Sunday 27 July 2014 21:34:15

Giurisprudenza  Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa

Mansioni superiori: nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 11.7.2011

Per la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato nell’ambito del pubblico impiego le mansioni superiori hanno rilevanza solo nei casi tassativamente previsti dalla legge. Inoltre, va condiviso l’orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale “lo svolgimento di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza da parte dei dipendenti della Regione Calabria non ha effetto ai fini dell'inquadramento nella superiore qualifica, dovendosi ritenere abrogate le disposizioni legislative regionali (art. 72 della legge regionale n. 9 del 1975 e art. 1 della legge reg. n. 14 del 1991) che consentono il consolidamento delle mansioni più elevate, ai sensi degli artt. 9, primo comma, e 10, primo comma, della legge n. 62 del 1953, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 29 del 1993 (successivamente confluito nell'art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001) e dell'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 (poi confluito nell'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001), che hanno elevato a principio fondamentale ai sensi dell'art. 117 Cost. il divieto di avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore in conseguenza dello svolgimento di mansioni superiori” (Cass., Sez. Lav., 5 maggio 2010, n. 10829). Pertanto, anche se si fosse riscontrato un obbligo dell’amministrazione di provvedere ex novo sulla richiesta dell’odierno appellante, la stessa non si sarebbe potuta accogliere in sede amministrativa, né pertanto può essere accolta in sede giurisdizionale. A tal fine non vale invocare l’applicazione degli artt. 2126 c.c., 36 Cost. o art. 29, secondo comma, del d.p.r. 761 del 1979. E’ già stato chiarito più volte dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. la pronuncia n. 22 del 1999), che “nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego. L'art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 Cost. (che nel disporre che « i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione » vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari.” Né rilevano –ratione temporis - le disposizioni successivamente entrate in vigore che hanno previsto i casi in cui il giudice civile possa attribuire rilievo alle mansioni superiori, ove esse siano state formalmente conferite in presenza di tutti i relativi presupposti.

 

Testo del Provvedimento

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale*del 2003, proposto dal signor Vecchio Antonio, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Torchia e Gianfranco Marcello, con domicilio eletto presso il signor Saverio Menniti in Roma, viale Parioli, n.74; 

contro

La Regione Calabria, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO, SEZIONE II, n. 1063/2002, resa tra le parti, concernente un inquadramento nella qualifica di funzionario.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti l’avvocato Torchia e l’avvocato dello Stato Pasciano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Con il ricorso n. 892 del 1997, proposto al TAR per la Calabria, il Sig. Vecchio agiva per ottenere l’annullamento del silenzio rifiuto formatosi sull’atto di diffida notificato in data 24 febbraio 1997 e per ottenere il riconoscimento del diritto ad essere inquadrato con livello di funzionario ai sensi della legge regionale n. 9 del 1975 e della legge regionale n. 14 del 1991 con le relative decorrenze giuridiche ed economiche, nonché la liquidazione dei conguagli retributivi, oltre interessi e rivalutazione fino al soddisfo.

2. Premetteva il ricorrente di essere dipendente della Regione Calabria e di essere stato inquadrato, con la delibera della Giunta regionale n. 4692 del 1978, nella qualifica di collaboratore.

Egli riferiva di avere interposto opposizione nei confronti del suindicato atto di inquadramento, ma l’esito favorevole del ricorso giustiziale era vanificato dalla Commissione di controllo sugli atti della Regione Calabria, che annullava il disposto inquadramento nella qualifica di funzionario (con una delibera impugnata in sede giurisdizionale, con un ricorso poi dichiarato perento).

Entrata in vigore nelle more la legge regionale n. 14 del 1991, sul presupposto che l’art. 1 di tale legge consentisse una riapertura dei termini al fine di ottenere l’inquadramento superiore per tutti coloro che avevano svolto mansioni superiori, egli proponeva la relativa domanda all’Amministrazione che, però, non provvedeva neppure in conseguenza di un atto di diffida stragiudiziale notificatole in data 24 febbraio 1997.

