Sunday 14 September 2014 19:02:52

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Espropriazione illegittima: il Consiglio di Stato ribadisce l’impossibilità che il provvedimento ex art. 42 bis del Testo Unico espropriazioni possa essere emesso dal commissario ad acta eventualmente nominato per l’ottemperanza

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.9.2014

La Quarta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha evidenziato (seguendo Consiglio di Stato, sez. IV, 2 settembre 2011 n. 4970) come “la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni. “Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.” Pertanto, ove l’amministrazione non intendesse procedere alla restituzione del bene, rimanendo in piedi l’obbligo di ricondurre a diritto la situazione di illegittima apprensione del bene privato, “l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie. L’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono quindi fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all’acquisto della proprietà, indifferentemente dal fatto che questo evento avvenga consensualmente o autoritativamente. “A questi due strumenti va altresì aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità” ed ora, successivamente alla sentenza della Corte costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293, che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, nuovamente regolamentato all’art. 42 bis dello stesso testo, come introdotto dall’articolo 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, convertito in legge 15 luglio 2011 n. 111”. A tale ricostruzione va solo aggiunto che la Sezione si è espressamente pronunciata in relazione all’impossibilità che il provvedimento ex art. 42 bis possa essere emesso dal commissario ad acta eventualmente nominato per l’ottemperanza (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 marzo 2014 n. 1221 e n. 1222), evidenziando che “se è vero che, in sede di ottemperanza, il giudice amministrativo può sostituire l’amministrazione anche nelle scelte che toccano il merito dell’azione, è anche vero che il giudizio di ottemperanza altro non è che il portato esecutivo del giudizio di cognizione. Quindi, se è pacifico che il giudice dell’ottemperanza è vincolato dal contenuto della sentenza da eseguire, è del pari evidente che la sentenza di cognizione ottemperanda è a sua volta legata ai limiti dati dalla domanda proposta dalla parte in sede di ricorso introduttivo. Si tratta cioè di un rapporto di successiva delimitazione e progressiva messa a fuoco, dal quale non si può prescindere se non dimenticando le interconnessioni tra i vari momenti del processo. “Trasponendo tali lineari considerazioni nel caso concreto dell’esecuzione di sentenza di annullamento di una procedura espropriativa, si è di fronte ad una vicenda così riassumibile: la domanda posta è una domanda demolitoria degli atti espropriativi; l’accoglimento della domanda, cui consegue l’annullamento della procedura e il contestuale riconoscimento della mancata acquisizione alla mano pubblica della proprietà, comporta l’obbligo della restituzione del bene illegittimamente sottratto; stante l’inerzia dell’amministrazione, il giudice dell’ottemperanza deve muoversi con i poteri di merito e nell’ambito dei limiti della domanda proposta e accolta. “Appare quindi arduo immaginare che, di fronte alla domanda introdotta in giudizio e ivi considerata fondata, ossia alla domanda di declaratoria d’illegittimità della procedura espropriativa, il giudice dell’ottemperanza, chiamato dal ricorrente insoddisfatto a conseguire quanto ha diritto, decida nel senso di ordinare all’amministrazione di provvedere ex art. 42 bis. Si assisterebbe alla singolare situazione per cui lo stesso giudice, che in sede di cognizione ha ritenuto che il bene dovesse essere restituito al legittimo proprietario, in sede di ottemperanza ordinerà invece all’amministrazione di impossessarsi dello stesso bene, anzi addirittura la sostituirà, mandando un suo ausiliario a mettere in atto tale proposito. “Un tale anomalo esito, della cui coerenza con l’art. 24 della Costituzione è lecito dubitare, può essere invece superato se si tiene presente che l’unico obbligo scaturente dalla sentenza è quello di restituzione del bene, mentre le altre opzioni (come esaurientemente indicate nella citata sentenza n. 4969 del 2 settembre 2011) sono rimesse alle scelte