Saturday 16 January 2021 19:32:43

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Impianti di telefonia mobile: la potestà regolamentare attribuita ai Comuni non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 11.1.2021

Con il primo motivo la società appellante ripropone il primo motivo del ricorso di primo grado concernente la formazione del titolo autorizzativo sulla base del silenzio, che poi l’amministrazione con le note impugnate avrebbe contraddetto senza seguire la procedura dell’annullamento in autotutela. Contesta in particolare la motivazione del Tar sulla necessaria sussistenza dei requisiti per la formazione del silenzio.

Il Consiglio di Stato con la sentenza depositata in data 11 gennaio 2’21 ha accolto la censura ritenendo di dover applicare il principio secondo cui, in base alla procedura delineata dall’articolo 87, comma 9, del decreto legislativo n. 259 del 2003, il decorso del termine di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza di installazione di un impianto di telefonia mobile e la mancanza di un provvedimento di diniego comunicata entro detto termine comportano la formazione del silenzio-assenso sulla relativa istanza, che costituisce quindi titolo abilitativo per la realizzazione dell’impianto stesso. La motivazione del Tar rinvia alla giurisprudenza anche di questo Consiglio per la quale affinché si formi il silenzio assenso su una istanza di parte è necessario che la stessa sia corredata della documentazione necessaria e siano sussistenti i presupposti richiesti dalla legge per l’accoglimento “non potendosi ottenere per silenzio, quello che non sarebbe altrimenti possibile mediante l’esercizio espresso del potere da parte della pubblica amministrazione” (cfr. Cons. St.. sez. IV nn. 1828 del 2017, 3805 del 2016). Tuttavia, al fine di evitare la sostanziale inoperatività dell’istituto del silenzio si deve valutare se l’incompletezza della documentazione o la mancanza dei requisiti riguardi elementi essenziali e soprattutto se il provvedimento adottato con il silenzio, ma risultato illegittimo non possa essere poi annullato nelle forme previste dall’articolo 21 nonies della legge numero 241 del 1990. Come ha affermato questo Consiglio proprio con riferimento alla procedura di quell’articolo 87 del CCE “il complesso sistema procedimentale delineato dall’articolo 87 del decreto legislativo n. 259 del 2003 (il meccanismo del silenzio-assenso ivi recato, in evidente chiave acceleratoria) non esclude la possibilità per cui, nell’inerzia dell’amministrazione locale competente, il titolo abilitativo si formi per silenzio anche nel caso in cui l’istanza non sia corredata dai necessari documenti a supporto (e nondimeno l’ente competente abbia omesso di adottare in tempo utile un provvedimento espresso di contenuto negativo). Comunque, nell’ipotesi in questione, resta pur sempre salva la possibilità per l’amministrazione competente di adottare gli atti di ritiro di cui è menzione, per l’ipotesi di silenzio-assenso, al comma 3 dell’articolo 20 della legge 7 agosto 1940 n. 241 (il quale fa espresso il rinvio, in parte qua, alle pertinenti disposizioni di cui agli articoli 21 quinquies 21 nonies della medesima legge)” (Cons. St, VI sez., n. 4941/2009).(…).

 

L’articolo 86 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, prevede, al comma 3, che «Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, e le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica…sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia».

L’articolo 87 bis prevede procedure semplificate per determinate tipologie di impianti e l’articolo 90 dispone, al comma 1, che «Gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, ovvero esercitati dallo Stato, e le opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti impianti hanno carattere di pubblica utilità, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327».

La legge n. 36 del 22 febbraio 2001 («Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici») distingue le competenze dello Stato, delle Regioni e dei Comuni precisando in particolare, all’articolo 4 che «Lo Stato esercita le funzioni relative : a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall’art. 3, comma 1, lettera d) numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizioni di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’articolo 1».

Il successivo articolo 8 (rubricato «Competenze delle regioni , delle province e dei comuni») prevede, in particolare, al comma 1, che «Sono di competenza delle Regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché delle modalità e dei criteri fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile».

Il successivo comma 2 dispone che «Nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 1, lettere a) e c), le regioni si attengono ai principi relativi alla tutela della salute pubblica, alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio».

