Wednesday 31 March 2021 12:26:46

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi, excursus sui principi giurisprudenziali in materia di ordine di demolizione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 31.3.2021

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con sentenza depositata in data 31.3.2021 ha affermato che “l’ordine di demolizione configura un atto vincolato, dal contenuto interamente predeterminato dal legislatore, da assumere previo accertamento della natura abusiva dell’opera in concreto realizzata, in ragione della sua edificazione in assenza del prescritto permesso di costruire.

Non occorre, pertanto, una motivazione specifica in relazione al tempo intercorso o alla proporzionalità della sanzione ripristinatoria all’uopo da emettere, non risultando l’Amministrazione procedente titolare di un potere discrezionale, implicante una scelta in ordine alla tipologia di sanzione in concreto da assumere.

Con orientamento condiviso e da riaffermare anche nel presente giudizio, questo Consiglio ha ripetutamente evidenziato che “l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo è un provvedimento vincolato, come tutti gli atti sanzionatori in materia edilizia, tale da non richiedere una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione” (ex multis, Consiglio di Stato Sez. VI, 17 novembre 2020, n. 7132).

Ne deriva che l'ordinanza di demolizione costituisce atto dovuto e rigorosamente vincolato, affrancato dalla ponderazione discrezionale del configgente interesse al mantenimento in loco della res, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato. Pertanto, essa è da ritenersi sorretta da adeguata e sufficiente motivazione, quando l’Amministrazione provvede alla compiuta descrizione delle opere abusive e alla constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo edilizio (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2020, n. 3697).(…) La legittimità dell’ordine demolitorio, inoltre, non potrebbe essere censurata neanche argomentando sulla base della datazione delle opere de quibus, assumendo che si sia in presenza di opere risalenti nel tempo.

Al riguardo, deve precisarsi che il privato è onerato a provare la data di realizzazione dell'opera edilizia, non solo per poter fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi.

La prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie, è infatti, posta sul privato e non sull'amministrazione, atteso che solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto; mentre l'Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno del suo territorio (ex multis, Consiglio di Stato Sez. VI, 06 febbraio 2019, n. 903).

Tale prova deve, inoltre, essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, “dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate (Cons. Stato, Sez. VI, 4/3/2019, n. 1476; 9/7/2018, n. 4168; Sez. IV, 30/3/2018, n. 2020)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 aprile 2020, n. 2524).

Avuto riguardo al caso di specie, in primo luogo, deve ritenersi irrilevante la circostanza per cui il manufatto per cui è causa sia stato edificato in periodo anteriore all’adozione e all’approvazione del piano regolatore generale del Comune di Agerola, tenuto conto che, anche in assenza di piano regolatore generale, pure per le opere non ricadenti nel centro abitato, a far data dall’entrata in vigore della L. n. 761 del 1967, l’attività edilizia, suscettibile di tradursi nella nuova edificazione, non poteva ritenersi libera, risultando comunque soggetta al previo controllo amministrativo, da esercitare in sede di rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo.

Come precisato da questo Consiglio, infatti, “se è vero, infatti, che con la legge urbanistica nazionale (n. 1150 del 1942) viene introdotto l’obbligo del previo titolo edilizio per i centri abitati, esso – salve le molteplici ulteriori fonti legislative e regolamentari, che qui non rilevano, che avevano già previsto per molteplici comuni la l’indefettibile rilascio della licenza - veniva esteso a tutto il territorio nazionale con la legge n. 765 del 1967” (Consiglio di Stato, sez. VI, 7 gennaio 2020, n. 106).

In secondo luogo, si osserva che l’odierno appellante non ha dimostrato l’effettiva data di realizzazione delle opere edilizie in contestazione nell’odierno giudizio, al fine di poter escludere la necessità del previo rilascio del titolo edilizio.

Al riguardo, l’appellante richiama una consulenza tecnica di parte prodotta in giudizio, la quale, tuttavia, non configurando un mezzo di prova, non può ritenersi sufficiente per assolvere l’onere probatorio in subiecta materia gravante sul privato.

Difatti, le relazioni di parte non costituiscono un mezzo di prova, traducendosi in deduzioni tecniche a loro volta da sottoporre a riscontro probatorio: come precisato dalla Sezione, infatti, “una perizia di parte, ancorché giurata, non è dotata di efficacia probatoria e pertanto non è qualificabile come mezzo di prova” (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 260), con la conseguente necessità che il privato, nella ricostruzione dei fatti di causa, non può limitarsi ad un rinvio ad eventuali relazioni tecniche acquisite in atti, dovendo fornire inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori idonei a radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto; il che non risulta nella specie avvenuto. (…) l’ordine di demolizione censurato in primo grado risulta motivato sulla base di plurime autonome rationes decidendi, atteggiandosi come atto plurimotivato.

In tali ipotesi, come precisato da questo Consiglio, “in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale; in sostanza, in caso di atto amministrativo, fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le una dalla altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045)” (Cons. Stato, IV, 30 marzo 2018, n. 2019)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2019, n. 6190).

Una volta riscontrata la legittimità di una delle autonome rationes decidendi sottese all’ordine di demolizione, afferente alla constatazione dell’esistenza di un nuovo fabbricato edificato in assenza del prescritto titolo edilizio, non occorre esaminare le censure riferite alle ulteriori ragioni fondanti l’ordinanza impugnata (riguardanti la violazione dei vincoli di tutela gravanti sull’area di edificazione e il rispetto delle prescrizioni urbanistiche di zona), la cui ipotetica fondatezza non potrebbe comunque arrecare alcuna utilità concreta in capo al ricorrente, essendo inidonea a determinare l’annullamento del provvedimento contestato in prime cure, comunque da confermare nel suo contenuto dispositivo perché sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice immune dai vizi censurati in giudizio.

Difatti, la circostanza per cui il fabbricato sia compatibile con i vincoli di tutela gravanti sull’area o sia rispettoso delle prescrizioni urbanistiche della zona di edificazione non potrebbe condurre all’accoglimento dell’appello ai fini dell’annullamento del provvedimento gravato in prime cure, ben potendo essere disposta la demolizione di opere realizzate in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia di riferimento -o, in ipotesi, compatibili con gli interessi pubblici garantiti dall’apposizione del vincolo di tutela-, ove difetti il prescritto titolo edilizio abilitativo.

L’eventuale conformità sostanziale delle opere alla disciplina urbanistica ed edilizia, così come l’eventuale compatibilità con il vincolo paesaggistico tutelato nella zona di edificazione (al ricorrere, comunque, dei presupposti delineati dall’art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42/04) potrebbero, in particolare, rilevare ai soli fini della presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/01 e della domanda di accertamento di compatibilità ex art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04, onde ottenere i corrispondenti titoli in sanatoria; che, tuttavia, non costituiscono l’oggetto dell’odierno giudizio, in cui si discorre della mera legittimità della sanzione ripristinatoria irrogata dall’Amministrazione comunale, suscettibile di essere legittimamente adottata a fronte della mera esecuzione di interventi di nuova costruzione in assenza del prescritto permesso di costruire; come nella specie correttamente disposto dall’Amministrazione comunale appellata. (…)

Per continuare vai alla sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Contenuto Riservato)

 

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