dell’amministrazione, visto che si pongono su un piano diverso da quello dell’esecuzione del giudicato (in questo senso, Consiglio di Stato, IV, 30 settembre 2013, n. 4868).” L’eventuale giudizio di ottemperanza comporterà quindi l’intervento del commissario ad acta ai soli fini della restituzione del bene ai privati illegittimamente ablati. Venendo ora alle questioni risarcitorie, la Sezione ha di recente osservato (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2014 n. 359) come la possibilità di un provvedimento ex art. 42 bis impedisca o renda quanto meno prematuro l’accoglimento della domanda di congrua liquidazione dell'indennizzo o di rettifica dei criteri liquidatori indicati nella sentenza gravata, “poiché l'art. 42 bis, a differenza di quanto prevedeva l'art. 43 previgente, non prevede più, né la possibilità per il giudice di ‘escludere la restituzione senza limiti di tempo’ né, conseguentemente, l'obbligo per l'amministrazione di emanare il provvedimento di acquisizione a seguito di un vaglio giurisdizionale di siffatto tenore. Nel nuovo schema dell'art. 42 bis, il provvedimento di acquisizione rimane nell'ambito della piena discrezionalità dell'amministrazione (‘valutati gli interessi in conflitto’ recita l'incipit della disposizione normativa), conscia che in ipotesi di mancato esercizio del potere dovrà restituire il suolo al legittimo proprietario, nonostante sul medesimo sorga un'opera pubblica”. Nel caso in esame, si verte tuttavia in un’ipotesi risarcitoria, del tutto correlata alla situazione di apprensione del bene, già dichiarata illegittima, per cui, ferme rimanendo le opzioni rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione, la mancata pronuncia sulla domanda ricadrebbe nel divieto del non liquet. Anche in questa situazione, quindi, si possono prendere a modello le decisioni precedentemente intervenute (in particolare, Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2012 n. 427) evidenziando modi e tempi della liquidazione del danno patito. Trattandosi di fattispecie che non ha determinato la traslazione del diritto dominicale, tanto da comportare l’obbligo di restituzione dell’immobile, non può certamente esserci spazio per il risarcimento del danno da perdita della proprietà, evento mai realizzatosi. “Il risarcimento del danno deve allora operare in relazione alla illegittima occupazione del bene, è illecito permamente, e deve pertanto coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal momento del suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie. “Ciò impone quindi la individuazione del momento iniziale e di quello finale del comportamento lesivo. “In relazione al termine iniziale, questo deve essere identificato nel momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra. “In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui la pubblica amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area.” Ne consegue che l’illecito, e il conseguente obbligo di risarcimento, continueranno a sussistere fino al momento della conclusione di una legittima fattispecie acquisitiva. “Venendo ai profili quantificatori, stanti le premesse appena svolte, possono riferirsi unicamente a due diverse fattispecie: quella dell’acquisto del bene tramite moduli consensuali e quella della quantificazione del danno dovuto per l’occupazione illegittima avutasi medio tempore. “Come già la Sezione ha avuto modo di precisare (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676) in relazione al valore da corrispondere al privato, dovrà tenersi conto di quello di mercato dell'immobile, individuato ‘non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più individuarsi in tale data, una volta venuto meno l'istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell'Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo (non potendo, come detto, ravvisarsi in tale atto un effetto abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l'effetto traslativo de quo’. “In relazione poi al danno intervenuto medio tempore, e quindi a quello conseguente dall’illegittima occupazione, intercorrente tra i termini iniziali e finali sopra precisati, ‘i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andrano poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza’.” Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su " Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso in appello n. * del 2012, proposto da

