Saturday 15 March 2014 19:45:51

Giurisprudenza  Unione Europea e Cooperazione Internazionale

Truffe comunitarie: gli organismi nazionali devono assicurare il corretto utilizzo delle provvidenze erogate per conto della Comunità europea, procedendo, in caso di accertata violazione, alla revoca del contributo e al recupero delle somme

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez.III

La fattispecie giunta all'attenzione del Consiglio di Stato ha ad oggetto la decadenza e il recupero di circa 25.000,00 euro erogati, indebitamente, dalla Regione Marche, a titolo di contributo per il sostegno di zone svantaggiate in attuazione di specifico regolamento comunitario. Gli organismi nazionali sono tenuti ad assicurare il corretto utilizzo delle provvidenze erogate per conto della Comunità europea, procedendo, in caso di accertata violazione, alla revoca del contributo e al recupero delle somme (cfr. Cons. St. – VI n. 5765/2008; Corte di Giustizia U.E. C-613/11 del 21 marzo 2013). Ne deriva che la normativa e le disposizioni attuative, per le finalità perseguite volte anche a evitare le cd. truffe comunitarie, debbono, per intuibili motivi, essere interpretate e applicate nel modo più restrittivo e rigoroso, e prevedono forme di vigilanza e doverosi controlli a tutela dell’erario e degli altri concorrenti e, è bene ricordare, della assoluta regolarità dell’erogazione del contributo di origine comunitaria (cfr. III n. 3115/2013). Per approfondire cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale del 2012, proposto da**** quale titolare dell'omonima Azienda Agricola, rappresentata e difesa dall'avv. Raffaele Giammarino, con domicilio eletto presso Francesco Falvo D'Urso in Roma, viale delle Milizie, 106;

 

contro

Regione Marche, rappresentata e difesa dagli avv. Michele Romano e Lucilla Di Ianni, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Domenico Morichini n. 41; AGEA-Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE – ANCONA - SEZIONE I n. 00662/2011, resa tra le parti, concernente AMMISSIONE AL CONTRIBUTO PREVISTO DAI BANDI REGIONALI ATTUATIVI DELLA MISURA E - INDENNITA' ZONE SVANTAGGIATE

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Marche;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2014 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti gli avvocati Giammarino e Romano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche – Sezione I, con sentenza n. 662 del 7 luglio 2011 depositata il 1° agosto 2011, ha respinto, con compensazione delle spese, il ricorso proposto dalla signora ***lli, titolare dell’omonima azienda agricola, avverso il decreto del dirigente del Servizio Sviluppo e Gestione Attività Agricole e Rurali della Regione Marche n. 21/S del 19 gennaio 2010, recante decadenza e recupero, a seguito di verbale del Corpo Forestale dello Stato n.13/2008 notificato in data 29 luglio 2008, delle somme indebitamente percepite per gli anni 2005 e 2006 per € 22.500,00, a titolo di contributo comunitario per il sostegno (indennità compensativa) agli investimenti volti a prevenire o limitare lo spopolamento dei terreni meno favoriti e svantaggiati (Piano Sviluppo Rurale 2000/2006 – Bandi 2005 e 2006 – Misura E/PSR Marche – Zone Svantaggiate – Reg. CE. n. 1257/1999); nonché avverso i decreti n. 332/SAR del 15 luglio 2005 e 221 del 29 giugno 2006 di approvazione dei bandi, asseritamente in contrasto con gli artt. 13 e 14 del citato Reg. CE., che non prevedono il requisito della residenza per l’ammissione al beneficio stesso.

Il T.A.R. ha invero sostenuto che, a seguito della verifica del C.F.S., la residenza e il domicilio dell’interessata, sulla base di puntuali elementi di fatto, sono risultati fittizi, denotando l’assenza di collegamento fra la stessa e l’azienda con la zona svantaggiata, in violazione dei bandi e della precipua finalità del contributo erogato a sostegno e che non evidenziano alcun contrasto con la normativa comunitaria.

2. La signora Certelli, con atto notificato il 9 gennaio 2012 e depositato il 27 gennaio 2012, ha interposto appello, con domande di sospensiva, contestando motivatamente le argomentazioni del T.A.R., e quindi il verbale del C.F.S., in merito alla residenza e al domicilio, a suo dire corrispondenti invece alla concreta attività di pastorizia svolta ed agli accertamenti anagrafici del Comune, e ribadendo l’illegittimità dei bandi nella parte in cui prevede la residenza fra i requisiti, in violazione degli artt. 13 e 14 Reg. C.E. n. 1257/1999, che per l’appunto non la contemplano fra le condizioni per l’ammissione al contributo, e dell’articolo 3 della Costituzione.

