Tuesday 24 September 2019 09:28:52

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

Sostanze stupefacenti: la coltivazione domestica e l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevante

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza della Corte di Cassazione Sez. IV del 20.9.2019

Con la sentenza pubblicata in data 20 settembre 2019 la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato che “Le Sezioni unite si sono espresse nel senso che la coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti costituisce reato indipendentemente dalla circostanza che il prodotto della coltivazione sia destinato o meno ad un uso esclusivamente personale (Sez. U., n. 28605 del 24-4-2008), essendo irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, la distinzione fra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica. Ciò si correla a quanto evidenziato dalla Corte costituzionale, la quale ha osservato come, nel caso della coltivazione, manchi il nesso di immediatezza con l'uso personale e ciò giustifichi un atteggiamento di maggior rigore, rientrando nella discrezionalità del legislatore la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all'approvvigionamento di sostanze stupefacenti, per uso personale. Si tenga anche conto - ha precisato la Corte costituzionale - che, nel caso della coltivazione, non è apprezzabile ex ante, con sufficiente grado di certezza, la quantità di prodotto ricavabile dal ciclo della coltivazione, sicché anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili e ciò si traduce in maggiore pericolosità della condotta, anche perché l'attività produttiva è destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili quindi ha una maggiore potenzialità diffusiva delle sostanze stupefacenti estraibili (Corte cost., 24-7-1995, n. 360; ord. n. 109 del 2016).

E' invece corretta l'affermazione del ricorrente, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, è necessario, come più volte evidenziato anche dalla Corte costituzionale, accertare la concreta offensività della condotta e cioè l'effettiva capacità della stessa di ledere il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice (Cass., Sez. 4, n. 1222 del 28-10-2008). Spetta quindi al giudice verificare, di volta in volta, se la condotta contestata risulti o meno, in concreto, inoffensiva, tale dovendo ritenersi solo quella che non leda o metta in pericolo, neanche in minimo grado, il bene protetto (Cass., Sez. 6, n. 17266 del 1-4- 2009, Rv. 243581). Occorre dunque verificare in concreto l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. In quest'ottica, ciò che assume importanza non è che al momento dell'accertamento del reato le piante non siano ancora giunte a maturazione, atteso che la coltivazione ha inizio con la posa dei semi, ma che esse siano idonee a produrre una germinazione ad effetti stupefacenti (Cass., Sez. 4, n. 44287 del 8-10-2008, Rv. 241991). In quest'ordine di idee si è, ad esempio, ritenuto, in giurisprudenza, che la coltivazione domestica di una piantina di canapa indiana contenente principio attivo pari a mg 16, posta in un piccolo vaso sul terrazzo di casa, costituisca condotta inoffensiva ex art. 49 cod.pen., che non integra il reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (Cass., Sez. 4, n. 25674 del 17-2-2011, Rv. 250721). Nel caso di specie, però, il giudice a quo ha evidenziato che sono state sequestrate otto piante, il cui contenuto di principio attivo è pari all'i% di 37 grammi, da cui sono ricavabili 1480 dosi medie singole. Non può dunque parlarsi di inoffensività del fatto.(…)

consolidato principio giurisprudenziale secondo cui l'ipotesi della lieve entità può essere ravvisata solo laddove l' offensività penale della condotta sia minima, secondo quanto si desume sia dal dato qualitativo e quantitativo che dai mezzi, dalle modalità e dalle circostanze dell'azione, dovendosi conseguentemente escludere il ricorrere di tale fattispecie allorquando anche uno solo di questi parametri sia di segno negativo (Sez. U., n. 35737 del 24-6-2010). Trattasi di valutazione di merito, insindacabile, in sede di legittimità, ove supportata da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Nel caso in esame, la ricavabilità di ben 1480 dosi medie singole esclude la prospettabilità del nomen iuris ex art. 73 comma 5 e rende senz’altro corretta la qualificazione giuridica del fatto nei termini del delitto di cui al comma 4 dell'art. 73 d. P. R. n. 309 del 1990, come esattamente posto in luce dalla Corte territoriale.(…). Per continuare nella lettura clicca sul link alla sentenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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