Lorenzo Fioletti e Bruna Manenti, rappresentati e difesi dagli avv.ti Mario Gorlani, Innocenzo Gorlani e Claudio Chiola, ed elettivamente domiciliati presso il primo dei difensori in Roma, via della Camilluccia n. 785, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

 

contro

Comune di Edolo, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Florenzo Stornelli, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso l’avv. Gianfranco Tobia in Roma, viale Mazzini n. 11, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 1040 del 13 luglio 2011, resa tra le parti e concernente l’illegittimità della procedura espropriativa per lavori di costruzione del palazzetto dello sport e la domanda di risarcimento dei danni subiti,

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Edolo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Claudio Chiola e Florenzo Storelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 1554 del 2012, Lorenzo Fioletti e Bruna Manenti propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 1040 del 13 luglio 2011 con la quale è stato accolto in parte il ricorso proposto dagli stessi appellanti contro il Comune di Edolo: A) per la declaratoria della inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità di cui alla deliberazione consiliare n. 14 del 17 marzo 1989 e alla deliberazione consiliare n. 85 del 29 dicembre 1989, con cui è stato approvato il progetto esecutivo dei lavori di costruzione del palazzetto dello sport di Edolo; della illegittimità conseguente della procedura espropriativa avviata sulla base di tali dichiarazioni di pubblica utilità ed in particolare del decreto di occupazione d’urgenza; e per la condanna del Comune alla restituzione dei terreni occupati (mappali 292, 293 e 295 Fg. 92) e al risarcimento del danno derivato dalla occupazione abusiva del 1992 alla data della effettiva restituzione; ovvero, in subordine, alla liquidazione del risarcimento del danno in misura non inferiore al valore venale dell’area, oltre agli interessi legali dall’occupazione al saldo; B) per la declaratoria della inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità di cui alla delibera di Giunta comunale n. 210 del 29 ottobre 2002, relativa al percorso fitness lungo il fiume Ogliolo; e per la condanna del Comune alla restituzione dei terreni occupati (mappali 219 e 225, Fg. 91) e al risarcimento del danno derivato dalla occupazione abusiva fino alla data della effettiva restituzione; ovvero, in subordine, alla liquidazione del risarcimento del danno in misura non inferiore al valore venale dell’area, oltre agli interessi legali dall’occupazione al saldo; C) per la declaratoria della inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, i cui atti non sono conosciuti, relativa all’allargamento di via Treboldi; e per la condanna del Comune alla restituzione dei terreni occupati (mappali 119 e 120 Fg. 91) e al risarcimento del danno derivato dalla occupazione abusiva fino alla data della effettiva restituzione; ovvero, in subordine, alla liquidazione del risarcimento del danno in misura non inferiore al valore venale dell’area, oltre agli interessi legali dall’occupazione al saldo; D) per la declaratoria di inadempimento dell’accordo bonario stipulato tra l’Amministrazione comunale e i signori Fioletti, avente ad oggetto il rifacimento della rete fognaria comunale e la conseguente parziale occupazione della proprietà Fioletti, identificata nei mappali n. 42 e 137 Fg. 91; e per la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni subiti, da quantificarsi in via equitativa.

La vicenda in esame ha avuto un doppio esito dinanzi al giudice di prime cure.

Gli originari ricorrenti, oggi appellanti, censuravano la legittimità degli interventi con cui, tra il 1989 e il 2004, il Comune di Edolo aveva occupato una pluralità di immobili di proprietà degli stessi, per la realizzazione di diverse opere pubbliche, senza mai addivenire alla liquidazione degli indennizzi dovuti e alla conseguente adozione degli atti traslativi della proprietà (fatta eccezione per l’ultimo intervento, relativo alla costituzione di una servitù di fognatura, rispetto a cui si lamenta solo il mancato rispetto di impegni accessori assunti dal Comune).

Il primo intervento, quello relativo alla realizzazione del palazzetto dello sport, è stato dichiarato di pubblica utilità a seguito dell’approvazione del progetto dell’opera nel 1989. Solo nel luglio 1992, però, l’Amministrazione ha comunicato agli originari ricorrenti l’inserimento dei mappali 292, 293 e 295 Fg. 92 nell’elenco dei beni da espropriare: gli stessi hanno poi formato oggetto di decreto di occupazione d’urgenza datato 31 luglio 1992. Nonostante i molteplici tentativi di raggiungere un accordo, nessun indennizzo sarebbe mai stato liquidato con riferimento a detti immobili e nessun decreto d’esproprio sarebbe intervenuto a consolidare la legittimità dell’occupazione d’urgenza a suo tempo disposta.

