Sunday 06 April 2014 11:10:34

Giurisprudenza  Sanità e Sicurezza Sociale

Differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori nel settore sanitario: il consolidato e maggioritario orientamento giurisprudenziale

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 14.3.2014

L’Adunanza plenaria, con la nota decisione 24 marzo 2006 n. 3, ha ribadito che, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 1998 e salva diversa disposizione di legge specifica, nel settore del pubblico impiego le mansioni superiori, rispetto a quelle proprie della qualifica ricoperta formalmente, erano del tutto ininfluenti sul piano giuridico e su quello economico e non consentivano, pertanto, il pagamento delle differenze retributive, eventualmente pretese dal pubblico dipendente per le funzioni effettivamente espletate. Di recente, in linea con le statuizioni dell’appena citata Adunanza plenaria, questo Collegio (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III 31/08/2011, n. 4890) ha ribadito che la retribuibilità di tali mansioni ha assunto carattere di generalità solo con l’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, la stessa norma, non potendo considerarsi interpretativa del combinato disposto dei pregressi artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 19 del 1993, dato che la scelta con essa assunta non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale delle medesime disposizioni, non può che disporre per il futuro; in secondo luogo, il riconoscimento generalizzato del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori, solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 1998, trova la sua ratio nell’introduzione da parte dell’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 (che ha sostituito l’art. 56 ed abrogato il successivo art. 57) di un’organica disciplina delle mansioni, rispettosa dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 Cost.. Va, quindi, ribadito che prima dell’entrata in vigore del predetto d.lgs. n. 387/1998, nel settore del pubblico impiego, salva diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti. Nel settore sanitario, che qui rileva, la diversa e specifica disposizione di legge suaccennata si rinviene nell’art. 29, co. 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, recante “stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali” e, pertanto, costituente, in relazione al settore di attività del dipendente, il riferimento normativo in materia, per il rispettivo periodo di vigenza. Tale disposizione – secondo l’interpretazione che ne è stata data da giurisprudenza più che consolidata - subordina la possibilità di riconoscere le differenze retributive per l’espletamento di mansioni superiori al ricorrere delle seguenti tre condizioni, giuridiche e di fatto, operanti in modo concomitante: (a) l’effettivo espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare; (b) le mansioni devono essere svolte su un posto di ruolo, esistente nella pianta organica, vacante e disponibile; (c) la previa attribuzione dell’incarico, ad opera del competente organo gestorio, con formale deliberazione, dalla quale deve emergere l’avvenuta verifica dei presupposti richiesti, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità, anche in ordine ai connessi profili di copertura finanziaria (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. III, 14 novembre 2012 n. 5734). In mancanza dei riferiti presupposti, deve ritenersi, pertanto, non invocabile l’art. 36 Cost., il quale esprime un principio che non trova applicazione diretta nel pubblico impiego, concorrendo in quest’ambito altri e diversi principi di pari rilevanza (artt. 98 e, soprattutto, 97 Cost.) riguardanti l’organizzazione degli uffici pubblici. Non può essere invocato, neanche, l’art. 2126 cod. civ., che non concerne il diritto al compenso per lo svolgimento di mansioni superiori in via di fatto nel pubblico impiego, ma sancisce il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un contratto nullo o annullabile (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 8 maggio 2012 n. 2631 e sez. V, 19 novembre 2012 n. 5852). Ne deriva, quindi, che, per quel che concerne il personale del sistema sanitario, gli indirizzi elaborati dalla giurisprudenza a partire dall’art. 29 del DPR 761/1979 vanno applicati con rigore, come deroghe ad una generale diversa disciplina. Orbene, alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata, la censura non merita accoglimento. Nella fattispecie in trattazione, infatti, non rileva il fatto che, dal giorno del trasferimento dell’allora coordinatore dell’equipe il ricorrente abbia, di fatto, svolto le funzioni di aiuto responsabile; non rileva il fatto che nel corso del giudizio di primo grado il ricorrente abbia fornito la prova di tutte le circostanze richieste dai giudici amministrativi per il conseguimento delle retribuzioni superiori e non rileva, infine, il fatto che, in alcuna parte del ricorso, il ricorrente abbia affermato “di aver svolto le mansioni, di fatto, in assenza del primario…”, quanto, piuttosto, l’assenza di una deliberazione formale di conferimento dell’incarico gestorio, dalla quale emerga l’avvenuta verifica dei presupposti richiesti, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità, anche in ordine ai connessi profili di copertura finanziaria. Ferma restando la vacanza del posto in organico di livello corrispondente alle mansioni da espletare, l'effettivo esercizio per un periodo di tempo apprezzabile delle mansioni della qualifica superiore presuppone, infatti, sempre l'avvenuto conferimento delle stesse attraverso un incarico formale di preposizione da parte dell'organo che, all'epoca dello svolgimento delle mansioni superiori, era da ritenersi competente a disporre la copertura del posto (C.d.S., sez. V, 3 dicembre 2001, n. 6011; 24 agosto 2007, n. 4492; 23 gennaio 2008, n. 134). Come correttamente osservato dal giudice di prime cure, dunque, traslando nella presente controversia i principi sostenuti dalla giurisprudenza, ad oggi maggioritaria va escluso il diritto del ricorrente riconoscimento delle richieste maggiorazioni retributive. E’, proprio, nell’assenza dei presupposti normativi richiesti per derogare al principio generale, in materia di pubblico impiego, che, in sostanza, debba ravvisarsi la ratio della irrilevanza dello svolgimento, di fatto, delle mansioni superiori e, pertanto, l’infondatezza del ricorso.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale* del 2008, proposto da:

***, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Fioresta, con domicilio eletto presso Giacomo Carbone presso Studio Mete in Roma, via A. Serpieri, 11;

 

contro

Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro (Gia' Usl N. 7), rappresentato e difeso dagli avv. Salvino Greco, Giuseppe Commodaro, con domicilio eletto presso Salvino Greco in Roma, via Acqua Donzella, 27; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE I n. 00862/2007, resa tra le parti, concernente pagamento differenze retributive per mansioni superiori

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2014 il Cons. Michele Corradino e udito per le parti l’avv. Greco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

Con sentenza n. 862 del 25 maggio 2007 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sede diCatanzaro, Sezione Prima, ha respinto il ricorso con cui dr.**, dal 1984 assistente medico presso il servizio di Salute Mentale con sede in Catanzaro Lido, chiedeva il riconoscimento delle mansioni superiori, svolte dall’aprile 1987 sino alla data di proposizione del ricorso.

L’interessato esponeva di avere espletato, di fatto, la funzione di Aiuto Responsabile, presso il predetto S.S.M., dal giorno successivo al trasferimento dell’allora coordinatore dell’equipe, il Dr. Gregorio Corasaniti, assegnato in data 1 aprile 1987 al policlinico Materi Dei.

Il ricorrente chiedeva, inoltre, il riconoscimento del diritto alla retribuzione, corrispondente alle mansioni effettivamente svolte, e, pertanto, la condanna della U.S.L. N.7 al pagamento delle somme dovute, oltre alla rivalutazione monetaria dei singoli crediti e degli interessi legali sulle somme rivalutate.

Il T.A.R. adito, con la sentenza sopracitata, ha dichiarato il ricorso infondato, per l’inesistenza di una deliberazione formale di conferimento dell’incarico, proveniente dall’organo gestorio dell’U.S.L.. In particolare, nella sentenza oggetto di gravame, il Collegio ha aderito all’orientamento giurisprudenziale maggioritario in materia, che, facendo leva sul disposto dell’art. 29, co. 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (recante “stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali”), subordina la possibilità di riconoscere le differenze retributive, per l’espletamento di mansioni superiori, al ricorrere di tre precise condizioni, giuridiche e di fatto, operanti in modo concomitante: (a) l’effettivo espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare; (b) lo svolgimento delle mansioni su un posto di ruolo, esistente nella pianta organica, vacante e disponibile; (c) la previa attribuzione dell’incarico, ad opera del competente organo gestorio, con formale deliberazione, dalla quale deve emergere l’avvenuta verifica dei presupposti richiesti, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità, anche in ordine ai connessi profili di copertura finanziaria.

Avverso la predetta decisione proponeva rituale appello il dr***, assumendo, nel merito, l’erronea applicazione dell’art. 29, co. 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 e, inoltre, l’erronea interpretazione della situazione di fatto, nella quale versava il ricorrente.

Si è costituita, per resistere all’appello, l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro.

Con memoria depositata in vista dell'udienza del 30/01/2014, il ricorrente ha insistito nelle proprie argomentazioni.

Alla pubblica udienza del 30/01/2014 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

Il ricorso è infondato.

I motivi di ricorso per la loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente.