Con memoria depositata in data 12 dicembre 2013, nel confermare i motivi dell’appello, sottolinea che nessun’altra Regione abbia previsto, in analoga fattispecie, il requisito della residenza e richiama la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea – V Sezione del 22 ottobre 1998, secondo cui l’indennità compensativa può essere concessa anche a imprenditore agricolo che non risiede nell’azienda sita nella zona svantaggiata.

3. La Regione Marche si è costituita con atto depositato il 24 febbraio 2012 e ha depositato memorie in data 23 dicembre 2013 e 2 gennaio 2014 a sostegno della legittimità della sentenza e dell’operato dell’Amministrazione.

In particolare evidenzia che l’interessata non ha impugnato tempestivamente – né querelato per falso – il verbale del C.F.S., peraltro notificato non nella residenza dichiarata ma in altra località, nè la previsione del bando circa il possesso della residenza e del domicilio in un Comune montano o svantaggiato, nella zona oggetto della Misura E, già di per sé lesiva secondo la stessa prospettazione del ricorrente.

Sostiene che la normativa comunitaria e la sentenza richiamata non impediscono, né rendono illegittima, detta previsione, laddove lasciano alle singole Regioni autonome di stabilire condizioni limitative o complementari e laddove, in ogni caso, le determinazioni regionali hanno riportato l’approvazione della C.E..

La decadenza dal contributo, e il suo recupero, sono quindi conseguenti all’accertamento del CFS circa la effettiva residenza, inizialmente accettata sulla base delle dichiarazioni anagrafiche.

4.1. Questo Collegio, con ordinanza n. 596 del 10 febbraio 2012, ha accolto l’istanza cautelare, sospendendo l’esecutività della sentenza impugnata.

4.2. La signora ***lli, con atto depositato l’8 ottobre 2012, ha presentato istanza di prelievo ex art. 71 c.p.a. lamentando che la Regione Marche e l’A.G.E.A., nonostante la citata ordinanza cautelare, hanno già proceduto all’integrale recupero del contributo concesso tramite compensazione con crediti vantati dalla ricorrente, così provocando gravi difficoltà e danni all’azienda.

4.3. La causa, all’udienza pubblica del 23 gennaio 2014, è stata trattenuta in decisione.

5.1. L’appello è infondato.

5.2. Si premette che la fattispecie ha ad oggetto la decadenza e il recupero di 25.000,00 euro erogati, indebitamente, dalla Regione Marche, a titolo di contributo per il sostegno di zone svantaggiate in attuazione di specifico regolamento comunitario.

Si premette che gli organismi nazionali sono tenuti ad assicurare il corretto utilizzo delle provvidenze erogate per conto della Comunità europea, procedendo, in caso di accertata violazione, alla revoca del contributo e al recupero delle somme (cfr. Cons. St. – VI n. 5765/2008; Corte di Giustizia U.E. C-613/11 del 21 marzo 2013).

Ne deriva che la normativa e le disposizioni attuative, per le finalità perseguite volte anche a evitare le cd. truffe comunitarie, debbono, per intuibili motivi, essere interpretate e applicate nel modo più restrittivo e rigoroso, e prevedono forme di vigilanza e doverosi controlli a tutela dell’erario e degli altri concorrenti e, è bene ricordare, della assoluta regolarità dell’erogazione del contributo di origine comunitaria (cfr. III n. 3115/2013).

Orbene, la Sezione è dell’avviso che le argomentazioni svolte dal T.A.R. siano condivisibili posto che tutte danno sostanzialmente un’interpretazione rigorosa delle previsioni del bando così consentendo la concessione del contributo ove volto in effetti al sostegno delle aree svantaggiate e al mantenimento della popolazione agricola e dell’attività agricola e zootecnica nelle aree rurali.

In realtà i bandi contengono puntuali e specifiche previsioni proprio a tali fini con l’individuazione dell’azienda agricola o zootecnica, della minima superficie agricola utilizzabile e di riferimento, dell’unità bestiame adulto e delle zone di intervento, ed anche dei beneficiari con la previsione dei requisiti dell’imprenditore e dell’impresa.

In particolare le provvidenze sono rivolte nei riguardi di chi esercita attività di allevamento; ha la residenza, la sede legale e il domicilio in uno dei comuni montani o svantaggiati ubicati nella Regione Marche nella zona in cui opera la Misura; possiede ed abbia la disponibilità di un’azienda la cui estensione, almeno in parte, ricade in una delle aree svantaggiate; si impegni al mantenimento dei requisiti prescritti nei cinque anni di contributo con vincolo di conduzione aziendale dell’attività agricola e di un numero prestabilito di capi di bestiame.

5.3. Ciò stante, il T.A.R. ha proceduto nell’esame delle censure mosse nei riguardi dell’Amministrazione – e dello stesso giudice in appello – circa la affermata necessità del requisito della residenza/domicilio, che, nel caso di specie, è stata accertata come fittizia.

Va disatteso primieramente l’assunto dell’appellante secondo cui la previsione di tale requisito non è richiesta ed anzi è in contrasto con le disposizioni comunitarie e con la citata sentenza della Corte di Giustizia.