In presenza di un’occupazione divenuta senza titolo, quindi, i proprietari chiedevano la restituzione dei suddetti terreni, ovvero la corresponsione del risarcimento del danno, in misura pari al valore venale dei terreni stessi. In entrambi i casi chiedono, altresì, il risarcimento per l’illegittima occupazione dal 1992 alla data della reintegrazione (in forma specifica o per equivalente).

Con riferimento all’opera definita come “percorso fitness” i ricorrenti chiedevano, in realtà, la restituzione (ovvero il risarcimento in misura analoga a quanto più sopra detto) dei terreni sottratti alla loro disponibilità dal 2003 per il rifacimento dell’argine del fiume (in misura peraltro non quantificata, tant’è che si insistevano, nel ricorso, per una consulenza finalizzata a stabilire la esatta consistenza dei beni).

Analoga istanza è formulata rispetto all’allargamento di via Treboldi, rispetto al quale, però, i ricorrenti non erano in condizione di indicare se e quali siano gli estremi di un’eventuale dichiarazione di pubblica utilità.

Diversa era, invece, la domanda con riferimento ai lavori di costruzione della fognatura in località Bersaglio. I ricorrenti attestavano, infatti, di aver raggiunto un accordo bonario con il Comune per la costituzione della servitù e lamentano solo il mancato rispetto della condizione imposta, rappresentata dalla collocazione di una recinzione lungo la proprietà, in un primo tempo realizzata, ma poi rimossa su richiesta dei confinanti.

Costituitosi in giudizio il Comune di Edolo, che oralmente eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a fronte dell’illegittima occupazione della proprietà dei ricorrenti e, nel merito, l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno fatto valere, il T.A.R. emetteva la sentenza parziale n. 505 del 29 marzo 2011, con la quale dichiarava inammissibile il ricorso cumulativo così come radicato, ritenendo, però, che, in applicazione dei generali principi di economia degli atti al processo amministrativo, il ricorso fosse comunque ammissibile esclusivamente nei confronti del capo di maggiore importanza per il ricorrente.

In particolare:

- rispetto alla domanda volta ad ottenere la condanna del Comune all’adempimento delle obbligazioni precedentemente assunte con “accordo bonario” è stato ritenuto che essa esulasse dalla giurisdizione del giudice amministrativo;

- con riferimento alla realizzazione del percorso fitness (con coinvolgimento del terreno arginale), nella particolarità dell’opera realizzata è stata ravvisata una forza attrattiva della questione nella giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche ai sensi dell’art. 143 comma 1 lett. a), t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775;

- anche rispetto alla contestata legittimità dell’allargamento stradale di via Treboldi, la mancata produzione di ogni principio di prova relativo all’esistenza di un’eventuale dichiarazione di pubblica utilità, ha indotto ad escludere la giurisdizione del giudice amministrativo.

Ne è derivata l’individuazione della domanda più pregnante per parte ricorrente come quella coincidente con l’unica rispetto a cui è stata ravvisata la giurisdizione del giudice amministrativo e cioè la prima domanda, volta alla declaratoria della inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità relativa alla realizzazione del palazzetto dello sport ed individuata anche da parte ricorrente come quella di primario interesse.

Al fine della decisione nel merito, il T.A.R., nel corpo della stessa sentenza n. 505 del 2001, riteneva necessario acquisire una relazione esplicativa - con ricostruzione dell’iter e date corrispondenti – dell’andamento della procedura espropriativa avente ad oggetto i mappali 292, 293 e 295 del fg. 92, contenente le seguenti specificazioni:

- se, a seguito dell’occupazione d’urgenza autorizzata con decreto del 31 luglio 1992, siano state realizzate, sui suddetti mappali, opere pubbliche, specificandone la tipologia e la data di inizio e fine lavori rispetto a ciascuna di esse e provvedendo alla rappresentazione grafica delle stesse su di una planimetria;

- se le stesse aree sono state utilizzate, nel 2004, per l’esecuzione di opere nuove o ulteriori;