3. Il primo Giudice disattendeva i due motivi di ricorso articolati dal Sig. Vecchio, rilevando quanto al primo che la invocata legge regionale Calabria n. 14 del 1991, seppure non abbia apportato sostanziali modifiche ai requisiti necessari per l’inquadramento più favorevole del dipendente, non costituendo legge interpretativa, ma introduttiva di una nuova disposizione (al più ricognitiva delle precedenti), non trova applicazione al caso in esame, posto che il ricorrente si duole della mancata applicazione di una legge regionale del settembre 1991 ad una fattispecie già a quella data esauritasi in virtù del combinato verificarsi di due eventi: il mancato completamento dell’iter provvedimentale relativo all’inquadramento nella qualifica di funzionario (per effetto della decisione negativa di controllo della Commissione statale di controllo sugli atti della Regione Calabria) e la perenzione del ricorso giurisdizionale avverso la decisione negativa di controllo, che ha giuridicamente consolidato l’originario inquadramento nella qualifica di collaboratore.

Quanto al secondo, il TAR ha sottolineato l’assenza di una norma come l’art. 29 del D.P.R. n. 761 del 1979, che attribuisca rilievo alle mansioni superiori anche se attribuite con un provvedimento formale.

Quanto alla domanda volta ad ottenere la declaratoria del diritto ad essere inquadrato nel superiore livello di funzionario, il TAR ha rilevato la sua inammissibilità, perché il dipendente che presti servizio presso una Pubblica amministrazione non vanta una posizione di diritto. Né grava sull’amministrazione un obbligo di provvedere che possa essere contestato con il silenzio-inadempimento, in quanto l’amministrazione è libera di verificare se l’inoppugnabilità dei propri atti meriti o meno di essere superata da successive valutazioni che tengano conto del decorso del tempo, delle esigenze di certezza dei rapporti giuridici e delle disponibilità di bilancio.

4. Con l’odierno gravame il Sig. Vecchio si duole dell’erroneità della pronuncia di prime cure che: a) non avrebbe rilevato l’obbligo dell’amministrazione di provvedere entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza; b) non avrebbe riconosciuto il diritto dell’originario ricorrente al riconoscimento delle mansioni superiori in ragione della ricorrenza dei due requisiti dell’espletamento di fatto ed in maniera continuativa per almeno un anno delle mansioni superiori e della presenza di un atto amministrativo avente pubblica fede che lo attesti.

A tal riguardo la sentenza del TAR sarebbe irragionevole nella parte in cui non avrebbe apprezzato la fidefacienza degli atti che attestano lo svolgimento di tali mansioni: la delibera di giunta regionale n. 648 del 1990, il decreto del Presidente della GR n. 344 del 1995 e il decreto del Medico provinciale di Catanzaro n. 1235 del 191982 farebbero piena prova ai sensi dell’art. 2700 c.c.

Rileverebbe il fatto che il ricorrente avrebbe proposto istanza di riesame sin dal 1979 ed in virtù dell’entrata in vigore della l.r. n. 14 del 1991 la stessa sarebbe dovuta essere riesaminata.

Il TAR ancora non si sarebbe pronunciato sulla domanda di corresponsione delle somme per le mansioni superiori svolte. La posizione fatta valere dal ricorrente sarebbe di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, ed il silenzio rifiuto della Regione sarebbe illegittimo, avendo diritto il ricorrente all’inquadramento ex art. 29, secondo comma, d.p.r. 761 del 1979, 36 Cost., 2126, primo comma, c.c.

5. La Regione Calabria si costituisce in giudizio e chiede la conferma della sentenza impugnata, rilevando tra l’altro che gli atti depositati dall’originario ricorrente a riprova del conferimento formale di mansioni superiori non rilevano, perché non provengono dai soggetti competenti all’attribuzione di mansioni superiori.

6. All’udienza del 29 aprile 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e deve essere respinto, meritando piena conferma la sentenza di prime cure.

2. Non può trovare adesione, infatti, la doglianza con la quale l’appellante sostiene l’obbligo dell’amministrazione di provvedere sull’istanza dallo stesso presentata a seguito dell’entrata in vigore della legge regionale della Calabria n. 14 del 1991.

Al riguardo, risulta corretta la ricostruzione storico-normativa svolta dal Giudice di prime cure, secondo la quale la legge regionale della Calabria 28 marzo 1975, n. 9, all’art. 72, ha attribuito rilievo, in certi limiti, alle mansioni di fatto svolte dai dipendenti: essa è stata oggetto di due successive leggi di interpretazione autentica, ossia la legge regionale 28 luglio 1978, n. 11, e la legge regionale 13 giugno 1983, n. 19.