Il ricorrente, contestando le conclusioni del T.A.R., lamenta, in particolare, l’erronea interpretazione della situazione di fatto, nella quale lo stesso versava, e l’erronea applicazione, alla fattispecie concreta, di quanto disposto dal comma secondo dell’art. 29 del D.P.R. 761/79, interpretato nel senso che lo svolgimento di mansioni superiori, oltre il limite temporale di sessanta giorni, diventa illegittimo e conferisce diritto al corrispondente trattamento economico.

Tale principio, si osserva nel ricorso, da sempre pacifico in dottrina e in giurisprudenza (Corte Cost. 296/1990) e perfettamente in linea con il dettato costituzionale (art. 36), non ha mai comportato problemi applicativi nelle controversie di lavoro privato, per la presenza nel codice civile degli artt. 2103 e 2126. Si evidenzia, in particolare, assumendo una disparità di trattamento tra lavoratore pubblico e privato, ai sensi degli artt. 3 e 36 Cost., come il principio subisca un’applicazione diversa nel pubblico impiego, ove, è richiesto, invece, un maggiore rigore formale nella concessione delle mansioni.

Il ricorrente, inoltre, mette in luce come, con il D. lgs. 165/2001, il legislatore all’art. 52, comma 5, abbia sancito la nullità dell’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore ed il diritto del lavoratore alla corresponsione della differenza di trattamento economico, rispetto alla qualifica superiore.

Replica, puntualmente, nel merito, l’Amministrazione resistente, per la quale la considerazione del Collegio di prime cure è la logica conseguenza dell’accoglimento di un, ormai, uniforme e costante indirizzo giurisprudenziale in materia.

La resistente osserva, in particolare, come l’esercizio delle presunte mansioni sia stato, correttamente, valutato dal T.A.R. quale mero “svolgimento di fatto, in assenza di presupposti normativi e di alcuna formale deliberazione”, della quale, precisa l’Amministrazione va esclusa l’esistenza.

La resistente, inoltre, in ordine ai principi espressi dalla pronuncia della Corte Cost. n. 296/1990, richiamata dalla parte ricorrente, osserva come l’art. 36 Cost., nel sancire il diritto alla retribuzione, presupponga la liceità del lavoro prestato e, pertanto, come l’assenza di atti deliberativi, la presenza di un bando o, ancora, l’assenza di un posto di ruolo determini, inevitabilmente, l’impossibilità del riconoscimento di c.d. mansioni superiori. L’Amministrazione sottolinea, altresì, come il divieto di ottenere il riconoscimento del diritto al relativo inquadramento, nella qualifica o nella categoria superiore, per l’eventuale svolgimento di mansioni superiori alla propria qualifica, perfettamente, si inserisca nel quadro costituzionale, ove l’art. 97 Cost. sancisce il principio dell’accesso mediante concorso.

L’Amministrazione, in ordine, poi, all’art. 52 del D.lgs. 165/2001, dalla difesa richiamato, ha ricordato come, anche successivamente alla privatizzazione del P.I., sia rimasta in vigore la differenza di trattamento tra lavoratore pubblico e privato, per quel che concerne l’assegnazione a mansioni superiori. Si è, infatti, evidenziato come il comma 1 contenga una deroga espressa all’art. 2103 del c.c., che, in materia di lavoro privato, sancisce, invece, la definitività dell’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori, ove la stessa superi la durata di tre mesi.

Ciò posto, si osserva come la giurisprudenza di questa Sezione, già chiamata a pronunciarsi in materia, abbia, costantemente, aderito al consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori.

Sul punto, in particolare, l’Adunanza plenaria, con la nota decisione 24 marzo 2006 n. 3, ha ribadito che, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 1998 e salva diversa disposizione di legge specifica, nel settore del pubblico impiego le mansioni superiori, rispetto a quelle proprie della qualifica ricoperta formalmente, erano del tutto ininfluenti sul piano giuridico e su quello economico e non consentivano, pertanto, il pagamento delle differenze retributive, eventualmente pretese dal pubblico dipendente per le funzioni effettivamente espletate.

Di recente, in linea con le statuizioni dell’appena citata Adunanza plenaria, questo Collegio (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III 31/08/2011, n. 4890) ha ribadito che la retribuibilità di tali mansioni ha assunto carattere di generalità solo con l’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, la stessa norma, non potendo considerarsi interpretativa del combinato disposto dei pregressi artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 19 del 1993, dato che la scelta con essa assunta non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale delle medesime disposizioni, non può che disporre per il futuro; in secondo luogo, il riconoscimento generalizzato del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori, solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 1998, trova la sua ratio nell’introduzione da parte dell’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 (che ha sostituito l’art. 56 ed abrogato il successivo art. 57) di un’organica disciplina delle mansioni, rispettosa dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 Cost..