- se nel 2004 sono state realizzate (specificando quando ed eventualmente rappresentando graficamente anche queste ultime) opere accessorie al palazzetto dello sport ulteriori rispetto a quelle già esistenti;

- se è stato emanato un decreto di esproprio delle aree in questione, specificando, in caso di riscontro negativo, le ragioni della mancata conclusione dell’iter;

- quale sia l’attuale specifica destinazione delle superfici occupate;

- l’esatta superficie che ha formato oggetto di occupazione;

- la quantificazione del valore venale dei beni occupati, mediante la redazione di un’apposita relazione di stima.

In data 29 aprile 2011, il Comune di Edolo depositava la richiesta relazione, cui hanno fatto seguito, nell’ordine, il deposito di una perizia di stima nell’interesse di parte ricorrente ed uno scambio di memorie tra le parti costituite.

Alla pubblica udienza del 23 giugno 2011 la causa è stata discussa e decisa con la sentenza qui appellata, redatta in forma semplificata. In essa, il T.A.R. riteneva parzialmente fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, ritenendo tuttavia che non potesse farsi luogo alla restituzione dell’immobile ma unicamente al risarcimento del danno per equivalente.

Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, in relazione al mancato riconoscimento del diritto alla restituzione dei beni e all’errato calcolo della debenza risarcitoria.

Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Edolo, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 4 marzo 2014, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è fondato e merita parziale accoglimento entro i termini di seguito precisati.

2. - Con il primo motivo di ricorso, le parti si dolgono dell’erronea esclusione del diritto alla restituzione dei terreni oggetto della procedura espropriativa, lamentando come il T.A.R. abbia sacrificato il diritto dei ricorrenti in relazione alla presunta rinuncia della piena tutela del diritto di proprietà.

2.1. - La doglianza è fondata e va accolta.

Preliminarmente, occorre notare come non sia in questione il tema dell’illegittimità della procedura espropriativa in relazione alle domande che hanno superato il vaglio di ammissibilità operato dal primo giudice. Infatti, a seguito della relazione prodotta dal Comune di Edolo in esecuzione dell’ordine conseguente alla sentenza del primo giudice n. 505 del 2011, è emerso come, a seguito dell’occupazione delle aree del 7 settembre 1992, i terreni dei ricorrenti siano stati dapprima usati per la realizzazione della pista di accesso al cantiere per la costruzione del nuovo palazzetto dello sport e poi, ultimati i lavori in data 2 maggio 1994, destinati ad area verde pertinenziale alla piscina comunale e infine impiegati per la realizzazione dell’accesso al parcheggio esterno della piscina nell’anno 2004. Il tutto senza che fosse emesso alcun decreto d’esproprio, nonostante le trattative condotte al fine di addivenire alla cessione volontaria.

Correttamente, il T.A.R. ha ritenuto che “la mancata, tempestiva, conclusione della procedura espropriativa, ravvisabile, quindi, anche nel caso di specie, ha certamente dato luogo ad una fattispecie di illecito amministrativo permanente, considerato che la più recente giurisprudenza, anche sulla scorta di quanto affermato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, ha chiarito come la realizzazione dell'opera pubblica non possa determinare alcun effetto traslativo della proprietà e, quindi, essere di impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata.”

È invece del tutto perplessa la successiva statuizione per cui, rilevato che la fattispecie in esame presenta alcune particolarità, ha affermato nel caso in esame si sia assistito ad una “sostanziale rinuncia ad una piena tutela della propria proprietà da parte dei titolari della stessa, allorchè i medesimi, a fronte della manifestata volontà, con l’approvazione di un nuovo progetto nell’anno 2004, di una nuova occupazione finalizzata ad imprimere una nuova destinazione alle aree in questione, definitivamente sottraendole alla disponibilità dei proprietari non hanno tempestivamente agito in via possessoria, per impedire la nuova occupazione e, quindi, la trasformazione dei terreni.”

