Friday 12 September 2014 18:43:24

Provvedimenti Regionali  Patto di Stabliità, Bilancio e Fiscalità

Il danno erariale derivante dal conferimento, non in via temporanea, di mansioni superiori dirigenziali

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza della Corte dei Conti

La Corte dei Conti nella sentenza in esame ha evidenziato che "Nel meccanismo di legge, l’attribuzione di superiori mansioni dirigenziali è provvedimento temporaneo proprio perché è preordinato esclusivamente a consentire la copertura di carenze di organico durante il periodo strettamente necessario (valutato ex lege in sei mesi-un anno) per indire ed espletare le ordinarie procedure per la loro copertura. Tale temporaneità, pertanto, deve essere necessariamente ed in concreto assicurata onde evitare il consolidamento di posizioni che contrastano, prima ancora che con le specifiche norme di legge sull’attribuzione degli incarichi citate dalla Procura, con le ordinarie e generali regole sull’organizzazione amministrativa, delle quali la regola dell’assunzione per specifici profili professionali tramite concorsi costituisce una regola generale, a garanzia della quale il divieto di attribuzione stabile a mansioni superiori (già espresso nell’art. 56 del D.lgs. n. 29/93 e poi confluito nell’attuale art. 52 del D.lgs. n. 165/2001) è posto. Di tale garanzia è fatto carico ai soggetti che, per le loro competenze, sono in grado di incidere sull’esistenza e sulla protrazione degli incarichi in questione, i quali devono porre in essere le condizioni affinchè gli incarichi conferiti rimangano entro i limiti di legge. Cosa diversa, infatti, è che il fatto che tale elemento è richiesto dalla legge, rispetto al fatto che un termine temporale sia espressamente stabilito, in concreto, nei singoli atti di conferimento. La previsione di legge (il citato art.52 del D.lgs. n. 165/2001) non incide sull’effettiva esistenza ed efficacia degli incarichi che perdurino anche oltre il termine massimo ivi previsto, ma unicamente sulla loro illegittimità (ed illiceità) concretando la previsione, leggibile “al contrario” dalla disposizione stessa, che una proroga disposta o consentita in assenza di tale condizione –l’indizione di procedure per la copertura dei posti vacanti in organico- è illegittima. Al contrario, una previsione della durata massima degli incarichi,che sia contenuta nella stessa determinazione di conferimento, incide direttamente sull’esistenza degli incarichi stessi, determinandone la caducazione al termine del periodo di durata previsto. Solo una tale previsione, pertanto, è in grado di evitare il risultato, contrario alla lettera ed allo spirito della legge, che dipendenti dell’amministrazione siano adibiti a superiori mansioni perun periodo superiore ai sei mesi in assenza dell’indizione di ordinarie procedure per la copertura delle carenze di organico che, asseritamente, gli incarichi sono tesi a coprire e che, per legge, solo a fronte di tale temporanea necessità trovano giustificazione." Per approfondire e scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

Sent. N.*/2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE

PER IL LAZIO

Composta dai magistrati:

Ivan De Musso                                              Presidente

Andrea Lupi                                                  Consigliere

Chiara Bersani                                               ConsigliereRel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità n. 73534 ad istanza della Procura Regionale per la Sezione Lazio, in persona del V.P.G.Rosa Francaviglia,contro:

omissis

Visti gli atti ed i documenti di causa;

Uditi alla pubblica udienza del 17.06.2014, con l’assistenza del Segretario Sig.ra Daniela Martinelli,

il P.M. in persona del V.P.G.Domenico Peccerillo, e gli Avvocati Sanino, Stajano, Panicucci e Giammaria;

Ritenuto in

FATTO

A seguito di esposto dell’INPS del 19 febbraio 2013, la Procura di questa Corte ha svolto accurata istruttoria sul danno conseguito all’istituto dalla liquidazione a dipendenti dell’ex INPDAP di compensi per indennità di reggenza e maggiorazioni del compenso per produttività, la cui spettanza è stata riconosciuta con sentenze del Giudice del Lavoro passate in giudicato e che sono stati corrisposti sui cedolini dello stipendio dei dipendenti medesimi  dal 2008 sino al 2012.

Precisa la Procura che ai dipendenti Moccaldi Giuseppe, Di Chirico Fernando, Scauso Francesco, Lucentini Sandro, De Silvestris Luciano e Ialuna Giovanni, esperti informatici inquadrati nella posizione “C”, erano state affidate funzioni di reggenza di alcuni uffici della Direzione Centrale dei Sistemi Informativi (D.S.C.I.) con determinazioni n.69 del 31.05.2000 e n.90 del 07.07.2000, a firma della Dirigente Generale della D.S.C.I. Dr.ssa *sulle quali il Dr.*, Direttore Generalep.t. dell’Istituto, aveva apposto la propria sigla “AS” e la frase “OK concordo”, elemento questo che concreterebbe il suo assenso agli incarichi. Con successivo ordine di servizio n.12 del 06.06.2000, la Dr.ssa * aveva confermato i predetti incarichi di reggenza. Il suo successore, il Dr. Remo *, che ha assunto l’incarico di Dirigente Generale della D.S.C.I. dal 17.07.2000 sino al 31.03.2005, non ha successivamente provveduto a revocare o a modificare  i predetti incarichi e le relative determinazioni, che quindi hanno continuato a produrre i loro effetti e sono state alla base delle richieste di liquidazione di compensi esitate nelle sentenze di condanna dell’INPS alla cifra complessiva di euro 749.539,32per maggiorazioni stipendiali relative al periodo 31.05.2000-11.02.2005 (sino alla restituzione dei predetti dipendenti alle mansioni della posizione “C”, che è stata infine disposta dall’Ing. Patamia con delibere n.4/2005 e 10/2005).