Orbene la normativa comunitaria non impone detto requisito e neanche pone divieto in tal senso, ed anzi gli articoli 18, comma 3, del regolamento C.E. n. 2328/1991 e 37, comma 4, del regolamento n. 1257/1999 prevedono espressamente che gli Stati membri possono stabilire condizioni ulteriori o più restrittive per la concessione del sostegno comunitario allo sviluppo rurale, purché tali condizioni siano coerenti con gli obiettivi e con i requisiti previsti dal regolamento.

E’ indubbio quindi che le Regioni, in sede attuativa, godano di un autonomo potere discrezionale nel porre una più rigorosa disciplina ai fini dell’ammissione al contributo comunitario, e il requisito della residenza non può certo ritenersi non in sintonia con le finalità perseguite e le previsioni in sede europea.

Anche la sentenza richiamata, pur consentendo l’erogazione dell’indennità a favore di chi non risiede stabilmente nell’azienda, purtuttavia (cfr. massima e dispositivo) prescrive comunque un collegamento sostanziale con l’azienda e l’attività esercitata, che devono essere gestite direttamente, il conseguimento di almeno il 50% dei redditi dall’attività agricola o assimilata e che in ogni caso sia provata la sussistenza di ragioni speciali.

Ne consegue che non sussiste in materia alcun contrasto con la normativa comunitaria né tanto meno con l’articolo 3 Costituzione.

5.4. Ciò premesso, la Regione Marche ha inteso stabilire quindi, con i bandi in questione conformi al P.S.R. 2000-2006 approvato dalla C.E., il requisito della residenza/domicilio ai fini di rendere ancor più stringente ed effettivo detto collegamento, e tale condizione non urta con le norme comunitarie e si appalesa invece corrispondere agli scopi perseguiti senza perciò pregiudicare in alcun modo le situazioni delle aziende interessate, che sono comunque impegnate e tenute, nei termini prescritti dai bandi e con determinate condizioni e finalità, a esercitare l’attività agricola e zootecnica di cui trattasi.

D’altra parte le previsioni dei bandi, espresse e tassative nei sensi suesposti, non sono state gravate e altri imprenditori agricoli le hanno rispettate.

Ciò stante, nel caso di specie la verifica di cui al verbale del Corpo Forestale dello Stato ha accertato nel 2008, con riguardo agli anni 2005-2006, la fittizietà della residenza/domicilio dell’azienda appellante, e ciò sulla base di elementi di fatto inconfutabili, richiamati e documentati specificatamente, dall’Amministrazione e dal T.A.R. (assenza nella casa indicata, stesso indirizzo di altra ricorrente, utenze varie e intestazioni contratti ad altri, recapito posta altrove, notifica del verbale C.F.S. a mani proprie ma in altra località, argomentazioni sulla transumanza e sulla pastorizia del tutto soggettive e genericamente finalizzate a sostenere la residenza dichiarata, assenza di bestiame e di strutture in loco, codice aziendale di altra provincia, sede legale non corrispondente alle risultanze con conseguente iscrizione nel registro delle aziende zootecniche, testimonianze) a riprova per l’appunto della fittizietà della residenza e del collegamento con l’attività e l’area interessata.

Tant’è che, come dianzi sottolineato, quel verbale non è stato impugnato né è stato querelato di falso, per cui le controdeduzioni dell’appellante si tramutano concretamente in argomentazioni pro domo sua e di parte, assertive e senza il supporto di dati certi e probatori, né le considerazioni sulle risultanze anagrafiche e sull’esercizio del voto rilevano in questa sede, in quanto per l’appunto contestate e ritenute non corrispondenti al vero.

In effetti, anche a voler prescindere dalla residenza, emerge proprio l’assenza o l’insufficienza del collegamento con l’area svantaggiata, e il concreto svolgimento dell’attività della pastorizia, come riferito dalla parte appellante, con modalità per così dire “elastiche” e in qualche modo opinabili e variabili, induce a vanificare, come opportunamente sottolineato dal giudice di primo grado, proprio le finalità e la disciplina di cui ai regolamenti comunitari, ai programmi di sviluppo rurale e ai bandi.

5.5. La decadenza e il recupero delle somme erogate costituiscono quindi atti dovuti, in attuazione di specifica prescrizione dei bandi stessi, e dell’articolo 288, comma 4, T.F.U.E., anche a tutela doverosa dell’erario europeo e nazionale, non rilevando neanche le difficoltà finanziarie dell’impresa (cfr. citata Corte di Giustizia n. 613/11-2013).

6. Per le considerazioni che precedono l’appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di giudizio da liquidarsi in € 2000,00 (duemila), oltre agli accessori di legge, a favore della costituita Regione Marche.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore

Roberto Capuzzi, Consigliere

Hadrian Simonetti, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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