L’affermazione è del tutto perplessa, sotto almeno tre ordini di argomentazioni. In primo luogo, va rammentato che proprio la ricerca di una volontà abdicativa della proprietà, espressa in comportamenti concludenti e non in atti formali, è stata oggetto di censura da parte della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, rendendo quindi in radice erroneo il criterio usato dal T.A.R. (Corte europea diritti dell'uomo, sez. III, 12 gennaio 2006 n. 14793 sulla necessità di un atto formale di trasferimento della proprietà ovvero di una sentenza passata in giudicato che dichiari siffatto trasferimento; del tutto pacifica la giurisprudenza di questa Sezione – da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 4 settembre 2013 n. 4445). In secondo luogo, l’ipotesi del necessario ricorso alla via giudiziaria contrasta contro i pacifici orientamenti giudiziari in merito al comportamento esigibile in capo al soggetto danneggiato, che non comprende certamente l’azione in giudizio, strumento facoltativo e non obbligatorio (da ultimo, Cassazione civile, sez. II, 13 gennaio 2014 n. 470). In terzo luogo, per la non conferenza tra lo strumento della tutela possessoria, mirato a salvaguardare un’autonoma situazione giuridica, rispetto alle azioni a difesa della proprietà (sui rapporti tra le due azioni, da ultimo, Cassazione civile, sez. II, 25 giugno 2012 n. 10588).

Tali ragioni impongono quindi di annullare il capo di sentenza con cui, con una indagine non condivisibile e contraria alla giurisprudenza appena evocata, il primo giudice ha ritenuto di individuare un modo legittimo di ablazione della proprietà ricostruendo induttivamente la volontà inespressa della parte privata.

3. - Accertato, quindi, il non intervenuto passaggio alla mano pubblica della proprietà dei beni in contestazione, ossia dei mappali nn. 292, 293 e 295 del fg. 92 del comune di Edolo, le conseguenze giuridiche di tale vicenda appaiono del tutto lineari, sulla scorta di una giurisprudenza di questa Sezione del tutto pacifica, che può qui essere sinteticamente riassunta, sotto i diversi profili degli obblighi spettanti all’amministrazione per ricondurre a diritto la situazione creatasi e sul dovere risarcitorio conseguente.

3.1. - In merito alla pretesa delle parti appellanti, va evidenziato (seguendo Consiglio di Stato, sez. IV, 2 settembre 2011 n. 4970) come “la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni.

“Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.”

Pertanto, ove l’amministrazione non intendesse procedere alla restituzione del bene, rimanendo in piedi l’obbligo di ricondurre a diritto la situazione di illegittima apprensione del bene privato, “l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie. L’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono quindi fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all’acquisto della proprietà, indifferentemente dal fatto che questo evento avvenga consensualmente o autoritativamente.

“A questi due strumenti va altresì aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità” ed ora, successivamente alla sentenza della Corte costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293, che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, nuovamente regolamentato all’art. 42 bis dello stesso testo, come introdotto dall’articolo 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, convertito in legge 15 luglio 2011 n. 111”.

A tale ricostruzione va solo aggiunto che la Sezione si è espressamente pronunciata in relazione all’impossibilità che il provvedimento ex art. 42 bis possa essere emesso dal commissario ad acta eventualmente nominato per l’ottemperanza (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 marzo 2014 n. 1221 e n. 1222), evidenziando che “se è vero che, in sede di ottemperanza, il giudice amministrativo può sostituire l’amministrazione anche nelle scelte che toccano il merito dell’azione, è anche vero che il giudizio di ottemperanza altro non è che il portato esecutivo del giudizio di cognizione. Quindi, se è pacifico che il giudice dell’ottemperanza è vincolato dal contenuto della sentenza da eseguire, è del pari evidente che la sentenza di cognizione ottemperanda è a sua volta legata ai limiti dati dalla domanda proposta dalla parte in sede di ricorso introduttivo. Si tratta cioè di un rapporto di successiva delimitazione e progressiva messa a fuoco, dal quale non si può prescindere se non dimenticando le interconnessioni tra i vari momenti del processo.