Per tali fatti, non ritenendo giustificative le deduzioni presentate dai convenuti a fronte dell’invito a dedurre loro notificato, ed usufruendo della proroga di 120 gg. del termine per l’emissione dell’atto di citazione, in scadenza il 01.11.2013,  concessa con l’ordinanza n. 21/2013 di questa Sezione, la Procura ha depositato il 26.02.2014 l’atto di citazione con il quale ha convenuto in giudizio ** nella loro qualità di D.G. della D.S.C.I., la prima per aver disposto i predetti incarichi ed il secondo per non averli revocati consentendo il permanere dei relativi illeciti, ed Andrea Simi, in qualità di Direttore Generale p.t. dell’INPS, per aver avallato le delibere di incarico apponendo il proprio visto, e ne ha chiesto la condanna al pagamento a favore dell’INPS di complessivi euro 749.539,32, oltre oneri di legge, costituenti l’ammontare del capitale risarcito ai dipendenti, addizionato con le spese di lite del primo e secondo grado del giudizio avanti al giudice del lavoro, gli interessi legali lordi e gli oneri di legge a carico dello Stato, richiamando l’atto di costituzione in mora già notificatoai convenuti dall’Istituto nel 2008 ed il 19.02.2013.

Per la tesi della Procura, il danno conseguente alle predette liquidazioni stipendiali è illecito in quanto esse traggono titolo da incarichi di reggenza che sarebbero stati conferiti oltre i limiti di legge,da individuarsi in base all’art.57 del D.lgs.n. 29 del 1993 e s.m.i, confluito nell’art. 52 del D.lgs. n. 165/2001, disposizione che consente l’assegnazione a mansioni superiori solo temporaneamente, se necessitata da obiettive esigenze di servizio, nel caso di vacanza del posto in organico e per un periodo di non più di sei mesi, ovvero (art.57 del citato D.lgs. n. 29/93 come modificato dal D.lgs. n. 80/98) con proroga di ulteriori sei mesi, a condizione che nel frattempo siano state bandite le procedure selettive per la copertura del posto vacante. In base al citato art. 52, comma 5, del D.lgs. n. 165/2001 (nel quale è confluito l’art.56, comma 6, del D.lgs. n.29/93, nel testo sostituito dal D.lgs. n. 80/1998 e modificato dall’art.15 del D.lgs. n. 387/1998), in caso di violazione dei predetti limiti nell’assegnazione del dipendente a mansioni proprie della qualifica superiore, “l’assegnazione è nulla ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore”, e la violazione costituisce causa di responsabilità amministrativa a carico del funzionario che ha disposto l’assegnazione nulla.

Da tali disposizioni la Procura ricava il principio che l’attribuzione di mansioni superiori è provvedimento di supplenza di carattere temporaneo e provvisorio, subordinato al presupposto della vacanza del posto in organico ed alla condizione dell’avvio delle procedure per la copertura del posto vacante, ed il principio che le differenze retributive corrisposte in base al predetto comma 5, cioè aventi titolo nella assegnazione nulla per violazione dei predetti limiti di legge, costituiscono danno erariale per il relativo importo, dovendosi escludere qualsiasi possibilitàdi compensazione del danno con un preteso utile derivante dall’espletamento delle superiori mansioni, poiché non possono  ritenersi utili prestazioni rese in violazione di un divieto di legge (richiama la Procura la giurisprudenza di questa Corte, ed in particolare la sentenza delle SS.RR. n.49/97).

Nella fattispecie la violazione di tali principi, per la Procura, integra una ipotesi di colpa grave, costituendo un’inescusabile e grave negligenza, per l’accusa, il travalicamento dei divieti di legge nell’assegnazione degli incarichi di reggenza de quibus, a fronte sia del chiaro tenore e dell’uniforme interpretazione giurisprudenziale delle predette disposizioni, sia della posizione dei dirigenti convenuti, che presuppone un’ampia e consolidata conoscenza del quadro normativo di riferimento per l’assegnazione di incarichi, sia le circostanze del caso, rilevando che, oltre alla mancata previsione del termine temporale di durata dell’incarico nelle determinazioni in questione, il danno si è prodotto anche a causa della cattiva gestione del rapporto che si era così creato, non essendo, alla scadenza dei sei mesi, intervenuto alcun atto di restituzione dei dipendenti alle rispettive mansioni. La Procura ha ritenuto di pari rilevanza causale la partecipazione dei tre dirigenti al fatto, ed ha pertanto concluso per  la loro condanna pro quota in parti eguali.

* * si è costituita tramite gli Avv.ti Laura Banti ed Enrico Panicucci preliminarmente eccependo la prescrizione dell’azione con riferimento alle determinazioni edalle condotte occorse, asseritamente, nell’anno 2000, e rilevando l’inidoneità dell’atto d’intimazione di pagamento, notificato dall’INPDAP il 15.03.2013, ad integrare gli effetti dell’atto di costituzione inmora ex artt.1219-2943 cod.civ.. Ha inoltre eccepito l’insindacabilità della scelta , di cui ai predetti incarichi, che apparterrebbe al merito dell’azione amministrativa, ed ha affermato la conformità delle delibere alle disposizioni invocate dalla Procura, sostenendo che esse sono state legittimamente emesse a fronte di una grave carenza di organico (su 9 dirigenti previsti presso la D.C.S.I. nella  pianta organica vigente al momento dei fatti, ex delibera del C.d.A. n. 451 del 04.12.196, ve ne erano solo tre: vi sarebbe pertanto stata sia la carenza dei posti in organico che la copertura delle relative spese, vieppiù in un momento di intensa attività di assestamento delle funzioni dell’istituto a seguito dell’assorbimento di personale da altre amministrazioni (come afferma il Dr. * nelle deduzioni) e del trasferimento del coordinatore dell’area, Ing.Patamia, ad altro settore (fatto che avrebbe determinato la necessità per la * avvalersi di più soggetti in sua sostituzione), mentre la mancata previsione di un termine di durata degli incarichi non rileverebbe, quantomeno per l’imputabilità del danno alla *, poiché sarebbe stato obbligo della direzione del personale indire le procedure per tempo, ovvero, in caso di mancata indizione, alla scadenza del termine di legge sarebbe stato obbligo del D.G. p.t. (e cioè dell’Ing. Gozzi, succeduto alla *46 giorni dopo le determinazioni in questione) rimuovere gli incarichi verificando che l’amministrazione, a quella data, non aveva indetto alcuna procedura selettiva per la ordinaria copertura dei relativi posti in organico. Ha concluso per la dichiarazione di prescrizione dell’azione, e nel merito per l’assoluzione da ogni addebito o, in via subordinata, per la riduzione del danno imputabile in ragione dell’utile conseguito con gli incarichi e della ridotta partecipazione della convenuta alla sua causazione.