Il comma 4 prevede che «Le regioni, nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province e ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249».

Il comma 6, infine, dispone che «I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici».

La giurisprudenza formatasi nella materia degli ambiti di legittima operatività dei regolamenti comunali ha chiarito che il legislatore statale, nell’inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha espresso un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall’articolo 8, comma 6 della legge 22 febbraio 1981, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 dicembre 2013, n. 687).

Le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali, risultano in generale dunque compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale, poiché dall’articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/1993 si desume il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (Cons. St., sez. VI, 3891 del 2017).

In linea con questo orientamento è stato ribadito (Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 44) che: “alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell’ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi). Ne deriva che la scelta di individuare, come nel caso di specie, un’area ove collocare gli impianti in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita all’amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto dalla giurisprudenza, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio” (cfr. Cons. St., Sez. VI, 5 dicembre 2005, n. 6961; id. n. 1592/18).).

Sulla illegittimità di una scelta amministrativa preclusiva condizionata dalla mera distanza da un sito si è pronunciata la stessa Corte costituzionale (Corte cost., 7 novembre 2003, n. 331), la quale, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 3 comma 12 lett. a), l. reg. Lombardia 6 marzo 2002 n. 4, ha ritenuto che: “tale disposizione, stabilendo un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze, costituisce non già un criterio di localizzazione, la cui individuazione è rimessa dall'art. 3 lett. d) n. 1, l. 22 febbraio 2001 n. 36 alla legislazione regionale, ma un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, e quindi in una limitazione alla localizzazione, non consentita dalla legge quadro, in considerazione dell'evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi. Né la disposizione regionale può trovare giustificazione nel generale principio di derogabilità in melius (rispetto alla tutela dei valori ambientali), da parte delle regioni, degli standard posti dallo Stato, in quanto in presenza di una legge quadro statale che detta una disciplina esaustiva della materia, attraverso la quale si persegue un equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre, attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del territorio e alla diffusione sull'intero territorio nazionale della rete per le telecomunicazioni, interventi regionali di tipo aggiuntivo devono ritenersi, a differenza che in passato, incostituzionali, perché l'aggiunta si traduce in una alterazione e quindi in una violazione, dell'equilibrio tracciato dalla legge statale di principio (cfr. C. cost. n. 382 del 1999, 307 del 2003)”.

La recente modifica dell’articolo 8 della legge n. 36 del 2001 (adottata con l’articolo 38, comma 6 del decreto legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020) ha confermato tale interpretazione precisando che i comuni possono adottare un regolamento per i fini indicati “con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazione elettroniche di qualsiasi tipologia e in ogni caso di incidere, anche in via indiretta mediante provvedimenti contingibili urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sul valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservate allo Stato ai sensi dell’articolo 4”.

8.5. Alla luce di tali orientamenti deve ritenersi condivisibile la statuizione del primo giudice sull’art 3 del regolamento, in quanto le prescrizioni ivi contenute sono riconducibili a criteri di localizzazione e non a limiti generalizzati. Le aree individuate sono infatti definite come preferenziali ed è espressamente previsto che le restanti aree possano essere utilizzate in caso le prime “risultino impossibili, inidonee o insufficienti a garantire la copertura dei servizi”. Inoltre per la specifica localizzazione vengono indicati criteri “da privilegiare, se tecnicamente possibile, e compatibilmente con gli obiettivi di minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”. Le previsioni dell’art.3 quindi sono compatibili con i principi stabiliti dalla giurisprudenza, che in questa sede devono essere confermati, e in particolare quello per cui la disciplina regolamentare può stabilire anche divieti di installazione su ampie aree purchè sia possibile la localizzazione in aree alternative senza che ciò comporti difficoltà di funzionamento del servizio; è compito dell’amministrazione, nel confronto con gli operatori, garantire la corretta interpretazione, nei casi concreti, dei criteri stabiliti dall’art. 3. Del resto solo il confronto tra le parti, previsto espressamente dall’art. 6, può assicurare nel bilanciamento dei diversi interessi la pianificazione degli interventi e il corretto svolgimento dei procedimenti. (…) 

Per continuare la lettura vai alla sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Contenuto Riservato)

 

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