Successivamente, è entrata in vigore la legge regionale 10 luglio 1987 n. 20, che attribuiva rilevanza alle mansioni di fatto svolte dai dipendenti assunti ‘a contratto’ con le leggi regionali 9 gennaio 1977, n. 2, e 30 maggio 1980, n. 15. Infine, la legge regionale 3 settembre 1991, n. 14, apportando integrazioni alla legge regionale 5 maggio 1990, n. 30, ribadiva la possibilità per i dipendenti regionali che avevano tempestivamente presentato la domanda di opposizione alla deliberazione di inquadramento, ai sensi della legge regionale n. 9 del 1975, di essere inquadrati nel ruolo unico regionale “nella qualifica funzionale corrispondente alle mansioni effettivamente svolte e comunque documentate)”.

Sennonché la legge regionale 3 settembre 1991, n. 14, si limita a introdurre una modifica di disciplina esistente, che in ogni caso non può riguardare la fattispecie sottoposta all’attenzione del TAR da parte dell’originario ricorrente, in quanto essa risultava a quella data integralmente esaurita a seguito della inoppugnabilità conseguita dalla decisione negativa di controllo della Commissione statale di controllo sugli atti della Regione Calabria sull’atto di inquadramento dell’odierno appellante e della conseguente dichiarazione di perenzione del ricorso proposto contro l’atto negativo di controllo.

Pertanto, l’atto dallo stesso impugnato era divenuto inoppugnabile, con conseguente consolidamento degli effetti degli atti regionali di inquadramento invece divenuti efficaci.

Rispetto alla situazione descritta, però, il tenore della disposizione sopravvenuta contenuta nella legge regionale 3 settembre 1991, n. 14, e l’assenza di valenza retroattiva della stessa, non consentono di derogare ai principi consolidati in materia.

Infatti, l’amministrazione non ha alcun obbligo di provvedere ad esaminare nuovamente una richiesta, in contrasto con precedenti atti divenuti inoppugnabili, né è tenuta di conseguenza ad esercitare il proprio potere di autotutela, con la conseguenza che sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non sussiste obbligo di provvedere.

3. Quanto alla domanda di declaratoria del diritto al riconoscimento di aver prestato mansioni superiori ed al conseguente trattamento economico, essa va essere respinta.

Per la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio, nell’ambito del pubblico impiego le mansioni superiori hanno rilevanza solo nei casi tassativamente previsti dalla legge.

Inoltre, va condiviso l’orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale “lo svolgimento di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza da parte dei dipendenti della Regione Calabria non ha effetto ai fini dell'inquadramento nella superiore qualifica, dovendosi ritenere abrogate le disposizioni legislative regionali (art. 72 della legge regionale n. 9 del 1975 e art. 1 della legge reg. n. 14 del 1991) che consentono il consolidamento delle mansioni più elevate, ai sensi degli artt. 9, primo comma, e 10, primo comma, della legge n. 62 del 1953, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 29 del 1993 (successivamente confluito nell'art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001) e dell'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 (poi confluito nell'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001), che hanno elevato a principio fondamentale ai sensi dell'art. 117 Cost. il divieto di avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore in conseguenza dello svolgimento di mansioni superiori” (Cass., Sez. Lav., 5 maggio 2010, n. 10829).

Pertanto, anche se si fosse riscontrato un obbligo dell’amministrazione di provvedere ex novo sulla richiesta dell’odierno appellante, la stessa non si sarebbe potuta accogliere in sede amministrativa, né pertanto può essere accolta in sede giurisdizionale.

A tal fine non vale invocare l’applicazione degli artt. 2126 c.c., 36 Cost. o art. 29, secondo comma, del d.p.r. 761 del 1979.

E’ già stato chiarito più volte dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. la pronuncia n. 22 del 1999), che “nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego.

L'art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 Cost. (che nel disporre che « i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione » vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari.

Né rilevano –ratione temporis - le disposizioni successivamente entrate in vigore che hanno previsto i casi in cui il giudice civile possa attribuire rilievo alle mansioni superiori, ove esse siano state formalmente conferite in presenza di tutti i relativi presupposti.

4. Va pertanto l’appello in esame.

5. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 6519 del 2003, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il signor Vecchio Antonio al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in 3.000,00 (tremila/00) euro, oltre accessori di legge, a favore della Regione Calabria.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/07/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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