* si è costituito tramite gli Avv.ti Prof.Ernesto Stajano e Pierluigi Giammaria, eccependo preliminarmente la prescrizione dell’azione, con riferimento alla data di emissione delle determinazioni de quibus, e l’inidoneità dell’atto d’intimazione dell’INPDAP del 2008 a costituire atto di costituzione in mora agli effetti di legge. Nel merito ha rilevato che la grave carenza di organico della D.C.S.I. (con riferimento agli stessi atti e fatti richiamati dalla difesa della *) unitamente al trasferimento del coordinatore di area Ing.* costituirebbero condizioni di necessità tali da giustificare l’attribuzione degli incarichi di reggenza presso i 6 uffici dirigenziali scoperti, e che a fronte della condivisione di tale valutazione da parte del superiore gerarchico Dr.* (provata dal suo assenso alle determinazioni in questione) egli non avrebbe potuto ritirarle a meno di non incidere pesantemente sul buon andamento dell’azione amministrativa; a tale inammissibile iniziativa avrebbe preferito l’opzione di svolgere un’attività di monitoraggio sulle mansioni svolte dagli incaricati, i quali nel periodo nel quale egli è stato D.G. non avrebbero di fatto mai assunto responsabilità amministrative tipiche delle mansioni superiori. Ha sostenuto, poi, che la condotta omissiva a lui contestata non potrebbe assumere il connotato di una colpa grave, non esistendo alcuna norma espressa che possa dirsi violata tramite una tale omissione, e non essendovi  mai stata alcuna contestazione da parte di organi di controllo interni o esterni all’istituto. Ha concluso per la dichiarazione di prescrizione dell’azione, e nel merito per l’assoluzione o in via subordinata per la riduzione del danno in compensazione con l’utile conseguito dall’attività lavorativa degli incaricati e con utilizzo del potere riduttivo dell’addebito.

* si è costituito tramite gli Avv.ti Mario Sanino e Fabrizio Viola, preliminarmente eccependo la prescrizione dell’azione con riferimento alla data di emissione delle determinazioni di incarico e con irrilevanza dei pretesi atti di costituzione in mora citati dalla Procura, ed il difetto di giurisdizione per l’assenza dei presupposti della responsabilità erariale (dolo, o colpa grave, e danno). Nel merito, ha sottolineato la particolare complessità della situazione che il Dr.*, nella sua qualità di Direttore Generale dell’INPDAP dal 1999, aveva dovuto affrontare sia al momento del suo insediamento, nel quale aveva ricevuto l’ufficio da un precedente titolare facente funzioni, che successivamente, quando, avendo l’Istituto ricevuto numerosopersonale confluito dagli enti assorbiti dall’INPDAP, vi era stata una pressante esigenza di  riorganizzazione,  soprattutto per quanto riguardava la D.C.S.I., a seguito del trasferimento dell’Ing.Patamia, coordinatore di una delle due Aree della Direzione medesima, su richiesta insistente e con il consenso dell’altra dirigente della D.C.S.I.; a fronte di tale fatto, in particolare, gli era sembrata giustificata la decisione della Dr.ssa Campaner di attribuire temporanei incarichi di reggenza degli uffici dirigenziali di seconda fascia. Rispetto a tale decisione, inoltre, sostiene a difesa che il D.G. dell’INPDAP non avrebbe diretta responsabilità, rientrando esse nel pieno potere del dirigente che le ha emesse ai sensi dell’art.7 del D.P.R. n. 368/1997 (gestione dei dirigenti assegnati alle singole Direzioni Centrali dell’Istituto), e che una tale responsabilità non potrebbe basarsi sulla mera apposizione del “OK” o “Concordo”, parole infatti espresse al fine di comunicare la mera presa d’atto della determinazione, che sarebbe stata a lui trasmessa solo ai fini informativi. Ha infine contestato l’esistenza del preteso danno, sostenendo che i compensi liquidati sono unicamente le somme spettanti ai dipendenti appartenenti alla fascia del personale direttivo, di cui all’art. 15, comma 1, della legge n. 88/1989,  nel caso di reggenza di incarichi,  come previsto dai C.C.N.L. dell’area, senza alcuna liquidazione di retribuzioni dirigenziali per mansioni superiori, e opponendo comunque l’esistenza e la rilevanza dell’utile conseguito all’amministrazione dalla loro attività lavorativa, rispetto al maggior costo che sarebbe corrisposto alla retribuzione di personale dirigenziale. Ha concluso per l’assoluzione del convenuto, ed in via subordinata per la riduzione del danno imputato.

