesse altro compendio immobiliare, ubicato in altra zona e non utilizzato per la realizzazione dell’opera.

Parte appellante, al cospetto di tale incomprensibile motivazione, non poteva che reiterare integralmente la censura.

Premesso in proposito che il Tar l’ha respinta e non ha declinato la giurisdizione, non merita favorevole delibazione la tesi dell’amministrazione comunale esposta nella propria memoria di costituzione laddove –dandosi atto che trattasi di altra unità immobiliare in ordine alla quale non era stato emesso decreto di esproprio sostiene che questo plesso sia carente di giurisdizione-.

Osserva in contrario senso il Collegio che la giurisprudenza di questa Sezione (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 23 settembre 2004 n. 6245) ha evidenziato come, in tema di espropriazione per pubblica utilità, l'accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di esproprio non comporti la cessione volontaria del bene, sicché è sempre necessario il completamento del procedimento al fine del passaggio della proprietà del bene dall'espropriato all'espropriante. Tali ragioni impongono quindi di ritenere che il detto accordo non abbia valenza sostitutiva degli atti conclusivi, ma viene invece a caducarsi ed a perdere efficacia, qualora il procedimento non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio.

Agli stessi risultati perviene altresì la giurisprudenza della Corte di Cassazione (da ultimo Cassazione civile, sez. I, 18 ottobre 2001, n. 12704) che evidenzia come dall'accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di espropriazione non deriva una cessione volontaria del bene che renda non più necessario il completamento della procedura espropriativa. Al contrario, va sottolineato come il procedimento espropriativo deve concretamente proseguire sino al suo completamento proprio al fine di dare vita all'effetto traslativo della proprietà. Pertanto, se il procedimento non si conclude con l'espropriazione, viene meno l'efficacia dell'accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità, non potendovi essere un'indennità di espropriazione se non c'è espropriazione.

Ne consegue che, nel caso in esame, non essendo seguito all'accordo bonario nessuno dei due atti, né quello di diritto comune né quello di stampo autoritativo, che permette la conclusione del procedimento, la domanda proposta in primo grado, non appartiene alla giurisdizione ordinaria, proprio perché non si è verificato il fatto presupposto, ossia il completamento dell'iter espropriativo.

Posto che, peraltro, anche il Comune ammette nella propria memoria che non trattasi di bene utilizzato per la realizzazione dell’opera né reliquato da omessa realizzazione, ne discende la doverosità della restituzione, (cui di principio conseguirebbe la corresponsione della indennità per il periodo di occupazione).

2.4.2.La domanda va quindi accolta (si veda, ancora di recente, sul punto Cons. Stato Sez. IV, 18-06-2009, n. 4022), essendo rimasti incontestati i presupposti di fatto su cui la medesima si fonda (la difesa del Comune, specificamente richiesta alla udienza pubblica di discussione del ricorso di fornire eventuali chiarimenti sul punto ha riferito di non avere nulla da aggiungere agli scritti difensivi, né ha riferito che il compendio è stato eventualmente abito, ed in forza di quale atto, ad opera pubblica).

2.5. Va infine respinta la settima censura –in primo grado articolata con i motivi aggiunti- laddove parte appellante reitera la doglianza incentrata sulla circostanza che alle operazioni di redazione dello stato di consistenza e di immissione in possesso non fossero presenti due testimoni non dipendenti del soggetto espropriante, ma due vigili urbani dipendenti del Comune.

Essa (formulata come tutto il resto dell’appello in termini puramente reiterativi e privi di critica all’iter motivo della sentenza)va respinta in quanto: i testimoni presenti alle operazioni erano tre.

E’ certa ed incontestata (ed incontestabile) la veste di testimone spiegata validamente dal geometra dipendente dell’impresa Montresset Alfonso s.r.l. di Aosta; si controverte in ordine alla posizione degli altri due (entrambi, asseritamente, vigili urbani dipendenti del Comune che non avrebbero potuto spiegare l’Ufficio testimoniale e, quindi, integrare il numero di due testimoni necessari prescritto ex lege.)

Ritiene il Collegio che non si sia verificata alcuna violazione alla prescrizione di cui al comma 3 dell’art. 24 del dPR n. 327/2001 (“Lo stato di consistenza e il verbale di immissione sono redatti in contraddittorio con l'espropriato o, nel caso di assenza o di rifiuto, con la presenza di almeno due testimoni che non siano dipendenti del beneficiario dell'espropriazione. Possono partecipare alle operazioni i titolari di diritti reali o personali sul bene”).Se risponde al vero che uno dei due vigili urbani presenti era dipendente del Comune di Guastalla (il signor Alessandro Gandolfi),l’altro vigile (sig. Sepali) era dipendente del Comune di Reggiolo.

E tale rimaneva anche se, all’epoca dei fatti era distaccato presso il Corpo Associato di Polizia Municipale dei Comuni di Guastalla Reggiolo, Gualtieri e Luzzara.

Si rammenta in proposito che per costante giurisprudenza amministrativa ( ex aliis T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter Sent., 02-09-2008, n. 8008 “il comando o il distacco di dipendenti di un' amministrazione presso altra amministrazione non incide sullo stato giuridico del pubblico dipendente né comporta il sorgere di un nuovo rapporto di impiego con l'ente di destinazione, ma lascia inalterato quello originario alla cui disciplina il dipendente rimane sottoposto con la sola evidente eccezione concernente il rapporto gerarchico nel quale all'ente di appartenenza si sostituisce quello di destinazione”).

L’articolo del Tu, come è agevole riscontrare dalla lettura del medesimo, fa riferimento unicamente al dato formale della “dipendenza”: il distacco del Sepali presso il Corpo associato non implicava il venir meno della qualifica di dipendente del Comune di Reggiolo, di guisa che la censura va respinta.

In conclusione, la doglianza va disattesa, mentre va dichiarata inammissibile l’ultima doglianza relativa alla supposta tardività delle memorie e documentazioni depositate in primo grado posto che l’appellante non ha alcun interesse a sollevarla avendo il Collegio esaminato l’intero materiale cognitivo e non contenendo, detta documentazione, argomenti decisivi in favor della stessa.

3.Conclusivamente, l’appello è inammissibile, e comunque infondato, ad eccezione della sesta censura che va accolta nei termini di cui alla motivazione che precede. In parziale riforma della sentenza gravata, pertanto, che va per il resto confermata ed in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, si dispone la restituzione dell’area descritta nel sesto motivo dell’appello.

4.Le spese processuali vanno integralmente compensate tra le parti a cagione della complessità in fatto della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, e limitatamente al sesto motivo di appello, respingendolo nella restante parte.

Per l’effetto, in parziale riforma della sentenza gravata, accoglie parzialmente il mezzo di primo grado e dispone la restituzione in favore di parte appellante dell’area descritta nel sesto motivo dell’appello, da parte dell’amministrazione comunale.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Marzio Branca, Presidente FF

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/02/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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