“Trasponendo tali lineari considerazioni nel caso concreto dell’esecuzione di sentenza di annullamento di una procedura espropriativa, si è di fronte ad una vicenda così riassumibile: la domanda posta è una domanda demolitoria degli atti espropriativi; l’accoglimento della domanda, cui consegue l’annullamento della procedura e il contestuale riconoscimento della mancata acquisizione alla mano pubblica della proprietà, comporta l’obbligo della restituzione del bene illegittimamente sottratto; stante l’inerzia dell’amministrazione, il giudice dell’ottemperanza deve muoversi con i poteri di merito e nell’ambito dei limiti della domanda proposta e accolta.

“Appare quindi arduo immaginare che, di fronte alla domanda introdotta in giudizio e ivi considerata fondata, ossia alla domanda di declaratoria d’illegittimità della procedura espropriativa, il giudice dell’ottemperanza, chiamato dal ricorrente insoddisfatto a conseguire quanto ha diritto, decida nel senso di ordinare all’amministrazione di provvedere ex art. 42 bis. Si assisterebbe alla singolare situazione per cui lo stesso giudice, che in sede di cognizione ha ritenuto che il bene dovesse essere restituito al legittimo proprietario, in sede di ottemperanza ordinerà invece all’amministrazione di impossessarsi dello stesso bene, anzi addirittura la sostituirà, mandando un suo ausiliario a mettere in atto tale proposito.

“Un tale anomalo esito, della cui coerenza con l’art. 24 della Costituzione è lecito dubitare, può essere invece superato se si tiene presente che l’unico obbligo scaturente dalla sentenza è quello di restituzione del bene, mentre le altre opzioni (come esaurientemente indicate nella citata sentenza n. 4969 del 2 settembre 2011) sono rimesse alle scelte dell’amministrazione, visto che si pongono su un piano diverso da quello dell’esecuzione del giudicato (in questo senso, Consiglio di Stato, IV, 30 settembre 2013, n. 4868).”

L’eventuale giudizio di ottemperanza comporterà quindi l’intervento del commissario ad acta ai soli fini della restituzione del bene ai privati illegittimamente ablati.

3.2. - Venendo ora alle questioni risarcitorie, la Sezione ha di recente osservato (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2014 n. 359) come la possibilità di un provvedimento ex art. 42 bis impedisca o renda quanto meno prematuro l’accoglimento della domanda di congrua liquidazione dell'indennizzo o di rettifica dei criteri liquidatori indicati nella sentenza gravata, “poiché l'art. 42 bis, a differenza di quanto prevedeva l'art. 43 previgente, non prevede più, né la possibilità per il giudice di ‘escludere la restituzione senza limiti di tempo’ né, conseguentemente, l'obbligo per l'amministrazione di emanare il provvedimento di acquisizione a seguito di un vaglio giurisdizionale di siffatto tenore. Nel nuovo schema dell'art. 42 bis, il provvedimento di acquisizione rimane nell'ambito della piena discrezionalità dell'amministrazione (‘valutati gli interessi in conflitto’ recita l'incipit della disposizione normativa), conscia che in ipotesi di mancato esercizio del potere dovrà restituire il suolo al legittimo proprietario, nonostante sul medesimo sorga un'opera pubblica”.

Nel caso in esame, si verte tuttavia in un’ipotesi risarcitoria, del tutto correlata alla situazione di apprensione del bene, già dichiarata illegittima, per cui, ferme rimanendo le opzioni rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione, la mancata pronuncia sulla domanda ricadrebbe nel divieto del non liquet. Anche in questa situazione, quindi, si possono prendere a modello le decisioni precedentemente intervenute (in particolare, Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2012 n. 427) evidenziando modi e tempi della liquidazione del danno patito.

Trattandosi di fattispecie che non ha determinato la traslazione del diritto dominicale, tanto da comportare l’obbligo di restituzione dell’immobile, non può certamente esserci spazio per il risarcimento del danno da perdita della proprietà, evento mai realizzatosi.