Per l’udienza del 17.06.2014 la Procura ha depositato le sentenze che hanno definito in appello il giudizio intentato dai due  funzionari Scauso e Lucentini, per i quali il giudizio era ancora pendente al momento dell’emissione dell’atto di citazione, ed ha integrato la richiesta di danno con l’ulteriore importo di euro 1.500,00 ed euro 1.800,00, liquidati rispettivamente ai due ricorrenti a titolo di spese di giudizio; alla stessa udienza il P.M. in persona del V.P.G. Domenico Peccerillo ha ribadito le argomentazioni e le conclusioni, concordando però sulla richiesta delle parti di una congrua riduzione del danno in considerazione della situazione di obiettive difficoltà organizzative esistenti presso gli uffici dell’INPDAP al momento dei fatti.

L’Avv. Sanino per *, l’Avv.Stajano per *, l’Avv.Panicucci per * e l’Avv.Giammaria per *, hanno argomentato e concluso come inatti, particolarmente soffermandosi sull’osservazione che nessun danno sussisterebbe in relazione ai compensi liquidati, che sarebbero esclusivamente quelli di spettanza dei dirigenti in base alle disposizioni dei contratti collettivi vigenti, e che comunque sarebbero perfettamente adeguati alla qualità e quantità del lavoro prestato nelle corrispondenti mansioni, per cui sarebbe necessaria una valutazione dell’utile conseguito dall’amministrazione.

DIRITTO

La pretesa concerne una fattispecie di danno indiretto causato all’INPDAP, oggi INPS, dalla liquidazione di somme a titolo di differenze retributive per le superiori mansioni dirigenziali espletate in esecuzione di incarichi di reggenza conferiti nel 2000 e non revocati sino al 2005, liquidazione disposta in esecuzione di sentenze di condanna del giudice del lavoro favorevoli ai dipendenti e passate in giudicato.

1.L’eccezione di prescrizione è infondata, poichè individua il dies a quo di decorrenza del termine dall’emissione delle determinazioni di incarico (2000), e non da quello, che invece opera nella fattispecie di danno indiretto derivante da sentenza di condanna, individuato nella data di emissione della sentenza passata in giudicato (come rilevato daCorte dei Conti, SS.RR., sin dalla sentenza 15 gennaio 2003, n. 3 QM); è solo a tale data, infatti, che si è determinata l’incisione del patrimonio dell’INPDAP con l’insorgenza dell’obbligo di erogazione delle differenze retributive, con l’accertamento giudiziale definitivo del relativo diritto in testa ai dipendenti incaricati. Ma, deve osservarsi, anche con riferimento alla data di liquidazione dei compensi previsti dalla sentenza di primo grado, che di per sé ha integrato l’elemento della depauperazione patrimoniale subìta dall’amministrazione, non si è maturato alcun termine prescrizionale, atteso che i mandati di pagamento sono intercorsi tra il 27 aprile 2008 ed il 2013, e l’invito a dedurre, notificato ai pretesi responsabili l’8 aprile 2013, è stato preceduto dall’atto di interruzione della prescrizione che l’INPDAP ha loro comunicato il 19.02.2013 (raccomandata agli atti).

Sono infondate le censure che le difese sollevano avverso tale atto, contestandone l’efficacia interruttiva del termine prescrizionale, poiché tale atto contiene in sé tutti gli elementi per integrare l’atto di messa in mora ai sensi dell’art.1219 cod.civ. e, conseguentemente, produce l’efficacia interruttiva del termine prescrizionale di cui all’art. 2943 cod.civ. In esso, infatti, è fatto ampio richiamo alla causa del preteso credito, esplicita ricostruzione dell’ammontare dello stesso, e precisa imputazione della relativa responsabilità a titolo di credito da risarcimento del danno da sentenza di condanna, con trascrizione del passo delle sentenze del giudice civile con le quali è stato accertato il diritto dei lavoratori alla liquidazione delle somme in questione in diretta corrispondenza con l’attribuzione ad essi di mansioni dirigenziali. L’importo del preteso credito, inoltre, è analiticamente ricostruito addirittura con riserva di rideterminazione con inclusione di quanto era, allora, ancora sub judice.

2.L’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del * è stata formulata prospettando l’assenza dei presupposti della responsabilità erariale, sostenendosi che non sussisterebbe la giurisdizione di questa Corte in quanto non sussisterebbero colpa grave e danno.

In tali termini l’eccezione è infondata, in quanto l’indagine sulla giurisdizione ha per oggetto il petitum e la causa petendi, cioè le ragioni della pretesa, mentre ogni questione attinente l’effettiva sussistenza dei concreti elementi di imputazione della correlata responsabilità si riflette sul merito, cioè sulla fondatezza o meno della pretesa stessa, e rimane estranea alla questione di giurisdizione. Nella fattispecie, l’azione trae titolo dal danno che si pretende arrecato all’INPDAP per la liquidazione di differenze retributive ed in relazione al comportamento del Direttore Generale che avrebbe avallato i relativi incarichi, conferiti oltre i limiti di legge,sicchè la giurisdizione di questa Corte va senz’altro affermata per la presenza di tutti gli elementi che in astratto radicano la giurisdizione di responsabilità erariale; ogni questione relativa alla sussistenza delle condizioni dell’azione (il danno, la colpa grave e gli altri)  va rimessa all’esame del merito.

Neanche si verte nell’ambito della discrezionalità amministrativa tecnica, insindacabile da questo giudice come eccepito dalla difesa della *, poiché qui è in contestazione non la scelta discrezionale di conferire gli incarichi di reggenza, ma le relative modalità, che si contestano lesive dei limiti espressamente previsti dall’ordinamento, per cui l’accertamento che si chiede con l’atto di citazione verte specificatamente sulla conformità delle determinazioni di incarico ai limiti ed ai criteri di legge. L’eccezione è pertanto infondata anche sotto questo profilo.

