Monday 17 December 2018 09:52:57
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 6.12.2018
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 6 dicembre 2018 ha affermato che “Il provvedimento di revoca presuppone l’efficacia perdurante nel tempo dell’atto revocando, poiché solo in questo caso è possibile, sul piano logico-giuridico (e come oggi positivamente previsto dall’art. 21-quinquies l. n. 241/1990) la valutazione di “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” ovvero del “mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento”, ovvero ancora, salvo le eccezioni previste, la “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”.
L’irrevocabilità del permesso di costruire, prevista dall’art. 11, co. 2, DPR n. 380 si fonda sulla natura di atto ad efficacia istantanea propria di tale autorizzazione, (come, in genere, dei titoli abilitativi), dovendosi, come è ovvio, tenere distinto l’effetto giuridico (che è istantaneo) dalle “conseguenze” dell’atto, che ben possono perdurare nel tempo.
Non può essere, dunque, condivisa la sentenza impugnata laddove afferma che l’irrevocabilità del permesso di costruire “discende dalla natura vincolata del provvedimento, il che esclude la possibilità di revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies l. n. 241/1990, non essendo concepibili valutazioni di merito”.
E ciò sia perché, in generale, un provvedimento vincolato, se ad efficacia perdurante nel tempo ben può, sussistendone le condizioni, essere oggetto di revoca, sia in quanto, con riferimento al caso di specie, l’irrevocabilità normativamente prevista discende dalla natura istantanea dell’efficacia dell’atto.
Ribadito che il nomen iuris del provvedimento non condiziona il giudizio sulla natura dell’atto (che va desunta dal suo contenuto), va ricordato come, a fianco alle ipotesi di revoca e di annullamento di ufficio (oggi normativamente previste dagli artt. 21-quinquie e 21-nonies l. n. 241/1990), la giurisprudenza abbia tradizionalmente individuato ulteriori ipotesi nelle quali si estrinseca il potere di autotutela.
Queste ipotesi – dove il provvedimento in autotutela agisce con efficacia ex nunc (e, dunque, non riconducibili all’annullamento di ufficio in senso proprio, la cui efficacia è ex tunc, riscontrandosi in tal caso una illegittimità originaria dell’atto) – sono, in particolare (e per quel che interessa nella presente sede), rappresentate dai casi in cui venga meno, successivamente all’adozione dell’atto, un presupposto o requisito indispensabile alla sua adozione (ovviamente presente in tale momento).
In questo caso, l’atto emanato è originariamente legittimo (e, dunque, non si giustificherebbe l’annullamento di cui all’art. 21-nonies l. n. 241/1990), ma tuttavia non può “sopravvivere” nel mondo giuridico, perché è venuto a mancare, successivamente, un elemento “condizionante” la sua validità.
Ovviamente, in questo caso, l’esercizio del potere di autotutela presuppone che sussista un interesse pubblico al suo esercizio e che, dunque, la sopravvenuta invalidità dell’atto (ed eventualmente la sua efficacia) siano tali da non essere ragionevolmente “sopportate” dall’ordinamento giuridico.
Da ultimo è appena il caso di osservare come esulino dall’esercizio del potere di autotutela i casi di revoca sanzionatoria, nei quali l’inadempimento ad una delle prescrizioni imposte dal provvedimento ne comporta la “revoca” quale sanzione (…)” Per continuare vail alla sentenza.
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