Va, quindi, ribadito che prima dell’entrata in vigore del predetto d.lgs. n. 387/1998, nel settore del pubblico impiego, salva diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti.

Nel settore sanitario, che qui rileva, la diversa e specifica disposizione di legge suaccennata si rinviene nell’art. 29, co. 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, recante “stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali” e, pertanto, costituente, in relazione al settore di attività del dipendente, il riferimento normativo in materia, per il rispettivo periodo di vigenza.

Tale disposizione – secondo l’interpretazione che ne è stata data da giurisprudenza più che consolidata - subordina la possibilità di riconoscere le differenze retributive per l’espletamento di mansioni superiori al ricorrere delle seguenti tre condizioni, giuridiche e di fatto, operanti in modo concomitante:

(a) l’effettivo espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare;

(b) le mansioni devono essere svolte su un posto di ruolo, esistente nella pianta organica, vacante e disponibile;

(c) la previa attribuzione dell’incarico, ad opera del competente organo gestorio, con formale deliberazione, dalla quale deve emergere l’avvenuta verifica dei presupposti richiesti, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità, anche in ordine ai connessi profili di copertura finanziaria (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. III, 14 novembre 2012 n. 5734).

In mancanza dei riferiti presupposti, deve ritenersi, pertanto, non invocabile l’art. 36 Cost., il quale esprime un principio che non trova applicazione diretta nel pubblico impiego, concorrendo in quest’ambito altri e diversi principi di pari rilevanza (artt. 98 e, soprattutto, 97 Cost.) riguardanti l’organizzazione degli uffici pubblici.

Non può essere invocato, neanche, l’art. 2126 cod. civ., che non concerne il diritto al compenso per lo svolgimento di mansioni superiori in via di fatto nel pubblico impiego, ma sancisce il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un contratto nullo o annullabile (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 8 maggio 2012 n. 2631 e sez. V, 19 novembre 2012 n. 5852).

Ne deriva, quindi, che, per quel che concerne il personale del sistema sanitario, gli indirizzi elaborati dalla giurisprudenza a partire dall’art. 29 del DPR 761/1979 vanno applicati con rigore, come deroghe ad una generale diversa disciplina.

Orbene, alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata, la censura non merita accoglimento.

Nella fattispecie in trattazione, infatti, non rileva il fatto che, dal giorno del trasferimento dell’allora coordinatore dell’equipe il ricorrente abbia, di fatto, svolto le funzioni di aiuto responsabile; non rileva il fatto che nel corso del giudizio di primo grado il ricorrente abbia fornito la prova di tutte le circostanze richieste dai giudici amministrativi per il conseguimento delle retribuzioni superiori e non rileva, infine, il fatto che, in alcuna parte del ricorso, il ricorrente abbia affermato “di aver svolto le mansioni, di fatto, in assenza del primario…”, quanto, piuttosto, l’assenza di una deliberazione formale di conferimento dell’incarico gestorio, dalla quale emerga l’avvenuta verifica dei presupposti richiesti, nonché l’assunzione di tutte le relative responsabilità, anche in ordine ai connessi profili di copertura finanziaria.

Ferma restando la vacanza del posto in organico di livello corrispondente alle mansioni da espletare, l'effettivo esercizio per un periodo di tempo apprezzabile delle mansioni della qualifica superiore presuppone, infatti, sempre l'avvenuto conferimento delle stesse attraverso un incarico formale di preposizione da parte dell'organo che, all'epoca dello svolgimento delle mansioni superiori, era da ritenersi competente a disporre la copertura del posto (C.d.S., sez. V, 3 dicembre 2001, n. 6011; 24 agosto 2007, n. 4492; 23 gennaio 2008, n. 134).

Come correttamente osservato dal giudice di prime cure, dunque, traslando nella presente controversia i principi sostenuti dalla giurisprudenza, ad oggi maggioritaria va escluso il diritto del ricorrente riconoscimento delle richieste maggiorazioni retributive.

E’, proprio, nell’assenza dei presupposti normativi richiesti per derogare al principio generale, in materia di pubblico impiego, che, in sostanza, debba ravvisarsi la ratio della irrilevanza dello svolgimento, di fatto, delle mansioni superiori e, pertanto, l’infondatezza del ricorso.

In base alle superiori considerazioni il ricorso in appello va rigettato.

In considerazione della natura della questione si ravvisano giusti motivi per la compensazione integrale delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l 'appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Michele Corradino, Consigliere, Estensore

Salvatore Cacace, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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