3.Nel merito la Procura, nell’ambito della ricostruzione dei fatti complessivamente operata dalle parti, ritiene rilevanti esclusivamente le circostanze, non contestate, che gli incarichi non abbiano avuto alcuna predeterminazione temporale, e che essi non siano stati revocati dal dirigente competente una volta scaduto il termine semestrale che l’art. 52 del D.lgs. n. 165/2001 e l’art.57 del citato D.lgs. n. 29/93 come modificato dal D.lgs. n. 80/98, fissano per la loro durata; tali circostanze avrebbero determinato una situazione di fatto non  conforme a quella di diritto, e la sua protrazione oltre il termine massimo di legge (12 mesi) senza che neanche per tale durata massima, peraltro, si fosse concretizzata la circostanza alla quale la citata disposizione condiziona la possibilità di proroga del termine semestrale, e cioè l’avvenuta indizione della selezione per la copertura dei relativi postiin organico. Tali fatti determinerebbero la responsabilità della *, che ha conferito gliincarichi senza fissarne una durata massima entro il termine di legge, e del *, che le è succeduto e che nel corso della durata di tali incarichi non ha provveduto a riportare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo i funzionari alle rispettive mansioni.

A tale impianto accusatorio le difese dei convenuti * e * non oppongono una diversa interpretazione delle norme, peraltro esplicite in materia, ma una serie di altre circostanze di fatto che determinerebbero l’esenzione dalla rispettiva responsabilità.

Quanto alla posizione della *, la difesa sostiene che gli incarichi sarebbero stati legittimamente conferiti a fronte della carenza diorganico e della necessità di riorganizzare gli uffici dirigenziali della Direzione a seguito del trasferimento del Dirigente *. La mancata espressa previsione del termine di durata nelle relative determinazioni di per sé non integrerebbe alcuna violazione della norma, che non prescrive tale esplicita indicazione, ma solo prescrive la durata massima dell’incarico di sei mesi, per cui al momento dell’attribuzione degli incarichi non vi sarebbe stata alcuna violazione; le condizioni di illiceità si sarebbero verificate solo alla scadenza del semestre, che in concreto è avvenuta quando la * era stata già sostituita nelle funzioni dal successore *, per cui ella sarebbe estranea a qualsiasi possibilità di imputazione.

La difesa del * sostiene, all’opposto, che a fronte di determinazioni prive dell’espressa previsione di un termine massimo di durata ed assentite del Dirigente Generale dell’Istituto, nonché adottate a fronte di necessità di organico non mutate alla scadenza del termine di sei mesi, egli non avrebbe potuto disporre alcuna revoca o modifica senza causare quel disservizio che la dirigente conferente ed il D.G. avevano voluto evitare con il conferimento degli incarichi medesimi.

La mancata indizione delle procedure di selezione entro il semestre, poi, costituirebbe un elemento a sostegno della difesa sia della * (in quanto decisione estranea alle sue funzioni e competenze, ed elemento non da lei valutabile ex ante al momento del conferimento degli incarichi), che del * (in quanto nelle premesse della determinazione del 31.05.2000di riorganizzazione dell’Area sarebbe espressamente leggibile che la situazione non si sarebbe risolta entro l’ anno 2000, fatto questo che lo avrebbe indotto a ritenere che tale mancata indizione era stata già oggetto di previsione da parte della conferente gli incarichi medesimi e del D.G. dell’Istituto). Entrambe le difese, poi, adducono a scusante della colpa grave l’inesistenza di alcun rilievo da parte di organi di controllo.

Osserva preliminarmente il Collegio che la situazione illecita che la Procura contesta ai convenuti, con attribuzione di responsabilità di pari rilevanza sia sotto il profilo causale che dell’elemento soggettivo, è che le rispettive condotte (commissiva per la *, omissiva per il *) abbiano determinato una situazione di fatto tale da integrare il diritto dei dipendenti incaricati di mansioni dirigenziali a percepire somme a fronte di incarichi conferiti oltre i termini di legge.

La tesi è fondata a fronte del chiaro disposto di legge, se solo si osserva che gli incarichi in questione sono perdurati ben oltre il termine di 12 mesi citato sopra, senza che né nel primo semestre, né durante l’ulteriore periodo di proroga semestrale, sussistesse la condizione, che la legge prevede come necessaria per la stessa possibilità di prorogare legittimamente gli incarichi (altrimenti semestrali) della indizione delle procedure concorsuali per il reclutamento del personale carente in organico. La violazione del termine di affidamento di mansioni superiori integra una violazione dell’espresso dettato dell’art. 52 del D.lgs. n. 165/2000, vigente all’epoca dei fatti, e la conseguente illiceità degli stessi. Tale elemento, come si vedrà subito appresso, inficia le condotte sia del dirigente che ha conferito gli incarichi, sia di quello che ha acquisito le competenze del primo ed il  potere di provvedere in merito agli incarichi stessi durante il corso della loro durata.

3.1 Nel meccanismo di legge, l’attribuzione di superiori mansioni dirigenziali è provvedimento temporaneo proprio perché è preordinato esclusivamente a consentire la copertura di carenze di organico durante il periodo strettamente necessario (valutato ex lege in sei mesi-un anno) per indire ed espletare le ordinarie procedure per la loro copertura. Tale temporaneità, pertanto, deve essere necessariamente ed in concreto assicurata onde evitare il consolidamento di posizioni che contrastano, prima ancora che con le specifiche norme di legge sull’attribuzione degli incarichi citate dalla Procura, con le ordinarie e generali regole sull’organizzazione amministrativa, delle quali la regola dell’assunzione per specifici profili professionali tramite concorsi costituisce una regola generale, a garanzia della quale il divieto di attribuzione stabile a mansioni superiori (già espresso nell’art. 56 del D.lgs. n. 29/93 e poi confluito nell’attuale art. 52 del D.lgs. n. 165/2001) è posto. Di tale garanzia è fatto carico ai soggetti che, per le loro competenze, sono in grado di incidere sull’esistenza e sulla protrazione degli incarichi in questione, i quali devono porre in essere le condizioni affinchè gli incarichi conferiti rimangano entro i limiti di legge.