“Il risarcimento del danno deve allora operare in relazione alla illegittima occupazione del bene, è illecito permamente, e deve pertanto coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal momento del suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie.

“Ciò impone quindi la individuazione del momento iniziale e di quello finale del comportamento lesivo.

“In relazione al termine iniziale, questo deve essere identificato nel momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra.

“In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui la pubblica amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area.”

Ne consegue che l’illecito, e il conseguente obbligo di risarcimento, continueranno a sussistere fino al momento della conclusione di una legittima fattispecie acquisitiva.

“Venendo ai profili quantificatori, stanti le premesse appena svolte, possono riferirsi unicamente a due diverse fattispecie: quella dell’acquisto del bene tramite moduli consensuali e quella della quantificazione del danno dovuto per l’occupazione illegittima avutasi medio tempore.

“Come già la Sezione ha avuto modo di precisare (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676) in relazione al valore da corrispondere al privato, dovrà tenersi conto di quello di mercato dell'immobile, individuato ‘non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più individuarsi in tale data, una volta venuto meno l'istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell'Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo (non potendo, come detto, ravvisarsi in tale atto un effetto abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l'effetto traslativo de quo’.

“In relazione poi al danno intervenuto medio tempore, e quindi a quello conseguente dall’illegittima occupazione, intercorrente tra i termini iniziali e finali sopra precisati, ‘i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andrano poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza’.”

3.3. - Indicati quindi modi e tempi di quantificazione del danno, va notato come nella fattispecie in esame il primo giudice abbia in concreto individuato un parametro di riferimento per l’individuazione del valore di mercato delle aree in questione, con un’argomentazione che la Sezione ritiene di condividere, in ciò respingendo le doglianze formulate in sede di appello.

Infatti, respinta la tesi del Comune (che si è limitato a richiamare l’importo dell’indennità corrisposta nel 1992 in relazione ad aree contigue e presentanti le medesime caratteristiche e pari a 10.000 lire al mq) e evidenziati i tratti di irragionevolezza della perizia di stima prodotta da parte ricorrente (sia in relazione ai presupposti di base e sull’impossibilità di una “logica espansione residenziale, prevedibile per tali aree nell’immediato futuro”, sia in in rapporto alla destinazione urbanistica dell’area), il T.A.R. ha condivisibilmente posto a fondamento della sua decisione, in via equitativa, “l’importo offerto dal Comune di Edolo in data 16 ottobre 2002, pari a 20.000 Lire/mq, che è stato dagli odierni ricorrenti accettato (con nota del 22 novembre 2002), aumentato del 10 % e fatti salvi il riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria da quella data e sino alla domanda”.

Si tratta di una impostazione che, valorizzando le scelte procedimentali delle parti, appare del tutto congrua in rapporto agli elementi addotti in giudizio, tanto da poter essere fatta propria dalla Sezione anche in sede di giudizio di appello e da essere utilizzata anche come base di calcolo per il computo del danno correlato all’illegittima occupazione (come correttamente deciso dal T.A.R., facendo riferimento alla giurisprudenza di questa Sezione).

Su tale dato pecuniario, l’amministrazione dovrà agire, parametrando il valore del bene alla data dell’accordo transattivo intervento a quello dell’effettivo momento di acquisizione della proprietà.

4. - Conclusivamente, con le precisazioni date in relazione ai doveri dell’amministrazione, agli obblighi spettanti in via risarcitoria e alla quantificazione del valore unitario del bene, da utilizzare per la liquidazione delle spettanze, l’appello va accolto nei sensi di cui in motivazione. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie l’appello n. 1554 del 2012 e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 1040 del 13 luglio 2011, accoglie il ricorso di primo grado, nei sensi di cui in motivazione;

2. Condanna il Comune di Edolo a rifondere a Lorenzo Fioletti e Bruna Manenti le spese del doppio grado di giudizio, che liquida in €. 3.000,00 (euro tremila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 marzo 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

 

 

Marzio Branca, Presidente FF

Sandro Aureli, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/09/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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