Cosa diversa, infatti, è che il fatto che tale elemento è richiesto dalla legge, rispetto al fatto che un termine temporale sia espressamente stabilito, in concreto, nei singoli atti di conferimento. La previsione di legge (il citato art.52 del D.lgs. n. 165/2001) non incide sull’effettiva esistenza ed efficacia degli incarichi che perdurino anche oltre il termine massimo ivi previsto, ma  unicamente sulla loro illegittimità (ed illiceità) concretando la previsione, leggibile “al contrario” dalla disposizione stessa, che una proroga disposta o consentita in assenza di tale condizione –l’indizione di procedure per la copertura dei posti vacanti in organico- è illegittima. Al contrario, una previsione della durata massima degli incarichi,che sia contenuta nella stessa determinazione di conferimento, incide direttamente sull’esistenza degli incarichi stessi, determinandone la caducazione al termine del periodo di durata previsto. Solo una tale previsione, pertanto, è in grado di evitare il risultato, contrario alla lettera ed allo spirito della legge, che dipendenti dell’amministrazione siano adibiti a superiori mansioni perun periodo superiore ai sei mesi in assenza dell’indizione di ordinarie procedure per la copertura delle carenze di organico che, asseritamente, gli incarichi sono tesi a coprire e che, per legge, solo a fronte di tale temporanea necessità trovano giustificazione.

E’ evidente che una tale garanzia non è stata assicurata dalla conferente gli incarichi, Dott.ssa Campaner, la quale, non avendo apposto alcun termine massimo di durata agli incarichi da lei conferiti nelle determinazioni in questione, ha fatto sì che questi continuassero a rimanere efficaci anche oltre il termine di legge, determinando così non solo la protrazione dei loro effetti ben oltre le necessità alle quali la legge li condiziona, ma anche una situazione di fatto stabile, per rimuovere la quale diventava necessaria l’adozione di un’ulteriore determinazione (di restituzione degli incaricati alle pregresse mansioni). Tale mancata previsione, in altri termini, se pure si accetti che essa non costituisca un’illegittimità formale della determina di conferimento degli incarichi, integra pur sempre un’illiceità sostanziale dei conferimenti, che per tale mancata previsione sono diventati stabili e destinati a permanere oltre il semestre in assenza di espressa revoca.

Sul punto la norma è chiara, come è chiara la sua funzione di “norma di chiusura “ del sistema, e di garanzia di regole primarie e imperative che disciplinano l’accesso dei dipendenti pubblici alle pubbliche funzioni, e sussiste giurisprudenza unanime e costante nel tempo in merito ai limiti di legittimità per il conferimento di incarichi di mansioni superiori; la violazione, pertanto, è imputabile a colpa grave della Dr.ssa *, la quale, sia per il bagaglio di esperienze professionali che per il ruolo rivestito, doveva necessariamente esserne a conoscenza. Considerando poi le circostanze, e cioè sia il fatto che non si trattava propriamente di incarichi adottati a copertura di posti vacanti in organico, bensì di assegnazioni ad uffici dirigenziali che essa stessa ha individuato risistemando la propria direzione a seguito del trasferimento del coordinatore Dr.* creando sei uffici dotati di autonomia dirigenziale prima inesistenti,  ed il fatto che ella sarebbe cessata dalle funzioni presso quella Direzione solo poco più di un mese dopo, e pertanto sapeva che avrebbe dovuto lasciare la situazione come ella la stava determinando, la mancata previsione di un termine finale alla durata degli incarichi rappresentavaun elemento che, in quella situazione specifica, era in grado di determinare una esposizione grave al rischio di consolidamento di posizioni illecite, come in concreto è poi avvenuto.

3.2 Nell’ambito delle competenze e delle funzioni del Dirigente succeduto alla *, Dr.*, rientrava di certo quella di compiere un’autonoma valutazione delle condizioni di fatto sussistenti al momento della presa in carico dell’ufficio e successivamente, per tutto il tempo in cui gli incarichi hanno avuto espletamento, senza che possa avere rilievo scusante che tali condizioni fossero state valutate come idonei presupposti per il conferimento degli incarichi da parte del precedente Direttore, e, asseritamente, del D.G. dell’Istituto. L’espressa previsione di legge sulla necessaria temporaneità degli incarichi costituisce, infatti, una valutazione del legislatore dell’utilità degli incarichi medesimi, la quale, pertanto, condiziona necessariamente la durata degli incarichi e comportava l’obbligo di riportali entro i termini di legge, qualora non ne fossero sussistite o ne fossero venute a mancare le condizioni legittimanti, anche a fronte di quanto deciso o consentito dai conferenti gli incarichi. Un tale obbligo il * non ha adempiuto, lasciando perdurare la situazione di fatto, con l’esito giudiziale che qui si contesta, nonostante egli sia succeduto alla conferente gli incarichi neanche due mesi dopo le relative delibere, fatto questo che gli avrebbe dato il tempo di operare in qualunque altra direzione, prima che verso la revoca degli incarichi, a tutela di quegli stessi interessi organizzativi che la sua difesa richiama, sollecitando le decisioni di competenza di altri uffici, o ponendo al D.G. la problematica della risoluzione del conflitto tra quelle e l’esigenza imprescindibile del rispetto della normativa sulla durata dei conferimenti di mansioni superiori. La delicata questione delle esigenze organizzative come risolte dalle decisioni della * non poteva prevalere sic et simpliciter sul disposto della norma imperativa, e, se il dirigente non avesse voluto risolverla alla scadenza del periodo di legge con la revoca degli incarichi, egli avrebbe dovuto quantomeno porla per tempo, rappresentando l’opposta esigenza del rispetto della legge, poiché non si era in presenza di una singola attribuzione di funzioni dirigenziali ma del permanere dell’organizzazione di una intera struttura (come detto, sei uffici dirigenziali creati dalla *, che ha suddiviso l’Area Sviluppo e Manutenzione Applicativi della D.C.S.I. in uffici dirigenziali dotati di autonomia organizzativa) in una perdurante condizione di illegittimità. L’omissione di qualunque attività in merito, come sottolinea la Procura, costituisce effettivamente un profilo di colpa grave, essendo non solo contraria al chiaro ed inderogabile disposto  della norma, ma anche non giustificabilealla luce dei fatti.

3.3 La circostanza che sulle determinazioni di incarico sia stata apposta da parte del D.G Dr. * la sigla AS, o le parole OK e CONCORDO, non costituisce una esimente, né per la conferente gli incarichi, né per il suo successore, in quanto entrambi erano i soggetti direttamente ed unicamente investiti delle funzioni e competenze in merito all’attribuzione degli incarichi di reggenza ed alla relativa gestione, avendo detti provvedimenti diretta efficacia solo per effetto della firma del dirigente Generale della D.C.S.I. all’interno della quale essi sono stati disposti. La firma del D.G. dell’INPDAP, semmai, era richiesta per l’attribuzione di incarichi dirigenziali di direzione delle Direzioni Centrali dell’Istituto (come infatti è stato per il trasferimento dell’Ing. *, responsabile dell’altra Area in cui era suddivisa la D.C.S.I., in occasione del quale la relativa determinazione, n.57 del 30 maggio 2000, è stata firmata dal D.G. *), in base all’art.7 del D.P.R. n. 368 del 24 settembre 1997, norma del Regolamento sull’organizzazione ed il funzionamento dell’INPDAP che prevede le attribuzioni del Direttore Generale.

Le stesse considerazioni valgono anche ad escludere la responsabilità del Dr. *, contestata dall’accusa solo con riferimento al preteso ruolo che di fatto egli avrebbe assunto con l’apposizione delle suddette parole sulle determinazioni, e che, per quanto detto, non assume invece alcuna portata causale sulla fattispecie che si era così venuta a creare.Il Dr.Simi deve pertanto essere assolto da ogni addebito.

4.Quantoall’affermazione che gli incarichi non avrebbero dato legittimamente titolo alla liquidazione di compensi, non avendo di fatto avuto a contenuto l’espletamento di funzioni dirigenziali, essa nel presente giudizio appare priva di alcuna prova, oltre che di alcun rilievo giuridico, poiché ai fini della maturazione dei relativi compensi il giudice del lavoro (oltre che a valutare l’esistenza di prove testimoniali in tal senso, con valutazione confermata in appello) ha tenuto a riferimento, con criterio che il Collegio perfettamente condivide, il contenuto delle determinazioni di incarico e delle mansioni con esse conferite;  questo giudice concorda sia con tale criterio, sia con le relative conclusioni, atteso che nella determinazione di conferimento (n.69/2000) gli incarichi sono conferiti “a fronte di carenza di figure di livello dirigenziale” e tendono pertanto a garantire l’espletamento di funzioni inerenti tale profilo professionale, ed atteso il contenuto dell’ordine di servizio n.12 del 06.06.2000, con la quale la stessa * individua le mansioni e le funzioni degli uffici dirigenziali in questione.

5.I convenuti oppongono, infine, che le somme liquidate ai dipendenti in questione non costituiscono il corrispettivo per le superiori mansioni dirigenziali, domanda che il giudice del lavoro ha respinto, ma la liquidazione di un’indennità prevista espressamente dalla contrattazione collettiva per il personale direttivoal quale siano conferite mansioni dirigenziali, per cui in realtà non vi sarebbe alcun danno illecito.

Si fa riferimento alla previsione dei contratti integrativi applicabili all’Istituto che prevede la liquidazione al personale direttivo,di cui all’art. 15, comma 1, della legge n. 88/89, di una indennità di reggenza per il periodo nel quale esso abbia espletato mansioni proprie di un ufficio dirigenziale; ed in effetti, il giudice del lavoro ha respinto la domanda alla liquidazione di altre voci retributive proprie della dirigenza per l’esistenza di una specifica disposizione, seppure contrattuale, applicabile alla fascia dei funzionari direttivi, che retribuisce tali funzioni per il periodo in cui sono svolte.

Rileva sul punto il Collegio che la circostanza che tale emolumento sia previsto contrattualmente, fatto questo che ha costituito titolo per il diritto dei dipendenti alla liquidazione delle somme in questione, non comporta necessariamente che sempre ed in ogni caso la sua corresponsione sia lecita, nel senso che essa non costituisca un danno erariale, come infatti accade nelle ipotesi in cui l’incarico sia stato conferito o sia proseguito in violazione dei termini di legge. Espressamente, del resto, dispone il quinto comma dell’art. 52 citato, che sancisce la nullità dell’assegnazione a mansioni superiori oltre il termine di legge e la responsabilità del dirigente che ha disposto l'assegnazione, che risponde personalmente “per il maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave”, disposizioni che sono destinate ad espletare i loro effetti nell’ambito dei rapporti tra il soggetto che ha conferito gli incarichi e l’amministrazione di appartenenza, senza incidere sui diritti retributivi del lavoratore, disciplinati dalla medesima disposizione con la previsione che “al lavoratore e' corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore”. Il fatto che il giudice del lavoro abbia accolto solo parzialmente la domanda dei lavoratori incaricati, accertando il loro diritto all’indennità per funzioni dirigenziali e non all’intera differenza con la retribuzione dei dirigenti, non incide sul titolo illecito di tali differenze retributive ma solo sulla quantificazione del danno, limitandolo a quanto liquidato in applicazione della predetta disposizione.

Nella presente fattispecie, la remunerazione delle funzioni dirigenziali affidate ai dipendenti in questione può dirsi lecita solo con riferimento al primo semestre di durata dell’incarico, in presenza degli altri presupposti ai quali la legge condiziona la possibilità di conferimento di mansioni superiori (presupposti che qui non sono stati posti in questione), ma non per il semestre successivo, non essendosi verificata la condizione dell’indizione delle procedure per la copertura dei posti in organico, e per il periodo  ancora successivo, sino alla restituzione dei dipendenti alle proprie funzioni.

Per tali successivi periodi, pertanto, la corresponsione di tale emolumento costituisce un danno erariale, non corrispondendo ad una situazione che l’ordinamento qualifica come legittima.

Né da tale danno può ritenersi detraibile un utile in dipendenza delle prestazioni di attività lavorativa effettuate dai dipendenti incaricati delle funzioni dirigenziali.  Come detto,e come afferma l’unanime giurisprudenza di questa Corte, la valutazione dell’utilità dell’attribuzione di mansioni superiori è frutto di una previsione legislativa, la qualerichiede determinati requisiti per l’attribuzione di tutti gli specifici profili professionali nell’ambito della pubblica amministrazione, ma ancor più per le funzioni dirigenziali (requisiti che sono determinati dalle leggi in vigore al momento dei fatti),delimita all’interno degli stretti ambiti sopra descritti l’attribuzione temporanea di mansioni dirigenziali ai soggetti che non ne sono in possesso, e nega rilevanza alle assegnazioni di mansioni superiori disposte oltre i casi previsti dalle citate disposizioni, al punto da sancirne la nullità. Tale valutazione non può essere pretermessa o sostituita dalla valutazione che ne faccia l’amministrazione, e, in conseguenza, non può ritenersi sussistente e valutabile alcun “utile”, né in dipendenza diretta della prestazione  contra legem, né sotto il profilo prospettato dalla difesa, e cioè per il fatto che le funzioni dirigenziali espletate dagli incaricati, pur oltre i limiti di legge, sono state retribuite in misura minore di quelle che avrebbero dovuto essere espletate da dirigenti titolari, poiché solo a questi ultimi la legge riserva il diritto alla corrispondente retribuzione.

6.Il Collegio ritiene che la particolare situazione in cui versava l’INPDAP all’epoca dei fatti, e cioè le pressanti esigenze di profonda ed ampia riorganizzazione che l’Istituto, ampiamente rilevate e documentate dalle parti e riconosciute anche dalla Procura in udienza, doveva affrontare per far fronte alle nuove competenze derivanti dai recenti trasferimenti di personale e funzioni, possono essere tenute in considerazione ai fini di una cospicua riduzione del danno imputabile ai convenuti, che hanno dovuto operare in un ambito caratterizzato comunque da difficoltà organizzative e difficili valutazioni discrezionali, pur rimanendo fermo che, tra tutte quelle possibili,  non avrebbe dovuto prevalere la scelta illegittima di fatto attuata, la quale ha portato alla violazione di disposizioni imperative di portata inderogabile.

Dall’ammontare del danno di euro 749.539,32 addebitato dalla Procura,va detratto, per le ragioni esposte sopra al punto 5, quanto corrisponde alla liquidazione di indennità di reggenza e relativi oneri per il primo semestre di durata degli incarichi (giugno –dicembre 2000), determinato in via equitativa in euro 80.300,00 (tenendo a base di computo quanto complessivamente liquidato ai dipendenti, euro 749.539,32, per il periodo di durata degli incarichi, mesi dal 06.06.2000-11.02.2005). Il danno così quantificato, pari ad euro 669.239,00 circa, va ridotto a circa la metà in esercizio del potere riduttivo dell’addebito, ed il Collegio lo determina definitivamente in euro 300.000,00.

Di tale danno i convenuti * e * sono responsabili solo per i due terzi, dovendo essere detratta la quota che la Procura ha imputato alla responsabilità del Dr.*, il quale è stato chiamato a rispondere a titolo di corresponsabile pro quota ed è stato assolto, e pertanto per euro 200.000,00, dei quali essi devono rispondere in parti eguali, essendo di pari rilevanza la rispettiva posizione nella causazione del danno (per l’eguale posizione rivestita all’interno dell’organizzazione dell’INPDAP e per l’eguale portata delle conseguenze della propria azione, commissiva, per la Campaner, ed omissiva, per il *), ed essendo entrambi imputabili al medesimo titolo soggettivo di illecito. Di tale somma essi devono rispondere corrispondendola all’INPS, che è succeduto nelle competenze e funzioni del disciolto INPDAP, oltre interessi dalla data della presente decisione sino al soddisfo. Essi dovranno inoltre rifondere gli oneri del presente giudizio, che sono liquidati come in dispositivo.

Il Dr. * è assolto, e pertanto egli ha diritto alla refusione delle spese legali, che sono liquidate in complessivi euro 1.500,00 comprensivi degli onorari degli avvocati, ed al netto delle imposte e ritenute di legge.

P. Q.M .

La Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunziandosi,

assolve *, ad accerta il suo diritto alla refusione delle spese legali, liquidate in complessivi euro 1.500,00 comprensivi  degli onorari degli avvocati, ed al netto delle imposte e ritenute di legge.

Condanna **, come in epigrafe specificati, a risarcire all’INPS euro 100.000,00 ciascuno, oltre interessi dalla data della presente decisione sino al soddisfo, ed a rifondere ciascuno per la metà le spese del giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 1.403,26 (millequattrocentotre/26).

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 17.06.2014.

Il Relatore                                                                                         Il Presidente

F.to Chiara Bersani                                                                           F.to Ivan De Musso

Depositato in segreteria il 10 settembre 2014.

                                                                                                           P. IL DIRIGENTE

                                                                                            IL RESPONSABILE DEL SETTORE

                                                                                              GIUDIZI DI RESPONSABILITÀ

                                                                                                       F.to Luigi DE MAIO

 

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